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La conferenza ICAR si è svolta a Roma dal 19 al 21 giugno nella splendida cornice dell’Università Cattolica, circondati dai simboli di quel potere italico che ci discrimina da secoli e che ha la responsabilità di migliaia di infezioni da HIV grazie alle follie di numerosi illustri esponenti della gerarchia e di ben due papi con le loro dichiarazioni sui preservativi, per anni l’unico strumento di protezione contro il contagio, ma a più riprese declassato a cosa sostanzialmente inutile, per tacere della colpevolizzazione delle persone con HIV ree di non aver rispettato la morale cattolica.
Spiace che nessuno ci abbia fatto caso, incluse le associazioni di lotta contro HIV che pur dovrebbero sapere cosa ha significato l’influenza della gerarchia cattolica sul mondo della politica e le enormi difficoltà che questo Paese si trova ancora oggi ad affrontare su questa infezione a trasmissione sessuale.

Tuttavia, a ben vedere qualcosa si è mosso. Durante la serata inaugurale, durante i saluti delle autorità, un folto gruppo di attivistə è salito sul palco e ha esposto un banner con la scritta “PrEP Universale – basta barriere”. Nata da un’idea di Plus, l’iniziativa ha visto la collaborazione e la partecipazione di pressoché tutte le associazioni. L’esposizione del banner è stata accolta da un forte applauso ed è stata supportata anche dall’ospite principale della serata: la dott.ssa Sheena McCormack, la ricercatrice che, con il suo studio PROUD, nel 2015 ha portato in Europa la PrEP. Quando le ho parlato della situazione italiana sulla PrEP, dell’incredibile ritardo della sua implementazione in Italia (che per la cronaca ha significato migliaia di diagnosi di HIV!) dettato verosimilmente da disinteresse, ignoranza, calcolo economico da bottegai, la ricercatrice si è detta stupita e ci ha assicurato il suo totale sostegno. Mi ha confermato quello che penso da tempo, ossia che all’estero molti ricercatori hanno una visione idealizzata del nostro Paese, non sanno quanto siamo arretrati sul piano sociale ancorché molto ben piazzati su quello scientifico.

Quindi la protesta è andata bene ed è stata supportata anche dalla bellissima seconda lecture tenuta da Daniele Calzavara di Milano Checkpoint. La sua lettura magistrale, dedicata al nostro Giulio Maria Corbelli, è stata di alto profilo. Daniele ha dato una lettura della situazione orientata alle mutazioni sociali imposte dall’epidemia di HIV, ma ha descritto anche il ritorno di una società nuova, forse plasmata da HIV, ma che sicuramente è in cerca di un riscatto. Una nuova società fatta di identità di genere nuove, di fluidità sessuale. Una società alla ricerca di strumenti altri e che cerca di crescere, sperimentare, anche grazie ai molti strumenti che oggi la prevenzione offre.

Da parte mia, avrei dovuto ricordare Giulio Maria Corbelli e introdurre Daniele in 1 minuto secondo la scaletta… in effetti temo che mi sia fatto prendere la mano e ho finito per fare un intervento di almeno 6/7 minuti. Si certo ho ricordato Giulio, quando durante ICAR 2018 sempre a Roma, come chair della plenaria introdusse la protesta delle associazioni che interruppero la conferenza chiedendo la PrEP per tutti (non solo per chi ha i soldi per potersela pagare!). Giulio iniziò il suo intervento ricordando come la PrEP fosse giunta in Italia con colpevole ritardo, fatto di rinvii, di pregiudizi e stigma che, del resto, ancora oggi subiamo anche dall’interno della nostra comunità MSM che, sia pur un po’ meno rispetto ai primi anni, ancora oggi addita, giudica le persone che scelgono di proteggersi con la profilassi pre-esposizione. Ricordare il Giulio attivista per la PrEP ovviamente mi ha consentito di parlare della situazione attuale sulla PrEP riprendendo le parole del nostro striscione.

Gli ostacoli che oggi deve superare una persona che in PrEP sembrerebbero più orientati a contenere i costi della prevenzione che non alla salute degli utenti. Nessuno dei vari passacarte delle Regioni che hanno optato per ostacolare la prevenzione, ha verosimilmente pensato al costo che affronteranno per ogni diagnosi di HIV. Ma si sa: la politica preferisce spendere per i farmaci e ottenere un risultato immediato, più che spendere (meno) per la prevenzione e ottenere dei risultati in tempi medio-lunghi che andranno ad avvantaggiare altri.

Passi in avanti ne sono stati fatti, sia pur con colpevole ritardo. Oggi la PrEP in Italia è autorizzata e in carico al servizio sanitario nazionale. Tuttavia per ottenerla ogni persona deve andare in un ospedale, farsi visitare da un medico infettivologo (l’unico che può prescriverla sulla scheda prescrittiva di AIFA, giustamente solo cartacea e esclusa da qualsiasi sistema elettronico. Così sarà sicuramente più facile monitorare i costi!); ottenuta la prescrizione, che ha validità di 3 mesi, ogni utente andrà nella farmacia ospedaliera dell’ospedale dove lavora quel medico (non in altri!) e potrà avere fino a 3 flaconi del farmaco preventivo. Inoltre ogni utente dovrà sottoporti ad esami di controllo per diverse IST, funzionalità renale, ecc. Ricapitolando: 4 volte all’anno in visita, 4 volte dal farmacista ospedaliero, 4 volte in ambulatorio MTS/malattie infettive (spesso in entrambi perché molti ambulatori malattie infettive si rifiutano di effettuare i tamponi per clamidia e gonorrea). Un tour de france che non solo è impegnativo per l’utente per esempio in termini di permessi sul lavoro (a cui nessun passacarte delle Regioni sembra aver pensato), ma è impegnativo anche per il personale sanitario che, già saturo per la gestione delle persone con HIV e altre infezioni virali, ora si trova a dover gestire il follow up anche di persone sane che vorrebbero restare tali.

Mi chiedo quanto tempo passerà prima che qualcuno si renda conto che tutto questo giro porterà, verosimilmente, ad un incremento della cosiddetta PrEP sauvage, ossia senza controllo medico, che già sta prendendo piede secondo i nostri dati.

La conferenza è proseguita senza particolari problemi, almeno che io sappia, se escludiamo una furente riunione della CsC dove fra veti e poca onestà intellettuale, non siamo riusciti a nominare il Presidente del prossimo Icar che si terrà a Padova nel maggio del prossimo anno. Stendiamo un velo pietoso.

Restano i problemi economici che, per esempio, hanno portato a chiedere che gli attivisti romani non partecipassero alla cena della community che ogni anno viene organizzata dal provider Effetti. Ogni anno. In effetti non posso fare a meno di chiedermi perché, stante che i fondi sono sempre meno, ICAR continua ad essere organizzata come 10 anni fa: 1 volta all’anno, quando altre conferenze anche internazionali non hanno questa cadenza, sempre in location differenti, sempre con lo stesso provider sicuramente in gamba, ma non si vede perché non valutarne altri in periodi di “vacche magre“. Del resto dicono che i fondi sono sempre meno, ma noi non abbiamo mai visto un bilancio di Icar né abbiamo mai ricevuto risposte quando richiesto. Quindi, dopo tutto, ha senso continuare così.

Gli attivisti di Plus sono stati, lasciatemelo dire, fantastici. Sempre presenti alle sessioni a dimostrazione di serietà, ma anche con una gran voglia di fare baldoria insieme. Ammetto che quei ritmi mi avrebbero ucciso in mezza giornata. Sono stati anche bravi a sopportare il caldo nella zona “villaggio della community” ossia dove allestiamo i nostri banchetti, quest’anno piazzati in un ballatoio alto dove non passava nessuno, speriamo che a Padova gli spazi scelti per la community siano più adeguati. Se finalmente riusciremo ad avere un Presidente lato community, mi auguro che vorrà prestare attenzione anche a questi aspetti per noi importanti.

Sandro Mattioli
Plus aps
Presidente

Sul nostro gruppo Facebook abbiamo ricevuto questa domanda che riportiamo con il consenso dell’interessata:

Buonasera,
sono una donna e non per mia volontà mi ritrovo single dopo una relazione lunghissima e monogama.

Ho voglia di divertirmi e ho trovato un ragazzo che mi piace restio a usare protezioni.

Dopo averlo fatto senza condom e non avendo dormito per 40 giorni, ho fatto il test per HIV. Fortunatamente negativo.

Ho avuto culo, ma non mi voglio più affidare alla fortuna.

Non voglio rinunciare a sto scappato di casa e dopo mesi a piangermi addosso ora mi voglio divertire.

Ho letto per caso di questa terapia preventiva. Qualcuno mi può indicare cosa potrebbe fare al caso mio e l’iter per accedervi?.
Sono tra Bergamo e Milano
.

Questo post rappresenta bene quello che per noi è la PrEP: uno strumento di autodeterminazione per tutte le persone, un diritto per decidere quando, come e con chi fare sesso!

Approfondisce la PrEP:


Non riusciamo ancora a liberarci dei pregiudizi verso la vita sessuale delle persone. Un aiuto potrebbe arrivare dalle testimonianze di chi usa la PrEP: il punto di vista del vissuto emotivo potrebbe avvicinare alla PrEP senza stigmatizzare chi ne fa uso. Se anche tu vuoi condividere la tua storia con la PrEP, scrivi un testo (300/500 parole) e inviacelo via mail.

Puoi raccontarci perché hai scelto la PrEP e cos’è cambiato nella tua vita sessuale, ma anche, più semplicemente, come hai scoperto questo metodo preventivo, quale centro te l’ha prescritto e come ti sei trovato/a. 

Preferiremmo che le testimonianze non fossero anonime: la trasparenza è importante per creare un’onesta discussione pubblica sulla PrEP e sulla salute sessuale. Capiamo però che per alcune persone non è facile esporsi: in questo caso nella tua testimonianza potresti motivare perché hai scelto l’anonimato; così da sottolineare quanto sia ancora presente lo stigma verso le scelte sessuali delle persone.

Mi chiamo Lorenzo e il mio percorso PrEP non è stato lineare né scevro da dubbi. Ma partiamo dalle basi.

Le persone transgender possono avere qualsiasi tipo di orientamento sessuale, abitudini e pratiche sessuali, così come le persone cisgender. Sembra quasi banale specificarlo, ma questa ovvietà non è sempre chiara per le persone, nemmeno per lə medichə a cui ci rivolgiamo.

In quanto persona trans con un utero, per poter vivere serenamente la mia vita sessuale, accanto al tema della prevenzione delle IST e dell’HIV, per me è fondamentale affiancare il tema della contraccezione.

Il testosterone che assumo, infatti, non è un contraccettivo. Sebbene nella maggior parte dei casi porti alla cessazione dei sanguinamenti, questo non significa che l’ovulazione non avvenga comunque. Ne ho avuto conferma durante una visita di routine con il ginecologo, in cui mi ha riferito che stavo ovulando proprio mentre eseguiva l’ecografia.

Nei giorni precedenti alla visita avevo avuto dei rapporti ricettivi vaginali non protetti e ho iniziato a chiedermi se non fosse il caso di iniziare a prendermi cura seriamente della mia salute sessuale.

Poco tempo dopo, a novembre, è diventata disponibile la PrEP gratuita anche in Sicilia dove vivo. A quel punto ho deciso di iniziare entrambi i trattamenti di profilassi per l’HIV e di contraccezione.

Come contraccettivo ho scelto di assumere una terapia in compresse, con il solo progestinico, perché la più usata (dalle donne cis) combo con gli estrogeni andrebbe a interferire con la mia terapia con testosterone.

La scelta di intraprendere questi percorsi è stata fatta totalmente in autonomia. Nessun professionista sanitario con cui sono entrato in contatto mi aveva mai parlato di possibilità di assumere la PREP o utilizzare un contraccettivo ormonale. Ho avuto il privilegio di accedere ad informazioni corrette e aggiornate quanto più possibile grazie alle reti associazionistiche di cui faccio parte e per interesse personale verso i temi della salute sessuale, spesso trovandomi a comunicarle io stesso allə medichə.


Mi sono ritrovato a parlare di PrEP con il mio endocrinologo, di possibilità contraccettive nelle persone trans al mio ginecologo e con l’infettivologo dell’impossibilità della PrEP on demand (basata sull’evento) per le persone con vagina al mio infettivologo. Come persone con la vagina infatti dobbiamo assumere la PrEP tutti i giorni affinché sia efficace.


Ho avuto la fortuna di non trovare mai una resistenza da parte del personale medico a cui mi rivolgevo, tuttavia, rimane la sensazione che i temi della salute trans, soprattutto la salute sessuale e riproduttiva, rimangono misconosciuti alla maggior parte del personale sanitario.

Scegliere di assumere due terapie, oltre a quella con il testosterone, non è stato semplice. E non lo è l’idea di assumere due compresse ogni giorno.


Sapere che il mio corpo e i corpi come il mio sono delle peculiarità a cui nessunə aveva pensato nello studio di questi farmaci, nella stesura dei protocolli, non ha aiutato nell’incentivarne l’utilizzo. La sensazione di essere dei corpi imprevisti mi ha portato a dubitare della reale sicurezza dei farmaci che utilizzo.

La tranquillità che dà la PrEP non è data soltanto dal farmaco, i cui effetti chiaramente non sono visibili nella quotidianità, ma anche dalla comunicazione che ne viene fatta.

Una comunicazione che raramente include le persone trans, soprattutto gli uomini trans e tutte le persone trans con un utero.

Allora diciamolo sempre che la PrEP funziona anche se hai un corpo trans.

Diciamolo che esistono tanti metodi contraccettivi che possono essere adeguati alle nostre esigenze e ai nostri corpi.

Diciamolo che è un nostro diritto quello di vivere una vita sessuale appagante e sicura ed esigiamo un sistema sanitario e professionistə sanitariə che siano fattə anche per noi.


Non riusciamo ancora a liberarci dei pregiudizi verso la vita sessuale delle persone. Un aiuto potrebbe arrivare dalle testimonianze di chi usa la PrEP: il punto di vista del vissuto emotivo potrebbe avvicinare alla PrEP senza stigmatizzare chi ne fa uso. Se anche tu vuoi condividere la tua storia con la PrEP, scrivi un testo (300/500 parole) e inviacelo via mail.

Puoi raccontarci perché hai scelto la PrEP e cos’è cambiato nella tua vita sessuale, ma anche, più semplicemente, come hai scoperto questo metodo preventivo, quale centro te l’ha prescritto e come ti sei trovato/a. 

Preferiremmo che le testimonianze non fossero anonime: la trasparenza è importante per creare un’onesta discussione pubblica sulla PrEP e sulla salute sessuale. Capiamo però che per alcune persone non è facile esporsi: in questo caso nella tua testimonianza potresti motivare perché hai scelto l’anonimato; così da sottolineare quanto sia ancora presente lo stigma verso le scelte sessuali delle persone.

Stefano Pieralli è scomparso l’anno scorso a soli 57 anni, di cui oltre 40 dedicati all’attivismo LGBT e sieropositivo. È stato uno dei sette fondatori di Plus, di cui è stato vicepresidente e membro del Direttivo pressoché sempre, fin dall’inizio. È stato lo “zoccolo duro” di Plus e ha contribuito a costruirne l’impostazione politica, è stato una figura cruciale non solo nella storia di Plus ma nella lotta alla HIV e alla sierofobia in Italia. Intitolargli la sede nazionale di Plus non è che un riconoscimento minimo per una persona che ha dedicato la sua vita all’attivismo, contribuendo a creare condizioni di vita migliori per centinaia di persone LGBT che vivono con HIV o sierocoinvolte.

Stefano ha dato a Plus un’impostazione politica tesa all’equidistanza dai partiti, preferendo il colloquio istituzionale al rischio di lasciare che questo o quel partito mettesse il cappello sul nostro lavoro. Ci ha insegnato ad avere una serie di attenzioni verso il mondo della politica, da un lato vitale per il sostegno al nostro lavoro e dall’altro spesso poco interessato alla prevenzione. Ci ha insegnato a guardare oltre le parole anche nel mondo delle associazioni, ed è stato proprio grazie a queste osservazioni che abbiamo deciso di fondare Plus in risposta alle carenze dell’associazionismo LGBT nella lotta all’HIV e nell’investimento di fondi nella salute queer.

Il 16 aprile, ad un anno dalla sua morte, Plus ha deciso quindi di ricordare Stefano Pieralli e di intitolare a Stefano la sede in via San Carlo 42/C, un luogo che lui stesso ha contribuito a costruire e che negli anni ha accolto migliaia di persone.

È stato emozionante vedere presenti le istituzioni, l’associazionismo bolognese e tanta gente che ha conosciuto Stefano e ne ha apprezzato il valore. Altrettanto emozionante ripercorrere la storia e la figura di Stefano, l’impegno per Plus fortemente voluta da Stefano proprio perché era giunto il momento di scuotere la comunità LGBT che da troppo tempo non si occupava più del tema, pur a fronte delle alte percentuali di nuove diagnosi fra gli MSM (maschi che fanno sesso con maschi). Oltre alla necessità di invertire il trend delle nuove diagnosi, Plus nasce, come ci spiega Pieralli nella breve intervista che abbiamo mostrato durante la cerimonia, Plus viene creata per intervenire contro lo stigma sociale, anche interno alla comunità LGBT, nonché sul tema della qualità della vita delle persone sieropositive che oggi, grazie alle terapie, hanno un’aspettativa di vita simile a quella della popolazione generale ed è, pertanto, necessario affrontare il tema della qualità della vita, gli aspetti relazionali e sociali, il lavoro, ecc. per tacere della necessità di rompere una serie di pregiudizi sulla trasmissione dell’infezione, sulla possibilità di avere relazioni con le persone sieropositive. In sintesi, un’azione culturale forte, sia all’interno della comunità LGBT che all’esterno di essa.

Azioni oggi più che mai necessarie e rese possibili grazie all’incredibile avanzamento scientifico che ha portato a un consistente allungamento dell’aspettativa di vita delle persone con HIV.

Tuttavia deve essere chiaro che questo non vuol dire che il problema HIV si può considerare risolto, se non addirittura superato, come sentiamo spesso dire anche da alcuni attivisti. Tutt’altro.

Noi non abbiamo un vaccino preventivo e siamo ben lontani dall’ottenere una cura contro HIV.

Pertanto il virus ad oggi rimane nel nostro corpo e continua a fare il suo lavoro anche se non rilevabile. Non tutti sanno che, sul piano patogenetico, il percorso di HIV prevede due tipi di azioni. Una, la più nota, è la distruzione progressiva del sistema immunitario che ci rende vulnerabili agli attacchi di altri agenti patogeni, crea danni d’organo e agevola la formazione di neoplasia; su questo abbiamo potuto porre un freno grazie ai farmaci sempre più potenti e ben tollerati.

L’altra, meno nota, consiste nell’attivazione del sistema immunitario che, a sua volta, attiva un processo infiammatorio generale e tendenzialmente cronico. Un’azione che avviene anche in caso di viremia non rilevabile. HIV è in sé un elemento di disturbo per l’organismo e il perdurare dello stato infiammatorio, nel tempo porta egualmente a danni d’organo, rischio cardiovascolare, disturbi cognitivi, formazione di neoplasie.

Quello dell’attivazione immunitaria è un tema rispetto al quale siamo ancora sostanzialmente disarmati. È appunto questa azione pluriennale di HIV che ha aiutato la formazione del cancro che ci ha portato via Stefano, così come altri esponenti di Plus, attivisti e tante persone sieropositive.

Quindi no! HIV non è affatto risolto anche se, sicuramente, abbiamo reso più difficile la sua azione tanto è vero che oggi possiamo vivere bene molti anni, invece dei pochi mesi di aspettativa di vita di 30 anni fa. Tuttavia, il problema sia risolto, dobbiamo continuare a svolgere un’opera di pressione politica e sociale affinché la politica investa, la ricerca trovi finalmente il bandolo della matassa, la società sia più attenta e cessi di discriminare le persone che vivono con HIV.

Sandro Mattioli
Plus aps
Presidente