Chiariamolo subito: un vaccino per curare o prevenire l’Hiv ancora non esiste. Ed è improbabile che diventi disponibile prima di una decina di anni. A dispetto di quanti credono che le aziende farmaceutiche tengano nascosta l’“arma finale” contro l’epidemia per lucrare sui farmaci antiretrovirali, mancano le basi scientifiche per poter sviluppare un vaccino definitivo. O, meglio, al momento si sta lavorando – e anche bene – per sviluppare proprio quelle basi sulle quali si spera che in futuro sarà possibile arrivare ad un vaccino efficace.
Se questo quadro può sembrare deludente, occorre tenere presente che è fin dagli anni 80 che si cerca questo fantomatico vaccino. Tuttavia, la sfida si è dimostrata particolarmente difficile: questo astutissimo virus muta faccia in continuazione così da eludere sistematicamente le sentinelle del nostro organismo. Ecco perché solo cinque studi sono stati portati avanti in esseri umani in più di trent’anni! E di questi cinque, solo uno ha mostrato una certa efficacia. Si tratta dello studio RV144, condotto in Tailandia tra il 2003 e il 2006, che ha ridotto del 31 percento le possibilità di infettarsi dei participanti: una protezione sicuramente modesta ma che per la prima volta nella storia mostra una differenza significativa nel rischio di infettarsi tra chi assume un vaccino e chi assume solo un placebo.
Il problema è come accrescere questo livello di protezione. Ci proverà lo studio HVTN 702 presentato alla conferenza mondiale AIDS che si è svolta a Durban, in Sud Africa, dal 17 al 22 luglio 2016, e basato su una versione modificata dello stesso regime usato nel RV144. Lo studio coinvolgerà 5.400 persone sieronegative in 15 centri sudafricani. Si tratta di uno studio pilota che, se avrà risultati soddisfacenti, potrà portare a ulteriori sperimentazioni ancora più grandi e solo alla fine di queste alla commercializzazione di un vaccino in Sud Africa.
Anche la casa farmaceutica Janssen sta lavorando per migliorare i risultati mostrati dallo studio RV144: basandosi sui risultati incoraggianti ottenuti sugli animali, la compagnia ha elaborato una strategia vaccinale la cui tollerabilità è stata valutata su 400 persone Hiv-negative in Sud Africa, Ruanda, Uganda, Tailandia e Stati Uniti. Al momento, non si sono osservati eventi avversi gravi e sono in corso studi con diverse strategie nella speranza di individuare quella più efficace.
Lo scopo di ogni vaccino è di fare in modo che il sistema immunitario produca degli anticorpi così potenti da essere in grado di neutralizzare diverse varianti di Hiv. Questi anticorpi vengono appunto chiamati “anticorpi neutralizzanti ad ampio spettro” o broadly neutralising antibodies (bNAb) e sono stati osservati in quelle – pochissime – persone che riescono spontaneamente a tenere sotto controllo l’infezione da Hiv senza assumere farmaci.
In particolare, uno di questi anticorpi denominato VRC01 sembra essere particolarmente promettente. Nelle scimmie, questo composto è stato in grado di proteggere tutti gli animali dall’infezione. Sulla base di questi dati, gli scienziati stanno perciò lanciando due grandi studi sugli esseri umani: il primo coinvolgerà maschi gay e donne transgender negli Stati Uniti (e forse anche in Svizzera) e il secondo giovani donne nell’Africa Sub Sahariana. In tutto saranno coinvolte 4.200 persone che riceveranno dieci infusioni nel giro di otto settimane a due diverse dosi.
Parlando di vaccini contro l’Hiv, il lettore italiano non potrà non chiedersi che fine ha fatto il candidato vaccino di Barbara Ensoli. Lo studio lanciato dalla ricercatrice italiana ha completato la fase 2 (tre sono quelle necessarie per poter chiedere la autorizzazione al commercio). I risultati, pubblicati alcuni mesi fa sulla rivista Retrovirology, si riferiscono alla somministrazione del candidato vaccino in 200 persone con Hiv che assumevano una efficace terapia antiretrovirale in Sud Africa. A differenza degli studi menzionati sopra, quindi, questo non valutava la capacita del vaccino anti-Tat elaborato da Barbara Ensoli nel prevenire l’infezione ma se può aiutare le persone con Hiv in terapia. Secondo i ricercatori la funzionalità del sistema immunitario di chi ha assunto il vaccino è migliorata. Il vaccino ha anche aiutato quelli che non assumevano regolarmente la terapia antiretrovirale a controllare la replicazione del virus. I ricercatori stanno perciò ora cercando di trovare i finanziamenti per procedere con studi su popolazioni più grandi. Solo successivamente si penserà a valutare l’efficacia nel prevenire l’infezione in persone Hiv-negative.
articolo di Stefano Pieralli