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Articoli

In questa conferenza caratterizzata dallo slogan put people first, non è quasi mai stata citata la situazione di Gaza dove gli ospedali sono stati distrutti o sono stati chiusi, dove sicuramente ci sono persone che con HIV ci vivranno ancora per poco, salvo consistenti interventi, dove, più in generale, l’esercito di Israele spara e uccide a seconda dell’estro del momento altro che diritto alla difesa. E’ vero, questa è una conferenza scientifica che si occupa di HIV, di salute ma la situazione palestinese è una global health issue.

Del resto, cosa c’è di salutare nella distruzione della Palestina e nel genocidio in atto della sua popolazione? Chi se non una società scientifica globale deve prendere posizione e partecipare alla pressione internazionale su Israele perché si comporti come uno stato civile non come una manica di assassini furiosi? A tutto questo hanno posto rimedio i ragazzi della Youth Force, che hanno posto forza e critica nel messaggio letto durante la protesta nella plenaria di oggi.

La critica alla IAS ci sta tutta, salvo essere degli ipocriti da quattro soldi, non è pensabile scrivere put people first e non dire niente dei palestinesi. Ma, del resto, come ho già scritto è evidente che per IAS ci sono persone e persone. Della guerra in Ucraina si è parlato molto e in diverse presentazioni. Nulla è stato detto delle persone, attiviste e attivisti, rimaste a casa perché la Germania ha vietato il visto. Chiudo sottolineando come ad ogni protesta degli attivisti, compare sul monitor centrale la scritta “We welcome protest at AIDS 2024“, posto che non abbiamo bisogno del permesso e che vorrei pure vedere il contrario, più che accogliere con favore le proteste, IAS deve assumerle come un’occasione di crescita.

La plenaria di oggi ha affrontato il tema della prevenzione, pertanto non poteva iniziare se non con “a che punto siamo con i vaccini”?
Spoiler: più o meno sempre a quel punto, almeno sul piano della concretezza, del qui e ora, e non ditemi che voglio tutto e subito perché sono passati 43 anni dall’inizio (ufficiale) dell’epidemia e 34 dal primo studio aidsvax sulla gp 120. Infatti la presentazione di Devin Sok si chiede “what does the future look like”. Usando in parecchie occasioni paralleli con gli atleti, che vanno individuati da piccoli (se ci si azzecca) e allenati per anni prima di vincere una medaglia d’oro, Devin ci ha parlato dello sviluppo di nuovi sistemi e percorsi vaccinali principalmente basati su anticorpi neutralizzanti che dovrebbero mettere il nostro sistema immunitario nelle condizioni di reagire efficacemente a un eventuale contatto con HIV.

Il relatore insiste molto sul tema dell’innovazione, che diversi studi sono in corso, ma segnala anche l’importanza di rendere affrontabili i costi per il passaggio dalla verifica teorica allo sviluppo. In pratica ci vorrà ancora molto tempo (e soldi) per cui, giustamente, la successiva relazione parla di PrEP.

La relazione inizia con una piccola cronistoria della prevenzione con la ART: la PrEP orale si può far risalire al 2010 con i primi risultati in termini di efficacia e ci sono voluti 2 anni per l’ok degli enti regolatori e 3 per l’ok di OMS… in Italia 5 anni solo per l’approvazione di AIFA ma questo è un film locale. Per l’anello vaginale si parte dal 2016 ma per arrivare all’ok di OMS ne passeranno altri 5.
Per la PrEP con cabotegravir in 1 anno e mezzo sono arrivata tutte le approvazioni (non in Italia).

La ricercatrice è felice di sottolineare questa velocizzazione e lancia la sfida per quanto riguarda il nuovo farmaco di Gilead, il lenacapavir (1 iniezione ogni sei mesi) del quale l’azienda ha comunicato proprio qui i dati conclusivi… in sé ottimi, il problema sono i costi come al solito.

Oltre ai costi della PrEP va considerata la capacità di diffusione che in 12 anni è arrivata ad appena 6,7 milioni di persone quasi tutti in PrEP orale. Ricordo che l’obiettivo di Unaids per la copertura di PrEP è di 10 milioni entro il 2025, ovviamente non sarà raggiunto anche perché preferiamo buttare soldi in guerre e nelle speculazioni che ne seguono.

Se 6,7 milioni in 12 anni non vi sembrano poi così pochi, vi ricordo che dal 2012 ad oggi ci sono stati 17 milioni di nuove infezioni da HIV. Inoltre, non è “solo” una questione di numeri totali ma anche di diffusione nelle aree maggiormente colpite da HIV e quanti fra le popolazioni chiave vengono raggiunti dalla PrEP… ovviamente i valori mostrati sono scandalosamente bassi non solo in Africa ma anche nei Paesi ricchi: negli USA la diffusione della PrEP fra gli afro-americani e i latini è decisamente fallimentare. La relatrice si sofferma di nuovo sul lenacapavir ed evidenzia quanto potrebbe essere rivoluzionario per le donne in particolare ma quanto tali potenzialità potrebbero essere rese vane dal costo del prodotto. Su questa base sollecita i vari stakeholder a muoversi fin da ora: le agenzie regolatorie perché agiscano in fretta, chi contratta i prezzi garantisca anche i volumi di prodotti necessari, OMS emetta le sue linee guida e raccomandazioni rapidamente, gli Stati sviluppino piani di implementazione, studi pilota, ecc. e cerchino di capire come incrementare la domanda di prevenzione. Sicuramente la PrEP deve essere semplificata, decentralizzata e demedicalizzata, serve innovazione anche in questi settori. Anche se non in tema la relatrice cita anche la PEP, efficace ma sotto utilizzata.

Nelle conclusioni la relatrice sottolinea come la PrEP non sia un lusso, semmai lo è non fare niente o non investire in prevenzione.

Sandro Mattioli
Plus aps

La plenaria della terza giornata di conferenza mondiale AIDS, ha visto un tema vasto ma sicuramente importante: “affrontare le barriere strutturali”.
Gli speaker hanno affrontato il tema sotto molteplici punti di vista ma sicuramente gli attivisti sono stati prevalenti, come già nella precedente. Di solito le plenarie sono popolate da importanti relazioni che danno idea dell’indirizzo politico che IAS supporta.

Milos Parczewski dell’università di Pomerania, ci ha illustrato le varianti di HIV presenti nel mondo e, in particolare in Europa, la variabilità molecolare e l’epidemiologia locale.
Per capirci, posto che HIV1 è il tipo di virus principale in Europa, si suddivide in 4 gruppi oltre a una serie infinita di sottotipi e sotto-sottotipi. Del resto stante la velocità di replicazione supersonica di HIV, sarebbe stato insolito il contrario. A quanto pare il più popolare è il gruppo “C”, ma anche altri gruppi stanno prendendo piede. Fra gli altri motivi, anche le guerre aiutano a rimescolare le carte della presenza virale e della varietà di gruppi e sottotipi. Per esempio la guerra in Ucraina. Il ricercatore cita gli studi effettuati sui flussi migratori, per esempio verso la Polonia, causati dalla guerra e su come questi abbiano modificato i gruppi e sottogruppi presenti in quel Paese.
Lo so sembra accademia e in parte lo è in effetti, tuttavia i vari gruppi di HIV posso dare seguito a una diversa progressione verso la malattia. Alcuni gruppi sono più aggressivi di altri, oppure possono rendere più difficile la vita ad alcuni farmaci se non addirittura correlare con fallimento terapeutico. Prima che scappiate tutti dalla Polonia chiariamo che i farmaci di prima linea sono comodamente attivi contro ogni gruppo o sottotipo, senza contare che le persone con HIV sono sottoposte a test di controllo per cui un eventuale, futuro problema verrebbe immediatamente identificato, affrontato e risolto. Tuttavia conoscere quali sono le varianti più virulente può rendere più semplice il lavoro del clinico e anche la vita alla persona con HIV.

La seconda relazione, tenuta da Helen Clark ora presidente della omonima fondazione ma se non erro è stata anche Prima Ministra della Nuova Zelanda, è stata tenuta in forma discorsiva, tradizionale, senza slide, ed ha trattato l’importanza di una visione politica globale per affrontare temi globali come HIV, il riscaldamento del pianeta, ecc. Con il dovuto rispetto la relatrice ha toccato e ci ha ricordato una serie di punti e obiettivi sui quali lavoriamo ogni giorno come attivisti. Ovviamente meglio ricordarli che tacerli ma non ha portato alcuna novità o spunto di riflessione innovativo.

La successiva relazione è stata tenuta da Michaela Clayton dalla Namibia, che si occupa di diritti umani da una vita, sul tema della criminalizzazione di HIV che non ha alcuna evidenza scientifica ma continua ad essere utilizzato esplicitamente o in modo ipocritamente indiretto come in Italia.
La Clayton parte dal principio anzi, dai principi di Denver – si vede che anche secondo lei è ora di riprenderli in mano:

  1. Il diritto di essere coinvolti su ogni decisione presa
  2. Il diritto a vivere una vita piena sia dal punto di vista emozionale che sessuale
  3. Il diritto a trattamenti, visite mediche e servizi sociali di qualità senza discriminazioni
  4. Il diritto di ricevere spiegazioni complete su tutte le procedure mediche e i rischi correlati
  5. Il diritto alla privacy e alla confidenzialità
  6. Il diritto di vivere e morire con dignità

È ora di renderci conto che la criminalizzazione di HIV impatta su un range ben più ampio di diritti umani:

  • il diritto a un trattamento non discriminante davanti alla legge
  • il diritto alla vita
  • il diritto a poter accedere a alti standard di salute fisica e mentale
  • il diritto alla libertà e alla sicurezza come persona
  • il diritto alla libertà di circolazione
  • il diritto di chiedere e godere di asilo
  • il diritto alla privacy
  • la libertà di opinione ed espressione e il diritto di usufruire liberamente delle informazioni
  • la libertà di associazione
  • il diritto al lavoro
  • il diritto di sposarsi
  • parità di accesso all’istruzione
  • il diritto ad un adeguato standard di vita
  • la sicurezza sociale, l’assistenza e il welfare
  • il diritto a partecipare al progresso scientifico e ai suoi benefici
  • il diritto di partecipare alla vita pubblica e culturale
  • il diritto a essere liberi dalla tortura e da trattamenti o punizioni crudeli, inumani o degradanti

allora ditemi: quanti di questi punti si applicano anche nel nostro Paese che passa per essere così liberal? Da persona omosessuale che vive con HIV, che fa attivismo da oltre 20 anni, vi posso dire serenamente che sono ben pochi.

Ma tornando alla presentazione, nel mondo la criminalizzazione per HIV in termini di trasmissione, esposizione o non disclosure è ancora molto alta e non solo, come forse qualcuno crede, nei Paesi in via di sviluppo. Russia, Stati Uniti hanno leggi specifiche che criminalizzano.
Posso capire che in quadro di ignoranza generale ci sia chi pensa in termini vendicativi e chiede leggi che vadano nella medesima direzione.
Ma da nessuna parte, neppure in Europa, con il carcere e leggi punitive si è mai ottenuto un qualsivoglia risultato misurabile che non sia la legge del taglione. La criminalizzazione non ha alcuna base scientifica o epidemiologica, per cui è evidente che viene praticata per motivi che nulla hanno a che vedere con la lotta contro HIV.

Le difficoltà o il mancato riconoscimento della carica virale non rilevabile, del safer sex o la comunicazione dello stato sierologico come difesa contro l’azione giudiziaria, sono tutti atti la Clayton include nella logica generale della criminalizzazione. E poi c’è un bel planisfero dove compare l’Italia, colorata di viola, che vuol dire non legge specifica ma casi segnalati. In effetti l’Italia non ha una specifica legge che criminalizza HIV, ma comunque mette in carcere le persone che vivono con HIV. Dalla mappa risulta inoltre che 79 Paesi hanno leggi punitive per HIV, 4 hanno introdotto tali leggi nel 2022-24; nonostante alcuni successi la criminalizzazione dell’HIV continua a rappresentare una grave minaccia per la salute pubblica e i diritti umani.

Queste leggi, naturalmente, spesso si incrociano con la criminalizzazione del possesso di sostanze, con il lavoro sessuale, in alcuni stati anche con la criminalizzazione delle persone transgender così come dei gay e altri MSM, dice la Clayton introducendo una logica intersezionale.
Ma le leggi retrive non solo l’unica cosa che ci spinge indietro. La mancanza di dati attendibili, poca attenzione alla epidemiologia, la marginalizzazione di HIV (e di chi vive con HIV), un contesto generale sempre più repressivo e spazi di azione sempre più ridotti per la società civile, ecc. tendono a aiutare HIV. Ma, al netto di tutto questo, non importa non importa quali progressi scientifici raggiungiamo, dovremo sempre affrontare barriere a meno che non affrontiamo direttamente il piano dei diritti umani.

Decisamente mi serve un passaggio rigenerante alla Positive Lounge. Si tratta di uno spazio riservato alle persone che vivono con HIV che viene proposto ormai in tutte le conferenze mondiali aids. È un luogo dove le persone con HIV possono rilassarsi un pochino, bersi un caffè o usufruire dei servizi che (di solito) le associazioni locali organizzano per l’occasione dai massaggi rilassanti allo yoga.

Dopo la lounge ho deciso di iniziare a passeggiare per la foresta dei poster, ossia le centinaia di abstract, di studi, stampati in forma di poster e appesi nelle gigantesche sale del Messe. E inizia subito male per la IAS: il primo poster che leggo è un’analisi sullo spazio messo a disposizione delle donne e delle persone trans dalla conferenza. Emergono dati interessanti: speaker invitate 9%, speaker trans 1,2%; abstract presentati da donne HIV+ 2,4%, da trans 0,37%; scholarship donne HIV+ 6%, trans 1,27%. C’è abbondante spazio di miglioramento.
Un altro abstract ci dice che negli USA una ricerca indica che i farmaci long acting orali sono preferiti a quelli iniettivi. Un abstract francese ha studiato l’utilizzo dei MMG e la soddisfazione degli utenti, per la PrEP. Mi cade l’occhio su uno strano studio che analizza quanto l’uso di silicone liquido incida nell’aderenza terapeutica nelle donne trans argentine. Era presente una delle autrici, felice di poter finalmente parlare “castellano”, che mi si presenta direttamente come trabajadora sexual…muy orgullosa, evvai. Mi spiega tutto lo studio e specifica che il finanziamento era del precedente ministero della salute, non questo di Milei.

Sandro Mattioli
Plus aps

Uno degli slogan della Conferenza è “Put people first”. Tuttavia molti attivisti che non vivono negli Stati “giusti” non hanno potuto partecipare perché la Germania ha negato loro il visto, in diversi casi motivato con il fatto che non sono ricercatori, a quanto dicono le associazioni, sono solo quegli stronzi che HIV lo vivono direttamente sulla loro pelle. E’ incredibile che ancora oggi non sia chiaro che i veri esperti nella lotta contro HIV sono le attiviste e gli attivisti che ogni giorno si confrontano con gli imbecilli che ci discriminano, anche membri delle nostre community, sono quelli che ogni giorno fanno scelte drammatiche come decidere se allattare un figlio e passargli HIV o vederlo morire di fame, o chi ogni giorno viene aggredito se dice di vivere con HIV.

Eppure ecco che un qualsiasi Stato decide chi può o non può partecipare a una conferenza come questa, nata e cresciuta proprio grazie alla collaborazione fra attivismo e ricerca scientifica.
IAS ha già emesso un comunicato ridicolo dove si legge che non può incidere sulle scelte nazionali della Germania. Il che ovviamente è vero, ma può scegliere di fare la conferenza in uno Stato dove le leggi immigratorie non sono pensate per mantenere i privilegi di quattro politici bianchi.
Il punto vero è che la Germania dona miliardi di euro, per cui il dubbio che certe scelte abbiano molto a che fare con i soldi è bello forte.

È su questa base che le associazioni hanno organizzato una protesta durante la plenaria: diverse decine di attivisti in camice bianco (opportunamente disegnato), hanno issato cartelli “we are the expert” e “visa denied”. Una sedia vuota con sopra quest’ultimo slogan è stata lasciata sul palco a rappresentare le numerose assenze di attivisti.
Non è certo la prima volta che accade, perfino quando la conferenza tornò negli USA, perché il Presidente Obama aveva rimosso il divieto di ingresso negli USA delle persone con HIV, rimase il blocco per le/i sex worker o le persone che assumono sostanze, ecc. che mandarono video denunciando di non poter essere presenti grazie a leggi assurde.

Ma torniamo alla plenaria che, nella logica del put people first, è incominciata con la relazione di Anna Turkova dal University College London che ci ha illustrato la situazione dei bambini con HIV. 1,4 milioni di bambini vivono con HIV, la grande maggioranza manco a dirlo in Africa. Anche se in 10 anni il numero di nuove infezioni fra i bambini è sceso di 100.000 unità in generale, ma ancora in Africa si registrano enormi difficoltà in questo settore, a partire dalla messa in ART delle donne in gravidanza. Il 47% delle nuove infezioni nei bambini è dato dal ritardo di inizia della terapia o dall’allattamento al seno. Del resto, come ho scritto sopra, in molte zone rurali africani le mamme devono scegliere se far morire di fame i loro figli o allattarli e passare HIV. Se in queste zone è complicato e difficile raggiungere la soppressione virale per un adulto, vi lascio immaginare le percentuali di HIV che registrano i bambini e quanto possano essere lontani dalla viremia “azzerata”.
Numerosi sono i progetti che cercano di porre rimedio a questo enorme problema, ma si tratta di progetti finanziati da donatori o fondazioni che non sempre danno continuità. Molte speranze vengono riposte nei long acting per la prevenzione ma i costi altissimi li rendono inaccessibili.

Dopo la protesta degli attivisti in camice, è la volta della presentazione di Richard, un attivista dell’inglese THT (Terence Higgins Trust), forse la più vecchia associazione contro HIV d’Europa. Sempre nella logica People First, Richard si chiede se le associazioni sono la chiave per raggiungere gli obiettivi di UNAids. Intanto ci mostra che la situazione britannica non è delle migliori, cosa che ignoravo. Secondo i dati presentati si registrano problemi nella cascade of care così come nello stigma. Impressionante il dato secondo il quale 2/3 degli abitanti non bacerebbero una persona con HIV. Naturalmente ecco quello che le associazioni britanniche stanno facendo moltissimo per raggiungere gli obiettivi dati entro il 2030, in particolare sulle determinanti sociali. In effetti, c’è chi ha calcolato che le determinanti sociali contribuiscono per il 40% delle nuove diagnosi, problemi che le associazioni affrontano con il 10% dei fondi disponibili.
Le conclusioni dell’attivista sono molto chiare: nessun gruppo può raggiungere da solo gli obiettivi di UNAids, ma sicuramente non si raggiungono senza il lavoro delle associazioni di volontariato che è sottostimato e poco apprezzato. Cosa che deve finire.

L’ultima presentazione è di Olga Gvozdetska direttrice generale di salute pubblica presso il Ministero della salute ucraino. Una presentazione molto forte che inizia con le foto dell’enorme ospedale pediatrico, 700 bambini ricoverati, 9.000 operazione annue, di Kiev prima e dopo la sua distruzione a opera dei missili russi.

Con la voce rotta Olga ci ha raccontato le vicissitudini sanitarie di un Paese in guerra. Un Paese che aveva ottenuti buoni risultati nella lotta contro HIV convincendo lo Stato a farsi carico centralmente del problema. Con la guerra l’Ucraina ha rischiato il crollo sui nostri temi, lo Stato ha dovuto cessare qualunque investimento come è facile immaginare, ma ha saputo reagire. A fronte della distruzione dei principali centri clinici del Paese il Ministero ha attuato una fitta azione di decentralizzazione utilizzando, da un lato, tutte le risorse disponibili nelle province anche le strutture associative; dall’altro lato chiedendo aiuto al fondo monetario internazionale e al fondo globale per HIV, TB e malaria che stanno tenendo in piedi la situazione. Grazie al supporto internazionale l’Ucraina sembra essere riuscita a riprendere il controllo e a tornare ai valori prebellici.

Sono arrivato nella capitale della Baviera per partecipare alla conferenza mondiale AIDS 2024, con un volo che è andato bene, tranne che l’attesa per i bagagli è durata più del volo. Ai miei colleghi è andata peggio perché Lufthansa gli ha cancellato il volo sotto al naso, poco prima dell’imbarco, facendo perché un’occasione agli attivisti e soldi all’associazione, che di certo non ne ha da buttare via. Almeno per quello che riguarda la mia esperienza, Lufthansa si è sempre dimostrata una compagnia brava nel fare soldi.

Ma invece di darle le perle, torniamo alla conferenza che ovviamente un po’ ha sofferto della situazione voli, così come visti perché pure i tedeschi quanto a leggi immigratorie non scherzano. Il mio amico Marco Stizioli ha già fatto notare che sono tutti a dire di non voler lasciare indietro nessuno o di mettere le persone al centro e poi quelle persone manco riescono ad ottenere un visto per entrare in Germania. Situazione comune ad altre grandi civiltà che pur di dotano di leggi immigratorie che non esito a definire assurde, che so… gli USA?

Dico questo perché la sessione a cui volevo partecipare stamattina verteva su un progetto del Kenya che ha posto al centro le farmacie di comunità per implementare il numero di persone in terapia, ma non sapremo mai che cosa sono le community pharmacy perché la sessione non si è potuta tenere proprio per un problema di vista (secondo i gossip).

Pertanto mi sono fatto un giro al Global Village, ridente, colorato e vibrante villaggio popolato da tutte quelle marginalità, quelle persone che vivaddio non sono normali secondo le elucubrazioni di qualche militare italiano. E così camminando fra sieropositivi orgogliosi, persone trans, sex worker, prepster ecc. ecc. mi sono ritrovato nello spazio che EATG (European AIDS Treatment Group) ha deciso di dedicare non già ai tre 95, ma a quelli che restano fuori: i tre 5. E infatti lo spazio si chiama 5-5-5. Una idea geniale.

Proprio in questo spazio, Marco Stizioli – ormai membro EATG a pieno regime – ha presentato l’intervento che Marco Barracchia ha realizzato con l’aiuto di PrEP in Italia e un pochino anche di Plus (trovate il video nel canale you tube dell’associazione). La presentazione è andata molto bene, è stata centrata sui tempi della PrEP che in Italia è arrivata anni dopo gli USA, sui problemi socio-culturali, di discriminazione strutturale che guastano il nostro Paese, ma anche sui successi che, anche se tardivi, siamo riusciti ad ottenere.
Un’attivista, credo africana seduta di fianco a me, ha commentato con “i soliti privilegiati” una slide che descriveva la situazione degli MSM. Le ho fatto notare che in Italia i privilegiati cubano il 40% delle nuove diagnosi e che il suo commento era quanto di più offensivo e discriminatorio potessi sentire, completamente fuori luogo nel Globale Village. Lei mi ha dato ragione e si è scusata. Finita la sessione è andata via quasi correndo. Sicuramente era in ritardo per un altro evento, ma mi piace pensare che fosse un po’ dispiaciuta per l’accaduto e volesse evitare il confronto. Nel frattempo qualcuno ci ricorda cosa sta accadendo il Palestina e tutto riacquista la giusta dimensione.

La “Opening Session” quest’anno è stata abbastanza spartana e, per la verità, spero che anche le prossime conferenze mondiali seguano l’esempio tedesco. Al di là delle solite parole di benvenuto, i due interventi più interessanti sono stati quelli di Winnie Byanyma, attivista ugandese di lungo corso, ingegnere, politica, diplomatica, nonché direttrice esecutiva di UNAIDS per 4 anni. Quindi abile nell’usare le parole e, infatti, ha iniziato ringraziando la ricerca, gli attivisti, i politici, perché oggi il 77% delle persone con HIV nel mondo sono in terapia. Erano il 47% dieci anni fa. Siamo cresciuti del 30%, “good job” grida Winnie. Ma, c’è sempre un ma quando si comincia con gli aspetti positivi, i politici iniziano a fare marcia indietro, i fondi stanno calando e devono essere mantenuti e devono andare nella direzione di proteggere le donne in particolare, che ancora oggi raggiungono percentuali di incidenza da capogiro.

Una piccola pause e poi il colpo di teatro: l’attivista chiama in causa direttamente e più volte Gilead, la multinazionale del farmaco. “I know you are in the room” – dice Winnie – e la ringrazia perché Gilead è riuscita a creare un farmaco iniettivo che si chiama lenacapavir (il primo inibitore del capside che si pensa possa essere efficace per sei mesi come PrEP iniettiva), che come prevenzione è un miracolo. Ma nei Paesi africani ha un prezzo troppo alto, quindi un miracolo inutilizzabile. L’attivista arriva a chiedere un prezzo di 100$ all’anno. Un farmaco così sarebbe perfetto per prevenire HIV nelle donne africane che non rischierebbero di essere aggredite perché viste mentre ingoiano le pillole di PrEP.

Gli applausi sono scrosciati manco a dirlo. Da che ho memoria, non ricordo che qualcuno abbia tirato in ballo direttamente, con tanto di ragione sociale, una big pharma e abbia citato il nome di un principio attivo. È stata brava e coraggiosa. Tuttavia non posso non sottolineare che la politica ugandese non ha detto una parola sulla legge che proprio in Uganda sta mettendo alle strette la popolazione LGBT che rischia il carcere, se non la pena di morte. Dubito che questa norma aiuterà la lotta contro HIV.

A seguire l’intervento del Cancelliere Scholz. Il quale ha colto al volo le richieste di chi l’ha preceduto e ha ricordato l’enorme finanziamento che ogni anno la Germania eroga al fondo mondiale per la lotta contro HIV, TB e malaria e che continuerà a versarlo; che la Costituzione tedesca tutela la dignità umana a prescindere dal genere, dal colore della pelle, da chi ami ecc. e continuerà a farlo… e così via le cose che tutti i politici dicono, con la differenza che forse in Germania chi prende impegni in un consesso internazionale poi si ricorda di averli presi. In Italia i politici nazionale non partecipano pressoché mai neppure alla conferenza italiana per cui non si pone neppure il problema di quel che raccontano.

Nel mentre che veniva annunciato lo spettacolo di chiusura, si sente una voce dal microfono della platea. È una ragazza che legge un comunicato, in un inglese un po’ affaticato che compensa con l’autenticità e la rabbia di chi non vuole più essere di scriminata perché trans.

Rabbia che esprime leggendo con la foga di chi non ne può più. Legge una lunga serie di “basta”, di richieste e man mano che legge alte persone si alzano e le vanno vicino. Alla fine saranno diverse decine di persone vicino a lei e tutta la platea la incita con grida e applausi, finché concludono tutti insieme con “trans rights now”. Un bellissimo esempio di comunità che lotta per i diritti di una sua parte, molto emozionante. Spero davvero che porti a qualcosa.

Sandro Mattioli
Plus aps

Grazie alla disponibilità dell’Azienda Sanitaria, anche nel 2024 si terrà il corso di formazione per i volontari del BLQ Checkpoint, nonché di Plus e del PrEP Point.

Il corso inizierà il 28 settembre 2024 e terminerà nel week end del 8-10 novembre con il consueto laboratorio residenziale. L’iscrizione è obbligatoria.

Per partecipare è necessario inviare una mail a:
info@plus-aps.it indicando:
nome e cognome
numero di cellulare

Salvo diversa indicazione, le ore d’aula si terranno presso la Casa della Salute Porto-Saragozza in via Sant’Isaia 94a, Bologna.

Le ore d’aula nella Casa della Salute Porto-Saragozza, sono aperte a chiunque voglia approfondire gli argomenti trattati, quindi anche se non vuoi fare il volontario ma ti interessano i temi, sei libero di entrare ed ascoltare. Invece la parte residenziale del corso – che si terrà in una sede da definire – è riservata a chi vuole fare il volontario.

Il limite massimo di iscrizioni per ogni sessione è di 20 persone. Il corso è gratis. L’organizzazione tecnica è a cura dell’Azienda Sanitaria di Bologna che ne effettua anche la certificazione. Per cui se qualcuno fanno comodo alcuni crediti formativi, si faccia avanti e li richieda. Maggiori informazioni vi saranno fornite dalla responsabile, dott.ssa Valeria Gentilini, all’inizio del corso.

Ecco la bozza di programma. Le eventuali variazioni verranno effettuate su questa pagina del sito di Plus. Restate connessi:

28 settembre5 ottobre12 ottobre19 ottobre26 ottobre
Aula BrugiaAula ColonneAula ColonneAula ColonneAula Colonne
9,30-13,309,30-11,309,30-11,309,30-13,309,30-13,30
Plus e i suoi servizi: BLQ Checkpoint – PrEP PointEpatiti B e C:
cause, sintomi, test
Il ChemSex: il fenomeno, i rischiHIV for beginners: cos’è, la trasmissione, il trattamento, la prevenzioneIl counselling fra pari: sospensione del giudizio, empatia, ascolto attivo
11,30-13,3011,30-13,30
PrEP e PEPLe STI: cosa sono, trasmissione, terapia
Sandro MattioliLorenzo BadiaRaffaele SerraSandro MattioliEleonora Gennarini
Gionathan Orioni

A partire dal 1° luglio, gli strumenti per le raccolte fondi di Meta non saranno più disponibili nella tua zona…

Con questa secca comunicazione Facebook e Meta (un bel nome da sostanza stupefacente) ci informano che non sarà più possibile organizzare raccolta fondi per la nostra associazione di volontariato.

Da sempre quando un’impresa piena di soldi scrive cose del genere, mi viene spontaneo immaginare un contrappasso. In questo caso non ci vuole davvero molto immaginazione se consideriamo che Facebook è più vicina al tracollo che alla fase di lancio. Ormai è schifata dai giovani che, a torto o a ragione, preferiscono social dove si scrive poco o niente, dove le immagini sono predominanti e i video durano pochi secondi (poi qualcuno si chiede il perché di certe scelte superficiali o della scarsa capacità di analisi).

Le associazioni del Terzo Settore in Italia sono pressoché abbandonate a sé stesse stante che ricevono pochi o nessun finanziamento pubblico, se accade per lo più parliamo di fondi appena sufficienti per resta a galla.

Per fare un esempio la città di Berlino ha deciso di investire un milione di euro in tre anni per la start-up del suo BLN Checkpoint. Berlino è una sorta di città stato con una popolazione paragonabile a quella della regione Emilia-Romagna che per il BLQ Checkpoint ha deciso di investire 50.000 euro all’anno, che arrivano pure in ritardo di solito… all’associazione ne arrivano 35.000 per l’esattezza, con i quali dobbiamo pagare le bollette in particolare luce e gas che raddoppiano ogni anno, inclusa la TARI che il Comune non ci ha mai abbonato nonostante il centro svolga de facto un servizio pubblico. Da qualche anno in qua, con quei fondi ci dobbiamo pure pagare i test per sifilide perché USL ha semplicemente deciso di smettere di acquistarli adducendo ridicole motivazioni su test utilizzati da metà dei checkpoint europei. A questa spesa si aggiungono i materiali sanitari anche di consumo, i test che utilizziamo per il PrEP Point, ecc. per un totale di 70.000€ che Plus deve trovare per altre vie e altri porti…. questo solo per darvi un’idea di cosa significa tenere aperto un servizio “pubblico” per un’associazione. Onestamente io sono stupito che il BLQ Checkpoint sia ancora aperto dopo tanti anni e lo è solo grazie al contributo dei volontari che sono sempre disponibili e ai fondi donati da imprese private, senza le quali non sarebbe possibile fare niente.
Oggi viene meno anche quel poco che arrivava via Facebook.

Per cui che dire?! Grazie greedy Facebook.

La conferenza ICAR si è svolta a Roma dal 19 al 21 giugno nella splendida cornice dell’Università Cattolica, circondati dai simboli di quel potere italico che ci discrimina da secoli e che ha la responsabilità di migliaia di infezioni da HIV grazie alle follie di numerosi illustri esponenti della gerarchia e di ben due papi con le loro dichiarazioni sui preservativi, per anni l’unico strumento di protezione contro il contagio, ma a più riprese declassato a cosa sostanzialmente inutile, per tacere della colpevolizzazione delle persone con HIV ree di non aver rispettato la morale cattolica.
Spiace che nessuno ci abbia fatto caso, incluse le associazioni di lotta contro HIV che pur dovrebbero sapere cosa ha significato l’influenza della gerarchia cattolica sul mondo della politica e le enormi difficoltà che questo Paese si trova ancora oggi ad affrontare su questa infezione a trasmissione sessuale.

Tuttavia, a ben vedere qualcosa si è mosso. Durante la serata inaugurale, durante i saluti delle autorità, un folto gruppo di attivistə è salito sul palco e ha esposto un banner con la scritta “PrEP Universale – basta barriere”. Nata da un’idea di Plus, l’iniziativa ha visto la collaborazione e la partecipazione di pressoché tutte le associazioni. L’esposizione del banner è stata accolta da un forte applauso ed è stata supportata anche dall’ospite principale della serata: la dott.ssa Sheena McCormack, la ricercatrice che, con il suo studio PROUD, nel 2015 ha portato in Europa la PrEP. Quando le ho parlato della situazione italiana sulla PrEP, dell’incredibile ritardo della sua implementazione in Italia (che per la cronaca ha significato migliaia di diagnosi di HIV!) dettato verosimilmente da disinteresse, ignoranza, calcolo economico da bottegai, la ricercatrice si è detta stupita e ci ha assicurato il suo totale sostegno. Mi ha confermato quello che penso da tempo, ossia che all’estero molti ricercatori hanno una visione idealizzata del nostro Paese, non sanno quanto siamo arretrati sul piano sociale ancorché molto ben piazzati su quello scientifico.

Quindi la protesta è andata bene ed è stata supportata anche dalla bellissima seconda lecture tenuta da Daniele Calzavara di Milano Checkpoint. La sua lettura magistrale, dedicata al nostro Giulio Maria Corbelli, è stata di alto profilo. Daniele ha dato una lettura della situazione orientata alle mutazioni sociali imposte dall’epidemia di HIV, ma ha descritto anche il ritorno di una società nuova, forse plasmata da HIV, ma che sicuramente è in cerca di un riscatto. Una nuova società fatta di identità di genere nuove, di fluidità sessuale. Una società alla ricerca di strumenti altri e che cerca di crescere, sperimentare, anche grazie ai molti strumenti che oggi la prevenzione offre.

Da parte mia, avrei dovuto ricordare Giulio Maria Corbelli e introdurre Daniele in 1 minuto secondo la scaletta… in effetti temo che mi sia fatto prendere la mano e ho finito per fare un intervento di almeno 6/7 minuti. Si certo ho ricordato Giulio, quando durante ICAR 2018 sempre a Roma, come chair della plenaria introdusse la protesta delle associazioni che interruppero la conferenza chiedendo la PrEP per tutti (non solo per chi ha i soldi per potersela pagare!). Giulio iniziò il suo intervento ricordando come la PrEP fosse giunta in Italia con colpevole ritardo, fatto di rinvii, di pregiudizi e stigma che, del resto, ancora oggi subiamo anche dall’interno della nostra comunità MSM che, sia pur un po’ meno rispetto ai primi anni, ancora oggi addita, giudica le persone che scelgono di proteggersi con la profilassi pre-esposizione. Ricordare il Giulio attivista per la PrEP ovviamente mi ha consentito di parlare della situazione attuale sulla PrEP riprendendo le parole del nostro striscione.

Gli ostacoli che oggi deve superare una persona che in PrEP sembrerebbero più orientati a contenere i costi della prevenzione che non alla salute degli utenti. Nessuno dei vari passacarte delle Regioni che hanno optato per ostacolare la prevenzione, ha verosimilmente pensato al costo che affronteranno per ogni diagnosi di HIV. Ma si sa: la politica preferisce spendere per i farmaci e ottenere un risultato immediato, più che spendere (meno) per la prevenzione e ottenere dei risultati in tempi medio-lunghi che andranno ad avvantaggiare altri.

Passi in avanti ne sono stati fatti, sia pur con colpevole ritardo. Oggi la PrEP in Italia è autorizzata e in carico al servizio sanitario nazionale. Tuttavia per ottenerla ogni persona deve andare in un ospedale, farsi visitare da un medico infettivologo (l’unico che può prescriverla sulla scheda prescrittiva di AIFA, giustamente solo cartacea e esclusa da qualsiasi sistema elettronico. Così sarà sicuramente più facile monitorare i costi!); ottenuta la prescrizione, che ha validità di 3 mesi, ogni utente andrà nella farmacia ospedaliera dell’ospedale dove lavora quel medico (non in altri!) e potrà avere fino a 3 flaconi del farmaco preventivo. Inoltre ogni utente dovrà sottoporti ad esami di controllo per diverse IST, funzionalità renale, ecc. Ricapitolando: 4 volte all’anno in visita, 4 volte dal farmacista ospedaliero, 4 volte in ambulatorio MTS/malattie infettive (spesso in entrambi perché molti ambulatori malattie infettive si rifiutano di effettuare i tamponi per clamidia e gonorrea). Un tour de france che non solo è impegnativo per l’utente per esempio in termini di permessi sul lavoro (a cui nessun passacarte delle Regioni sembra aver pensato), ma è impegnativo anche per il personale sanitario che, già saturo per la gestione delle persone con HIV e altre infezioni virali, ora si trova a dover gestire il follow up anche di persone sane che vorrebbero restare tali.

Mi chiedo quanto tempo passerà prima che qualcuno si renda conto che tutto questo giro porterà, verosimilmente, ad un incremento della cosiddetta PrEP sauvage, ossia senza controllo medico, che già sta prendendo piede secondo i nostri dati.

La conferenza è proseguita senza particolari problemi, almeno che io sappia, se escludiamo una furente riunione della CsC dove fra veti e poca onestà intellettuale, non siamo riusciti a nominare il Presidente del prossimo Icar che si terrà a Padova nel maggio del prossimo anno. Stendiamo un velo pietoso.

Restano i problemi economici che, per esempio, hanno portato a chiedere che gli attivisti romani non partecipassero alla cena della community che ogni anno viene organizzata dal provider Effetti. Ogni anno. In effetti non posso fare a meno di chiedermi perché, stante che i fondi sono sempre meno, ICAR continua ad essere organizzata come 10 anni fa: 1 volta all’anno, quando altre conferenze anche internazionali non hanno questa cadenza, sempre in location differenti, sempre con lo stesso provider sicuramente in gamba, ma non si vede perché non valutarne altri in periodi di “vacche magre“. Del resto dicono che i fondi sono sempre meno, ma noi non abbiamo mai visto un bilancio di Icar né abbiamo mai ricevuto risposte quando richiesto. Quindi, dopo tutto, ha senso continuare così.

Gli attivisti di Plus sono stati, lasciatemelo dire, fantastici. Sempre presenti alle sessioni a dimostrazione di serietà, ma anche con una gran voglia di fare baldoria insieme. Ammetto che quei ritmi mi avrebbero ucciso in mezza giornata. Sono stati anche bravi a sopportare il caldo nella zona “villaggio della community” ossia dove allestiamo i nostri banchetti, quest’anno piazzati in un ballatoio alto dove non passava nessuno, speriamo che a Padova gli spazi scelti per la community siano più adeguati. Se finalmente riusciremo ad avere un Presidente lato community, mi auguro che vorrà prestare attenzione anche a questi aspetti per noi importanti.

Sandro Mattioli
Plus aps
Presidente

Stefano Pieralli è scomparso l’anno scorso a soli 57 anni, di cui oltre 40 dedicati all’attivismo LGBT e sieropositivo. È stato uno dei sette fondatori di Plus, di cui è stato vicepresidente e membro del Direttivo pressoché sempre, fin dall’inizio. È stato lo “zoccolo duro” di Plus e ha contribuito a costruirne l’impostazione politica, è stato una figura cruciale non solo nella storia di Plus ma nella lotta alla HIV e alla sierofobia in Italia. Intitolargli la sede nazionale di Plus non è che un riconoscimento minimo per una persona che ha dedicato la sua vita all’attivismo, contribuendo a creare condizioni di vita migliori per centinaia di persone LGBT che vivono con HIV o sierocoinvolte.

Stefano ha dato a Plus un’impostazione politica tesa all’equidistanza dai partiti, preferendo il colloquio istituzionale al rischio di lasciare che questo o quel partito mettesse il cappello sul nostro lavoro. Ci ha insegnato ad avere una serie di attenzioni verso il mondo della politica, da un lato vitale per il sostegno al nostro lavoro e dall’altro spesso poco interessato alla prevenzione. Ci ha insegnato a guardare oltre le parole anche nel mondo delle associazioni, ed è stato proprio grazie a queste osservazioni che abbiamo deciso di fondare Plus in risposta alle carenze dell’associazionismo LGBT nella lotta all’HIV e nell’investimento di fondi nella salute queer.

Il 16 aprile, ad un anno dalla sua morte, Plus ha deciso quindi di ricordare Stefano Pieralli e di intitolare a Stefano la sede in via San Carlo 42/C, un luogo che lui stesso ha contribuito a costruire e che negli anni ha accolto migliaia di persone.

È stato emozionante vedere presenti le istituzioni, l’associazionismo bolognese e tanta gente che ha conosciuto Stefano e ne ha apprezzato il valore. Altrettanto emozionante ripercorrere la storia e la figura di Stefano, l’impegno per Plus fortemente voluta da Stefano proprio perché era giunto il momento di scuotere la comunità LGBT che da troppo tempo non si occupava più del tema, pur a fronte delle alte percentuali di nuove diagnosi fra gli MSM (maschi che fanno sesso con maschi). Oltre alla necessità di invertire il trend delle nuove diagnosi, Plus nasce, come ci spiega Pieralli nella breve intervista che abbiamo mostrato durante la cerimonia, Plus viene creata per intervenire contro lo stigma sociale, anche interno alla comunità LGBT, nonché sul tema della qualità della vita delle persone sieropositive che oggi, grazie alle terapie, hanno un’aspettativa di vita simile a quella della popolazione generale ed è, pertanto, necessario affrontare il tema della qualità della vita, gli aspetti relazionali e sociali, il lavoro, ecc. per tacere della necessità di rompere una serie di pregiudizi sulla trasmissione dell’infezione, sulla possibilità di avere relazioni con le persone sieropositive. In sintesi, un’azione culturale forte, sia all’interno della comunità LGBT che all’esterno di essa.

Azioni oggi più che mai necessarie e rese possibili grazie all’incredibile avanzamento scientifico che ha portato a un consistente allungamento dell’aspettativa di vita delle persone con HIV.

Tuttavia deve essere chiaro che questo non vuol dire che il problema HIV si può considerare risolto, se non addirittura superato, come sentiamo spesso dire anche da alcuni attivisti. Tutt’altro.

Noi non abbiamo un vaccino preventivo e siamo ben lontani dall’ottenere una cura contro HIV.

Pertanto il virus ad oggi rimane nel nostro corpo e continua a fare il suo lavoro anche se non rilevabile. Non tutti sanno che, sul piano patogenetico, il percorso di HIV prevede due tipi di azioni. Una, la più nota, è la distruzione progressiva del sistema immunitario che ci rende vulnerabili agli attacchi di altri agenti patogeni, crea danni d’organo e agevola la formazione di neoplasia; su questo abbiamo potuto porre un freno grazie ai farmaci sempre più potenti e ben tollerati.

L’altra, meno nota, consiste nell’attivazione del sistema immunitario che, a sua volta, attiva un processo infiammatorio generale e tendenzialmente cronico. Un’azione che avviene anche in caso di viremia non rilevabile. HIV è in sé un elemento di disturbo per l’organismo e il perdurare dello stato infiammatorio, nel tempo porta egualmente a danni d’organo, rischio cardiovascolare, disturbi cognitivi, formazione di neoplasie.

Quello dell’attivazione immunitaria è un tema rispetto al quale siamo ancora sostanzialmente disarmati. È appunto questa azione pluriennale di HIV che ha aiutato la formazione del cancro che ci ha portato via Stefano, così come altri esponenti di Plus, attivisti e tante persone sieropositive.

Quindi no! HIV non è affatto risolto anche se, sicuramente, abbiamo reso più difficile la sua azione tanto è vero che oggi possiamo vivere bene molti anni, invece dei pochi mesi di aspettativa di vita di 30 anni fa. Tuttavia, il problema sia risolto, dobbiamo continuare a svolgere un’opera di pressione politica e sociale affinché la politica investa, la ricerca trovi finalmente il bandolo della matassa, la società sia più attenta e cessi di discriminare le persone che vivono con HIV.

Sandro Mattioli
Plus aps
Presidente

Dopo che un rinomato virologo italiano mi ha detto di non aver nessuna fiducia sull’editing del genoma umano per trovare una cura definitiva contro HIV (ossia guarire), considerando la tutt’altro che remota possibilità che costui mi piazzasse li la solita “opinione d’esperto” invece di un parere basato su risultanze scientifiche, ho provato a cercare online qualcosa… e in effetti qualcosa si sta muovendo su questa linea.

Francamente mi viene da dire, qualcosa di più interessante delle solite ricerche tese a lasciare HIV nel nostro corpo ancorché tenuto sotto controllo. Qualcosa che ha ottenuto un premio Nobel per la chimica.

La sempre ottima associazione EATG ha pubblicato l’articolo che ho provato a tradurvi, sia pur in modo rapido.

L’editing genetico è ancora all’inizio del suo percorso, siamo ancora agli esperimenti nel brodo cellulare per cui campa cavallo, tuttavia a me sembra molto interessante e promettente… quest’ultimo aggettivo in parte indotto dalla mia voglia di guarire… un obiettivo che dovrebbe essere marchiato a fuoco sulla fronte di tutti gli attivisti, ma purtroppo non è sempre così, non in Italia almeno.

Sandro Mattioli
Plus aps

L’HIV nella coltura cellulare può essere completamente eliminato utilizzando la tecnologia di editing genetico CRISPR-Cas, aumentando le speranze di cura

Una nuova ricerca presentata Congresso europeo di microbiologia clinica e malattie infettive (ECCMID 2024, Barcellona, 27-30 aprile) da un team di ricercatori nei Paesi Bassi mostra come la più recente tecnologia di editing genetico CRISPR-Cas può essere utilizzata per eliminare tutte le tracce di HIV provenienti da cellule infette in laboratorio, alimentando le speranze di una cura.

Gli studi, condotti dalla Dott.ssa Elena Herrera-Carrillo e da parte del suo team (Yuanling Bao, Zhenghao Yu e Pascal Kroon) all’UMC di Amsterdam, Paesi Bassi, rappresentano un passo avanti significativo nella ricerca di una cura per l’HIV.

La tecnologia di editing genetico CRISPR-Cas è un metodo rivoluzionario nella biologia molecolare che consente alterazioni precise ai genomi degli organismi viventi. Questa tecnica rivoluzionaria, che ha fruttato ai suoi inventori, Jennifer Doudna ed Emmanuelle Charpentier, il Premio Nobel per la Chimica nel 2020, consente agli scienziati di individuare e modificare con precisione segmenti specifici del DNA di un organismo (codice genetico).

Funzionando come forbici molecolari con la guida dell’RNA guida (gRNA), CRISPR-Cas può tagliare il DNA in punti designati. Questa azione facilita la cancellazione di geni indesiderati o l’introduzione di nuovo materiale genetico nelle cellule di un organismo, aprendo la strada a terapie avanzate.

Una delle sfide più significative nel trattamento dell’HIV è la capacità del virus di integrare il proprio genoma nel DNA dell’ospite, rendendone estremamente difficile l’eliminazione. Numerosi potenti farmaci antivirali sono attualmente in uso per il trattamento dell’infezione da HIV. Tuttavia, nonostante la loro efficacia, la terapia antivirale deve essere assunta per tutta la vita, poiché l’HIV può ricomparire dai serbatoi esistenti quando il trattamento viene interrotto. Gli autori spiegano che lo strumento di modifica del genoma CRISPR-Cas fornisce un nuovo mezzo per colpire il DNA dell’HIV.

Il nostro obiettivo è sviluppare un regime combinatorio CRISPR-Cas robusto e sicuro, cercando una “cura per l’HIV per tutti” inclusiva che possa inattivare diversi ceppi di HIV in vari contesti cellulari”. L’HIV può infettare diversi tipi di cellule e tessuti del corpo, ciascuno con il proprio ambiente e caratteristiche uniche. I ricercatori stanno quindi cercando un modo per colpire l’HIV in tutte queste situazioni.

In questa ricerca, gli autori hanno utilizzato delle forbici molecolari (CRISPR-Cas) e due gRNA contro le sequenze “conservate” dell’HIV, nel senso che si sono concentrati su parti del genoma del virus che rimangono le stesse in tutti i ceppi di HIV conosciuti, e hanno ottenuto l’eliminazione di HIV dalle cellule T infette. Concentrandosi su queste sezioni conservate, l’approccio mira a fornire una terapia ad ampio spettro in grado di combattere efficacemente molteplici varianti dell’HIV.

Tuttavia, spiegano che le dimensioni del veicolo (noto come “vettore”), utilizzato per trasportare la cassetta che codifica i reagenti terapeutici CRISPR-Cas nelle cellule, presentano sfide logistiche, poiché sono troppo grandi. Pertanto, gli autori hanno sperimentato varie tecniche per ridurre le dimensioni della cassetta e quindi del sistema vettoriale stesso.

In termini più semplici, stanno tentando di caricare bagagli di grandi dimensioni in un’auto compatta per un viaggio verso la cellula infetta, portandoli a trovare modi per ridimensionare il “bagaglio” (cassetta) per un trasporto più semplice. Un altro problema che gli autori volevano superare era il raggiungimento delle cellule serbatoio dell’HIV che “rimbalzano” quando il trattamento antiretrovirale per l’HIV viene interrotto.

Gli autori hanno valutato ulteriormente vari sistemi CRISPR-Cas di diversi batteri per determinarne l’efficacia e la sicurezza nel trattamento delle cellule T CD4+ infette dall’HIV. Hanno condiviso i risultati di due sistemi, saCas9 e cjCas. SaCas9 ha mostrato prestazioni antivirali eccezionali, riuscendo a inattivare completamente l’HIV con un singolo RNA guida (gRNA) e ad asportare (tagliare fuori) il DNA virale con due gRNA.

La strategia di ridurre al minimo le dimensioni del vettore ha avuto successo, migliorandone la consegna alle cellule infette da HIV. Inoltre, sono stati in grado di prendere di mira le cellule serbatoio dell’HIV “nascoste” concentrandosi su proteine specifiche presenti sulla superficie di queste cellule (CD4+ e CD32a+).

Gli autori affermano: “Abbiamo sviluppato un efficiente attacco CRISPR combinatorio sul virus HIV in varie cellule e sui luoghi in cui può essere nascosto nei serbatoi, e abbiamo dimostrato che le terapie possono essere somministrate specificamente alle cellule di interesse. Questi risultati rappresentano un progresso fondamentale verso la progettazione di una strategia di cura”.

Gli autori sottolineano che il loro lavoro rappresenta una prova di concetto e non diventerà domani una cura per l’HIV. Inoltre: “I nostri prossimi passi riguardano l’ottimizzazione del percorso di consegna per colpire la maggior parte delle cellule serbatoio dell’HIV. Combineremo le terapie CRISPR e i reagenti mirati ai recettori e passeremo a modelli preclinici per studiare in dettaglio gli aspetti di efficacia e sicurezza di una strategia di cura combinata. Ciò sarà determinante per ottenere un rilascio preferenziale di CRISPR-Cas alle cellule serbatoio ed evitare il rilascio in cellule non serbatoio.

Questa strategia è quella di rendere questo sistema il più sicuro possibile per le future applicazioni cliniche. Ci auguriamo di raggiungere il giusto equilibrio tra efficacia e sicurezza di questa strategia CURE. Solo allora potremo prendere in considerazione sperimentazioni cliniche di “cura” negli esseri umani per disattivare il serbatoio dell’HIV. Sebbene questi risultati preliminari siano molto incoraggianti, è prematuro dichiarare che esiste una cura efficace per l’HIV all’orizzonte”.

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Sandro Mattioli
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