HIV Glasgow – Long Acting

Anche alla conferenza di Glasgow è stato affrontato il tema dei farmaci iniettivi o non iniettivi a lunga durata. Sono stati presentati alcuni aggiornamenti per il trattamento in persone con viremia soppressa. In effetti ormai diversi studi a livello globale hanno dimostrato che per alcune persone assumere la terapia ogni giorno è un problema. Lo studio “Positive perspective 2” è stato uno dei più grandi studi a livello mondiale su HIV, che ha coinvolto oltre 2.300 persone con HIV maggiorenni, da 25 Paesi. Dallo studio è emerso che il 58% del campione maschera o nasconde l’assunzione della terapia per evitare di rivelare lo stato sierologico; il 58% ritiene che prendere le pillole ogni giorno sia un promemoria del proprio stato sierologico, il 33% si sente stressato o ansioso perché si deve ricordare di prendere le pillole.

Lo so, per qualcuna delle persone veterane della lotta contro HIV potrebbero sembrare sciocchezze, ma non lo sono. Anche chi vi scrive ha provato i long acting iniettivi proprio sulla scorta del pensiero che prendere la pillola tutti i giorni mi ricorda l’HIV. Non sarà una cosa vitale, ma se ci fosse la possibilità di ovviare al problema, perché no?
Poi sono tornato alla terapia orale a causa di un effetto collaterale per me fastidioso, anche se non importante.

Anche io, come la relatrice, penso che cabotegravir+rilpivirina possa aiutare, e lo pensano anche le principali linee guida internazionali che fra il 2020 (IAS) e il 2022 (DHHS) hanno definito i passaggi a questo regime che, come sicuramente ormai saprete, prevede 2 iniezioni ogni 2 mesi ossia 12 iniezioni intramuscolo all’anno (e non 6 come ha scritto la relatrice). Zeri i dubbi sull’efficacia del trattamento, tutti gli studi (Atlas, Carisel, Solar, Cares) hanno avuto risultati simili con efficacia tendenzialmente sopra il 90% con punte del 96% (Cares) e fallimenti virologi molto bassi, tendenzialmente sotto l’1%. Lo studio Cares ha attirato la mia attenzione perché ha arruolato per il 58% donne, si è tenuto in Uganda e Sud Africa, quindi in una situazione di endemia. Ovviamente il 99% erano donne nere, con una media di 8 anni di terapia e tutto con viremia <50. Come d’uso lo studio prevedeva un braccio con ART orale (257) e uno con long acting (255).

Nel braccio con LA solo 2 persone su 255 (0,8%) hanno avuto un fallimento virologico per cui un’alta efficacia e, dai PROs somministrati è emersa una elevata soddisfazione delle pazienti.

È stato presentato anche un piccolo ma interessante studio che ha arruolato 140 adolescenti fra i 12 e i 18 anni, con un peso di almeno 35 Kg, non c’è stato nessun fallimento virologico, la concentrazione del farmaco è risultata simile a quella degli adulti e tutti i 140 arruolati hanno espresso netta preferenza per gli iniettivi LA, rispetto all’assunzione quotidiana.

Inoltre, è stata presentata un’analisi multivariata che ha individuato dei fattori di rischio al basale in grado di predire un fallimento virologico come, per esempio, un alto BMI (indice di massa corporea).
Viene perfino presentato uno studio inglese sulla distribuzione dei LA iniettivi in clinica e presso i centri di comunità (LANA).
Lo stesso tipo di studio che abbiamo cercato di effettuare anche noi di Plus ma che ViiV Italia, con vari espedienti, ha messo nelle condizioni di chiudere prima ancora che partisse, dimostrando poca lungimiranza sugli problemi logistico-organizzativi che gli ospedali affrontano come possono e che i centri community-based sicuramente avrebbero risolto diversamente con felicità dei pazienti e di chi avrebbe potuto incrementare il business, mentre ora piange miseria verosimilmente per aver sovrastimato le potenziali vendite del farmaco LA. I dati raccolti indicano chela distribuzione in un setting di comunità è fattibile, accettabile e appropriata per il 44-47% dei partecipanti. In altre parole avremmo potuto dare una mano ad alleggerire il super lavoro dei centri clinici.

Quindi? Tutto ok? Ovviamente no, occorre proseguire su questa strada perché c’è spazio di miglioramento, per esempio:
• Una agevole autosomministrazione a casa
• Ridurre il numero di iniezioni
• Maggiori indicazioni sui pazienti con viremia (barriera genetica più alta).

In effetti quanto sopra è stato studiato su pazienti undetectable. Che succede a chi ha la viremia >50? Ne ha parlato la relatrice Monica Gandhi della UCSF che ha iniziato analizzando quali sono le sfide relative all’aderenza terapeutica (si perché nelle conferenze sono ancora tutti convinti che i long acting vengono dati a chi è poco aderente, non come da noi che vengono dati solo a chi è super aderente, nel senso che arriva puntuale alla visita) e perché alcuni pazienti vanno incontro al fallimento virologico. Ovviamente le terapie funzionano se assunte e pure correttamente, tutte, anche la ART.
Dunque quali sono i fattori che espongono al rischio di fallimento virologico?
• Dimenticare di prendere le pillole
• Essere lontano da casa
• Cambiamenti nella routine quotidiana
• Depressione
• Abuso di alcol/sostanze
• Stigma
• Sentirsi male
• Lontananza dalla clinica
• Scorte esaurite
Ma possiamo aggiungere barriere strutturali come la non fissa dimora o instabilità abitativa, la povertà, l’accesso ai trasporti. Sta di fatto che ogni 100 persone diagnosticate nel 2022 negli USA, solo il 65% è ancora undetectable.

A livello mondiale, il 79% degli adulti resta soppresso a 1 anno, dato che scende al 65% a tre anni. Nei bambini/adolescenti in ART, il 36% di soppressi dopo 1 anno, 24% a 3 anni (HAN, Lancet HIV 2021).
A questo si aggiungono i dati di UNAIDS del 2024 che non sono buoni e portano a chiedersi se gli obiettivi per il 2030 siano realistici:
• 39,9 milioni di persone con HIV, la Russia non comprare nel dato per cui verosimilmente sono oltre 40 milioni
• 1,3 milioni di nuove diagnosi lo scorso anno, lo stesso numero del 2022
• 630.000 morti lo scorso anno, stesso dato del 2022
• 43,3 milioni i morti dall’inizio dell’epidemia e 88,4 milioni di infezioni
• Solo il 77% è in ART, il 72% undetectable
Stigma, incremento del sentimento anti-LGBTQ, perdita dell’8% nei finanziamenti dal 2020-23 giocano un ruolo.


In questo quadro i Long Acting potrebbero dare una mano con l’aderenza e sarebbero una sfida anche in altri campi come il trattamento delle patologie psichiatriche (il trattamento antipsicotico nei pazienti con schizofrenia), nella contraccezione (contraccezione long acting… altra cosa che in Italia la vedrei facile) o il naltrexone long acting per la dipendenza dall’alcol.
Chissà, magari fare rete per un obiettivo comune è chiedere molto mi rendo conto.
Tornando ai long acting per HIV, ormai ci sono dati consolidati sulla efficacia, tutti gli studi confermano valori molto bassi di fallimento virologico ma pressoché tutti rimandano che quei pochi sviluppano resistenze. Per fare un esempio, lo studio ATLAS riporta che su 522 pazienti, alla settimana 152 “solo” 12, il 2,3% ha fallito la terapia, ma di questi 11 hanno sviluppato resistenze al farmaco.
Invece il famoso lenacapavir di Gilead è stato valutato nello studio CAPELLA per quanto riguarda efficacia e sicurezza. Si tratta sempre di LA iniettivo sottocutaneo in paziente viremici, multi trattati, con numerose resistenze… come dire, nella disperazione proviamo anche quello nuovo. I dati non sono definitivi (settimana 104) ma sembra che il farmaco se la stia cavando bene anche in presenza di mutazioni.

Si è parlato dello studio ARTISTRY-1 che mette insieme bictegravir e lenacapavir in pillole su persone con viremia >50 che sembra stia funzionando, anche se è ancora presto per dirlo con certezza, ma che da un senso all’ipotesi di una combinazione di lenacapavir e cabotegravir… figuriamoci! Sono farmaci di 2 imprese strenuamente concorrenti, riusciranno mai a trovare un equilibrio per il bene dei pazienti?

Tuttavia la cosa intriga, la dott.ssa Gandhi di cui sopra, ma messo insieme questa “case series” di pazienti che usano una combinazione di lenacapavir e cabotegravir long acting e, naturalmente, ne ha fatto una pubblicazione con l’idea di stimolare la nascita di uno studio con particolare riguardo a chi ha una resistenza agli NNRTI. Speriamo bene anzi a dire il vero qualcosa si sta muovendo perché la Gandhi ha annunciato che lo studio ACTG A5431 sui due long acting sia stato finalmente approvato. Ovviamente è solo un piccolo studio su 38 persone che devono essere

• viremiche
• resistenti agli NNRTI
• con problemi di aderenza con la ART orale.

La speranza è che lo studio ACTG apra le porte a un grande trial.
Chiudo citando che anche le pillole stanno reagendo allo strapotere dei LA iniettivi. Sta arrivano la pillola da una volta a settimana con islatravir e lenacapavir per ora in pazienti undetectable, siamo ancora alla fase di studio sull’efficacia e la sicurezza ma sembra che si stia comportando bene.

Sandro Mattioli
Plus aps