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Friends for life
, bordato da un bel fiocco rosso, è il nome di un gruppo Facebook dove si affronta il tema HIV, o, meglio, i vari temi che l’infezione porta con sé.
Si tratta di un gruppo chiuso, manco a dirlo, riservato, ma internazionale. Vi si trovano iscritti e iscritte pressoché da tutti i continenti.

1dicembre2012_plus-02A corollario del norme, troviamo la seguente frase: “... helping people affected by HIV/AIDS live well”, un bell’occhiello perché dice che scopo del gruppo è aiutare i sieropositivi a vivere meglio.

Fantastico vero? La HIV+ community globale riunita per scambiare esperienze e sostenersi a vicenda.

Anche io ho creduto che fosse questo lo scopo, finché una ragazza africana ha postato una domanda che, da sempre, considero la cartina tornasole della reale volontà e apertura mentale della gente:

so friends,what is your view on homosexuality?

Varie risposte ma un paio mi hanno colpito: un’altra ragazza africana ha iniziato la sua risposta scusandosi, ma affermando, nel contempo, che con il suo background culturale cristiano non è possibile che accetti i gay; un’altra ragazza, credo canadese, ha dato una risposta simile, aggiungendo che tutti devono essere liberi di scrivere quello che pensano.
Home Blog_smallLa discriminazione, proprio quell’elemento che è uno dei principali veicoli della diffusione di HIV, è un pensiero legittimo?
E, soprattutto, è legittimo che persone spesso discriminate per la condizione sierologica, si sentano autorizzate a discriminare per via dell’orientamento sessuale altrui?
Ne è nata una discussione lunghissima, in tutto simile a quella che possiamo leggere quando si tratta il tema gay nei post, blog o chat italiane.

Vi servo alcune chicche:
I don’t care about your gay ass that f in the bedroom. No its not about love gay is lust”.
God created Adam and Eve not Adam and Steve…”, questa è una perla… e così via.

Non c’è niente da fare: neppure HIV riesce a far digerire la diversità, neppure HIV riesce a far superare le ideologie razziste inculcate fin da bambini.
Per HIV abbiamo concrete speranze che arrivi un vaccino, ma per l’ignoranza e le posizioni ideologiche (c’è differenza?) temo che non ci sarà mai una terapia adeguata.
Ricordo un breve frammento di “+ o -Il sesso confuso”, un documentario su HIV in Italia diretto da Andrea Adriatico e Giulio Maria Corbelli, nel quale una ragazzina di un liceo diceva, vado a memoria, passi per i drogati ma i gay se la vanno a cercare.Bandiera gay
Frase sicuramente ingenua, ma, al contempo, di una verità disarmante. Sono convinto che molti italiani, anche e soprattutto omosessuali, pensino che i sieropositivi sono tali per colpa, e, per evitare sia la colpa che il pensiero, la comunità gay italiana ben raramente si occupa con serietà di HIV.
Come dico di solito, io non mi sento ne colpevole né innocente, cerco solo di sopravvivere. Ma nel farlo, forse per via degli anni che passano, sono sempre meno propenso a tollerare chi mi discrimina per un verso o per l’altro.
Credo che questo abbia inciso nel mio coming out… sta a vedere che più che il convincimento pesa lo stracciamento (di palle).

Fieramente gay alla faccia del mondo.

Sandro Mattioli
Plus Onlus
Chair

Paolo Gorgoni

English version below

Come un temporale estivo, un bel giorno mi sono arrivati nella posta elettronica gli inviti per due incontri internazionali, a Londra, il 7 e l’8 di Aprile (rispettivamente EMEA HIV Community Advisory Board ed EAME Community co-infection Advisory Board, organizzati e finanziati da GILEAD).

Senza rifletterci su un solo istante, ho accettato di partecipare.

Ho creduto che fosse importante per Plus essere presente in un simile contesto internazionale, anche se mi sono a lungo domandato quanto io -giovane attivista con così poca esperienza alle spalle- potessi essere all’altezza della situazione.

Ho cercato di non pensarci troppo e sono partito, ma soprattutto mi sono ripetuto che sarebbe stata un’ottima occasione per imparare molte cose nuove e confrontarmi con altre realtà.

Entrambi gli incontri sono stati infatti popolati da attivisti ed esperti provenienti da molti paesi d’ Europa: Francia, Belgio, Germania, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna, Regno Unito, Turchia, Grecia, Polonia, Svizzera.

La cosa più sorprendente è stata la rapidità con cui abbiamo individuato una serie di problematiche comuni alla maggior parte delle comunità di persone con HIV in Europa, prima fra tutte l’assoluta urgenza di elaborare strategie di comunicazione più efficaci e ideate per adattarsi sempre meglio ad esigenze specifiche di gruppi diversi (è un po’ la sfida che noi di Plus abbiamo raccolto pubblicando l’opuscolo Sesso Gay Positivo).

È urgente, fondamentale direi, che tale comunicazione relativa ad HIV sappia essere meno medica,Sesso gay positivo_web4 più vicina all’umano, alla persona. Una comunicazione che metta in luce il punto di vista della persona sieropositiva nella sua interezza, restituendoci fedelmente le sue difficoltà a inserirsi nel contesto sociale, ad affrontare la disclosure, a vivere al riparo dallo stigma e dalle discriminazioni sia sul piano affettivo/relazionale, che in contesti lavorativi e di comunità di appartenenza.

HIV è un problema che riguarda tutti, come è noto. Tuttavia, è altrettanto noto che gli MSM (maschi che fanno sesso con maschi) sono il gruppo esposto più colpito in Europa; un gruppo nel quale il numero delle nuove infezioni resta piuttosto alto in confronto alle cifre relative alla popolazione generale. O, ancora, come ha ribadito più volte Marion Wadibia (Naz Project London): molte delle nuove infezioni nel Regno Unito riguardano persone nate all’estero, appartenenti a comunità di colore o ispaniche.

È dunque chiaro che abbiamo bisogno di ripensare a degli strumenti di informazione e prevenzione generali, ma anche e soprattutto a dei linguaggi specifici che raggiungano le cosiddette popolazioni maggiormente a rischio in modo diretto ed efficace, generando una consapevolezza individuale che possa portare non solo ad una migliore capacità di fare prevenzione, ma anche ad un percorso più cosciente nella gestione del vivere quotidiano con HIV.

Un altro tema scottante è stato, infatti, quello dell’accesso alle terapie: un problema multisfaccettato. Da un lato la drammatica presenza di Late Presenters (coloro che scoprono tardivamente di avere l’ HIV, già nella fase avanzata dell’infezione o, comunque, dopo aver vissuto inconsapevolmente con HIV per molto tempo), dall’altro il sempreverde dilemma: quando iniziare la terapia? Cosa dicono le linee guida?

In merito mi sento di dire che il problema sembra essere anche italiano, come dimostrato dalle testimonianze mia e di Diego Pezzotti (ANLAIDS Lombardia). Le linee guida parlano molto chiaro e mettono in evidenza una serie di condizioni specifiche considerate sufficienti a valutare concretamente l’ipotesi di intraprendere il percorso della terapia.

sexhiv-78Nel nostro Paese, però, le discrepanze fra linee guida e mondo reale sono tante, profonde e soprattutto variegate: le unità sanitarie locali hanno le loro dinamiche interne, così che essere sieropositivo a Bologna, non è uguale ad esserlo a Brindisi, a Roma, a Siena o a Salerno. Spesso anche all’interno della stessa regione le scuole di pensiero sull’inizio della TARV (terapia anti retrovirale), sono molto diverse e basta spostarsi da un ospedale ad un altro per ricevere un’ assistenza sanitaria di qualità radicalmente differente.

È certo vero che l’empowerment, del singolo e delle comunità, è un obiettivo che dobbiamo continuare a perseguire noi attivisti, ma è pur vero che il paziente (ma preferisco dire “la persona che vive con HIV”) dovrebbe avere il diritto di relazionarsi con medici in grado di fornire un supporto globale all’individuo, attraverso una forma di interazione empatica, realizzando un rapporto di collaborazione che permetta di condividere scelte importanti relative alla salute e al benessere della persona. A tal fine si è parlato di cosa ci piacerebbe avere a disposizione: supporto specifico (un Peer Helper che collabori con le strutture sanitarie, ad esempio), una equipe medica strutturata per rispondere anche alle caratteristiche di certi gruppi (un medico gay, un infermiere musulmano, in generale un operatore sanitario “vicino a me”), un accesso al trattamento tempestivo e ben monitorato, maggiore facilità e rapidità nell’effettuare il test, la possibilità di accedere alla PrEP.

Relativamente alla Pre-Exposure Prophylaxis (PrEP), grazie anche allo spunto fornito dal questionario di Plus “useresti la PrEP?“presentato ad ICAR 2013 da Giulio Maria Corbelli, si èP1140024 discusso della possibilità di utilizzare questo strumento anche in Europa. Da un lato il fattore economico: tutti concordi nel definire l’investimento sulla PrEP un guadagno sul lungo periodo. Infatti la prospettiva di far precipitare il numero di nuove infezioni avvalendosi di questo strumento farebbe apparire meno catastrofico l’impatto della PrEP sui SSN.

Dall’altro la difficoltà di gestire l’utilizzo di questa strategia farmacologica, di stabilire dei criteri di somministrazione e di individuare i soggetti più adatti ad usufruirne.

Le questioni messe in campo sono state tante ed è sempre più evidente che non possiamo accontentarci di modalità di informazione ferme agli anni ’90.

Il profilattico resta uno strumento fondamentale per combattere la diffusione di HIV, ma non è più l’unico.

Bisogna iniziare a rendersi conto del ruolo fondamentale della TasP nella riduzione dell’epidemia.

Bisogna che si parli sì, di profilattico, ma anche di viremia, di carica non rilevabile e della possibilità di non trasmettere il virus che essa offre, di profilassi pre e post-esposizione.

Bisogna creare una maggiore conoscenza generale, bisogna realizzare una collaborazione più stretta fra gli esperti di comunità e gli operatori sanitari.

Bisogna soprattutto ricordare ogni giorno di “combattere HIV, non persone con HIV”.

Quella contro l’HIV non è mai stata e non sarà mai una battaglia soltanto medica.

Paolo Gorgoni
Plus Onlus

English version

Europe and HIV: synergies for a possible future

Like a summer storm, one day I received the invitations for two international meetings in London on the 7th and 8th of April (respectively EMEA HIV Community Advisory Board and EAME Community co-infection Advisory Board, both organized and funded by GILEAD).

Without thinking about it for a moment, I agreed to participate.

I thought that the presence of Plus would have been important (fundamental) in a similar international context, although I have long wondered how I -young activist with so little experience – could rise to the occasion.

I tried not to think about it too much and I left, mostly repeating to myself that it would have been an excellent opportunity to learn many new things and to confront with other realities.

Both meetings were in fact attended by activists and experts from many European countries: France, Belgium, Germany, Netherlands, Portugal, Spain, UK, Turkey, Greece, Poland, Switzerland.

The most surprising thing was the speed with which we have identified a number of common issues in HIV communities all over Europe; above all the absolute urgency to develop more effective communication strategies, tailored for the specific needs of different groups (it is a bit of the challenge that we’ve collected publishing the brochure Sesso Gay Positivo- Positive Gay Sex).

It is urgent, of critical importance I would say, for this communication about HIV to be less medical and closer to the human being, to the person. A communication that highlights the point of view of the people living with HIV in their entirety, faithfully displaying their difficulties in entering the social context, to address the disclosure, to live free from stigma and discrimination both n the affective / relational field, as in the workplace and community .

HIV is a problem that affects everyone, as it is known. However, it is also known that the MSM (Men who have Sex with Men) are the most exposed group in Europe, where the number of new infections remains quite high compared to the general population. Moreover, as Marion Wadibia (Naz Project London) stated repeatedly: many of the new infections in the United Kingdom concern foreign-born individuals belonging to Black or Hispanic communities.

It is therefore clear that we need to rethink the tools of information and general prevention, but also to set specific languages ​, in order to reach the most-at-risk populations in a so-called direct and effective way, creating a personal awareness that will lead not only to the improvement of prevention skills, but also to a more conscious route in the management of daily living with HIV.

Another hot topic was, in fact, that of the access to treatment: a multi-faceted problem. On the one hand the dramatically high number of Late Presenters (those who discover their HIV status in an advanced stage or, those who lived with HIV for a long time unknowingly) on the other hand the evergreen dilemma: when initiating therapy? What do the guidelines suggest?

About this, I would say that the problem seems to be widespread in Italy, as witnessed by mine and Diego Pezzotti’s (ANLAIDS Lombardia) personal experiences. The guidelines speak very clearly and highlight a number of specific conditions considered sufficient to assess specifically the possibility of embarking on the path of the treatment.

In our country, however, discrepancies between guidelines and the real world are many, especially deep and diverse: the local health units have their own internal dynamics, so that being HIV positive in Bologna, is not equal to being positive in Brindisi, Rome, Siena or Salerno. Often, even within the same region schools of thought on the beginning of ART (Anti retroviral therapy), are very different and just moving from one hospital to another is enough to receive a radically different health care assistance.

It is true that the empowerment of individuals and communities is a goal that we must keep on pursuing as activists, but it is also true that the patient (but I prefer to say “the person living with HIV”) should have the right to relate with physicians able to provide comprehensive support to the individual, through a form of empathic interaction, creating a partnership that allows the sharing of important decisions related to the health and well-being of the individual. To this end, we talked about what we’d like to have at our disposal: a specific support (a Peer Helper to collaborate with health care providers, for example), a medical team structured to respond to the characteristics of certain groups (a gay doctor, a Muslim nurse, in general, a health care provider “close to me”), an access to timely and well monitored treatment, to easier and faster ways to get tested, the possibility of access to PrEP.

With regard to the Pre-Exposure Prophylaxis (PrEP), thanks to the inspiration provided by the Plus questionnaire “Useresti la PrEP?” (Would you use PrEP?) presented at ICAR 2013 by Giulio Maria Corbelli, we discussed the possibility of using this tool also in Europe. On the one hand, the economic factor: all of the participants agreed in defining the investment on PrEP as a long-term gain. In fact, the perspective of plunging the number of new infections using this tool would seem to reduce the catastrophic impact of PrEP on the National Healthcare Systems; on the other hand, the difficulty of managing the use of this medication strategies, to establish the criteria for administration and to identify the most suitable patients to use them.

The questioned issues were so many and it is becoming increasingly clear that we cannot rely on the old fashioned communication modalities of the 90s.

The condom is a key tool to fight the spread of HIV, but it is not the only one.

We must begin to realise the fundamental role of the TASP in reducing the epidemic.

We must talk about condoms, but also about viremia, undetectable viral load (Swiss statement: “ a HIV-positive individual not suffering from any other STDs -Sexual Transmission Diseases- and adhering to ART -Anti Retroviral Therapy- with a completely suppressed viremia does not transmit HIV sexually”, Bulletin des Médecins Suisses 2008) and about pre-and post-exposure prophylaxis.

We need to improve the awareness, we need to build a closer coperation between community experts and health care providers.

Above all, we should remember everyday to “fight HIV, not people with HIV”.

The battle against HIV has never been and never will be strictly medical.

Paolo Gorgoni

Plus ONLUS.

ICAR2014_bannerLa VIa Conferenza italiana Aids, si è tenuta a Roma dal 25 al 27 maggio. Ha visto una partecipazione di oltre 1000 persone fra relatori e iscritti; 309 sono state le scholarship di cui ben 81 hanno consentito alla community di partecipare.

Con piacere ne do un giudizio complessivamente positivo, non solo per gli interventi interessanti che si sono susseguiti, anche per la consistente partecipazione della comunità dei pazienti. Quest’anno, infatti, siamo stati coinvolti a presiedere sessioni, incluso chi scrive, nella presentazione di progetti e ricerche, ecc. In altre parole, non siamo stati relegati nella riserva indiana come gli altri anni, ma la nostra collaborazione è stata cercata (ed ottenuta) a 360°. Mi IMG_1763sembra un passo in avanti molto importante.

Anche sul piano degli interventi, almeno per quelli che ho seguito io, la qualità è stata ottima e le informazioni molto interessanti. In particolare ho seguito gli aspetti relativi alla prevenzione e gli aspetti sociali, non da oggi infatti, penso che senza una adeguata attenzione ai temi sociali afferenti ad Hiv, difficilmente sconfiggeremo il virus, tanto meno riusciremo ad invertire la tendenza che vede un incremento nelle diagnosi in particolare proprio fra gli MSM (cfr http://www.iss.it/ccoa). Penso, primo luogo, alla discriminazione e allo stigma a cui le persone con hiv sono soggette fin dalla comparsa del virus. Doppio stigma, nel caso MSM-HIV+. Cosa di cui una parte della community presente ad Icar, stante quello che ho ascoltato durante una lecture, non sembra rendersi conto con buona pace dei dati pubblicati dal COA. Evidentemente abbiamo percezioni diverse.

Un tema, quello della stigma, che è stato ben trattato anche dalla nostra associazione, ha promosso la campagna “Se mi conosci, mi eviti?”, e che ha collaborato alla ricerca “Pratiche Positive” presentatPoster 131_Plus_ICAR2014a in Icar dal Responsabile Salute di Arcigay, Michele Breveglieri. Pratiche Positive ha dato risultati davvero interessanti soprattutto se si pensa che ha trattato il tema della discriminazione, subita o percepita, all’interno delle strutture socio-sanitarie. In particolare, è emersa l’enorme difficoltà che le persone HIV+ hanno nel dichiarare il proprio stato in ambito sanitario, soprattutto al dentista, o al proprio medico curante.

Ottime le presentazioni tenute da Giulio Maria Corbelli del Direttivo di Plus sul tema del test. Abbiamo infatti presentato in Icar sia una ricerca relativa a come, in che tempi e modalità le persone vorrebbero fare il test, sia una ricerca sui dati raccolti con la Testing Week. Dalla prima è emerso un dato davvero strano: una parte consistente dei rispondenti vorrebbe l’home testing ossia fare il test a casa propria. Cosa francamente non accettabile allo stato delle cose in Italia, appunto per il problema dello stigma. Senza un couselling adeguato è del tutto evidente che lo stigma resterebbe chiuso nelle case, insieme all’esito dell’home testing. Per non parlare della assenza totale di link to care.

Una buona valutazione è stata ottenuta anche dal test presso associazioni o fuori dal contesto ospedaliero. Le risposte raccolte con il nostro piccolo studio, ci portano a concludere che è urgenteIMG_1766 un cambiamento nelle strategie di testing in Italia, al fine di garantire un miglior accesso al servizio, la lunga attesa per i risultati e la burocrazia sanitaria rappresentano un ostacolo all’esecuzione del test. Fermo restando l’ottimo lavoro che svolgono gli ospedali italiani, i dati relativi alla late presentation dimostrano che quel lavoro non è sufficiente e che l’aiuto delle associazioni, in termini di sussidiarietà orizzontale, è decisamente auspicabile al fine di ampliare l’offerta del test con azioni meglio mirate alle popolazioni più colpite, seguendo l’esempio di quanto viene fatto in Europa ormai da anni.

Un primo passo nella direzione giusta ci è stato rappresentato da Corbelli, con la relazione sui risultati della testing week, effettuata anche da Plus l’ultima settimana dello scorso novembre.

Un solo dato: il 50% dei partecipanti, non aveva mai fatto un test per hiv.

È naturale chiederci quanto lo stigma incida nella scarsa frequenza con la quale ci testiamo, sia per hiv che per altre infezioni o malattie. La relazione del dott. Palefsky su HPV e cancro anale nella popolazione HIV+, è stata illuminante in tal senso. Rilancio il consiglio del medico Californiano: tutte le persone con HIV facciano un test rettale una volta all’anno; il consiglio vale anche per tutti gli MSM anche se siero negativi, stante che lo studio NA-Accord attribuisce agli msm una incidenza spaventosa.

Icar2014CerioliLargo spazio ha avuto anche l’infezione da HCV, come è giusto che sia stante l’elevata incidenza del virus dell’epatite C fra le persone sieropositive. Ma anche, curiosamente, l’epatite B. L’allarme è stato lanciato da Massimo Puoti: “è inaccettabile avere tante persone con HIV che prendono l’epatite B, dovremmo riuscire a vaccinare contro HBV tutte le persone sieropositive”.

Verissimo. Abbiamo il vaccino per l’epatite B eppure l’infezione gode di ottima salute. Questo dovrebbe farci sorgere un dubbio sulla gestione solo sanitaria e ben poco sociale delle infezioni a trasmissione sessuale, come le epatiti o l’HIV.

A mio avviso è stata molto interessante la presentazione della dott.ssa Pharris dell’ECDC, durante il simposio dall’eloquente titolo “The silent epidemic”. Buona parte dei dati del Centro europeo hanno, guarda caso, riguardato gli msm. Per il centro di controllo europeo, gli msm continuano ad essere un gruppo a rischio col il maggior numero di casi di HIV, seguito a ruota dai migranti. ECDC chiede di indirizzare verso questi gruppi azioni di prevenzione e di contrasto del virus. Ho la sensazione che nella pratica quotidiana, in Italia i migranti siano socialmente più accettabili degli msm.

Alessandra Cerioli, Presidente nazionale di Lila, è stata convinta a tenere un intervento sulla Tasp, terapia come prevenzione. È stato citato lo studio Partner, condotto su 1100 coppie sierodiscordanti di cui il 40% gay, che sta valutando le probabilità per una persona HIV+ con viral load undetectable di passare l’infezione. Per correttezza va detto che i dati finali dello studio arriveranno nel 2017, tuttavia è interessante che l’opinione dei curatori ad oggi sia che la stima più attendibile sia zero possibilità.

Il nostro opuscolo “Sesso gay positivo”, ha ricevuto la benedizione di Alessandra che ha inserito la IMG_1786copertina in una slide della sua presentazione sulla Tasp, come esempio di best practice. Elogiando la chiarezza delle informazioni sul tema esposte nell’opuscolo.

Rispetto al tema prevenzione, la parte del leone l’ha fatta l’ISS grazie a Barbara Ensoli che ha presentato i dati della fase due del vaccino anti TAT. Fase due open label chiusa in Italia, e in corso, ma prossima alla chiusura, in Sud Africa come studio randomizzato. I dati portati dallo staff della Ensoli, sia nelle comunicazioni orali che nel simposio, sono stati incoraggianti e ben esposti. Nel prossimo luglio si chiuderà la ricerca di fase due in Sud Africa finanziata dal Ministero degli Esteri e vedremo se questi dati italiani, saranno confermati anche dal randomizzato africano.

Siamo parlando di vaccino terapeutico, inoculato in persone con hiv stabilmente in terapia. A tre anni di osservazione, quello che appare sembra andare oltre le capacità di ricostituzione del sistema immune ottenibili con le terapie. Infatti gli inoculati hanno avuto una crescita qualitativa dei CD4 molto interessante, in termini di central memory. I dati mostrano inoltre l’abbattimento dei CD8 +term, più consistente dal secondo anno, che portano alla fine dell’attivazione del sistema immune causata da hiv; mostrano inoltre un crollo verticale del DNA provirale a 144 settimane, più consistente nei regimi art con PI, ma importante anche negli nnrti/nrti. Ovviamente sarebbe interessante uno studio di follow up per valutare quanto resiste l’immunizzazione, se il decremento dei IMG_1777reservoir viene confermato, ecc.

Step successivi saranno lo studio di fase III e la registrazione che si vorrebbe raggiungere entro il 2018, sempre che si trovino i fondi, stimati in 40 milioni di euro, necessari a completare la ricerca. Questo è il motivo per cui è stata creata una società a capitale misto con lo scopo di trovare i fondi ne chiudere la ricerca. Una procedura seguita da tutte gli enti che al momento stanno studiando vaccini contro hiv.

Né durante il simposio, né durante le letture ho visto traccia delle polemiche e del fango comparso in giro in queste ultime settimane. Non posso fare a meno di chiedermi nuovamente, a chi fa gioco far partire la macchina del fango ogni volta che la Ensoli riesce a chiudere una fase e riparte con la ricerca dei fondi per la successiva e anche perché tali contestazioni non sono state portate o replicate nella sede più opportuna: Icar.IMG_1761

Da ultimo ma non meno importante, voglio citare l’impegno dei volontari di Plus (Stefano Pieralli, Giulio Maria Corbelli, Michele Degli Esposti, Paolo Gorgoni, Jonathan Mastellari), che hanno allestito un bellissimo banchetto per promuovere la nostra associazione, hanno distribuito numerose copie dell’opuscolo “Sesso gay positivo”, suscitando molto interesse nella platea della conferenza, sia fra la community che fra i sanitari, dato informazioni e preso contatti importanti.

In futuro, spero sarà possibile estendere anche ad altri volontari la possibilità di fare questa esperienza, così da incrementare il numero della community presente ad Icar.

Sandro Mattioli
Plus Onlus
Presidente

Single di xxx, voglioso di una storia vera con persona in salute come me e senza patologie trasmissibili, ……. ma una storia vera, quella delle persone normali, non quella della persone fuori di testa…..voglio essere felice, non complicarmi la vita.

E’ un messaggio scritto da un utente del gruppo “GayItalia” su Facebook. Un gruppo chiuso ma che vanta oltre 2000 iscritti.

Lo leggo, e il mio primo pensiero è stato “ma guarda te sto ragazzino”… che faccio soprassiedo? Ma si dai… poi mi cade l’occhio sulla immagine di profilo dell’utente: altro che ragazzino! E’ un uomo adulto.
Ma si, gli rispondo: “ma che bel messaggio: ti auguro di innamorarti di una persona splendida e che vive con HIV.”

Do uno sguardo al profilo: pure operatore sanitario. Quindi gay, medico, non vuole complicarsi la vita e cerca una persona che non gli trasmetta nulla di infettivo. Come non capirlo povera stella.

Torno sul gruppo.

Puf… messaggio sparito. Contatto l’amministratore, ma dice che non ha cancellato nulla. Avrà tolto tutto l’utente.

Ma nella mia magica cartella facebook su gmail ecco che arrivano gli avvisi di risposta. Ci sono sia il mio messaggio, che un “auguralo a tua sorella……..sei incazzato dal mio msg perche’ tu hai hiv…..e che cazzo vuoi da me”. Una risposta scritta, evidentemente, un attimo prima di cancellare il trend.

Pratiche positiveNo, caro professionista sanitario non sono incazzato perché io ho l’hiv, per la verità non sono incazzato affatto: sono basito dal messaggio di discriminazione che hai messo a disposizione degli altri 2000 utenti. E lo fai essendo medico e omosessuale. E’ sempre molto istruttivo vedere come la comunità omosessuale, o parte di essa, reagisce davanti al tema hiv o patologie sessualmente trasmissibili. Di solito sceglie fra rimozione o discriminazione. La paura, e l’ignoranza che ne consegue, è tale, che siamo al punto che l’augurio di un amore sieropositivo diventa quasi una offesa. Ma stai pur tranquillo dott.: stante il numero di nuove diagnosi tardive fra i gay, sicuramente hai già fatto sesso con un sieropositivo che, con ogni probabilità, non sapeva di esserlo.

In compenso una cosa la sanno bene le persone sieropositive: la discriminazione esiste.

La ricerca Pratiche Positive, che ha visto anche la collaborazione di Plus, descrive chiaramente quello che accade in Italia. Una indagine condotta su un campione di oltre 500 persone sieropositive, la maggioranza gay, da cui emerge che 7 persone su 10 hanno subito una discriminazione. 4 su 10 proprio in ambito sanitario.

HIV_MSM 2012
Numero delle nuove diagnosi di infezione da HIV, per modalità di trasmissione e anno
di diagnosi (2010-2012)

Forse non tutti i gay sanno che l’epidemia in Italia ha preso una direzione molto chiara. E’ sufficiente leggere l’ultimo notiziario del ISS per capirlo: le nuove diagnosi mostrano i gay in decisa crescita, gli altri gruppi esposti in calo.

La nostra comunità è impegnatissima nel riconoscimento dei diritti, del matrimonio, ecc. perché dovrebbe spendere energie per una cosa che nessuno vuole ascoltare o sentire, per qualcosa che, con ogni probabilità, fa paura anche agli attivisti. Dopo tutto una volta all’anno arriva il 1 dicembre, giornata mondiale per la lotta contro l’hiv/aids. Sufficiente no?

E la comunità? I gay?

Negano, rimuovono, non fanno neppure il test con la frequenza necessaria. Meglio non sapere, non vogliono sapere.
D’altra parte, tornando al messaggio del nostro amico, perché mai dovrebbero fare il test? Per essere discriminati due volte: come gay dagli etero e come sieropositivi dagli stessi gay?

No, caro amico medico che non vuoi complicarti la vita, non sono affatto incazzato anzi, ti ringrazio.
Ora so perché la curva delle nuove diagnosi fra i gay sale in quel modo. Ora ho capito cosa volevano dire tutti quegli studi sul rapporto fra discriminazione crescita dei contagi presentati alla International AIDS Conference di Vienna.

Ora capisco perché le persone che chiamano la nostra Linea Positiva, si sentono sempre così sole e non sanno con chi parlare delle loro paure: perché temono che la comunità sia fatta di gente che non vuole complicarsi la vita.

Sesso gay positivo_web4Per fortuna le cose stanno cambiando. Anzi la fortuna non c’entra, cambiano grazie al lavoro di associazioni come Plus. Lo dico senza false modestie perché mettere insieme una associazione di gay sieropositivi nella quale anche chi non lo è sa che verrà creduto hiv+, vedere che i soci si iscrivono, si fidano, hanno voglia di provarci e mettersi in gioco, è per me una gioia enorme. Forse l’unica cosa, ad oggi, che mi sprona ad andare avanti, a darmi da fare in questa associazione, a dire sono sieropositivo.

Combattere la discriminazione è importante, ed è importante che siano le persone sieropositive a farlo. Noi.

Uscire allo scoperto, una specie di secondo coming out, è importante perché rafforza la nostra auto stima, la consapevolezza che non siamo né colpevoli né innocenti, siamo persone che vogliono vivere al meglio la propria vita, esattamente come gli altri.

Sandro Mattioli
Plus Onlus
Presidente

InfermieriEbbene sì: siamo arrivati agli infermieri a ore. Sulle pagine dei principali quotidiani locali, è comparso un articolo che descrive, non so con quanta consapevolezza, la situazione in cui versa la sanità bolognese. La Ausl di Bologna assumerà personale infermieristico per il periodo estivo, al fine di consentire al personale assunto a tempo indeterminato di andare in ferie. Il sindacato “abbozza”, cito Repubblica Bologna che sottolinea il placet di Cisl.

È arrivato il momento di attivare la precarietà anche in un lavoro utile a tutelare la nostra salute. Stante che secondo l’Ocse il lavoro precario incide negativamente sulla produttività, mi chiedo come sarà la qualità di quel lavoro, nella consapevolezza che sarà a termine, un lavoro delicato che si interrompe dopo tre mesi. Un po’ come una vita che ogni tre mesi si interrompe.

Oggi ho chi mi passa i ferri, fra un’ora ne ho un altro. Oggi ho chi mi fa un prelievo, fra un’ora chissà chi ci sarà. Una pezza messa per cercare di arginare un sistema che fa acqua da tutte le parti.

Non stupisce l’ok del sindacato, stante che, dopo lunghe discussioni, l’unico metodo escogitato per venire incontro al sistema destabilizzato e ormai palesemente in difficoltà nel fornire assistenza, è stato l’attivazione dei fondi di assistenza sanitaria integrativa, ossia l’ingresso delle assicurazioni Reteprivate nel sistema sanitario, con la felicità e l’approvazione degli stessi lavoratori. Felicissimi, perché ricevevano i rimborsi delle spese mediche effettuate… fino a qualche anno fa. Oggi anche i lavoratori devono contribuire con i propri soldi in media per il 50% dei costi indicati in fattura.

A nessuno è venuto in mente, ovviamente, che questo accordo sul sistema sanitario parallelo ha comportato mancati aumenti di salario consistenti.

Arriverà il giorno in cui la diagnosi del medico sarà sottoposta al giudizio preventivo dell’assicuratore? Secondo me non siamo molto distanti.

Credo però che la deriva privatistico-assicurativa si possa ancora evitare attuando pienamente e coerentemente con i principi contenuti nella riforma del titolo V° della Costituzione. Il tema è quello della sussidiarietà verticale e, soprattutto, a mio avviso, quello della sussidiarietà orizzontale.

Considerate le attuali scarse risorse economiche a disposizione dell’ente pubblico è necessario sviluppare una cultura del coordinamento e della sinergia dei servizi socio-sanitari tra pubblico e privato, dove per privato prima di tutto si intenda il terzo settore e le associazioni di categoria.

Devo però evidenziare che nonostante vi sia una possibilità concreta, attraverso la piena attuazione del concetto di sussidiarietà orizzontale, di poter garantire e addirittura ampliare i servizi socio sanitari alla persona, non si riesce, soprattutto culturalmente, a intraprendere compiutamente questa strada. So bene la fatica che sto facendo a percorrere questa via, stante che perfino gli enti che l’hanno approvata non la conoscono, non hanno mai realizzato le procedure necessarie all’attivazione di quel percorso. Un percorso che sarebbe in grado di offrire una mano consistente alla sanità pubblica con il sostegno del terzo settore.

Sandro Mattioli
Plus Onlus
Presidente

Si parla spesso di coming out nell’ambiente omosessuale. Sicuramente è un passaggio importante, spesso molto complesso e reso ancora più difficile da un ambiente sociale nel quale, nella migliore delle ipotesi, fatichiamo ad a riporre fiducia. Credo di non scrivere niente di nuovo per nessuna persona omosessuale, o LGBT in generale.Home Blog_small

Da molti anni nella comunità si discute dell’opportunità del coming out, come forte momento di consapevolezza, come primo passo verso la libertà di essere sé stessi e via dicendo. Dal mio punto di visto gli sforzi della comunità in tal senso sono giustificatissimi. Sappiamo tutti quanto stigma circoli ancora in Italia, quanto la propensione all’ignoranza, all’arsura intellettuale sia ancora presente in molti, troppi italiani. Correttamente la nostra comunità si protegge anche attraverso l’invito ad essere sé stessi, a non sovrastimare i rischi, a non avere un atteggiamento negativo nei confronti del proprio orientamento sessuale e delle possibili reazioni delle persone che ci circondano, che fanno parte della nostra vita. Siamo una comunità discriminata e sappiamo bene che nasconderci peggiorerebbe solo la situazione.

Detto questo, non posso fingere di non vedere come cambi l’atteggiamento di quella stessa comunità, quanto il coming out riguarda lo stato sierologico, ossia essere sieropositivi.

Ricordo spesso, anche durante le formazioni, la prima volta che lo rivelai all’interno di un gruppo di lavoro al Cassero, l’Arcigay di Bologna. Solo una ragazza ebbe il coraggio di aprire bocca per dire “ah!”. Mai accoglienza fu più fredda.

Ancora oggi la situazione non sembra essere migliorata di molto, in generale. Le persone sieropositive che ci contattano sono spessissimo terrorizzate dalla possibilità che “si sappia”, che altri gay facciano la spia. Al punto che non poche persone che vivono con HIV, rinunciano a tentare di instaurare rapporti sentimentali con altri omosessuali, pur di evitare ogni possibile rischio che “si sappia”. Altri scelgono la via del serosorting, ossia cercano un compagno solo all’interno della popolazione sieropositiva, escludendo per principio tutti gli altri: i sieronegativi.

Pochi giorni fa, ho visto un corto on line che trattava il tema:

http://www.hivplusmag.com/just-diagnosed/2013/11/14/watch-sexy-new-nsfw-gay-film-about-hiv-and-dating

HIVtestingHOTx400E’ un breve filmato americano che mi è piaciuto molto e che propongo a tutti. Non è particolarmente complesso da capire e ha il pregio di introdurre almeno un paio di concetti relativamente nuovi per la nostra comunità: il concetto di stato sierologico positivo undetectable, ossia con viremia non più rilevabile ai test, e il concetto, espresso per immagini e parole, che è possibile sentirsi sexy, desiderati, essere sé stessi anche con l’HIV tra i piedi.

Le persone sieropositive con viremia non più rilevabile, possono a buona ragione non sentirsi più contagiose. Questo non rende lecito abbandonare il preservativo e le comuni cautele, ma rende relativamente più semplice e più leggera la vita sessuale delle persone con HIV. Ottenere una viremia non rilevabile, non è impossibile, anzi è un traguardo alla portata di tutti anche nel giro di poco tempo dall’inizio della terapia anti retrovirale. Iniziare la terapia è un passaggio importante è vero, ma lo è anche la consapevolezza che, grazie alla terapia, c’è la concreta possibilità di non avere più paure inconfessabili di passare il virus alla persona amata. Il ruolo della terapia è appunto principalmente questo: abbattere la carica virale, ossia far si che il virus in circolo cessi di replicare. Se non si ottiene questo risultato pur seguento con attenzione le prescrizioni terapeutiche, allora non state assumendo la terapia adatta, in qualche caso potrebbe perfino essere lo specialista a non essere adeguato, nulla vieta di chiedere di cambiare sia l’una che l’altro pur di ottenere un risultato che, oggi, è una concreta possibilità per tutte le persone sieropositive.

Vivere con HIV oggi non può e non deve significare vivere in compagnia di paura, vergogna, senso di colpa, nello stesso modo in cui non lo era per i gay negli anni ’70. Oggi significa vivere con serenità il proprio stato nella consapevolezza che, grazie ai controlli e alle terapie, è possibile sentirsi sexy, attraenti, è possibile essere amati e rispettati. Basta volerlo e darsi da fare per ottenerlo.

Sandro Mattioli
Plus Onlus
Presidente
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catania-prideDa molti anni lotto perché credo che l’uguaglianza sia un diritto irrinunciabile, che la discriminazione sia una cosa schifosa, perché le persone LGBT possano vivere una vita migliore non relegata ai margini della comunità. Un po’ di anni or sono, mi è stata notificata la diagnosi di HIV e mi è apparso chiaro fin da subito che rivelare il mio stato sierologico nella comunità di appartenenza, sarebbe stato molto difficile.
La prima volta che dissi a un gruppo LGBT che sono sieropositivo, nell’interminabile silenzio imbarazzato che ne seguì, solo una persona ebbe il coraggio di dire qualcosa e disse “Ah!”.
Accoglienza, supporto, sostegno emozionale argomenti pressoché inesistenti in una delle maggiori comunità organizzate del Paese. Fu chiaro, quindi, che avrei dovuto lottare anche il quella sede per l’uguaglianza, contro la discriminazione, contro l’isolamento.
Da allora qualche passo in avanti è stato fatto, ovviamente. Se in un primo momento le persone mi cercavano di nascosto per parlare di HIV, oggi alcune persone si sono sentite sufficientemente a loro agio nella community per fare il loro secondo “coming out”, rivelando quindi anche lo stato sierologico, insieme all’orientamento sessuale.
Tuttavia, nel momento clou della vita politica delle organizzazioni LGBT italiane, i Pride, l’argomento HIV/AIDS è sempre stato complicato da inserire. Qualche evento collaterale collegato al Pride, qualche campagna di prevenzione, soprattutto negli ultimi anni, è stata portata all’attenzione della comunità, anche nella grande parata finale. Ma le facce perplesse dei partecipanti con il flyer in mano, tradiscono ancora oggi l’idea che l’HIV non c’entra con i Pride, che l’identità di una minoranza di MSM (maschi che fanno sesso con maschi) sieropositivi non ha spazio nella festa. Che c’entra dopo tutto? Ci vogliamo divertire non pensare a pochi sfigati.
Il punto è proprio questo. Ci siamo divertiti senza tenere conto né della possibilità, tutt’altro cheimage remota, che il virus entri nel nostro organismo, né della possibilità che una parte della comunità si senta esclusa o, quantomeno, non accolta.
Possibilità tutt’altro che remota perché siamo un gruppo esposto, in particolare noi MSM. I dati di prevalenza relativi alla nostra comunità, ci mostrano in modo inequivocabile che se è verissimo che HIV riguarda tutti, è altrettanto vero che non colpisce tutti allo stesso modo.
Dopo anni di lotte e, devo dirlo, anche di risposte deprimenti da parti di molti dirigenti gay, oggi siamo ad una svolta, spero, decisiva: Arcigay Catania ha deciso di tematizzare il Pride locale a partire da quest’anno, e il primo tema sarà l’HIV.
Il Presidente di Arcigay Catania, Giovanni Caloggero, ha chiesto a Plus di collaborare, insieme a LILA Catania, alla realizzazione di un Pride che lanci un segnale politico chiaro: HIV ci riguarda da vicino, noi siamo un gruppo esposto al rischio.
E’ una indicazione politica importantissima e molto forte, un segnale in controtendenza rispetto al generale sentire politico che ritiene sia meglio non rischiare una sovrapposizione fra HIV e popolazione MSM.
Lo slogan scelto dagli organizzatori è “Un Pride in Plus”. Uno slogan che nel citare direttamente il nome della nostra associazione, ci riconosce come interlocutori importanti. Ruolo che, ovviamente, saremo onorati di sostenere con la nostra presenza, i nostri volontari, le nostre magliette, gli slogan tesi a mostrare che una persona sieropositiva è fatta proprio come tutti gli altri, non è un mostro, non è un untore, è una persona che si innamora, che fa sesso, che si protegge e che non vuole essere discriminata.
Grazie ad Arcigay Catania finalmente possiamo dire che la comunità LGBT ha fatto il primo passo nella giusta direzione

Sandro Mattioli
Plus Onlus
Presidente

“Malik è felice. Sta per sposarsi. Eppure ha subito parecchie rotture in passato quando si è dichiarato sieropositivo”.

Mettere in luce la realtà della discriminazione verso chi vive con Hiv presentando storie di persone che sono riuscite comunque a realizzare la loro felicità. Ecco il pensiero di base della campagna realizzata da Prevention Sida, una piattaforma basata a Bruxelles e finanziata dal Ministero della Salute della Federazione della Vallonia che si occupa di ideare e realizzare campagne di prevenzione e lotta all’Hiv.

La campagna ha anche il pregio di non presentare solo “un” argomento: non solo la realtà della discriminazione in maniera generica, ma anche quella della diversità del paese di origine, nel caso di Malik e di Marie, una donna che ha appena partorito (“Eppure le persone intorno a lei avevano cercato di scoraggiarla dall’avere un bambino per via della sua sieropositività”). Oppure l’età che avanza, nel caso di Valérie che è “sollevata, l’operazione è andata bene. Eppure diversi servizi sanitari si erano rifiutati di intervenire perché era sieropositiva”.

Più sottile il “doppio argomento” della immagine di Sébastien (“Sébastien si sente meglio. Grazie alla terapia attuale ha potuto riprendere il suo lavoro. Eppure in passato il suo datore si era rifiutato di farlo lavorare in cucina”) che presenta l’argomento della discriminazione sul luogo di lavoro unitamente a quello del beneficio della terapia antiretrovirale.