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HIV non si sconfigge solo con i farmaci, tantomeno lo si sconfiggerà con un vaccino così come non si sono sconfitte epatite A e B. Si potrà sconfiggere, forse, combattendolo congiuntamente sul piano scientifico e su quello sociale. Oggi il secondo ha spazi decisamente meno importanti e HIV non decresce come ci aspetterebbe stanti successi della ricerca.

È questa la sfida che Plus ha deciso di raccogliere attraverso la sua costituzione. Essa nasce con l’intento di far sì che le persone LGBT sieropositive abbiano la possibilità di essere tutelate sia come persone LGBT che come persone sieropositive, in un contesto in cui la formazione e l’informazione scientifica viene promossa e portata avanti in un clima paritario, da professionisti, operatori e volontari che condividono lo stesso background sociale ed esperienziale degli utenti.

Con una piccola citazione dal film di Pedro Almodóvar, parto con la relazione di oggi.

La plenaria di oggi ha celebrato i 30 anni della Pepfar.

The U.S. President’s Emergency Plan for AIDS Relief (PEPFAR), un impegno oggettivamente molto alto degli Stati Uniti che dal 2003 ha investito qualcosa come 100 miliardi di dollari in una singola malattia. Di questo ha parlato il direttore del programma Pepfar per l’Africa John Nkngasong di cui ho apprezzato la chiarezza espositiva con la quale ha mostrato i passi in avanti fatti grazie al programma.

Come vedete dall’immagine, la situazione in Africa prima del 2003 era davvero pessima, c’è da dire che lo si sapeva almeno dal 1990, con crollo dell’aspettativa di vita fino al 35% in Zimbabwe, non che gli altri Stati fossero messi molto meglio. L’impatto di HIV/AIDS ha sconvolto la vita di milioni di africani nel disinteresse generale, diciamolo. Nel dicembre 2002 i membri afroamericani del Congresso indirizzarono una richiesta d’aiuto al Presidente Bush che prese l’impegno di sostenere le richieste contenute e già a gennaio 2003 annunciò l’impegno dell’amministrazione per un piano straordinario di aiuti per “the people of Africa”. Al di la di questi aspetti un po’ lecchini, i fondi non solo sono arrivati ma, grazie a una serie di controlli, sono stati usati davvero per cercare di porre rimedio alla situazione in Africa, sia pur con colpevole ritardo.

Il relatore cita i dati di 30 anni di interventi, progetti, azioni in vari Stati del Continente resi possibili grazie ai fondi Pepfar:

E per fortuna verrebbe da dire perché l’Africa da sola raccoglie il 60% delle infezioni da HIV del pianeta e il 65% delle morti aids correlate. Tuttavia la cosa incredibile è nonostante questa situazione molti Stati africani hanno raggiunto gli obiettivi UNAids (i tre 90) e sono addirittura vicini a raggiungere i tre 95 previsti per il 2030. Parlo del 95% delle persone con HIV diagnosticate, il 95% delle persone diagnosticate in terapia, il 95% delle persone in terapia undetectable.
Quegli stessi obiettivi che il Sindaco di Bologna si è impegnato a ottenere prima del 2030 aderendo a Fast Track City. Speriamo di essere più bravi del Botwana che, secondo i dati presentati, è a un passo da raggiungere i tre 95.

20,1 di persone in trattamento
5,5 milioni di bambini nati senza HIV
70.000 strutture realizzate
340.000 operatori sanitari formati
3.000 laboratori in funzione.

Gli investimenti hanno infatti consentito vaste campagne di testing che hanno portato alla luce dati già noti – come i numeri incredibilmente alti di donne contagiate – ma anche dati non noti come il boom di casi fra giovani uomini cresciuto del 33%, è evidente che non facevano i test.

Inoltre, l’impegno di questi anni ha reso possibile il dispiegamento di personale formato anche contro covid (vaccinazioni, test, raccolta dati). Alla fine quella Pepfar si è dimostrata una piattaforma utile anche per contrastare altre infezioni emergenti.

Ovviamente ora, per citare il relatore, l’Africa vuole andare avanti e sono previsti investimenti nella direzione dei long acting come PrEP, in laboratorio e progetti di ricerca per la cura contro HIV. Progetti ambiziosi che fanno impallidire la coscienza dei politici italiani, se ne avessero una, in perenne ritardo su qualunque tema innovativo in questo campo.

Ho partecipato anche ad alcune sessioni interessanti su un tema di cui in Italia si vocifera da tempo ma non si prende nessuna decisione ufficiale: la doxiciclina come profilassi post esposizione per le IST batteriche, principalmente gonorrea, clamidia, sifilide. Infezioni molto comuni fra i nostri utenti in PrEP, test che potremmo effettuare anche al Checkpoint se non fosse per inedia dell’Azienda Sanitaria, ma anche considerando solo i dati del PrEP-Point sarebbe interessante ragionarci su questa forma di PEP.

Nella sezione Hiv And Sti Prevention: New Tools Approaches sono stati presentati numerosi studi sia pur non con grandi numeri, i cui risultati vanno tutti nella direzione di un consistente calo di incidenza di IST.

Lo studio più strutturato, anche se open label, è quello presentato da Molina, il papà della PrEP francese ricercatore principale dello studio Ipergay che ha portato la PrEP on demand nelle nostre case.
Gli studi sostanzialmente convergono sulla concentrazione efficiente e persistente della doxy nelle mucose, in particolare quelle rettali (il che spiega l’efficacia osservata negli MSM, dice la ricercatrice con un tono più vicino all’invidia che alla sorpresa) quindi per funzionare funziona ma ci sono ancora perplessità rispetto al dosaggio e, soprattutto sulla possibilità di creare ceppi resistenti.

Tornando a Molina e il suo studio “Doxyvac”, che è particolare perché i partecipanti – tutti MSM – sono stati inizialmente divisi in 4 gruppi: 1 gruppo con DoxyPEP e uno senza, un gruppo con il vaccino contro meningite B e uno senza, il tutto con numeri consistenti (fra i 170 e i 330 arruolati a seconda dei bracci di sperimentazione). I dati sono molto buoni in particolare su clamidia e sifilide che hanno visto un calo di incidenza fino all’80%, ma anche su gonorrea 55% direi che non ci possiamo lamentare. L’evidenza sostenuta da questi dati ha convinto l’organo di controllo dello studio a fermare l’arruolamento di nuovi partecipanti e a offrire a tutti doxypep e il vaccino.
Come “nota di colore” chiudo con un commento, fra le varie slide che sono state presentate, una che mi ha molto divertito riguarda la valutazione sulle variazioni dei comportamenti sessuali, il sexual behaviour, dei ragazzi gay del campione: nessuno. Come potete vedere dall’immagine, al netto che i ragazzi fossero in doxypep o no, fossero vaccinati o no, non si sono registrate variazioni, il che la dice lunga sulla necessità di questo genere di pep nel campione preso in esame.

Sexual behaviour

Le conclusioni di Molina sono chiare:

  • la pep con doxy è ben tollerata e vede un alto tasso di aderenza;
  • i dati mostrano un consistente calo nell’incidenza di IST negli MSM;
  • il vaccino 4CmenB ha ridotto l’incidenza di un primo episodio di NG fra gli MSM arruolati;
  • in corso la valutazione del pieno impatto sulla resistenza agli antibiotici (IST, microbioma).

Ovvio che la bacchetta magica non ce l’ha nessuno ma potrebbe essere sulla carta utile un approccio combinato.

Rispetto al tema delle resistenze gli studi non hanno sottolineato ma sembra evidente che serviranno studi mirati di più lunga durata per valutare se questo problema sulla carta consistente si può considerare superato o superabile e comunque credo che sia meglio attendere i dati sulle resistenze dello studio di Molina che mi è sembrato il meglio strutturato.

Sandro Mattioli
Plus aps