Articoli

Come vi ho anticipato nell’introduzione, stamattina si è tenuta una sessione dei workshop precongressuali dove alcuni ricercatori hanno spiegato lo stato dell’arte sul tema HIV e dintorni.
Tranquilli, non vi descriverò tutte e sei le relazioni ma solo alcune che so essere di interesse per la comunità dei pazienti così come per chi è HIV negativo e vuole restare tale.

Il primo stato dell’arte riguarda le strategie di trattamento dell’HIV, illustrato da Monica Gandhi, University of California San Francisco che ci ha aggiornato sul tema delle terapie iniziando con i pazienti naïve, ossia quelli che non hanno mai assunto un trattamento, e i pazienti undetectable, per poi passare alle nuove strategie.

Scegliere la terapia per chi deve iniziare così come semplificare per chi è già a viremia soppressa e deve restare tale, non è cosa semplice. La ricercatrice ha sciorinato una lunga serie di studi sulle varie combinazioni di farmaci e la loro efficacia a seconda della tipologia di paziente. Per esempio: molti studi hanno comparato il Bictegravir con DTG+FTC/TAF o DTG/ABC/3TC dove è stato dichiarato non inferiore in paziente naïve, oppure altri studi, come il Solar, che studia i pazienti in trattamento con CAB/RPV che prima era usavano BIC/TAF/FTC o ancora lo studio Calibrate che analizza la somministrazione di LEN ogni 6 mesi o daily in combinazione con altri farmaci ARV in pazienti naïve. Questi studi, ancorché decisamente noiosi da ascoltare, sono estremamente utili per chi prescrive (e magari anche per chi manda giù le pillole) perché aiutano a capire quale combinazione è la più efficace, quale rischia di creare mutazioni e quindi resistenze, quale causa effetti collaterali che possono essere un problema, e così via. Per esempio, una idea emergente è che Efavirenz e Tenofovir sembrano essere “anoretici” mentre Dolutegravir è associato a un incremento di peso. Sono osservazioni che vengono rilevate con questi studi di confronto e di cui i clinici tengono conto quando hanno davanti un paziente.

Il secondo punto della relazione è sui pazienti con resistenze, ossia mutazioni di HIV che rendono vani uno o più farmaci. Inizia proprio con una slide che cita le 12 mutazione che tutti i prescrittori dovrebbero conoscere (una volta fatti i test di resistenza, vorrei aggiungere, vengono fatti?). E anche su questo tema ci propone una lunga serie di studi su varie combinazioni di farmaci ARV che possono essere utili a salvare la vita di chi ha sviluppato resistenze, per esempio lo studio D2EFT su DTG+DRV/r in adulti che hanno fallito la terapia di prima linea e pare proprio aver dato ottimi risultati. Sono stati presentati anche studi sull’utilizzo di Darunavir, Maraviroc ecc. in pazienti con più di 2 mutazioni di HIV, così come un bel studio – Brighte – sul farmaco Fostemsavir su pazienti multi trattati.

Il terzo punto era sulle nuove strategie con l’uso dei long acting in pazienti trattati. La ricercatrice parte in quarta con una bella slide sulla sfida dell’aderenza terapeutica, dove descrive il tasso di aderenza nel mondo: 79% il 1° anno, che scende a 63% entro 3 anni, tassi che scendono della metà se bambini o adolescenti in ART (cfr Han. Lancet HIV 2021) e ci tiene a specificare che negli USA, non nel terzo mondo, il 60% dei pazienti in ART ha un’aderenza subottimale. È chiaro che i Long Acting in tutto questo possono essere una risposta interessante per migliorare i tassi di aderenza e evitare l’incremento delle resistenze.

La seconda relazione riguarda i progressi nella prevenzione biomedicale di HIV, trattata da Raphael J. Landovitz, University of California Los Angeles il quale è partito in quarta con una bella slide sulle molteplici modalità di prevenzione dalle quali ha estratto la PrEP.

Non starò a ripercorrere la storia della PrEP con tutti gli studi degli ultimi 10 anni, cito solo lo studio francese Prevenir che mette a confronto PrEP daily vs on demand in MSM ad alto rischio. I primi dati non sembrano evidenziare differenze significative fra i due bracci. Se capisco bene, lo studio sembra avere anche una parte open label in cui i partecipanti sono invitati a sperimentare una PEP con la doxyciclina per limitare le IST. In sintesi i partecipanti sono stati divisi in 2 bracci, di cui uno ha, preso 200 mg di doxyciclina entro 72 ore dal rapporto senza condom mentre l’altro non ha preso niente. Gli episodi di STI sono stati inferiori nel gruppo con la PEP doxy. Già mi vedo la dott.ssa Gaspari dell’ambulatorio MTS del S. Orsola coi capelli dritti per cui dico subito che bisognerebbe studiare anche il rischio di insorgenza di batteri resistenti, cosa questa che lascia perplesso anche me a dire il vero. Qui e ora penso che sia più pratico controllare frequentemente le persone ad alto rischio e trattare gli esiti positivi. Ma non è detto che non cambi idea.

È stata messa a confronto anche la combinazione della PrEP attuale Emtricitabina/Tenofovir (TDF/FTC) con la sua sorella TAF e Emtricitabina (TAF/FTC). Per ora la bilancia pende più sulla prima sia per una questione di costi, sia perché mancano studi di efficacia sulla popolazione generale. Naturalmente si è parlato di Cabotegravir LA. Gli studi HPTN 083 e HPTN 084 hanno dimostrato che la profilassi pre-esposizione (PrEP) iniettabile a lunga durata d’azione con cabotegravir (CAB-LA) è superiore alla somministrazione giornaliera di tenofovir DF emtricitabina (TDF/FTC) per la prevenzione dell’HIV.

Anche Lenacapavir viene studiato per la PrEP e sta dando buoni risultati sui macachi. Sono stati citati anche studi in sviluppo, tra gli altri mi piace citare HPTN 106 che prevede l’utilizzo di un doccino anale con Tenofovir.

Ultima relazione è quella sullo stato delle ricerche sulla cura di HIV, trattata da John W. Mellors, University of Pittsburgh. Non so se definirlo simpatico, visto il tema, ma inizia chiedendo al pubblico “alzi la mano chi vuole una cura”, tutti alzano una mano. “OK ora alzate anche l’altra e fate ciao ciao” ecco lo stato dell’arte.

Mellors chiarisce, e al contempo rincara la dose, che il termine cura è troppo forte, meglio remissione ma li userà entrambi.

Due sono i modelli:

  1. Eradicazione/sterilizzazione: non restano provirus competenti per la replicazione
  2. Funzionale/non sterilizzante: controllo della replicazione virale con o senza ART.

La slide successiva rappresenta una serie di We need you, abbiamo bisogno di voi, che a me rimanda a quando si sapeva poco o niente di HIV e si cercavano strategie e aiuti anche da altri campi della medicina, forse pure da fuori della medicina. Nella successiva si sofferma sul motivo per cui serve una cura e, per me, è abbastanza sconcertante: “troppe persone hanno bisogno di troppi farmaci per troppo tempo”. Mah… soprassediamo.

L’idea di una cura prende piede già nel 1996 quando la viremia crollava sotto l’azione dei nuovi farmaci, salvo poi scoprire che ricresceva senza ART e, in sostanza, dal 1997 al 2009 c’è stata l’era de “impossibile trovare una cura”. Poi è arrivato il caso di Timothy Brown, sottoposto a trapianto di midollo da parte di un donatore con una mutazione del recettore CCR5 delta 32 (una cosina che ha forse il 5% della popolazione mondiale) e per tutto il resto della sua vita è restato HIV negativo, guarito. Il caso di Brown ha dato modo di pensare a strategie per arrivare ad una cura. Nello specifico con il trapianto anche ad altri è “andata bene”, ma parliamo di appena 4 persone e di queste 1 in realtà ha visto il ritorno dell’infezione.

Alcune persone, gli elite control, hanno la capacità di tenere sotto controllo il virus senza trapianti, 2 persone: una donna di S. Francisco e una in Argentina. Ma anche qui parliamo di casi estremamente rari e non siamo nelle condizioni di riprodurre queste situazioni con le terapie attualmente a disposizione.

Anche le nostre capacità e conoscenze rispetto ai reservoir non sono poi infinite anzi: non siamo ancora in grado di misurare in modo preciso quanto sono pieni questi serbatoi che pur sarebbe importantissimo come valore perché sono proprio queste cellule che contengono DNA parassitato e possono sempre causare un rebound virale se non tenuto pressato dai farmaci. Insomma niente di particolarmente nuovo, siamo ancora alle sfide.

Solo due parole sulla inaugurazione che è stata una delle più noiose a cui abbia mai assistito. Anche la lecture della community tenuta da Yvette Raphael, un’attivista sudafricana, è stata una lunga carrellata di immagini senza commento sul ruolo delle donne africane e del loro essere pronte a prendere in mano la propria vita e a avere un ruolo di primo piano nella società così come nella ricerca. Tutte cose giuste in generale, ma a tratti un po’ fuori contesto, senza contare che il ruolo della community dovrebbe andare più nella direzione di unire le forze, più che esaltarne un pezzo a discapito degli altri. Ad ogni modo è stata una presentazione vigorosa.
Per finire l’inossidabile Anthony Fauci ha ricordato il percorso del CROI, che compie 30 anni, dalla nascita ad oggi. Un momento auto celebrativo quando sono anni luce avanti gli Stati Uniti.

Sandro Mattioli
Plus aps

Bene, cominciano le danze.

La 30sima conferenza su retrovirus e infezioni opportunistiche (CROI), quest’anno si tiene a Seattle nello stato di Washington, famosissima per lo space needle che in Man in Black diventa l’astronave di non so quale bacarozzo gigante, per Grey’s Anatomy e per la più importante conferenza del mondo sul tema dell’HIV e dintorni. Un po’ se la raccontano da soli gli statunitensi, un po’ gli viene data corda perché buona parte del mondo aspetta il CROI per presentare le proprie ricerche… ad ogni modo è importante.

Per arrivare a Seattle da Bologna sono necessarie numerose ore di volo, ma soprattutto disorientano le 9 ore di fuso orario rispetto all’Italia. Devo dire che mi fa piacere che anche colleghi molto più giovani di me hanno il ciclo circadiano completamente scombinato.

È la prima conferenza in presenza in epoca covid, per cui sono tutti sul chi vive e la mascherina è obbligatoria sempre tranne per gli oratori e se mangi nelle aree appositamente create… per bere invece la mascherina va tenuta.

La conferenza si tiene nel nuovo acquisto del centro congressi di Seattle: il “Summit”, terminato appena in tempo per l’occasione. Occasione colta dai negazionisti per protestare davanti all’ingresso della conferenza “basta coi crimini della medicina”. È in questi casi che la mia naturale propensione ad approvare chi protesta in pubblico viene sostituita da un intenso desiderio di possedere una mitraglietta Uzi e fare spazio. Poi li guardo e mi risulta evidente che la merda, che soffoca quel poco di cervello che è rimasto, è difficile da scansare quando i ragionamenti sono privi di una qualunque base scientifica. Li saluto e mentalmente auguro loro una diagnosi tardiva così da poter scegliere se morire o rivedere alcune posizioni ideologiche.

La novità di quest’anno è l’aggiunta di un pezzo nuovo al programma: Social and Behavioral Science, vedremo come in concreto verrà inserita nel programma. Ho anche notato la presenza di una “Community Liaison Subcommittee” molto attiva rispetto agli anni precedenti, almeno per la mia esperienza. Il ruolo della community liaison è quello di fornire feedback all’organizzazione sui contenuti del programma con particolare attenzione agli argomenti scientifici di interesse per la comunità colpita da HIV/AIDS. Questa è la definizione ufficiale. Che cavolo voglia dire non lo so davvero, mi fa tanto dottori dei poveri, tuttavia è un primo passo importante. Proverò a parlare con qualcuno della Liaison per capire meglio. Ad ogni modo soprattutto nel pre-conference sono stai molto attivi con riunioni online, comunicazioni via mail, informazioni, ecc.

I lavori presentati dai ricercatori sono, come sempre, importanti.

1.609 gli abstract inviati
1.005 quelli accettati, di cui 152 sugli MSM. Lo sottolineo perché in Italia è forte la sensazione che di MSM si sia già parlato abbastanza.

Questa mattina sono incominciati i corsi precongressuali. Il più interessante dei quali, a mio avviso, è il Workshop For New Investigators and Trainees, perché è stato pensato per spiegare gli aspetti fondamentali di HIV ma realizzato spiegando lo stato dell’arte della ricerca. Non per caso lo stato dell’arte è stato spiegato da alcuni fra i principali ricercatori statunitensi fra cui l’italiano Guido Silvestri, una delle tante belle teste che l’Italia non si è saputa tenere stretta.

Lo stato dell’arte è stato spiegato con ben sei relazioni, io ve ne racconterò solo alcune che ritengo diano comunque il quadro della situazione.

Sandro Mattioli
Plus aps