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Anche se la protezione indotta dal vaccino può scemare dopo 36 mesi, il vaccino MenB-4C rimane moderatamente efficace contro la gonorrea.

Il vaccino MenB-4C, un vaccino meningococcico sierogruppo B a membrana vescicale esterna, è moderatamente efficace contro la gonorrea in varie popolazioni, secondo i risultati dello studio pubblicati su The Journal of Infectious Diseases.

I ricercatori hanno condotto una revisione sistematica e una meta-analisi per sintetizzare la letteratura pubblicata sull’efficacia del vaccino MenB-4C contro la gonorrea. Sono stati ricercati nei database manoscritti sottoposti a revisione paritaria pubblicati in inglese tra gennaio 2013 e luglio 2024 che valutassero l’efficacia del vaccino MenB-4C contro la gonorrea e la coinfezione gonorrea/clamidia, nonché la durata della protezione indotta dal vaccino. È stato utilizzato un modello a effetti casuali DerSimonian-Laird per stimare l’efficacia del vaccino combinato contro la gonorrea. Sono stati inclusi nell’analisi 8 articoli in totale, 4 dei quali sono stati condotti negli Stati Uniti, 2 dei quali sono stati condotti in Australia, 1 dei quali è stato condotto in Italia e 1 dei quali è stato condotto in Francia. Le fonti dei dati includevano registri di sorveglianza delle infezioni sessualmente trasmissibili (IST) collegate e registri di sistema informativo di immunizzazione, cartelle cliniche elettroniche e uno studio clinico randomizzato. L’unità di analisi dell’efficacia del vaccino era a livello di persona e di infezione in 5 e 3 studi, rispettivamente.

Le stime dell’efficacia del vaccino contro la gonorrea tra adolescenti e giovani adulti di età compresa tra 15 e 30 anni variavano dal 23% al 47% in 7 studi osservazionali. Due studi hanno dimostrato che 2 dosi di vaccino erano efficaci dal 32% al 33% contro la gonorrea negli adolescenti e nei giovani adulti di età compresa tra 15 e 25 anni. In uno studio su uomini adulti che hanno rapporti sessuali con uomini affetti da HIV e in cura per l’HIV, 2 dosi di vaccino erano efficaci al 44% contro la gonorrea. In un altro studio, 2 dosi contro nessuna dose di vaccino erano efficaci al 40% contro la gonorrea, mentre 1 dose contro nessuna dose di vaccino era efficace al 26%.

Sulla base di 9 stime da 8 studi, l’efficacia complessiva del vaccino contro la gonorrea dopo almeno 1 dose di vaccino era del 32,4% (95% CI, 26,2-38,7). Non è stato osservato alcun bias di pubblicazione o eterogeneità dello studio.

In un’analisi di sensibilità di 7 studi osservazionali, l’efficacia complessiva del vaccino contro la gonorrea dopo almeno 1 dose di vaccino è stata del 33,5% (95% CI, 26,9-40,1). Allo stesso modo, non è stato osservato alcun bias di pubblicazione o eterogeneità dello studio.

Un totale di 4 studi ha valutato l’efficacia del vaccino MenB-4C contro le monoinfezioni gonococciche. Due dosi di vaccino sono state efficaci al 31,6% e al 28,3% contro la monoinfezione secondo 2 studi. Un altro studio ha dimostrato che 2 dosi e 1 dose sono state efficaci rispettivamente al 40% e al 26% contro la monoinfezione. Il quarto studio ha rilevato che almeno 1 dose di vaccino è stata efficace al 23% contro le monoinfezioni.

L’efficacia del vaccino MenB-4C contro la coinfezione da gonorrea/clamidia è stata presa in considerazione in 4 studi. Due studi hanno dimostrato che 2 dosi di vaccino erano efficaci al 32,7% e al 44,7% contro la coinfezione. Altri 2 studi hanno indicato che il vaccino non era efficace contro la coinfezione.

Le limitazioni dello studio includono l’esclusione di articoli non pubblicati in inglese, piccole dimensioni del campione, risultati poco generalizzabili e potenziali bias di segnalazione e classificazione errata.

Secondo 1 studio che ha valutato la durata della protezione di 2 dosi di vaccino contro la gonorrea, l’efficacia contro la gonorrea entro 6-36 mesi dalla vaccinazione rispetto a oltre 36 mesi dalla vaccinazione era significativamente più alta (rispettivamente 34,9% contro 23,2%). Altri due studi con periodi di follow-up mediani di 37 mesi e 45 mesi hanno dimostrato un’efficacia di 2 dosi rispettivamente del 40% e del 44%.

Secondo i ricercatori “Sono urgentemente necessari dati provenienti da studi clinici in corso che stanno valutando l’efficacia del vaccino MenB-4C contro la gonorrea (genitale ed extragenitale) e la coinfezione gonorrea/clamidia e che stanno studiando un correlato di protezione immunitaria”.

articolo tradotto da EATG 1/9/2024

Per la prima volta nella sua storia ormai decennale, il BLQ Checkpoint chiede un contributo economico alla comunità.

E la comunità sta rispondendo bene.

Chi lo desidera contribuire, può farlo donando via:

  • Paypal
  • Eppela
  • oppure via bonifico: Codice Iban: IT57B0623002402000057898117 Crédit Agricole, via Marconi 16 Bologna – Plus aps – causale: erogazione liberale ambulatorio

Questi sono i motivi per cui stiamo coinvolgendo la comunità e tutti gli amici del BLQ Checkpoint.

È difficile riassumere il lungo lavoro che ha portato all’apertura a Bologna del primo Checkpoint italiano nel 2015. Un lavoro di advocacy di quasi 9 anni!
Nove anni spesi a cercare di far capire alle autorità regionali cosa fosse un centro di comunità, quali fossero le potenzialità di un approccio community based nella lotta contro HIV e le altre infezioni a trasmissione sessuale.
Ci siamo infine riusciti con grande fatica… ma forse no in realtà, se è vero che ancora oggi in Regione di fatto non sanno cosa facciamo, nonostante i report che ogni anno sono stati scritti a dimostrazione del lavoro svolto con i 35.000€ che la Regione eroga per il servizio.

9 anni di advocacy preparatoria e 10 anni di attività sempre precaria perché l’accordo con USL Bologna si rinnova di anno in anno, rendendo di fatto impossibile qualunque programmazione che coinvolga l’Azienda Sanitaria.

Nonostante i problemi e lo scarso interesse dell’autorità sanitaria, siamo andati avanti cercando fondi nel privato (che, al contrario, conosce bene il valore dei Checkpoint ben presenti in buona parte dell’Europa comunitaria) grazie ai quali siamo riusciti aprire nel 2018 un servizio PrEP rivolto a persone ad alto rischio di contagio per HIV.

Grazie al PrEP Point abbiamo messo in PrEP 320 persone, di cui abbiamo quasi 170 seguiti direttamente da noi.
Il servizio ha aperto nel 2018 non appena AIFA ha autorizzato il farmaco per la PrEP (Emtricitabina/Tenofovir DF), cosa resa possibile grazie al nostro lavoro preparatorio iniziato nei primi mesi del 2013, subito dopo l’approvazione del farmaco da parte della statunitense FDA.

Grande fatica, ma anche grandi soddisfazioni da parte degli utenti che hanno risposto in tanti, così come per la collaborazione del S. Orsola dott. Badia in primis e tutti i colleghi che ci danno una mano in forma volontaria, come, del resto, è volontario anche il personale infermieristico che ci aiuta con la raccolta dei campioni.

Sembrava che tutto funzionasse e che, per una volta, venisse data importanza alla salute dei cittadini. Nel maggio 2023, AIFA decide di concedere il rimborso della PrEP che passa a carico del SSN, quindi gratis per gli utenti, su prescrizione del medico infettivologo. Con una circolare la nostra Regione specificherà che l’infettivologo potrà prescrivere solo in orario di lavoro, solo nel suo ambulatorio malattie infettive o ambulatorio PrEP, ponendo di fatto il PrEP Point e i suoi utenti in una situazione quanto mai precaria dovuta al fatto che, a causa della circolare, i medici del S. Orsola che vengono da noi non avrebbero più potuto prescrivere la PrEP. Si prospettava un percorso assurdo che avrebbe costretto gli utenti a fare i test da noi, per poi passare in ospedale per la visita e la prescrizione, indi in farmacia ospedaliera per ritirare il farmaco, rendendo il tutto molto farraginoso.

Ovviamente Plus non ha lasciato correre perché c’era in gioco la sieronegatività di utenti ad alto rischio che l’ambulatorio PrEP del S. Orsola, come ci ha spiegato il direttore prof. Viale, non è in grado di assorbire oggi per domani tutti i nostri utenti.

Abbiamo quindi posto il problema all’Assessore Regionale Donini che ha dato disposizioni per risolverlo e la soluzione trovata – senza mai invitare Plus alle riunioni – è stata quella di realizzare un ambulatorio medico all’interno della sede del BLQ Checkpoint.

Sembra una cosa semplice ma non lo è affatto. Ci sono moltissime regole tecniche a cui ottemperare: metri quadri, luce e cubatura aria, lavabilità di muri e pavimenti, ecc., che, verosimilmente, fanno aumentare i costi. Per tacere della nomina di un direttore sanitario che non ci possiamo permettere. Solo per la ristrutturazione, siamo già a circa 20/25.000€ una spesa che, al momento, nessuno si è offerto di sostenere, incluso il Comune di Bologna che è il padrone di casa. L’Assessore Regionale si è detto disponibile a parlarne ma siamo in periodo pre-elettorale e non è chiaro come sia possibile muoversi.

Verosimilmente Plus dovrà cercare i soldi necessari altrove, e abbiamo iniziato con voi.

Un abbraccio.

Sandro Mattioli
Plus aps
Presidente

Dal qualche settimana stiamo assistendo alla presa di posizione dell’ordine dei biologi contro la possibilità di effettuare alcuni test di screening nelle farmacie. In pratica gli stessi test che fa il BLQ Checkpoint e tutti i centri community based italiani, così come tutti i Checkpoint in UE e da molti anni prima di noi.

In generale gli interventi che ho ascoltato sono spudoratamente corporativi e sostanzialmente ignoranti, ovviamente nel senso buono del termine. Nessuno nega che i test ufficiali effettuati nei laboratori di microbiologia siano i più attendibili sul mercato, ma il punto è che – per fare una battuta – non hanno mercato, ossia mediamente le persone fanno fatica ad andare in ospedale, farsi prevelare un campione che poi verrà inviato al laboratorio. Fanno fatica sia per gli orari assurdi degli ambulatori che costringono chi lavora a prendere fior di permessi che, in un mondo del lavoro precarizzato, raramente sono fattibili, sia perché in ospedale ci si entra quando si è malati non per fare prevenzione che, in effetti, dovrebbe essere fatta in altri luoghi. Quindi perché non la farmacia?

I vari tipi di test di screening hanno sicuramente dei limiti che vanno spiegati agli utenti. In genere le spiegazioni vengono comprese dalle persone e sono tali persone che devono essere messe nelle condizioni di scegliere se correre un rischio oppure no. Deve essere chiarito il periodo finestra, si deve tenere conto del periodo di incubazione del patogeno, temi che, del resto, riguardano anche i test di laboratorio… o si crede che in laboratorio un test per sifilide fatto a 2 giorni dal possibile contatto sia attendibile?

Si parla tanto di diffondere i test rapidi in modo da limitare le diagnosi tardive, ancora molto presenti in HIV per esempio, un campo dove l’Italia è fra le peggiori nazioni d’Europa.

Pur tenendo conto dei limiti dei test di screening che, del resto, sono test per i point of care non per gli ospedali, l’aiuto delle farmacie sarebbe perfetto.

Le farmacie sono disseminate lungo l’Italia in modo capillare in una logica di prossimità che potrebbe essere di grande aiuto e, soprattutto, sono tante: il nostro Paese vanta 100.000 farmacie. Se anche solo il 50% di esse accettasse questo nuovo ruolo, potremmo ottenere un incredibile incremento della possibilità di testing nel nostro Paese.

Invece no! Levata di scudi dei biologi tesa a mantenere in casa questo piccolo potere. Non che sia una novità, lo abbiamo visto anche su altri temi come quello della PrEP che potrebbe benissimo essere prescritta da un medico formato e invece chi vuole accedere a questa prevenzione deve ottenere una visita dallo specialista in infettivologia. Chissà come mai.

Con questa logica protezionista da bottega, chi ci andrà a guadagnare sono i batteri e i virus che proseguiranno per la loro strada, già li vedo applaudire e ringraziare per l’aiuto a mantenere lo status quo.

Sandro Mattioli
Plus aps

La conferenza è finita ed è ora di tirare le somme.

È stata la prima conferenza mondiale AIDS tenuta in Europa da anni, l’ultima è stata a Vienna nel 2010 se ben ricordo.
Plus ha deciso di investire con la partecipazione di ben sei attivisti. Immagino che anche gli altri 5 scriveranno due righe per il portale di Plus. Avrei voluto aggiungere uno spazio associativo nel Global Village ma gli affitti dei boot sono davvero stellari e per le associazioni dovrebbero essere decisamente più abbordabili.

Alla conferenza di Montreal due anni fa avevamo notato una contrazione degli spazi del Global, ma l’abbiamo attribuito alla situazione post covid. Oggi è chiaro che il problema sono i fondi, non tutti possono permettersi di spendere tanto per affittare spazi, portare attivisti che li popolino, il materiale necessario ecc. Quest’anno abbiamo fatto il possibile. Fra due anni spero che la IAS riveda il listino prezzi. Capisco che organizza una conferenza planetaria ma c’è un limite all’ingordigia. Limite che si è manifestato anche nella scelta della città, dello Stato ospitante, che ha comportato l’assenza di numerosi partecipanti ai quali la Germania non ha rilasciato il visto. Il Cancelliere Scholz, nel suo intervento, ha sottolineato i due miliardi che il suo Paese dona al fondo per HIV, TB e malaria. È evidente che le due cose combaciano.

Si è decisamente trattato di una conferenza mondiale, il numero esagerato di sessioni parallele sta li a dimostrarlo. Non ho visto grandi comunicazioni sul piano scientifico. Si è parlato molto della nuova molecola di Gilead, il lenacapavir, della quale sono stati comunicati i dati dello studio che ne prevede l’uso come PrEP iniettiva due volte l’anno ma a un prezzo stimato di 40.000 dollari. Si insomma la solita solfa: Gilead greed, l’avidità di Gilead, è stata immediatamente stigmatizzata dalle associazioni di pazienti presenti, anche in modo rumoroso… quest’anno lo stand di Gilead non è stato distrutto ma comunque ha vissuto bei momenti. Voi direte che i miliardi che Gilead investe per la ricerca di queste molecole hanno un peso nella definizione dei prezzi finali dei loro farmaci. Verissimo. Ma resta il fatto che per i due terzi del mondo questi prezzi non sono sostenibili. Verosimilmente questo tipo di PrEP sarebbe risolutiva proprio nei Paesi dove HIV è endemico, dove le donne che assumono la PrEP orale a volte vengono perfino aggredite, dove il rifornimento di pillole – per esempio nelle zone rurali distanti da tutto – non è sempre facile e l’aderenza ne risente. Dal momento che Gilead non iscriverebbe a bilancio neppure 1 centesimo proveniente da queste zone, tutti ci siamo chiesti perché non attuare delle politiche meno stronze e consentire la produzione locale di questo farmaco e, soprattutto, perché ogni volta lo dobbiamo ripetere.

Ci è stata data notizia di un altro paziente guarito da HIV grazie a un trapianto di staminali. Ci fa molto piacere per lui, speriamo di cuore che tutto proceda per il meglio, anche perché si tratta di una persona leucemica per cui i problemi sono molteplici. Detto questo spero che sia chiaro a tutti che non possiamo metterci in fila e farci fare questo tipo di trattamento molto pericoloso sperando di guarire da HIV. Tutti ci stanno dicendo che possono nascere nuove idee per una cura, quando vedrò studi scientifici nati da quelle idee sarò sicuramente più interessato. Il primo paziente guarito da HIV risale al 2007 e, per quello che ci è dato sapere, non mi sembra che le possibilità di cura si siano smosse dal trapianto su persone leucemiche. Nel frattempo purtroppo il primo paziente è morto nel 2020 di leucemia.

Nella conferenza mondiale AIDS di Monaco il dato positivo e di grande valore lo hanno tirato fuori i pazienti, i veri protagonisti di questa conferenza. Presenti sempre sul palco, previsti oppure no, sono stati i pazienti a segnalare le persistenti disuguaglianze che portano morti per AIDS (1 ogni minuto) e 1,3 milioni di nuovi casi di HIV all’anno. Ma stiamo scherzando??
Finalmente una conferenza dove ci siamo raccontati con le nostre speranze e le nostre imperfezioni (cito l’impressionante discorso in chiusura del ragazzo IDU, con le mani quasi paralizzate, grandi speranze nel cuore e parole talmente forti da alzare un monte).

E poi le proteste.

Nella conferenza di Washington, Hillary Clinton disse che senza proteste non c’è conferenza. Monaco non è stata da meno.
Trans rights now,
Sex work is work,
Lives over profit,
Communities are experts
sono stati gli slogan più efficaci.

Dalle proteste rumorose contro l’avidità di big pharma, a quelle arrabbiate per chi non ha ottenuto il visto e perché in pochissimi hanno parlato di Palestina, fino a quella garbata delle due sex worker africane che hanno interrotto la relatrice intonando un canto e coinvolgendo la relatrice in un balletto improvvisato, per poi raccontarci della discriminazione che subiscono le sex worker in un crescendo di toni accorati, fino a gridare che la pazienza è finita: stop discrimination, now!

La contestazione più riuscita ha visto gli attivisti e le attiviste raggiungere il palco centrale indossando camici da medici. Evidentemente qualche attivista a cui non è stato consentito l’accesso deve essersi sentito rispondere che gli esperti sono i clinici, i ricercatori. In effetti noi siamo solo quegli stronzi che vivono tutto questo schifo sulla loro pelle, siamo le comunità che vivono con l’HIV, siamo la spina dorsale della risposta all’HIV negli ultimi 40 anni. Gli attivisti lo hanno chiarito bene: we are expert. Il premio alla miglior scritta sul camice va a I dare you, vi sfido, I dare you to find a problem that communities cannot solve… Communities are expert.

Noi siamo esperti. Noi disegniamo, indirizziamo, partecipiamo agli studi scientifici; noi orientiamo i decisori politici, noi spingiamo affinché i risultati degli studi scientifici entrino nella pratica clinica, nella vita quotidiana delle persone che vivono con HIV; noi lottiamo per sconfiggere l’ignoranza e il silenzio che portano discriminazione, stigma e aumento dei casi di HIV. Noi siamo quelli che la Germania, gli USA e tanti altri stati non vogliono sul loro territorio perché siamo gay, sex worker, IDU, trans, migranti, persone criminalizzate e marginalizzate dalle leggi di Stati che si vantano della loro secolare democrazia sulla quale Pericle, vi do per certo, avrebbe pianto.

Le comunità a Monaco hanno tracciato la strada:

serve un’azione politica radicale, basta con i discorsi teorici, è necessario dare gambe alle parole.
Decriminalizzare l’omosessualità, il lavoro sessuale, il possesso e l’uso di droga, la trasmissione dell’HIV.
Concentrarsi sulla solidarietà tra i movimenti, sulle collettività e sulla giustizia sociale, dove ognuno fa la propria parte e agisce in solidarietà per amplificare gli sforzi degli altri.
Rivedere la governance di aiuti e donazioni secondo un modello di investimento solidale globale, per tutti i paesi di tutti i livelli di reddito, basato sul principio “da ciascuno secondo le sue possibilità, a ciascuno secondo i suoi bisogni”.
Liberare i paesi in via di sviluppo dalle catene del debito: gli aiuti non sono un regalo, ma giustizia dovuta per le devastazioni del colonialismo e dell’imperialismo che sono concausa, se non la causa, dell’impatto sproporzionato di HIV nei paesi in via di sviluppo.
Agire in modo proattivo e fermare i movimenti provita, antigender e così via che sono non già un sostegno ai valori tradizionali, ma una minaccia alla salute.
Finanziare a lungo termine le comunità i cui leaders devono essere posti al centro, coinvolti in ogni tipo di piano, politiche e programmi di lotta contro HIV o che hanno un impatto nella risposta contro HIV. “Niente su di noi senza di noi” (Denver 1983).
Interventi a supporto della salute mentale devono essere previsti in ogni iniziativa, programma nella lotta contro HIV.
Continuare ad esaminare come le determinanti politiche della salute (leggi e loro applicazione) influenzano e determinano situazioni di vulnerabilità rispetto alla salute, all’accesso alla prevenzione, al trattamento e all’aderenza al trattamento.

Troppa roba? Può darsi, ma c’è una speranza, “mio dio, io vivo di speranze”: Beatriz Grinsztejn è la nuova Presidente della IAS. È brasiliana, è lesbica annuncio messo li quasi per caso dalla Presidente, ma accolto con grande entusiasmo dalla platea. Chissà che a garota lésbica do Brasil non cambi le cose.

Sandro Mattioli
Plus aps.

La plenaria di oggi è stata particolare, come si dice di solito quando non ci piace qualcosa. È iniziata con un complesso ma interessante “a che punto siamo” sul tema della remissione che, in estrema sintesi, vuol dire lasciare HIV nel nostro corpo ma controllarne la replicazione. Come questo possa combattere l’attivazione immunitaria e la relativa infiammazione che ci porta ad avere una serie di problemi di salute, non mi è chiaro. Tuttavia, ragionando in direzione di una cura, sempre che la remissione sia l’unico obiettivo non irraggiungibile con le conoscenze attuali. In altre parole di guarire non se ne parla neanche.

La cosa insolita è che ne parlano pochissimo anche i pazienti, gli attivisti, le associazioni di pazienti che pur dovrebbero avere questo ambizioso obiettivo ben presente quantomeno sullo sfondo di ogni decisione politica e di ogni progetto. Mah… siamo strani.

La relatrice, Melania Ott, ci ha informato del fatto che l’HIV nei reservoir anche se silente comunque trascrive. Secondo lei se riuscissimo ad attaccare questa trascrizione raggiungeremmo la remissione. In realtà noi non abbiamo farmaci che bloccano la trascrizione per cui è tutto da inventare. Alcune molecole, che sono in fase di studio, potrebbero fungere da inibitori della trascrizione e prevenire la riattivazione dalla latenza.

La successiva relazione è stata tenuta da Ricardo Leite che ha cercato di convincerci sul valore dell’intelligenza artificiale nei vari campi della lotta contro HIV, prevenzione e gestione del paziente inclusa. Al netto delle potenzialità dello strumento, il dott. Leite sembrava che volesse venderci un qualche prodotto miracoloso con uno stile di vendita molto USA forse utile per vendere auto usate ma fastidioso in una conferenza mondiale. Tuttavia una cosa giusta l’ha detta: ormai gli ospedali sono imprese e ragionano troppo spesso in termini di produttività, neanche fossero la Ford. In effetti sentiamo spessissimo ragionane in termini di numeri di test effettuali, di esami eseguiti ma molto meno spesso osserviamo come stanno i pazienti. Quindi rimettere al centro il paziente… ok non è una cosa nuova, ma la similitudine fra la catena di montaggio di Ford e gli ospedali l’ho trovata molto efficace. Che sia la AI la soluzione non lo so ma sicuramente può essere un aiuto anche senza arrivare a proporre dei bot la posto dei medici.

L’ultima presentazione ce l’ha fatta, credo per la prima volta in una plenaria, Gesine Mayer-Rath di professione economista. In una articolata e francamente noiosa presentazione, ci ha spiegato come misurare l’impatto economico. Per esempio ci si può basare sul “capitale umano” ossia le persone, è possibile aggiungere la produttività, i costi di produzione e distribuzione, ecc. ecc. tutto decisamente al di la delle mie misere capacità, ma continuo a pensare che il fattore umano non possa che travalicare tali calcoli soprattutto quando si tratta di decidere di salvare la vita a qualcuno. Vorrei ricordare che non poi un milione di anni fa, la prestigiosa rivista Forbes sosteneva che trattare HIV non paga. Per cui comprenderete che l’attenzione su certe teorie possa tendere a scemare. Per fortuna la relatrice è dell’altra parrocchia e arriva a calcolare che per ogni dollaro speso nel rispondere alla crisi HIV, ci si guadagna da 1 a 3 dollari in “capitale umano”, che salgono da 2 a 13 dollari se prendiamo in considerazione una serie di fattori. Siamo salvi.

Accenno anche a due sessioni parallele a cui ho partecipato. La prima riguarda il tema della discriminazione. Due le relazioni più interessanti secondo me. Quella di Mario Sanchez del Kock Institute, che ha messo in relazione la discriminazione subita delle persone trans e non binarie in Germania, con la loro capacità di operare scelte di prevenzione. La seconda del dott. Noori di ECDC, che ha descritto cosa è emerso da uno studio realizzato fra gli operatori sanitari in merito ad atteggiamenti discriminatori. Ovviamente mi soffermo sui risultati, il 39% non ha conoscenze corrette su U=U, su PEP il 44%, su PrEP il 59%.

Addentriamoci: il 30% dei medici non ha chiaro cosa sia U=U e PEP, il valore sale al 50% su PrEP. Ovviamente questo è il meglio, le altre figure professionali sanitarie (infermieri, dentisti, ecc.) vanno peggio.

Rispetto al fare assistenza a persone con HIV il 53% ha dubbi, il 57% è preoccupato nel prelevare sangue e il 26% dichiara di indossare 2 guanti. Il 6% degli operatori sanitari non vuole avere a che fare con persone trans, sex worker, MSM; la percentuale sale al 12% se IDU. In merito alle ragioni mi limito a dire che il 50% ritiene gli MSM immorali, il 45% che gli IDU sono pericolosi per la salute degli operatori sanitari.

Il 12% ritiene che gli MSM se hanno HIV è perché hanno avuto molti partner sessuali, come un po’ tutti quelli che hanno HIV (12%), perché hanno tenuto un comportamento irresponsabile 22% e se sono viremici non dovrebbero fare sesso (26%).
Rispetto agli atteggiamenti discriminatori rispetto alle persone con HIV nel posto di lavoro, è stato osservato:

  • riluttanza a prendersi cura delle persone con HIV (22%);
  • rivelare lo stato sierologico di un paziente senza il suo consenso (19%;
  • qualità di assistenza sanitaria inferiore (18%)
  • commenti o linguaggio discriminatorio (30%).

Nelle conclusioni il relatore sottolinea un evidente gap di conoscenza sui temi HIV correlati fra gli operatori sanitari e il fatto che più è bassa la conoscenza, più alto è il rischio di commettere errori professionali come l’uso eccessivo di precauzioni. I due guanti sono certo che ha già mandato in bestia Rita (infermiera al PrEP Point di Plus).
Dallo studio emerge la necessità di interventi mirati sulle varie professionalità sanitarie.

Vi do rapidamente conto della sessione diretta da Sheena McCormack che con le sue ricerche e in particolare lo studio Proud ha grandemente contribuito a sdoganare la PrEP in Europa. Il tema della sessione verteva sulla semplificazione dell’accesso alla PrEP. Oggi le linee guida (e ovviamente anche il nostro protocollo) prevedono una prima visita corredata di test per HIV, HCV, HBV, sifilide, CT, NG e dosaggio della creatinina, seguito da una seconda visita a distanza di 4 settimane dalla prima e poi, a regime, una visita ogni 3 mesi. Per comodità cito il protocollo del nostro centro community based. In ospedale se possibile è anche peggio.

Da molte parti si sostiene che questo sistema non è sostenibile sia sul piano economico, sia per il fatto che terrebbe lontano dall’accesso alla PrEP molte persone. Pressoché l’intero panel era dell’idea di semplificare, alcuni al massimo ossia 1 test HIV e se negativo si prescrive la PrEP. Visita medica 1 volta all’anno, nel caso ci sono gli infermieri dedicati. Test praticamente solo ai sintomatici. A occhio direi che una aurea via di mezzo di da preferire in generale, mentre per quanto riguarda il PrEP Point di Bologna servirà una riflessione approfondita più sul metodo che sul merito, anche perché noi “selezioniamo” persone ad alto rischio di contagio per cui le IST sono molto frequenti, spesso i test ogni 3 mesi non sono del tutto sufficienti.

Sandro Mattioli
Plus aps

In questa conferenza caratterizzata dallo slogan put people first, non è quasi mai stata citata la situazione di Gaza dove gli ospedali sono stati distrutti o sono stati chiusi, dove sicuramente ci sono persone che con HIV ci vivranno ancora per poco, salvo consistenti interventi, dove, più in generale, l’esercito di Israele spara e uccide a seconda dell’estro del momento altro che diritto alla difesa. E’ vero, questa è una conferenza scientifica che si occupa di HIV, di salute ma la situazione palestinese è una global health issue.

Del resto, cosa c’è di salutare nella distruzione della Palestina e nel genocidio in atto della sua popolazione? Chi se non una società scientifica globale deve prendere posizione e partecipare alla pressione internazionale su Israele perché si comporti come uno stato civile non come una manica di assassini furiosi? A tutto questo hanno posto rimedio i ragazzi della Youth Force, che hanno posto forza e critica nel messaggio letto durante la protesta nella plenaria di oggi.

La critica alla IAS ci sta tutta, salvo essere degli ipocriti da quattro soldi, non è pensabile scrivere put people first e non dire niente dei palestinesi. Ma, del resto, come ho già scritto è evidente che per IAS ci sono persone e persone. Della guerra in Ucraina si è parlato molto e in diverse presentazioni. Nulla è stato detto delle persone, attiviste e attivisti, rimaste a casa perché la Germania ha vietato il visto. Chiudo sottolineando come ad ogni protesta degli attivisti, compare sul monitor centrale la scritta “We welcome protest at AIDS 2024“, posto che non abbiamo bisogno del permesso e che vorrei pure vedere il contrario, più che accogliere con favore le proteste, IAS deve assumerle come un’occasione di crescita.

La plenaria di oggi ha affrontato il tema della prevenzione, pertanto non poteva iniziare se non con “a che punto siamo con i vaccini”?
Spoiler: più o meno sempre a quel punto, almeno sul piano della concretezza, del qui e ora, e non ditemi che voglio tutto e subito perché sono passati 43 anni dall’inizio (ufficiale) dell’epidemia e 34 dal primo studio aidsvax sulla gp 120. Infatti la presentazione di Devin Sok si chiede “what does the future look like”. Usando in parecchie occasioni paralleli con gli atleti, che vanno individuati da piccoli (se ci si azzecca) e allenati per anni prima di vincere una medaglia d’oro, Devin ci ha parlato dello sviluppo di nuovi sistemi e percorsi vaccinali principalmente basati su anticorpi neutralizzanti che dovrebbero mettere il nostro sistema immunitario nelle condizioni di reagire efficacemente a un eventuale contatto con HIV.

Il relatore insiste molto sul tema dell’innovazione, che diversi studi sono in corso, ma segnala anche l’importanza di rendere affrontabili i costi per il passaggio dalla verifica teorica allo sviluppo. In pratica ci vorrà ancora molto tempo (e soldi) per cui, giustamente, la successiva relazione parla di PrEP.

La relazione inizia con una piccola cronistoria della prevenzione con la ART: la PrEP orale si può far risalire al 2010 con i primi risultati in termini di efficacia e ci sono voluti 2 anni per l’ok degli enti regolatori e 3 per l’ok di OMS… in Italia 5 anni solo per l’approvazione di AIFA ma questo è un film locale. Per l’anello vaginale si parte dal 2016 ma per arrivare all’ok di OMS ne passeranno altri 5.
Per la PrEP con cabotegravir in 1 anno e mezzo sono arrivata tutte le approvazioni (non in Italia).

La ricercatrice è felice di sottolineare questa velocizzazione e lancia la sfida per quanto riguarda il nuovo farmaco di Gilead, il lenacapavir (1 iniezione ogni sei mesi) del quale l’azienda ha comunicato proprio qui i dati conclusivi… in sé ottimi, il problema sono i costi come al solito.

Oltre ai costi della PrEP va considerata la capacità di diffusione che in 12 anni è arrivata ad appena 6,7 milioni di persone quasi tutti in PrEP orale. Ricordo che l’obiettivo di Unaids per la copertura di PrEP è di 10 milioni entro il 2025, ovviamente non sarà raggiunto anche perché preferiamo buttare soldi in guerre e nelle speculazioni che ne seguono.

Se 6,7 milioni in 12 anni non vi sembrano poi così pochi, vi ricordo che dal 2012 ad oggi ci sono stati 17 milioni di nuove infezioni da HIV. Inoltre, non è “solo” una questione di numeri totali ma anche di diffusione nelle aree maggiormente colpite da HIV e quanti fra le popolazioni chiave vengono raggiunti dalla PrEP… ovviamente i valori mostrati sono scandalosamente bassi non solo in Africa ma anche nei Paesi ricchi: negli USA la diffusione della PrEP fra gli afro-americani e i latini è decisamente fallimentare. La relatrice si sofferma di nuovo sul lenacapavir ed evidenzia quanto potrebbe essere rivoluzionario per le donne in particolare ma quanto tali potenzialità potrebbero essere rese vane dal costo del prodotto. Su questa base sollecita i vari stakeholder a muoversi fin da ora: le agenzie regolatorie perché agiscano in fretta, chi contratta i prezzi garantisca anche i volumi di prodotti necessari, OMS emetta le sue linee guida e raccomandazioni rapidamente, gli Stati sviluppino piani di implementazione, studi pilota, ecc. e cerchino di capire come incrementare la domanda di prevenzione. Sicuramente la PrEP deve essere semplificata, decentralizzata e demedicalizzata, serve innovazione anche in questi settori. Anche se non in tema la relatrice cita anche la PEP, efficace ma sotto utilizzata.

Nelle conclusioni la relatrice sottolinea come la PrEP non sia un lusso, semmai lo è non fare niente o non investire in prevenzione.

Sandro Mattioli
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La plenaria della terza giornata di conferenza mondiale AIDS, ha visto un tema vasto ma sicuramente importante: “affrontare le barriere strutturali”.
Gli speaker hanno affrontato il tema sotto molteplici punti di vista ma sicuramente gli attivisti sono stati prevalenti, come già nella precedente. Di solito le plenarie sono popolate da importanti relazioni che danno idea dell’indirizzo politico che IAS supporta.

Milos Parczewski dell’università di Pomerania, ci ha illustrato le varianti di HIV presenti nel mondo e, in particolare in Europa, la variabilità molecolare e l’epidemiologia locale.
Per capirci, posto che HIV1 è il tipo di virus principale in Europa, si suddivide in 4 gruppi oltre a una serie infinita di sottotipi e sotto-sottotipi. Del resto stante la velocità di replicazione supersonica di HIV, sarebbe stato insolito il contrario. A quanto pare il più popolare è il gruppo “C”, ma anche altri gruppi stanno prendendo piede. Fra gli altri motivi, anche le guerre aiutano a rimescolare le carte della presenza virale e della varietà di gruppi e sottotipi. Per esempio la guerra in Ucraina. Il ricercatore cita gli studi effettuati sui flussi migratori, per esempio verso la Polonia, causati dalla guerra e su come questi abbiano modificato i gruppi e sottogruppi presenti in quel Paese.
Lo so sembra accademia e in parte lo è in effetti, tuttavia i vari gruppi di HIV posso dare seguito a una diversa progressione verso la malattia. Alcuni gruppi sono più aggressivi di altri, oppure possono rendere più difficile la vita ad alcuni farmaci se non addirittura correlare con fallimento terapeutico. Prima che scappiate tutti dalla Polonia chiariamo che i farmaci di prima linea sono comodamente attivi contro ogni gruppo o sottotipo, senza contare che le persone con HIV sono sottoposte a test di controllo per cui un eventuale, futuro problema verrebbe immediatamente identificato, affrontato e risolto. Tuttavia conoscere quali sono le varianti più virulente può rendere più semplice il lavoro del clinico e anche la vita alla persona con HIV.

La seconda relazione, tenuta da Helen Clark ora presidente della omonima fondazione ma se non erro è stata anche Prima Ministra della Nuova Zelanda, è stata tenuta in forma discorsiva, tradizionale, senza slide, ed ha trattato l’importanza di una visione politica globale per affrontare temi globali come HIV, il riscaldamento del pianeta, ecc. Con il dovuto rispetto la relatrice ha toccato e ci ha ricordato una serie di punti e obiettivi sui quali lavoriamo ogni giorno come attivisti. Ovviamente meglio ricordarli che tacerli ma non ha portato alcuna novità o spunto di riflessione innovativo.

La successiva relazione è stata tenuta da Michaela Clayton dalla Namibia, che si occupa di diritti umani da una vita, sul tema della criminalizzazione di HIV che non ha alcuna evidenza scientifica ma continua ad essere utilizzato esplicitamente o in modo ipocritamente indiretto come in Italia.
La Clayton parte dal principio anzi, dai principi di Denver – si vede che anche secondo lei è ora di riprenderli in mano:

  1. Il diritto di essere coinvolti su ogni decisione presa
  2. Il diritto a vivere una vita piena sia dal punto di vista emozionale che sessuale
  3. Il diritto a trattamenti, visite mediche e servizi sociali di qualità senza discriminazioni
  4. Il diritto di ricevere spiegazioni complete su tutte le procedure mediche e i rischi correlati
  5. Il diritto alla privacy e alla confidenzialità
  6. Il diritto di vivere e morire con dignità

È ora di renderci conto che la criminalizzazione di HIV impatta su un range ben più ampio di diritti umani:

  • il diritto a un trattamento non discriminante davanti alla legge
  • il diritto alla vita
  • il diritto a poter accedere a alti standard di salute fisica e mentale
  • il diritto alla libertà e alla sicurezza come persona
  • il diritto alla libertà di circolazione
  • il diritto di chiedere e godere di asilo
  • il diritto alla privacy
  • la libertà di opinione ed espressione e il diritto di usufruire liberamente delle informazioni
  • la libertà di associazione
  • il diritto al lavoro
  • il diritto di sposarsi
  • parità di accesso all’istruzione
  • il diritto ad un adeguato standard di vita
  • la sicurezza sociale, l’assistenza e il welfare
  • il diritto a partecipare al progresso scientifico e ai suoi benefici
  • il diritto di partecipare alla vita pubblica e culturale
  • il diritto a essere liberi dalla tortura e da trattamenti o punizioni crudeli, inumani o degradanti

allora ditemi: quanti di questi punti si applicano anche nel nostro Paese che passa per essere così liberal? Da persona omosessuale che vive con HIV, che fa attivismo da oltre 20 anni, vi posso dire serenamente che sono ben pochi.

Ma tornando alla presentazione, nel mondo la criminalizzazione per HIV in termini di trasmissione, esposizione o non disclosure è ancora molto alta e non solo, come forse qualcuno crede, nei Paesi in via di sviluppo. Russia, Stati Uniti hanno leggi specifiche che criminalizzano.
Posso capire che in quadro di ignoranza generale ci sia chi pensa in termini vendicativi e chiede leggi che vadano nella medesima direzione.
Ma da nessuna parte, neppure in Europa, con il carcere e leggi punitive si è mai ottenuto un qualsivoglia risultato misurabile che non sia la legge del taglione. La criminalizzazione non ha alcuna base scientifica o epidemiologica, per cui è evidente che viene praticata per motivi che nulla hanno a che vedere con la lotta contro HIV.

Le difficoltà o il mancato riconoscimento della carica virale non rilevabile, del safer sex o la comunicazione dello stato sierologico come difesa contro l’azione giudiziaria, sono tutti atti la Clayton include nella logica generale della criminalizzazione. E poi c’è un bel planisfero dove compare l’Italia, colorata di viola, che vuol dire non legge specifica ma casi segnalati. In effetti l’Italia non ha una specifica legge che criminalizza HIV, ma comunque mette in carcere le persone che vivono con HIV. Dalla mappa risulta inoltre che 79 Paesi hanno leggi punitive per HIV, 4 hanno introdotto tali leggi nel 2022-24; nonostante alcuni successi la criminalizzazione dell’HIV continua a rappresentare una grave minaccia per la salute pubblica e i diritti umani.

Queste leggi, naturalmente, spesso si incrociano con la criminalizzazione del possesso di sostanze, con il lavoro sessuale, in alcuni stati anche con la criminalizzazione delle persone transgender così come dei gay e altri MSM, dice la Clayton introducendo una logica intersezionale.
Ma le leggi retrive non solo l’unica cosa che ci spinge indietro. La mancanza di dati attendibili, poca attenzione alla epidemiologia, la marginalizzazione di HIV (e di chi vive con HIV), un contesto generale sempre più repressivo e spazi di azione sempre più ridotti per la società civile, ecc. tendono a aiutare HIV. Ma, al netto di tutto questo, non importa non importa quali progressi scientifici raggiungiamo, dovremo sempre affrontare barriere a meno che non affrontiamo direttamente il piano dei diritti umani.

Decisamente mi serve un passaggio rigenerante alla Positive Lounge. Si tratta di uno spazio riservato alle persone che vivono con HIV che viene proposto ormai in tutte le conferenze mondiali aids. È un luogo dove le persone con HIV possono rilassarsi un pochino, bersi un caffè o usufruire dei servizi che (di solito) le associazioni locali organizzano per l’occasione dai massaggi rilassanti allo yoga.

Dopo la lounge ho deciso di iniziare a passeggiare per la foresta dei poster, ossia le centinaia di abstract, di studi, stampati in forma di poster e appesi nelle gigantesche sale del Messe. E inizia subito male per la IAS: il primo poster che leggo è un’analisi sullo spazio messo a disposizione delle donne e delle persone trans dalla conferenza. Emergono dati interessanti: speaker invitate 9%, speaker trans 1,2%; abstract presentati da donne HIV+ 2,4%, da trans 0,37%; scholarship donne HIV+ 6%, trans 1,27%. C’è abbondante spazio di miglioramento.
Un altro abstract ci dice che negli USA una ricerca indica che i farmaci long acting orali sono preferiti a quelli iniettivi. Un abstract francese ha studiato l’utilizzo dei MMG e la soddisfazione degli utenti, per la PrEP. Mi cade l’occhio su uno strano studio che analizza quanto l’uso di silicone liquido incida nell’aderenza terapeutica nelle donne trans argentine. Era presente una delle autrici, felice di poter finalmente parlare “castellano”, che mi si presenta direttamente come trabajadora sexual…muy orgullosa, evvai. Mi spiega tutto lo studio e specifica che il finanziamento era del precedente ministero della salute, non questo di Milei.

Sandro Mattioli
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Uno degli slogan della Conferenza è “Put people first”. Tuttavia molti attivisti che non vivono negli Stati “giusti” non hanno potuto partecipare perché la Germania ha negato loro il visto, in diversi casi motivato con il fatto che non sono ricercatori, a quanto dicono le associazioni, sono solo quegli stronzi che HIV lo vivono direttamente sulla loro pelle. E’ incredibile che ancora oggi non sia chiaro che i veri esperti nella lotta contro HIV sono le attiviste e gli attivisti che ogni giorno si confrontano con gli imbecilli che ci discriminano, anche membri delle nostre community, sono quelli che ogni giorno fanno scelte drammatiche come decidere se allattare un figlio e passargli HIV o vederlo morire di fame, o chi ogni giorno viene aggredito se dice di vivere con HIV.

Eppure ecco che un qualsiasi Stato decide chi può o non può partecipare a una conferenza come questa, nata e cresciuta proprio grazie alla collaborazione fra attivismo e ricerca scientifica.
IAS ha già emesso un comunicato ridicolo dove si legge che non può incidere sulle scelte nazionali della Germania. Il che ovviamente è vero, ma può scegliere di fare la conferenza in uno Stato dove le leggi immigratorie non sono pensate per mantenere i privilegi di quattro politici bianchi.
Il punto vero è che la Germania dona miliardi di euro, per cui il dubbio che certe scelte abbiano molto a che fare con i soldi è bello forte.

È su questa base che le associazioni hanno organizzato una protesta durante la plenaria: diverse decine di attivisti in camice bianco (opportunamente disegnato), hanno issato cartelli “we are the expert” e “visa denied”. Una sedia vuota con sopra quest’ultimo slogan è stata lasciata sul palco a rappresentare le numerose assenze di attivisti.
Non è certo la prima volta che accade, perfino quando la conferenza tornò negli USA, perché il Presidente Obama aveva rimosso il divieto di ingresso negli USA delle persone con HIV, rimase il blocco per le/i sex worker o le persone che assumono sostanze, ecc. che mandarono video denunciando di non poter essere presenti grazie a leggi assurde.

Ma torniamo alla plenaria che, nella logica del put people first, è incominciata con la relazione di Anna Turkova dal University College London che ci ha illustrato la situazione dei bambini con HIV. 1,4 milioni di bambini vivono con HIV, la grande maggioranza manco a dirlo in Africa. Anche se in 10 anni il numero di nuove infezioni fra i bambini è sceso di 100.000 unità in generale, ma ancora in Africa si registrano enormi difficoltà in questo settore, a partire dalla messa in ART delle donne in gravidanza. Il 47% delle nuove infezioni nei bambini è dato dal ritardo di inizia della terapia o dall’allattamento al seno. Del resto, come ho scritto sopra, in molte zone rurali africani le mamme devono scegliere se far morire di fame i loro figli o allattarli e passare HIV. Se in queste zone è complicato e difficile raggiungere la soppressione virale per un adulto, vi lascio immaginare le percentuali di HIV che registrano i bambini e quanto possano essere lontani dalla viremia “azzerata”.
Numerosi sono i progetti che cercano di porre rimedio a questo enorme problema, ma si tratta di progetti finanziati da donatori o fondazioni che non sempre danno continuità. Molte speranze vengono riposte nei long acting per la prevenzione ma i costi altissimi li rendono inaccessibili.

Dopo la protesta degli attivisti in camice, è la volta della presentazione di Richard, un attivista dell’inglese THT (Terence Higgins Trust), forse la più vecchia associazione contro HIV d’Europa. Sempre nella logica People First, Richard si chiede se le associazioni sono la chiave per raggiungere gli obiettivi di UNAids. Intanto ci mostra che la situazione britannica non è delle migliori, cosa che ignoravo. Secondo i dati presentati si registrano problemi nella cascade of care così come nello stigma. Impressionante il dato secondo il quale 2/3 degli abitanti non bacerebbero una persona con HIV. Naturalmente ecco quello che le associazioni britanniche stanno facendo moltissimo per raggiungere gli obiettivi dati entro il 2030, in particolare sulle determinanti sociali. In effetti, c’è chi ha calcolato che le determinanti sociali contribuiscono per il 40% delle nuove diagnosi, problemi che le associazioni affrontano con il 10% dei fondi disponibili.
Le conclusioni dell’attivista sono molto chiare: nessun gruppo può raggiungere da solo gli obiettivi di UNAids, ma sicuramente non si raggiungono senza il lavoro delle associazioni di volontariato che è sottostimato e poco apprezzato. Cosa che deve finire.

L’ultima presentazione è di Olga Gvozdetska direttrice generale di salute pubblica presso il Ministero della salute ucraino. Una presentazione molto forte che inizia con le foto dell’enorme ospedale pediatrico, 700 bambini ricoverati, 9.000 operazione annue, di Kiev prima e dopo la sua distruzione a opera dei missili russi.

Con la voce rotta Olga ci ha raccontato le vicissitudini sanitarie di un Paese in guerra. Un Paese che aveva ottenuti buoni risultati nella lotta contro HIV convincendo lo Stato a farsi carico centralmente del problema. Con la guerra l’Ucraina ha rischiato il crollo sui nostri temi, lo Stato ha dovuto cessare qualunque investimento come è facile immaginare, ma ha saputo reagire. A fronte della distruzione dei principali centri clinici del Paese il Ministero ha attuato una fitta azione di decentralizzazione utilizzando, da un lato, tutte le risorse disponibili nelle province anche le strutture associative; dall’altro lato chiedendo aiuto al fondo monetario internazionale e al fondo globale per HIV, TB e malaria che stanno tenendo in piedi la situazione. Grazie al supporto internazionale l’Ucraina sembra essere riuscita a riprendere il controllo e a tornare ai valori prebellici.

Sono arrivato nella capitale della Baviera per partecipare alla conferenza mondiale AIDS 2024, con un volo che è andato bene, tranne che l’attesa per i bagagli è durata più del volo. Ai miei colleghi è andata peggio perché Lufthansa gli ha cancellato il volo sotto al naso, poco prima dell’imbarco, facendo perché un’occasione agli attivisti e soldi all’associazione, che di certo non ne ha da buttare via. Almeno per quello che riguarda la mia esperienza, Lufthansa si è sempre dimostrata una compagnia brava nel fare soldi.

Ma invece di darle le perle, torniamo alla conferenza che ovviamente un po’ ha sofferto della situazione voli, così come visti perché pure i tedeschi quanto a leggi immigratorie non scherzano. Il mio amico Marco Stizioli ha già fatto notare che sono tutti a dire di non voler lasciare indietro nessuno o di mettere le persone al centro e poi quelle persone manco riescono ad ottenere un visto per entrare in Germania. Situazione comune ad altre grandi civiltà che pur di dotano di leggi immigratorie che non esito a definire assurde, che so… gli USA?

Dico questo perché la sessione a cui volevo partecipare stamattina verteva su un progetto del Kenya che ha posto al centro le farmacie di comunità per implementare il numero di persone in terapia, ma non sapremo mai che cosa sono le community pharmacy perché la sessione non si è potuta tenere proprio per un problema di vista (secondo i gossip).

Pertanto mi sono fatto un giro al Global Village, ridente, colorato e vibrante villaggio popolato da tutte quelle marginalità, quelle persone che vivaddio non sono normali secondo le elucubrazioni di qualche militare italiano. E così camminando fra sieropositivi orgogliosi, persone trans, sex worker, prepster ecc. ecc. mi sono ritrovato nello spazio che EATG (European AIDS Treatment Group) ha deciso di dedicare non già ai tre 95, ma a quelli che restano fuori: i tre 5. E infatti lo spazio si chiama 5-5-5. Una idea geniale.

Proprio in questo spazio, Marco Stizioli – ormai membro EATG a pieno regime – ha presentato l’intervento che Marco Barracchia ha realizzato con l’aiuto di PrEP in Italia e un pochino anche di Plus (trovate il video nel canale you tube dell’associazione). La presentazione è andata molto bene, è stata centrata sui tempi della PrEP che in Italia è arrivata anni dopo gli USA, sui problemi socio-culturali, di discriminazione strutturale che guastano il nostro Paese, ma anche sui successi che, anche se tardivi, siamo riusciti ad ottenere.
Un’attivista, credo africana seduta di fianco a me, ha commentato con “i soliti privilegiati” una slide che descriveva la situazione degli MSM. Le ho fatto notare che in Italia i privilegiati cubano il 40% delle nuove diagnosi e che il suo commento era quanto di più offensivo e discriminatorio potessi sentire, completamente fuori luogo nel Globale Village. Lei mi ha dato ragione e si è scusata. Finita la sessione è andata via quasi correndo. Sicuramente era in ritardo per un altro evento, ma mi piace pensare che fosse un po’ dispiaciuta per l’accaduto e volesse evitare il confronto. Nel frattempo qualcuno ci ricorda cosa sta accadendo il Palestina e tutto riacquista la giusta dimensione.

La “Opening Session” quest’anno è stata abbastanza spartana e, per la verità, spero che anche le prossime conferenze mondiali seguano l’esempio tedesco. Al di là delle solite parole di benvenuto, i due interventi più interessanti sono stati quelli di Winnie Byanyma, attivista ugandese di lungo corso, ingegnere, politica, diplomatica, nonché direttrice esecutiva di UNAIDS per 4 anni. Quindi abile nell’usare le parole e, infatti, ha iniziato ringraziando la ricerca, gli attivisti, i politici, perché oggi il 77% delle persone con HIV nel mondo sono in terapia. Erano il 47% dieci anni fa. Siamo cresciuti del 30%, “good job” grida Winnie. Ma, c’è sempre un ma quando si comincia con gli aspetti positivi, i politici iniziano a fare marcia indietro, i fondi stanno calando e devono essere mantenuti e devono andare nella direzione di proteggere le donne in particolare, che ancora oggi raggiungono percentuali di incidenza da capogiro.

Una piccola pause e poi il colpo di teatro: l’attivista chiama in causa direttamente e più volte Gilead, la multinazionale del farmaco. “I know you are in the room” – dice Winnie – e la ringrazia perché Gilead è riuscita a creare un farmaco iniettivo che si chiama lenacapavir (il primo inibitore del capside che si pensa possa essere efficace per sei mesi come PrEP iniettiva), che come prevenzione è un miracolo. Ma nei Paesi africani ha un prezzo troppo alto, quindi un miracolo inutilizzabile. L’attivista arriva a chiedere un prezzo di 100$ all’anno. Un farmaco così sarebbe perfetto per prevenire HIV nelle donne africane che non rischierebbero di essere aggredite perché viste mentre ingoiano le pillole di PrEP.

Gli applausi sono scrosciati manco a dirlo. Da che ho memoria, non ricordo che qualcuno abbia tirato in ballo direttamente, con tanto di ragione sociale, una big pharma e abbia citato il nome di un principio attivo. È stata brava e coraggiosa. Tuttavia non posso non sottolineare che la politica ugandese non ha detto una parola sulla legge che proprio in Uganda sta mettendo alle strette la popolazione LGBT che rischia il carcere, se non la pena di morte. Dubito che questa norma aiuterà la lotta contro HIV.

A seguire l’intervento del Cancelliere Scholz. Il quale ha colto al volo le richieste di chi l’ha preceduto e ha ricordato l’enorme finanziamento che ogni anno la Germania eroga al fondo mondiale per la lotta contro HIV, TB e malaria e che continuerà a versarlo; che la Costituzione tedesca tutela la dignità umana a prescindere dal genere, dal colore della pelle, da chi ami ecc. e continuerà a farlo… e così via le cose che tutti i politici dicono, con la differenza che forse in Germania chi prende impegni in un consesso internazionale poi si ricorda di averli presi. In Italia i politici nazionale non partecipano pressoché mai neppure alla conferenza italiana per cui non si pone neppure il problema di quel che raccontano.

Nel mentre che veniva annunciato lo spettacolo di chiusura, si sente una voce dal microfono della platea. È una ragazza che legge un comunicato, in un inglese un po’ affaticato che compensa con l’autenticità e la rabbia di chi non vuole più essere di scriminata perché trans.

Rabbia che esprime leggendo con la foga di chi non ne può più. Legge una lunga serie di “basta”, di richieste e man mano che legge alte persone si alzano e le vanno vicino. Alla fine saranno diverse decine di persone vicino a lei e tutta la platea la incita con grida e applausi, finché concludono tutti insieme con “trans rights now”. Un bellissimo esempio di comunità che lotta per i diritti di una sua parte, molto emozionante. Spero davvero che porti a qualcosa.

Sandro Mattioli
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Grazie alla disponibilità dell’Azienda Sanitaria, anche nel 2024 si terrà il corso di formazione per i volontari del BLQ Checkpoint, nonché di Plus e del PrEP Point.

Il corso inizierà il 28 settembre 2024 e terminerà nel week end del 8-10 novembre con il consueto laboratorio residenziale. L’iscrizione è obbligatoria.

Per partecipare è necessario inviare una mail a:
info@plus-aps.it indicando:
nome e cognome
numero di cellulare

Salvo diversa indicazione, le ore d’aula si terranno presso la Casa della Salute Porto-Saragozza in via Sant’Isaia 94a, Bologna.

Le ore d’aula nella Casa della Salute Porto-Saragozza, sono aperte a chiunque voglia approfondire gli argomenti trattati, quindi anche se non vuoi fare il volontario ma ti interessano i temi, sei libero di entrare ed ascoltare. Invece la parte residenziale del corso – che si terrà in una sede da definire – è riservata a chi vuole fare il volontario.

Il limite massimo di iscrizioni per ogni sessione è di 20 persone. Il corso è gratis. L’organizzazione tecnica è a cura dell’Azienda Sanitaria di Bologna che ne effettua anche la certificazione. Per cui se qualcuno fanno comodo alcuni crediti formativi, si faccia avanti e li richieda. Maggiori informazioni vi saranno fornite dalla responsabile, dott.ssa Valeria Gentilini, all’inizio del corso.

Ecco la bozza di programma. Le eventuali variazioni verranno effettuate su questa pagina del sito di Plus. Restate connessi:

28 settembre5 ottobre12 ottobre19 ottobre26 ottobre
Aula BrugiaAula ColonneAula ColonneAula ColonneAula Colonne
9,30-13,309,30-11,309,30-11,309,30-13,309,30-13,30
Plus e i suoi servizi: BLQ Checkpoint – PrEP PointEpatiti B e C:
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11,30-13,3011,30-13,30
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Gionathan Orioni