La protesta dei biologi

Dal qualche settimana stiamo assistendo alla presa di posizione dell’ordine dei biologi contro la possibilità di effettuare alcuni test di screening nelle farmacie. In pratica gli stessi test che fa il BLQ Checkpoint e tutti i centri community based italiani, così come tutti i Checkpoint in UE e da molti anni prima di noi.

In generale gli interventi che ho ascoltato sono spudoratamente corporativi e sostanzialmente ignoranti, ovviamente nel senso buono del termine. Nessuno nega che i test ufficiali effettuati nei laboratori di microbiologia siano i più attendibili sul mercato, ma il punto è che – per fare una battuta – non hanno mercato, ossia mediamente le persone fanno fatica ad andare in ospedale, farsi prevelare un campione che poi verrà inviato al laboratorio. Fanno fatica sia per gli orari assurdi degli ambulatori che costringono chi lavora a prendere fior di permessi che, in un mondo del lavoro precarizzato, raramente sono fattibili, sia perché in ospedale ci si entra quando si è malati non per fare prevenzione che, in effetti, dovrebbe essere fatta in altri luoghi. Quindi perché non la farmacia?

I vari tipi di test di screening hanno sicuramente dei limiti che vanno spiegati agli utenti. In genere le spiegazioni vengono comprese dalle persone e sono tali persone che devono essere messe nelle condizioni di scegliere se correre un rischio oppure no. Deve essere chiarito il periodo finestra, si deve tenere conto del periodo di incubazione del patogeno, temi che, del resto, riguardano anche i test di laboratorio… o si crede che in laboratorio un test per sifilide fatto a 2 giorni dal possibile contatto sia attendibile?

Si parla tanto di diffondere i test rapidi in modo da limitare le diagnosi tardive, ancora molto presenti in HIV per esempio, un campo dove l’Italia è fra le peggiori nazioni d’Europa.

Pur tenendo conto dei limiti dei test di screening che, del resto, sono test per i point of care non per gli ospedali, l’aiuto delle farmacie sarebbe perfetto.

Le farmacie sono disseminate lungo l’Italia in modo capillare in una logica di prossimità che potrebbe essere di grande aiuto e, soprattutto, sono tante: il nostro Paese vanta 100.000 farmacie. Se anche solo il 50% di esse accettasse questo nuovo ruolo, potremmo ottenere un incredibile incremento della possibilità di testing nel nostro Paese.

Invece no! Levata di scudi dei biologi tesa a mantenere in casa questo piccolo potere. Non che sia una novità, lo abbiamo visto anche su altri temi come quello della PrEP che potrebbe benissimo essere prescritta da un medico formato e invece chi vuole accedere a questa prevenzione deve ottenere una visita dallo specialista in infettivologia. Chissà come mai.

Con questa logica protezionista da bottega, chi ci andrà a guadagnare sono i batteri e i virus che proseguiranno per la loro strada, già li vedo applaudire e ringraziare per l’aiuto a mantenere lo status quo.

Sandro Mattioli
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