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Recentemente mi è capitato sottomano l’abstract di uno studio francese (They Have to Make an Effort Too”: What Decliners Can Teach Us About HIV Cure/Remission-Related Clinical Trials? Results from a French Qualitative Study) che analizza le motivazioni che hanno spinto le persone con HIV a rifiutarsi di partecipare agli studi sulla cura di HIV. Studi che includono la famigerata ATI: analytical treatment interruption. Gli studi sulla cura, infatti, prevedono la sospensione del trattamento anti retrovirale.

Si tratta di qualcosa considerata morta e sepolta dalla pubblicazione dei risultati dello studio SMART (Strategies for Management of Anti-Retroviral Therapy), che arruolò 5.472 pazienti randomizzati a proseguire la terapia o a fare interruzioni strutturate in base al numero di CD4; dimostrò che tale strategia determinava un significativo incremento di mortalità e di complicanze cardiovascolari.

Le persone con HIV meno giovani, ricorderanno che prima dello SMART era “di moda” la cosiddetta vacanza terapeutica, ossia la sospensione della terapia ARV per un certo periodo di tempo al fine di “dare respiro” all’organismo e consentirgli di riprendersi dallo stress del trattamento ARV. Salvo poi capire, grazie allo studio SMART appunto, che la sospensione è stata un grave errore che ha messo a rischio la salute dei sieropositivi… come se non ne avessimo già abbastanza.

Tornato allo studio francese, la cosa che ha sorpreso anche i ricercatori è che la motivazione di fondo per il rifiuto non era tanto la ATI, quanto i frequenti monitoraggi. Una delle ragioni di fondo del rifiuto è stata che partecipare avrebbe significato “rompere l’atteggiamento spensierato nei confronti della malattia“, riflettendo il notevole peso psicologico associato alla partecipazione.

L’atteggiamento spensierato mi ha lasciato di stucco. Mi rendo perfettamente conto che è un pensiero sempre più diffuso anche basato sull’efficacia delle terapie, su U=U, ecc. Tengo conto del fatto che oltre 40 anni di paura di HIV possono spingere a sopravvalutare le condizioni attuali che se, da un lato, ci consentono di tenere sotto controllo la replicazione virale e di tenere lontano lo spettro di una malattia mortale, dall’altro non ci hanno risolto il problema. HIV è ancora li e cerca ugualmente di ammazzarci. Sono ancora tantissime le cose che non sappiamo di HIV, infatti non abbiamo né una cura né un vaccino per questo motivo non perché le multinazionali tendono nascosta la molecola che abbatte HIV, con buona pace dei complottisti. HIV è ancora pericoloso perché la sua semplice presenza nell’organismo, anche residuale, anche defettiva, attiva il sistema immunitario che provoca una infiammazione cronica, che con il tempo porta verso l’invecchiamento accelerato, la formazione di neoplasie, problemi cardiovascolari, ecc. e anche quella faccenda dell’aspettativa di vita equivalente alla popolazione generale, intanto non è ancora uguale e soprattutto si applica a chi ha avuto una diagnosi precoce. In Italia il 60% delle nuove diagnosi è tardivo, un dato imbarazzante per un Paese industrializzato.

In altre parole, HIV cerca di ammazzarci lo stesso, anche se la via che gli è rimasta è molto più lenta, lunga e tortuosa rispetto a quella dell’AIDS.

Con questo non intendo dire che dobbiamo vivere una vita fatta di preoccupazioni e pensieri di morte, ovviamente no. Ma atteggiamento spensierato spesso significa non voler sapere, non accedere alle informazioni, addirittura non voler conoscere il proprio stato di salute. Mi capita di frequente di parlare con persone con HIV che non hanno idea del loro stato di salute, non sanno quanti CD4 hanno e si limitano a rispondere il medico dice che sto bene, e tanto gli basta. Evidentemente hanno scelto di non volere nessun livello di consapevolezza, di partecipazione alla gestione della patologia cosa che, tra parentesi, potrebbe risultare limitante anche per il medico se serio.

In altre parole la spensieratezza è letta come superficialità, un atteggiamento che aiuta molto HIV nel suo lento ma costante progredire in Italia e nel mondo.

Nel nostro Paese c’è pochissima conoscenza di HIV, ignoranza = paura scriveva Act Up, per cui chiunque diffonda messaggi di prevenzione anche se belli e concettualmente avanzanti ne deve tenere conto. La volontà di normalizzazione del test per HIV, per esempio, che da alcuni anni viene portata avanti da numerosi enti e perfino qualche associazione, pur corretta e condivisibile, inserita nel contesto italiano sta ratificando l’idea generale che HIV sia un problema risolto e che non ha senso perdere tempo e farsi venire l’ansia per fare dei test, “alla peggio prenderò una pillola al giorno, che sarà mai” – come mi ha scritto un ragazzo pochi mesi fa – “come per la pressione alta”, come se assumere il ramipril per l’ipertensione o un farmaco anti retrovirale per HIV fosse la stessa cosa. Oggi è contro questa idea facilona che dobbiamo combattere perché pur tenendo conto del progresso scientifico incredibile, nel quadro dato HIV è ancora pericoloso.

Sandro Mattioli
Plus aps

Il 1° dicembre, Giornata Mondiale per la Lotta contro HIV/AIDS, è in arrivo e tutti sembrano essere in fibrillazione, salvo dimenticarsi di HIV già dal 2 dicembre.

Lo slogan definito dalla IAS quest’anno è Unite to reach all. Uniti per raggiungere tutti.
In questa Giornata mondiale contro l’AIDS, uniamo le nostre forze per costruire una risposta all’HIV veramente equa che raggiunga tutti.

UNAIDS è sulla stessa linea con lo slogan del report 2024 “Take the rights path” che credo tutti tradurremo con prendi la via dei diritti. In effetti, nonostante gli indubbi progressi scientifici, la situazione non è rosea. Secondo i dati pubblicati da UNAIDS, nel 2023 circa 5,4 milioni dei 39,9 milioni di persone che vivono con l’HIV in tutto il mondo, ovvero una su sette, non erano a conoscenza del loro stato. Allo stesso tempo, 9,3 milioni, ovvero quasi una su quattro, non ricevevano un trattamento salvavita. Con 7,5 milioni di persone che hanno iniziato la profilassi pre-esposizione (PrEP) fino ad oggi, non raggiungeremo l’obiettivo globale di 10 milioni di iniziazioni alla PrEP entro il 2025.

Chi ha la fortuna di nascere o vivere in Italia sicuramente non ha questo problema, in compenso ne ha altri. Ogni anno in questi giorni parte la litania dei dati relativi all’anno precedente. Secondo il bollettino annuale del Centro Operativo AIDS (COA) dell’Istituto Superiore di Sanità, nel 2023 in Italia si sono registrate 2.349 nuove diagnosi di infezione da HIV pari a un’incidenza di 4,0 nuove diagnosi ogni 100.000 residenti. Un dato che ci pone al di sotto della media (6,2%) dei Paesi dell’Europa Occidentale quanto a incidenza. L’Europa dell’Est è tutto un altro film.

COA: Nuove diagnosi per regione

Come sempre, non abbiamo ancora idea di quanti test vengono erogati nel nostro Paese. Tuttavia osservando semplicemente l’andamento numerico delle nuove diagnosi, se il dato è in calo dal 2012 in quasi, si registra una ripresa dei contagi nell’ultimo triennio.

Quest’anno il COA azzarda anche un dato di prevalenza: partendo da un calcolo approssimativo delle persone che vivono con HIV nel Paese, stima nello 0,2% il dato di prevalenza di HIV in Italia. Come sempre, non noto nessuna stima della prevalenza nelle popolazioni chiave per le quali dobbiamo rivolgerci allo studio Emis che, almeno per quanto riguarda gli MSM, valuta una prevalenza fra 9 e il 12%.

I più colpiti sono i maschi in particolare nella fascia d’età 30-39 anni, in questa fascia l’incidenza è 3 volte superiore alle femmine (9,9%). L’86% delle segnalazioni di contagio da HIV è attribuito a rapporti sessuali e, cito, “In particolare, i maschi che fanno sesso con maschi (MSM) costituiscono il 38,6%, gli eterosessuali maschi il 26,6% e le eterosessuali femmine il 21,1%.

Vi do per certo che qualcuno sosterrà, di nuovo, la tesi che gli MSM sono più sensibili al tema dell’HIV, più informati e, di conseguenza, fanno più spesso il test e per questo motivo se ne trova di più. Non perché gli MSM sono una popolazione chiave, non perché in tutta Europa la situazione è la stessa (a parte l’Europa orientale dove gli MSM, come è noto, non esistono). Rispondo a questa idiozia, purtroppo sostenuta anche da associazioni di lotta contro l’Aids, che saremo pure più sensibili, ma il numero dei contagiati è reale, così come è reale il fatto che quella degli omosessuali è una minoranza della popolazione del Paese che cuba, a seconda degli anni, fra il 35 e il 40% delle nuove diagnosi nell’indifferenza generale. O forse qualcuno ha mai visto una campagna pubblica mirata o perfino efficace?

Nel 2023 le incidenze più alte (≥5 casi per 100.000 residenti) sono state registrate in Lazio, Emilia-Romagna e Umbria. La nostra regione risale, quindi, nella classifica alla conquista della maglia nera. I dati regionali non sono pessimi ma seguono l’andamento nazionale.
Le nuove diagnosi in Emilia-Romagna sono 220 ossia il 4,9% di incidenza. Siamo sostanzialmente tornati ai valori del 2019.
Tra i maschi l’incidenza sale al 7,3%. Il 37% delle nuove diagnosi sono appannaggio degli MSM un po’ meglio rispetto al biennio precedente, segno che qualcosa stiamo facendo e siamo sulla via giusta. Ma resta ancora molto lavoro da fare perché il 56% delle persone neo diagnosticate ha meno di 350 CD4, in altre parole diagnosi tardive.

Si registra anche una crescita di nuove diagnosi fra la popolazione migrante 33%, sensibilmente più giovani rispetto agli italiani e soprattutto donne, molte delle quali scoprono di avere HIV in gravidanza. I dati di AIDS per fortuna vanno sempre più in calando, anche grazie a farmaci sempre più potenti che molto spesso riescono a far rientrare situazioni anche gravi.

Alcune osservazioni:

posto che nessuno ha la soluzione in tasca, ci sono alcune cose che mi lasciano molto perplesso.
• Da anni i maggiori ricercatori nel campo ci dicono che abbiamo gli strumenti per ridurre HIV ai minimi termini, il problema sono gli investimenti, i fondi per la ricerca e l’applicazione globale dei risultati. Fondi che sembrano essere sempre disponibili quando si tratta di ammazzare Palestinesi, Ucraini, ecc.
• La popolazione generale va correttamente informata sul tema. Insistere nel dire che HIV non è più un gran problema, che può essere tenuto sotto controllo, che si prende una pillola al giorno, che si vive tanto quanti chi non ha HIV, è un errore. Sono i dati che ce lo stanno dicendo, soprattutto quelli delle diagnosi tardive.
Grazie a questo modus operandi gli italiani sanno sempre meno di HIV, sono sempre meno interessati al test e arrivano alla diagnosi diversi anni dopo il contagio.
• Parallelamente alla popolazione generale, devono essere portate avanti campagne specifiche per le popolazioni chiave ossia quelle che registrano i più alti dati di incidenza, in Italia sono gli MSM e i migranti, non chiunque ricada nella categoria della fragilità sociale. Queste ultime richiedono attenzioni particolari in termini di welfare e di salute, ma non necessariamente, per fortuna, su HIV.
Naturalmente saranno parole scritte per l’aria che tira perché in Italia se va da tutt’altra parte, a seconda di come tira il vento, ben raramente con azioni mirate, specifiche e con una base scientifica.
• Da ultimo, non finirò mai di insistere sul tema del disinteresse pressoché totale della politica. Basti pensare che c’è il progetto di legge che dovrebbe andare a sostituire la norma vigente del 1990, è ferma in Parlamento da 2 legislature. In questi giorni si sente accennare alla possibilità che il PdL venga discusso da un ramo del Parlamento… poi l’altro vedremo. Certo, vedremo quanti altri si contagiano nel mentre che menano il can per l’aia.

Qualcuno mi dice che i Checkpoint potrebbero essere l’arma vincente per combattere HIV perché sono in grado di raggiungere proprio quelle popolazioni chiave che cubano alte percentuali di infezioni.
Ovviamente sono d’accordo, ma non possiamo andare avanti con il solo volontariato o con investimenti ridicoli. Servono fondi seri e continuativi, serve un progetto regionale di sviluppo di quest’arma contro HIV. Serve una legge regionale che definisca cos’è un Checkpoint, ne definisca il perimetro di azione con regole adatte alle sue caratteristiche.
Al contrario anche una Regione evoluta come l’Emilia-Romagna fino ad oggi ha creato problemi, ha investito il minimo per non far annegare l’esperienza del Checkpoint, ha costretto questa esperienza nuova dentro a regole nate per tutt’altro.
Così è difficile proseguire. Speriamo che la nuova Giunta si renda conto della situazione e sappia agire di conseguenza.

Sandro Mattioli
Plus aps

No, una persona in PrEP non può trasmettere l’HIV. La PrEP impedisce infatti che il virus entri nel corpo e si diffonda. Prima di prescriverla , l’infettivologo/a verifica che la persona sia HIV negativa e solo allora firma la prescrizione.

Come tutti i farmaci, la PrEP protegge dall’HIV solo funziona se assunta correttamente. In Italia nel 2022 ci sono stati solo 4 diagnosi di HIV durante l’assunzione della PrEP e tutte dovute a una scarsa aderenza. Questo significa che non era stata assunta correttamente.

Ma forse la domanda giusta da porci non è se chi è in PrEP può trasmettere l’HIV.

Per proteggerci dall’HIV con tranquillità forse ha più senso chiederci:

  • Perché affidare a un’altra persona la garanzia della nostra salute? Perché aspettarci che sia l’altra persona a tuterlarci quando possiamo noi in prima persone decidere di proteggerci dall’HIV usando solo la PrEP, solo il preservativo o entrambi?
  • Perché aspettarci che sia l’altra persona a tuterlarci sopratuttto adesso che è gratis

Se vuoi avere il controllo della tua salute sessuale, puoi valutare le seguenti cose:

  • di iniziare la PrEP così da non dover neppure chiedere all’altra persona se è in PrEP, se è;
  • fare sesso solo con persone che hai …

Oggi è l’ultimo giorno di conferenza. Mi sembra che sia piaciuta un po’ a tutti gli italiani con cui ho parlato, sia clinici che attivisti, e in effetti condivido. Si nota che sono lontani i fasti di un tempo, il calo degli investimenti ha colpito anche HIV Glasgow, ma i contenuti non sono stati affatto male.

L’ultima giornata inizia con la relazione di EACS (European AIDS Clinical Society) che, fra le altre cose, si occupa delle linee guida europee per tutto ciò che ha a che fare con HIV, anche in senso lato. Sono uscite le nuove linee guida del 2024 e giustamente ci hanno fatto una plenaria. Se ricordo bene, le linee guida italiane sono ferme al 2017, tanto per darvi un’idea del livello…

Ovviamente non starò a dare una completa descrizione di ogni singola modifica, ma una descrizione di carattere generale ci sta, partendo dal fatto che io penso che ogni attivista, se non addirittura ogni persona con HIV che ci tenga al proprio stato di salute, dovrebbe interessarsi anche a queste cose. Le linee guida EACS sono fatte da un gruppo di esperti divisi in 6 settori:

ART (antiretroviral therapy)
DDIs (Drug-Drug Interaction… drug sta per farmaci)
Epatiti
OI (Opportunistic Infections)
Co-morbidità
HIV pediatrico

Screenshot

Si trovano solo online, l’opuscolo non viene più stampato dal 2019. Rispetto alle modifica, come ho scritto, solo alcuni spunti:
• Qualora le persone in PrEP con cabotegravir falliscano (e quindi diventino HIV+) le linee suggeriscono di iniziare subito un trattamento con DRV/b – ossia darunavir con buster – in attesa del test di resistenza.
• In caso di fallimento virologico, quando non è possibile costruire una terapia con 2/3 farmaci solitamente usati, le linee suggeriscono di tentare con farmaci con un meccanismo di azione diverso ed ecco che è stato inserito il lenacapavir.
• Per quanto riguarda la PrEP: il test HIV di quarta generazione negativo documentato può essere effettuato una settimana prima o il giorno stesso in cui si inizia la PrEP
• In tutte le popolazioni e qualunque sia il regime, la PrEP orale dovrebbe iniziare con 2 pillole
• Per gli uomini che assumono PrEP on demand, la bassa aderenza che porta alla PEP è stata modificata in non conformità allo schema 2-1-1
• Fra i benefici della Doxy-PEP il riferimento alla prevenzione delle infezioni gonococciche (gonorrea) è stato eliminato
• Seguendo le indicazioni di OMS e EMA, le persone con HIV dovrebbero ricevere la vaccinazione anti SARS-CoV-2 (il virus del covid) aggiornato contro le varianti circolanti

Con il generale successo della ART, c’è molto interesse per la gestione delle co-morbidità e dell’invecchiamento. Per cui EACS ha scritto raccomandazioni anche su questo. Per esempio, screening sul cancro anale sono raccomandati nelle persone:

  • MSM e donne trans di età >35 anni (e non barate)
  • Uomini cis e donne cis di età >45 anni

da farsi con intervalli di 1 o 2 anni se gli esami sierologici e la citologia sono negativi. In caso di esami positivi si dovrebbe fare una anoscopia ad alta risoluzione.

Anche il Chemsex ha trovato spazio in una nuova sezione nella quale, a dire la verità, un po’ si nota approccio medico. La relatrice ci spiega che il Chemsex consiste nell’uso di sostanze di sintesi, principalmente metanfetamine, catinoni, GHB/GBL, per ridurre le inibizioni e aumentare il piacere sessuale. Si stima una prevalenza del 16% negli MSM in Europa ed è associato con sesso non protetto e con un alto numero di partner.
Le linee suggeriscono screening quantomeno per le popolazioni ad alto rischio:
• GBMSM
• sex worker
• persone con un uso problematico di alcol
• persone che fanno uso di droghe ricreazionali
quando si valuta la prontezza all’inizio e al mantenimento dell’ART e in caso di problemi cognitivi. Lo screening consiste in primo luogo in una serie di domande, quali:
• consumi sempre sostanze prima o durante i rapporti sessuali?
• Negli ultimi 3 mesi quanto spesso hai usato chem
• Quanto spesso l’uso di chem ti ha portato ad affrontare problemi di salute, sociali, legali o finanziari?
• Hai mai provato a smettere e hai fallito?
E così via… mah… non è proprio il mio campo di azione ma penso che una politica anche sanitaria di questo tipo finisce per non avere persone che si rivolgono al medico, mentre una politica mirata all’uso consapevole potrebbe avere più successo.
A ogni risposta viene attribuito un punteggio, uno score, e si procede come segue:
• 0-3 nessun intervento
• 4-26 intervento soft
• 27+ trattamento intensivo/ invio all’unità per le dipendenze (che da noi penso sia il SERD)
Ci sono anche nuove disposizioni rispetto all’uso di statine nelle persone con HIV, che restano sempre molto raccomandate.
EACS supporta con decisione coinvolgimento delle persone assistite nel processo decisionale condiviso.

A seguire relazione su uno studio sugli inibitori dei checkpoint, me la sarei mai potuta perdere? Sta a vedere che USL Bologna ha trovato un altro escamotage per mettere i bastoni fra le ruote.
Invece no, si tratta di una forma di immunoterapia contro il cancro. Bene che sia stata studiata su persone con HIV. Al netto del funzionamento specifico contro il cancro, secondo lo studio questa immunoterapia non impatta sul controllo di HIV, sulla replicazione virale né sulla conta dei CD4.

Ci sarebbero altri studi presentati in plenaria ma diventerebbe molto lungo per cui soprassiedo.

Solo vi do rapidamente conto della lettura finale di Linda-Gail Bekker del centro Desmond Tutu la cui relazione su PREP sembra una provocazione per l’Italia già dal titolo: PrEPping for the Future: The era of choice… quale scelta? In Italia c’è 1 farmaco per la PrEP, se sei allergico, intollerante, ecc. ti attacchi al tram. Comunque sia…

La Bekker parte in quarta con i risultati degli studi di Gilead su lenacapavir come PrEP, Purpose 1 e 2 rispettivamente su donne in Africa e – udite, udite – su uomini giovani, persone trans, non binarie. Mai vista una cosa del genere in 40 anni di ricerca. I primi risultati sulle donne sono superlativi: zero infezioni. Quindi? Finito? Parliamo della crisi climatica, ci chiede la Bekker. Ovviamente no. I dati di incidenza di HIV sono ancora impressionanti e allontanano gli obiettivi di UNAIDS per il 2030, e se ci sono ancora così tante nuove diagnosi vuol dire che c’è ancora molto da fare sul piano della prevenzione, a partire dalla possibilità di scegliere quella più adatta alle proprie esigenze. In Italia non è possibile, neppure il TAF (Tenofovir alafenamide) è utilizzabile, e accennare alla PrEP con cabotegravir LA sembra che equivalga a rapinare banca d’Italia, figuriamoci parlare della PrEP con bNAbs (anticorpi neutralizzanti), pensate che per le donne si sta parlando da tempo di unire PrEP e pillola anticoncezionale in una unica formulazione. Fantascienza per la testa degli italiani, oggi poi con i pro vita negli ospedali… oppure è in studio un doccino rettale al tenofovir, provate a immaginare in un Paese delle banane, dove ancora oggi la persona che prende una IST viene colpevolizzata, come e quando AIFA potrà mai approvare queste cose.

Da ultimo ricordo che già a CROI 2024 e anche qui a HIV Glasgow è stato presentato lo studio sugli ultra long acting (studio CAB-ULA) che ViiV sta sviluppando, sempre con cabotegravir, 1 iniezione ogni 4 mesi. Restando sul tema fantascienza, la Bekker cita studi di logistica della PrEP, dove i farmaci vengono portati dal corriere tipo just eat, dal postino, ecc. Mi sembra sufficiente, ho già il fegato che grida vendetta.

Sandro Mattioli
Plus aps

Dopo i poster, la giornata continua con il simposio dal titolo HIV Cure: Where Are We Now?

Quando stavo organizzando le mie giornate sulla base del programma, sono stato molto felice di vedere questo titolo perché sto cercando di far passare anche in Icar il concetto che, come qualunque altro paziente, le persone con HIV hanno il diritto di voler guarire e gli attivisti devono tenere monitorata la situazione relativa ai progressi scientifici, alle difficolta tecniche o economiche relativa alla cura… possibilmente eradicante, voglio dire se sogniamo facciamolo in grande no? Non so se i colleghi delle altre associazioni mi daranno retta, tuttavia io sono convinto che quello della cura sia un obiettivo politico di alto profilo da tenere sempre sullo sfondo. Voi che ne pensate?

Per essere estremamente chiari: al momento non siamo neppure vicini a una cura eradicante, ma quello che non capisco e non capirò mai è perché a tutti i pazienti è concesso di voler guarire, a noi no.
Io non mi rassegno a questo modo di pensare e anzi, come attivista ritengo che l’obiettivo della guarigione deve sempre essere tenuto sullo sfondo. È un obiettivo alto, più politico che scientifico certamente ma deve essere li, visibile e alla portata di tutti.

Porco mondo anche i sogni ci volete togliere? Tenere il fiato sul collo della ricerca, è il nostro lavoro non assecondare frasi che mi hanno detto taluni principi della ricerca italiana: “vuoi vivere per sempre?”, “non abbiamo gli strumenti” ecc. Trovate la via, trovateli gli strumenti, è il vostro lavoro. Il mio è quello di starvi con il fiato sul collo.

Questi sono i concetti che sto provando a far passare fra le associazioni che collaborano alla realizzazione di Icar per tenere un simposio sulla cura ad ogni conferenza.

La lettura in memoria di Lange, viene presentata da Peter Reiss dell’Amsterdam Institute for Globah Health, che parte col “piede giusto” ricordando che già nel 1996 Lange scrisse un articolo dal titolo “Can HIV infection be cured?”. Già allora Lange, pur giustificando l’ottimismo dato dall’arrivo dei nuovi farmaci che hanno salvato la vita a migliaia di persone con HIV, si chiedeva se la soppressione virale prolungata fosse il massimo a cui potevamo aspirare… o magari ci sono possibilità di eradicare completamente HIV dal corpo umano?

Il microfono passa a Linos Vandekerckhove e anche lui parte col piede giusto citando proprio Lange: “Prova a creare, a essere un artista, a sognare. Non rinchiuderti in strutture rigide ma fiorisci nei tuoi sogni più sfrenati”. Frase che trovo meravigliosa. Allora anche lui sognava.

Come è facile immaginare la relazione di Linos è stata complessa e articolata come lo è, del resto il tema. La prima slide del relatore mostra i volti dei 5 pazienti ufficialmente guariti. Lo fa (finalmente) quasi con un po’ di fastidio, evidenziando il fatto che svariate decine di milioni di persone non sono guarite. Ma di cosa abbiamo bisogno per raggiungere l’obiettivo. Linos registra il fatto che grazie alla incredibile crescita tecnologica oggi siamo in grado di vedere i marker infiammatori a livello di singola cellula. Le persone con HIV hanno una infiammazione persistente, anche se trattati molto presto. Siamo in grado di ridurre la carica virale a livelli bassissimi, non rilevabili, ma anche una carica virale residuale raddoppia le possibilità di malattie cardiovascolari al netto dei classici fattori di rischio. Se poi le diagnosi sono tardive – come avviene in Italia in percettuali altissime – i reservoir li troviamo pieni di virus latente. I reservoir hanno una natura “multidimensionale”, secondo il ricercatore, e nel dirlo mostra una immagine, un panorama dei reservoir di HIV che comprende pressoché tutto l’organismo: ci sono i tessuti intestinali, i linfonodi, il fegato, il sistema nervoso, ecc. anche se la maggior parte delle riserve si concentrato nell’intestino e nei linfonodi. La tecnologia ci permette analisi sulle singole cellule, ma questo ci ha permesso di capire che le cellule target di HIV sono un numero elevatissimo, spropositato, e, come se non bastasse, il 95% del virus integrato non è intatto. In altre parole, bisogna inventare un sistema per individuare quel 5% di virus intatto in mezzo a migliaia e migliaia di cellule bersaglio. Quando si dice un ago nel pagliaio. Un pagliaio che non resta sempre uguale a sé stesso ma che, anche grazie all’attività della ARV, si trasforma.

Quindi, in sintesi:

  • Il numero delle cellule CD4 T nel nostro organismo è altissimo
  • Tali cellule sono presenti in molti organi
  • Il numero delle cellule infette è basso; solo il 5% ha un virus intatto
  • Le infezioni si verificano in diverse posizioni nei cromosomi… pure
  • Le cellule infette possono dividersi per mantenere i reservoir
  • Non tutte le particelle virali possono essere facilmente riattivate

Quindi come ci arriviamo a una cura?
La maggior parte degli approcci prevede una combinazione di riduzione dei reservoir (e ritorna il tema delle diagnosi precoci) e potenziamento immunitario (riduzione e controllo), con un crescente interesse per la terapia genica e la cosiddetta “one shot cure”.
La one shot è interessante, se ho capito bene alla “scimmia di Miami” è stata fatta una iniezione di anticorpi monoclonali, la carica virale della scimmia è crollata miseramente e non si è più ripresa da 2 anni. Poi c’è tutto il tema delle cellule CAR-TChimeric Antigen Receptor T cell – sintetizzate con lo scopo di riconoscere i tumori, potrebbero avere un ruolo nella cura contro HIV (chi vuole provare ad approfondire clicchi su car-t oppure anche qui).

Il relatore passa alla sezione What is important for the future? E con la prima slide quadagna 1000 punti. Il titolo della slida recita “How to reach a CURE: the challenges we face”, ma subito compare una X rossa sulla parola we (noi) che viene sostituita con PLWH ossia persone che vivono con HIV. Sono le persone con HIV che davvero affrontano la sfida, non i ricercatori.

Una cosa che non ho detto è che per buona parte delle ricerche di cui sopra, le PLWH devono sospendere la ARV.

Quindi ecco le sfide delle PLWH

  • L’impatto di ripetute ATI (analytical treatment interruptions) sulla salute psicologica e sull’andamento del processo infiammatorio
  • L’impatto di ripetute ATI sull’espansione clonale dei reservoir

ATI che tanno facendo molto discutere soprattutto sul piano etico, tanto è vero che anche IAS quest’anno ha aggiornato le raccomandazioni su questo punto, per altro già previste nel 2019, perché le PLWH che partecipano a questi studi corrono dei rischi potenziali che vanno valutati con equilibrio.

Il relatore suggerisce la creazione di un CAB (Community Advisory Board) in Europa in collaborazione con EATG così come altrove, suggerisce anche una stretta collaborazione fra i diversi Continenti sia in termini di advocacy, che in termini tecnici infatti arriva a suggerire la realizzazione di un network sulla cura in Europa che, mi sembra di capire, stia già preparando con il nome di EU2CURE.

In conclusione

  • Il reservoir di HIV è complesso e evolve sotto ART
  • La riduzione del reservoir dell’HIV dovrebbe essere considerata come un primo passo verso una cura per l’HIV
  • Sarà necessaria una terapia combinata in cui siano coinvolti i “componenti della immune therapy” per ottenere un controllo virale a lungo termine … prepariamoci…
  • Un prerequisito è la stretta collaborazione con i CAB
  • Va affrontato il tema della scarsa connessione tra le regioni più duramente colpite e gli istituti di ricerca

Fiorisci nei tuoi sogni più sfrenati.

Sandro Mattioli
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No, non si tratta del poster di Madonna che pressoché tutti gli/le adolescenti aveva in camera qualche decina di anni fa, si tratta di studi i cui abstract sono stati accettati dai reviewer della conferenza.
Stamattina ho deciso di passeggiare fra le file di poster ed estrarne alcuni per voi, in fondo trovate tutte le foto. Inizio con uno studio che mi ha colpito, soprattutto pensando ai nostri utenti in PrEP appassionati di palestra.

Il titolo è Prevalence of the use of sports supplements and illicit drugs for use in gyms in people included in HIV pre‐exposure prophylaxis programmes (Gym‐PrEP cohort). Contrariamente a quanto si poteva pensare, gli AAS (Anabolic Androgenic Steroids) sono usati solo dall’8% del campione (tamoxifen, ormone della crescita, ecc.), mentre la maggior parte del campione utilizza proteine in polvere (78%) o creatina (68%). Tuttavia anche in chi consuma prodotti legali per la palestra si registra un incremento della creatinina nel primo anno di 0,047%. La prevalenza di utilizzo di questi prodotti da palestra è alta negli utenti PrEP e generalmente viene associata a tossicità renale, cosa registriamo anche noi e ci porta a fare counselling mirato.

Sono stati pubblicati anche i risultati dello studio PriDE al quale ha collaborato anche Plus. In sostanza la ricerca esamina la diffusione di PrEP in Italia e giunge alla conclusione che l’implementazione della PrEP da noi è in rapida crescita in 2 Regioni: Lazio e Lombardia. Da sole cubano il 67, 5% delle persone il PrEP. Credo che sia sufficiente per dire che c’è ancora molto lavoro da fare. Purtroppo PrEP in Italia è arrivata con grave e colpevole ritardo rispetto ad altri Paesi e si inserisce in un quadro di ignoranza e disinteresse sul tema HIV.

Lo studio portoghese Does tenofovir disoproxil fumarate/emtricitabine for HIV pre‐exposure prophylaxis induce changes in kidney function in people older than 50 years old? Ci dice che no, nelle persone sopra i 50 la PrEP non disturba il fegato.
Il poster HIV+ donor to positive recipient kidney transplantation, fa il punto su una procedura di cui si parla da tempo ossia il trapianto di fegato fra HIV positivi, che sta avendo un qualche successo. Lo studio è spagnolo e l’obiettivo dichiarato consiste nel cercare di cambiare la legge sulle donazioni.

Lo studio T‐cell homeostasis and microbial translocation in PLWH switching from triple to dual INSTI‐based combination antiretroviral therapy (cART), dell’Università di Milano, indaga come si comportano le cellule T e cosa accade con la traslocazione microbica nelle persone con HIV che passato dalla triplice alla terapia a 2 farmaci. Lo switch da 3 a 2 farmaci sembra migliorare l’omeostasi delle cellule T, grazie all’incremento delle cellule memory e alla riduzione dell’attivazione delle T. Quanto duri nel tempo l’omeostasi è tutto da studiare. Per altro non si sono notati cambiamenti a livello di marker infiammatori intestinali suggeriscono pochi o nessun effetto della dual nella permeabilità gastrointestinale.

Lo studio spagnolo Safety and efficacy of dual doravirine plus lamivudine as a switch strategy in HIV patients with metabolic or renal issues, suggerisce che la terapia con doravirina+lamivudine sia ottimale nelle persone HIV+ con problemi metaboliti o renali per esempio causati da precedenti terapie a base di INSTI (Inibitori dell’Integrase).
Un altro studio spagnolo, Transforming HIV care: intramuscular bimonthly cabotegravir and rilpivirine for transgender people with HIV in Spain (RELATIVITY cohort) fa il punto sulle persone trans con HIV e la terapia long acting iniettiva con cabotegravir e rilpivirina. Come potere leggere, si tratta di una analisi descrittiva che fa il punto sui successi di questo trattamento nella comunità trans.

Da ultimo vi cito lo studio belga Tracing the evolution of polypharmacy and drug‐drug interactions in people living with HIV, che fa il punto sul fatto che le persone con HIV invecchiano, verosimilmente assumono parecchi farmaci e quindi fa un’analisi sulle possibili interazioni come per esempio l’uso di corticosteroidi o inibitori di pompa insieme alla ARV.

Sandro Mattioli
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