Devo dire la verità: ho fortemente voluto partecipare a questa conferenza CROI (Conference on Retroviruses and Opportunistic Infection) perché, oltre ovviamente ad essere una delle principali al mondo, è a Denver.
Denver (Colorado, USA) è il luogo dove nel 1983 un gruppo di attivisti delle primissime battaglie contro la discriminazione delle persone sieropositive, scrissero e pubblicarono una carta di principi che sono stati e sono ancora oggi basilari per qualunque attività di advocate su HIV e che sono il fulcro della mia azione di attivista HIV positivo.
Buona parte del lavoro che facciamo oggi nel CTS, nelle commissioni regionali AIDS (cambiare nome, no?), nelle associazioni di pazienti e di lotta contro HIV, con e per le persone che vivono con HIV si basa sulla carta di Denver, sul lavoro che ci hanno lasciato dei ragazzi prima di morire di HIV.
Pur nella loro condizione, queste persone hanno scritto dell’importanza dell’empowerment di chi vive con HIV (perché l’ignoranza e la non accettazione ci fanno morire prima), dell’importanza di essere trattati con dignità (in un periodo in cui le persone con HIV venivano abbandonate a loro stesse, anche dalle famiglie, per la vergogna); dell’importanza di essere inclusi sulle decisioni che ci riguardano (nothing on us without us) cosa che ancora oggi in Italia è pochissimo rispettata spesso per assurde posizioni burocratiche praticate da chi, sanità pubblica o multinazionali per esempio, tende ad anteporre le procedure agli interessi dei pazienti; l’importanza del linguaggio e la condanna di ogni tentativo di pietismo e di relegarci in una condizione di sottomissione, di vergogna, di passività. “People living with HIV/AIDS”, che ho usato anche qui sopra, è una definizione che risale ai principi.
Queste persone non si sono rassegnate e sono un esempio per tutti coloro che vivono con HIV.
Per me è un onore calpestare le stesse strade che li hanno visti in azione, quando in Italia il Ministro della Salute prendeva sottogamba l’epidemia e pretendeva di combatterla con l’etica e la morale cattolica, quando gli omosessuali, che ora chiamiamo MSM, vivevano ancora troppo nascosti e le statistiche si concentravano falsamente altrove, quando perfino il movimento decise che di questo tema se ne sarebbero occupati altri per paura della discriminazione o dell’eccesso di impegno per i quattro gatti che si davano da fare allora. Poi si chiedono perché mi inalbero quando gli MSM, pur essendo una popolazione chiave in UE, non vengono presi in considerazione a livello di strategie di prevenzione e ci dobbiamo sbattere con i Checkpoint per colmare le difficoltà del Sistema Sanitario. E ciò nonostante, ancora oggi c’è una minoranza della popolazione italiana che produce il 40% delle nuove diagnosi, ma non sembra che la cosa sia di grande interesse. Ecco… capite perché il principio di Denver sull’empowerment è così importante? Se non pensiamo noi a noi stessi, non lo farà nessuno incluso il cosiddetto movimento LGBTQ+, tanto attento a mille sfaccettature umane, ma distratto e distante dalla discriminazione multipla subita dalle persone MSM che vivono con HIV. Una discriminazione radicata e, spesso, interiorizzata, a tal punto da essere comunemente accettata, ma è proprio in questa condizione passivamente subita dalla community LGBT+ che HIV trova spazio di azione.
Sono stati fatti molti passi in avanti nella lotta contro l’epidemia da HIV. I ragazzi di Denver lottavano per le loro vite, noi oggi lottiamo per la qualità della vita che, in estrema sintesi, significa cercare di non morire per quelle patologie che HIV aiuta a svilupparsi, cancro e problemi cardiovascolari in primis. Detto questo, rispetto agli attivisti di Denver noi viviamo molto più a lungo, noi possiamo ragionare in termini di decenni non di mesi e sicuramente non è poco. Tuttavia, chi crede che la lotta contro HIV sia finita commette un errore clamoroso. Non è un caso che non abbiamo una cura eradicante e che i ricercatori ammettano, a denti stretti, che non abbiamo gli strumenti per trovarla. Il vaccino, a ben vedere, non gode di miglior salute stante che tutti gli studi tentati fino ad oggi sono clamorosamente falliti, incluso il Mosaica sul quale c’erano molte attese e speranze. Tuttavia molti pensano che HIV non sia un grosso problema. In Italia molti pensano che sia un problema del Continente africano o dei gay e mettono la testa sotto la sabbia.
In questi giorni, alla conferenza CROI potremo fare il punto della situazione su tutto ciò che riguarda questo virus che ci accompagna da troppo tempo e che nel mio Paese è ancora causa di stigma e discriminazione nei confronti delle persone omosessuali.
Sandro Mattioli
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