L’epidemia autoreferenziale gay.

Non sono sicuro di condividere l’impostazione del post di Accolla che critica aspramente l’articolo di Rossi Marcelli “L’epidemia della solitudine gay” recentemente apparso su Internazionale.
La risposta a chi analizza un problema cercandone le radici profonde, non può sempre essere gli etero non sono messi meglio o, se preferite, è un errore legare l’orientamento sessuale ad un problema anche se, guarda un po’, riguarda più spesso i gay che altri gruppi sociali.
Accusare tutti di omofobia, più o meno esplicitamente, è indubbiamente la soluzione più comoda e semplice non solo per evitare un confronto serio, che sarebbe il problema minore, ma, quel che è peggio, è la via più breve per insabbiare il tema e la testa.
Se si crede che l’omofobia interiorizzata, come ipotizza Internazionale, non sia alla base della solitudine che spinge alcune persone omosessuali a prendere strade pericolose, ad assumere comportamenti a rischio di contagio, ecc. allora si provi ad esporre una teoria alternativa, non a negare, non ad accusare di omofobia chi, per una volta, tenta un’analisi non scandalistica sulla falsa riga del ciarpame delle iene. Personalmente trovo l’articolo di Rossi Marcelli ben scritto e del tutto plausibile, parte da una valutazione di dati che sembrano essere ignoti solo alla comunità italiana, stante che l’alto tasso di suicidi o l’alta frequenza di diagnosi di HIV nella popolazione gay, è un dato scontato per pressoché tutte le associazioni per i diritti LGBT o di lotta contro HIV europee.
ILGA Europe ci passa intere sessioni delle sue conferenze annuali sul tema dei suicidi, fatico a credere che sia un consesso omofobo.
Quella della discriminazione e, quindi dell’omofobia interiorizzata, in effetti, è una teoria tutt’altro che nuova anche per quanto attiene alla diffusione di HIV: la conferenza mondale aids di Vienna 2010, si concentrò proprio sul tema della discriminazione e di come essa contribuisca a diffondere il virus dell’immunodeficienza umana. A nessun attivista sieropositivo gay venne in mente di polemizzare e far credere che la IAS fosse omofoba, né che fosse errato associare l’orientamento sessuale all’epidemia di HIV. Semplicemente prendemmo atto dei dati epidemiologici, banalmente perché ci ponevano, e pongono ancora oggi, in cima alla classifica delle nuove diagnosi in mezza Europa. Poiché nessuno crede che HIV gradisca di più i linfociti se di provenienza gay, è evidente che il problema risiede altrove. Guarda caso, laddove le leggi o le religioni discriminano le persone omosessuali, voila il virus si diffonde primariamente proprio in quel gruppo. E’ facile ipotizzare che la non accettazione porti le persone a non darsi valore.
L’epidemiologia italiana, cfr dati del Centro Operativo Aids (COA), segnala da anni (almeno dal 2010 guarda caso), che i maschi che fanno sesso con maschi sono in cima alla classifica delle nuove diagnosi, nel silenzio colpevole della comunità LGBT che, tranne rari casi, si ricorda di HIV solo in occasione del 1 dicembre e spesso solo in una logica generalista e moraleggiante.
Almeno l’articolo di Rossi Marcelli ha il pregio di tentare di avviare una riflessione, chissà forse addirittura nella speranza di indurre un confronto dialettico. Una modalità che non faremmo male a praticare al nostro interno se vogliamo avere idea di come mutare abitudini o ridurre rischi che si stanno diffondendo, se vogliamo per una volta tentare di andare oltre la retta via dell’offerta del condom in occasione del 1 dicembre o poco altro, se vogliamo davvero ascoltare quella parte di comunità che solitamente fingiamo di non vedere… ops anche la comunità LGBT discrimina?
Ancora oggi in Italia, una parte importante della comunità manda segnali preoccupanti. La risposta della parte pensante del movimento non può essere sempre e solo incentrata sul lessico. Un malessere, come la citata solitudine, può essere omosessuale quando i dati ci danno alti indici di suicidi o problemi psicologici nella nostra community. Internazionale ha tentato un’analisi e ha puntato il dito sulla discriminazione che respiriamo fin da piccoli. Si, è ancora così, anche se prima si stava forse peggio. Allora, di nuovo forse, concentrare l’analisi lucida e responsabile su cosa possiamo aver sbagliato nel percorso verso l’accettazione sociale a partire dall’omologazione, o dalla la scelta di delegare ad associazioni generaliste la lotta contro HIV, potrebbe essere utile anche ad attivare strategie tese ad invertire la tendenza esplicitata da Rossi Marcelli, al quale va il mio personale plauso per l’approccio davvero internazionale e per il coraggio di mettere il dito nella piaga.

Sandro Mattioli
Plus Onlus
Presidente