Il 1° dicembre, Giornata Mondiale per la Lotta contro HIV/AIDS, è in arrivo e tutti sembrano essere in fibrillazione, salvo dimenticarsi di HIV già dal 2 dicembre.
Lo slogan definito dalla IAS quest’anno è Unite to reach all. Uniti per raggiungere tutti.
In questa Giornata mondiale contro l’AIDS, uniamo le nostre forze per costruire una risposta all’HIV veramente equa che raggiunga tutti.
UNAIDS è sulla stessa linea con lo slogan del report 2024 “Take the rights path” che credo tutti tradurremo con prendi la via dei diritti. In effetti, nonostante gli indubbi progressi scientifici, la situazione non è rosea. Secondo i dati pubblicati da UNAIDS, nel 2023 circa 5,4 milioni dei 39,9 milioni di persone che vivono con l’HIV in tutto il mondo, ovvero una su sette, non erano a conoscenza del loro stato. Allo stesso tempo, 9,3 milioni, ovvero quasi una su quattro, non ricevevano un trattamento salvavita. Con 7,5 milioni di persone che hanno iniziato la profilassi pre-esposizione (PrEP) fino ad oggi, non raggiungeremo l’obiettivo globale di 10 milioni di iniziazioni alla PrEP entro il 2025.
Chi ha la fortuna di nascere o vivere in Italia sicuramente non ha questo problema, in compenso ne ha altri. Ogni anno in questi giorni parte la litania dei dati relativi all’anno precedente. Secondo il bollettino annuale del Centro Operativo AIDS (COA) dell’Istituto Superiore di Sanità, nel 2023 in Italia si sono registrate 2.349 nuove diagnosi di infezione da HIV pari a un’incidenza di 4,0 nuove diagnosi ogni 100.000 residenti. Un dato che ci pone al di sotto della media (6,2%) dei Paesi dell’Europa Occidentale quanto a incidenza. L’Europa dell’Est è tutto un altro film.
Come sempre, non abbiamo ancora idea di quanti test vengono erogati nel nostro Paese. Tuttavia osservando semplicemente l’andamento numerico delle nuove diagnosi, se il dato è in calo dal 2012 in quasi, si registra una ripresa dei contagi nell’ultimo triennio.
Quest’anno il COA azzarda anche un dato di prevalenza: partendo da un calcolo approssimativo delle persone che vivono con HIV nel Paese, stima nello 0,2% il dato di prevalenza di HIV in Italia. Come sempre, non noto nessuna stima della prevalenza nelle popolazioni chiave per le quali dobbiamo rivolgerci allo studio Emis che, almeno per quanto riguarda gli MSM, valuta una prevalenza fra 9 e il 12%.
I più colpiti sono i maschi in particolare nella fascia d’età 30-39 anni, in questa fascia l’incidenza è 3 volte superiore alle femmine (9,9%). L’86% delle segnalazioni di contagio da HIV è attribuito a rapporti sessuali e, cito, “In particolare, i maschi che fanno sesso con maschi (MSM) costituiscono il 38,6%, gli eterosessuali maschi il 26,6% e le eterosessuali femmine il 21,1%.
Vi do per certo che qualcuno sosterrà, di nuovo, la tesi che gli MSM sono più sensibili al tema dell’HIV, più informati e, di conseguenza, fanno più spesso il test e per questo motivo se ne trova di più. Non perché gli MSM sono una popolazione chiave, non perché in tutta Europa la situazione è la stessa (a parte l’Europa orientale dove gli MSM, come è noto, non esistono). Rispondo a questa idiozia, purtroppo sostenuta anche da associazioni di lotta contro l’Aids, che saremo pure più sensibili, ma il numero dei contagiati è reale, così come è reale il fatto che quella degli omosessuali è una minoranza della popolazione del Paese che cuba, a seconda degli anni, fra il 35 e il 40% delle nuove diagnosi nell’indifferenza generale. O forse qualcuno ha mai visto una campagna pubblica mirata o perfino efficace?
Nel 2023 le incidenze più alte (≥5 casi per 100.000 residenti) sono state registrate in Lazio, Emilia-Romagna e Umbria. La nostra regione risale, quindi, nella classifica alla conquista della maglia nera. I dati regionali non sono pessimi ma seguono l’andamento nazionale.
Le nuove diagnosi in Emilia-Romagna sono 220 ossia il 4,9% di incidenza. Siamo sostanzialmente tornati ai valori del 2019.
Tra i maschi l’incidenza sale al 7,3%. Il 37% delle nuove diagnosi sono appannaggio degli MSM un po’ meglio rispetto al biennio precedente, segno che qualcosa stiamo facendo e siamo sulla via giusta. Ma resta ancora molto lavoro da fare perché il 56% delle persone neo diagnosticate ha meno di 350 CD4, in altre parole diagnosi tardive.
Si registra anche una crescita di nuove diagnosi fra la popolazione migrante 33%, sensibilmente più giovani rispetto agli italiani e soprattutto donne, molte delle quali scoprono di avere HIV in gravidanza. I dati di AIDS per fortuna vanno sempre più in calando, anche grazie a farmaci sempre più potenti che molto spesso riescono a far rientrare situazioni anche gravi.
Alcune osservazioni:
posto che nessuno ha la soluzione in tasca, ci sono alcune cose che mi lasciano molto perplesso.
• Da anni i maggiori ricercatori nel campo ci dicono che abbiamo gli strumenti per ridurre HIV ai minimi termini, il problema sono gli investimenti, i fondi per la ricerca e l’applicazione globale dei risultati. Fondi che sembrano essere sempre disponibili quando si tratta di ammazzare Palestinesi, Ucraini, ecc.
• La popolazione generale va correttamente informata sul tema. Insistere nel dire che HIV non è più un gran problema, che può essere tenuto sotto controllo, che si prende una pillola al giorno, che si vive tanto quanti chi non ha HIV, è un errore. Sono i dati che ce lo stanno dicendo, soprattutto quelli delle diagnosi tardive.
Grazie a questo modus operandi gli italiani sanno sempre meno di HIV, sono sempre meno interessati al test e arrivano alla diagnosi diversi anni dopo il contagio.
• Parallelamente alla popolazione generale, devono essere portate avanti campagne specifiche per le popolazioni chiave ossia quelle che registrano i più alti dati di incidenza, in Italia sono gli MSM e i migranti, non chiunque ricada nella categoria della fragilità sociale. Queste ultime richiedono attenzioni particolari in termini di welfare e di salute, ma non necessariamente, per fortuna, su HIV.
Naturalmente saranno parole scritte per l’aria che tira perché in Italia se va da tutt’altra parte, a seconda di come tira il vento, ben raramente con azioni mirate, specifiche e con una base scientifica.
• Da ultimo, non finirò mai di insistere sul tema del disinteresse pressoché totale della politica. Basti pensare che c’è il progetto di legge che dovrebbe andare a sostituire la norma vigente del 1990, è ferma in Parlamento da 2 legislature. In questi giorni si sente accennare alla possibilità che il PdL venga discusso da un ramo del Parlamento… poi l’altro vedremo. Certo, vedremo quanti altri si contagiano nel mentre che menano il can per l’aia.
Qualcuno mi dice che i Checkpoint potrebbero essere l’arma vincente per combattere HIV perché sono in grado di raggiungere proprio quelle popolazioni chiave che cubano alte percentuali di infezioni.
Ovviamente sono d’accordo, ma non possiamo andare avanti con il solo volontariato o con investimenti ridicoli. Servono fondi seri e continuativi, serve un progetto regionale di sviluppo di quest’arma contro HIV. Serve una legge regionale che definisca cos’è un Checkpoint, ne definisca il perimetro di azione con regole adatte alle sue caratteristiche.
Al contrario anche una Regione evoluta come l’Emilia-Romagna fino ad oggi ha creato problemi, ha investito il minimo per non far annegare l’esperienza del Checkpoint, ha costretto questa esperienza nuova dentro a regole nate per tutt’altro.
Così è difficile proseguire. Speriamo che la nuova Giunta si renda conto della situazione e sappia agire di conseguenza.
Sandro Mattioli
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