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È domenica e giustamente in plenaria ci presentano studi su studi alla ricerca di vaccini o cure.
Con il titolo: Approaches for HIV cure and vaccine research ben due ricercatori hanno cercato di farmi capire a che punto siamo con le ricerche sia per il vaccino sia per la cura, tema molto complesso o almeno lo è per un paziente come me. In realtà gli studi per cura e vaccino sono interconnessi sotto molti aspetti e hanno sicuramente un aspetto fondamentale in comune: siamo lontani dal successo. A seconda delle aree di ricerca, siamo ancora nell’ambito di studi sugli animali, di ricerca di strategie, di target da colpire, maybe o could be sono le parole più spesso usate. Quindi mettiamoci il cuore in pace, la strada è ancora lunga.
Detto questo la ricerca sta proseguendo su una area di azione che è stata illustrata, in particolare, da Thomas Rasmussen, Aarhus University Hospital in Danimarca.

Il ricercatore ha fatto una vasta disamina delle nostre speranze attuali, ossia sui vari strumenti che la ricerca sta valutando, studiando e sperimentando: dagli anticorpi neutralizzanti (bNAb), ai recettori antagonisti, dai vaccini terapeutici agli immunomodulatori alle citochine e così via.

Certamente ci sono speranze, l’area di ricerca è molto ampia, complessa e – presumo – costosa se devo dare retta alla bacchettata di Rasmussen alla UE accusata di investire molto meno degli USA in ricerca. Ma è altrettanto vero che dopo 40 anni di ricerca siamo ancora lontani da un risultato che possa guarire qualcuno.
Gli studi su immunoterapie su modelli animali sembrano promettenti e si spera bene per gli studi sugli umani;
l’uso di bNAb all’inizio della terapia antiretrovirale può incrementare l’attività delle cellule T e forse portare a controllare l’infezione senza terapia;
si ipotizza che la immunoterapia possa colpire i reservoir all’inizio del trattamento antiretrovirale (o durante), cosa che potrebbe modificare il corso dell’infezione da HIV e così via.

È poco probabile che si arrivi in tempi brevi a qualcosa che porti alla completa eradicazione di HIV dai nostri corpi, ma tutte queste aree di analisi e ricerca sono parte di un quadro molto ampio ossia sono alcuni degli approcci possibili e testabili per giungere a una cura contro HIV. Come dire se questo non funziona proviamo quello, scusate l’estrema sintesi, resta il fatto che sono passati 40 anni e ancora siamo ai tentativi. Ammetto che sono un po’ infastidito e condivido in pieno il parere del dott. Rasmussen: gli enti pubblici, UE in particolare, devono investire più fondi in ricerca. Forse vale la pena ricordare che i morti per cause aids correlate sfiorano il milione.

Nel pomeriggio devo ammettere che ho saltato qualche sessione perché, grazie soprattutto a Salvio che è qui con me, ho saputo che il Canada, o quantomeno il Quebec, offre il vaccino contro il vaiolo a chiunque lo chieda purché esposto al rischio. Anche se a 5 anni credo di essere stato vaccinato contro il vaiolo, considerando che è passato più di mezzo secolo, ho pensato di farlo.

Quindi sono andato in uno dei quattro centri vaccinali, il più vicino. Una signora mi ha chiesto se ero a rischio e mi ha messo sotto al naso un elenco di gruppi esposti… io sono dentro a 2/3 dei gruppi. La signora ha sorriso e mi porta a un tablet dove inizia a mettere dentro i miei dati. “Lei ha più di 18 anni direi” – mi dice – “Esatto, 18 e sei mesi” confermo. Credo che sia ancora la che ride. Con il tablet mi prende un appuntamento “fake” per le 19,15 (sono andato alle 12,15), poi passa a un’altra signora che sbriga la parte amministrativa, stampa un foglio e una etichetta, fa un cenno a un ragazzino nero coi capelli gialli che mi accompagna al punto vaccinale nr. 1, che poi è una delle scrivanie in un ampio open space, pieno di scrivanie dove siedono infermieri (toh? Non medici a vaccinare). Il mio nurse ha due braccia grosse come le mie cosce, mi fa le domande di rito (segni del contagio, contatto con un contagiato, allergie, ecc.). Mi dice che probabilmente a 5 anni sono già stato vaccinato ma un richiamo male non fa, mi spiega che mi inietta il vaccino per smallpox ma che è efficace anche contro monkeypox. Si raccomanda di evitare di espormi per questa settimana e mi spiega che il vaccino non evita sempre il contagio, ma che nel caso l’infezione sarà più “mild” e mima l’infezione mild abbassando il braccione verso la cosciona. “Ready?”. Manco riesco a dire yes che mi ha già forato (mano leggerissima). Aspetto una mezzoretta eventuali reazioni allergiche esco e vado nel village perché c’è il wi-fi (come mi ha spiegato il mio nurse…. Chiaramente della famiglia). Chiamo un Uber (evidentemente qui i tassisti non hanno bloccato Montreal) e torno alla conferenza in tempo per la sessione sul chem.

La sessione sul chem è al Global, room 1, immersa in un tripudio di musiche e microfoni che si sovrappongono. Ci sono tre relazioni, ma la più interessante è quella dell’attivista del NSW (Nuovo Galles del Sud). Non per caso vedo che usa un “nuovo” acronimo per la comunità: GBMSM. Inizia illustrando la situazione del NSW: è lo stato più popoloso dell’Australia, l’uso di sostanze è criminalizzato ma almeno c’è la riduzione del rischio, rispetto ai tre nuovi obiettivi di UNAIDS (95, 95, 95) loro veleggiano su 95, 95, 91, registrano un decremento dei casi di HIV nella comunità, ma un aumento di casi fra immigrati gay, la PrEP è sovvenzionata e usata soprattutto dagli GBMSM. Con la sua associazione, ACON, si sono inventati un programma, denominato M3THOD. Non prevede cose particolarmente innovative (riduzione del rischio personalizzata, sostituzione siringhe, supporto e counselling sulle sostanze, ecc.) ma il servizio è offerto in modo furbo. Bigliettini dotati di QRCode con un enorme “PNP?” sopra (che sta per party and play) con il codice il potenziale utente raggiunge le info sui servizi e di solito viene agganciato. Niente di particolarmente complicato ma funzionale.

L’Australia è molto più avanti di noi sotto molti punti di vista. Lo stato Vittoria ha pagato quasi 10 anni fa una serie internet interamente gay dove, fra le altre cose, si parlava di Pep, di comunicazione del proprio stato sierologico, di sesso con persona con HIV, ecc. Noi ancora le stiamo ipotizzando. Un impegno pluriennale che sta portando evidenti risultati. Purtroppo in Italia il gap culturale (che potremmo tranquillamente definire ignoranza), porta politici e amministratori a non investire in prevenzione i cui risultati si vedono dopo anni… sicuramente più di una legislatura. Preferiscono dimostrare di spendere soldi per le terapie, gli esami ecc. che danno risultati quantificabili e in brevissimo tempo, salvo il fatto che la gente continua a contagiarsi. Avete presente la via facile e quella articolata?

Nell’ultima plenaria della giornata si è parlato di long-acting PrEP. Attualmente risultano in PrEP 2,7 milioni di persone. La gran parte negli USA, UK e Francia ossia molto al di sotto degli obiettivi dati.

Come se non bastasse, dalle statistiche risultano problemi di aderenza e interruzione del trattamento nella PrEP giornaliera sicuramente per il costo, ma anche per motivi odiosi come discriminazione, eccessivo numero di visite, ecc.

Sono allo studio numerose soluzioni alternative che vanno nella direzione del long-acting, quelle più vicine all’uscita in commercio sono sicuramente l’anello vaginale e le iniezioni intramuscolari.

La relatrice inizia proprio dall’anello vaginale e prende le mosse dallo studio DREAM (Dapivirine Ring Extended Access and Monitoring) e il suo gemello HOPE che hanno dato risultati interessanti con una efficacia del 50%. L’anello viene sostituito dalla utente ogni 4 settimane. Tuttavia la presentazione successiva, fatta da una attivista non da un’altra ricercatrice, evidenzierà che questi studi anche belli sulla carta e nei risultati poi falliscono quando all’atto pratico poche donne usano o si possono permettere lo strumento, con buona pace del fatto che le renderebbe autonome dalla contrattazione dell’uso del condom, ancora molto problematica.

Le organizzazioni internazionali hanno disegnato un piano globale per l’accesso all’anello vaginale con Dapivirina che vanno dagli aspetti di registrazione e regolatori, alla catena di produzione, dalla domanda alle politiche locali e naturalmente all’advocacy.

Si passa poi al Cabotegravir LA iniettivo. Cita lo studio HPTN 083 su maschi cis e donne trans che fanno sesso con maschi e salta fuori un’efficacia del 66% rispetto al braccio con TDF/FTC le attuali pillole daily.

Lo studio HPTN 084 su donne fra i 18 e i 45 anni, oltre 3.200 arruolate, arriva al 88% sempre in comparazione con TDF/FTC. Questi dati sono usciti nel 2020, quindi dove sta il problema nel trasferire le evidenze scientifiche nella vita quotidiana?

La ricercatrice porta diversi esempi anche di ordine burocratico che sicuramente allungano i tempi, ma alla fine i costi sono sempre il freno migliore e sicuramente sottotraccia c’è una battaglia fra i grandi gruppo di big pharma che ha odorato il business.

La ricercatrice cerca anche di evidenziare i pro e i contro: fra i pro:

l’assunzione meno frequente
l’aderenza agevolata dalla durata
non ci sono controindicazioni con la terapia ormonale
l’incremento delle possibilità di scelta
un sistema più discreto/meno stigmatizzante

ma anche i contro, fra gli altri:

l’iniezione in sé e le possibili reazioni nel sito dell’iniezione
le possibili interazioni (Rifampicina)
non è indicato per persone con HBV
in caso di tossicità non può essere eliminato (ma questa a me pare una sciocchezza perché è previsto un mese di assunzione in pillole).

A viene da aggiungere che l’assurda volontà di mandare in clinica ogni 2 mesi gli utenti è un deterrente perché comporta un numero di visite in ospedale maggiore rispetto alla PrEP orale.

Anche la ricercatrice cita i centri community based come possibile soluzione ma in Italia non sarà così perché i centri di malattie infettive vi do per certo che non vorranno lasciar andare possibili clienti altrove. Aggiungo che anche le case di comunità previste dalla riforma del sistema sanitario nei territori, dovrebbero essere usate così come le unità mobili, il tutto a cura di infermieri che sono poi quelli che anche in ospedale fanno le iniezioni.

Sandro Mattioli
Plus aps

 

Il Global Village inaugura il giorno dopo l’apertura della conferenza e chiude un giorno prima. Nonostante frequenti il Global da tanti anni, ancora non mi rassegno a questa stranezza. Pazienza.
La cerimonia di chiusura del Global, è iniziata con un canto indigeno, una preghiera per un sicuro ritorno a casa. Una super colorata drag queen ha preso la parola, l’accento olandese (credo) non rendeva semplice la comprensione per me, ma in sostanza ha infervorato i presenti. Buona parte degli attivisti in realtà già smontando i booth, via i cartelli, via gli ultimi condom e femidom (quest’anno ovunque), del resto oggi i volontari della conferenza stanno regalando pacchi da 5 self test per covid, chiari segnali dell’attenzione dovuta in una conferenza seria. A dirla tutta c’è anche la possibilità di fare un test molecolare con risposta entro 10 ore.

Ma torniamo alla cerimonia di chiusura del Global. La drag queen invita sul palco un gruppo pop canadese. Da vedere così sembrano più metal vestiti di pelle e reti come sono, ma sono decisamente pop. Bravi. Fanno spettacolo, ballano e cantano soprattutto la ragazza bionda con la calza smagliata ha una gran voce e un controllo vocale incredibile. Un componente del gruppo con lunghe treccine rosse, smette di cantare ed esce dal gruppo, la musica si ferma e si rivolge al pubblico e dice a tutti di essere HIV+ – a me queste cose emozionano sempre – e si lancia in un breve ma appassionato discorso politico: dice che grazie ai farmaci è undetectable e ha ricominciato a vivere, a cantare, a lavorare. Chiede maggiore azione per far si che tutti possano avere accesso ai farmaci e riprendere a vivere.
È un ragazzo minuto, più treccine che fisico, più bravo a ballare che a cantare forse, ma ha guadagnato 1000 punti facendo vedere a tutti che anche con una canzone e un balletto si può promuovere un principio.

La plenaria di oggi, ultima giornata di conferenza, ha come tema HIV e co-infezioni e si apre con la relazione di Marina KLEIN, McGill University Health Centre, Canada che ci espone un racconto di fantasia: “Triple elimination: HIV, HCV, HBV”. In effetti potrebbe iniziare con “eccovi i viaggi dell’astronave Enterprise” invece sembra crederci, anzi il sottotitolo è “cosa serve per raggiungere gli obiettivi”.
In primis spiega cosa intende con eradicazione e eliminazione. Per eradicazione cita lo smallpox come azzeramento permanente dell’incidenza mondiale dell’infezione, senza che occorrano ulteriori interventi. Per eliminazione cita le epatiti virali e HIV, e parla di riduzione dell’incidenza dell’infezione/malattia dove non è più una minaccia per la salute pubblica, ma sono necessari controlli frequenti. Sostanzialmente ci ha raccontato come siamo messi in ambito HIV, cosa che credo tutti conosciate bene, e soprattutto quali sono i problemi che ancora dobbiamo affrontare. Per esempio: in merito ai test, il self test è ancora un problema perché è poco diffuso e del resto è di terza generazione (ossia 3 mesi di periodo finestra), per tacere delle reali possibilità di raggiungere le popolazioni chiave. Il trattamento, per fortuna che c’è ma dura tutta la vita e consiste in pillole da prendere tutti i giorni. Gli LA stanno per arrivare ma arriveranno dove e a chi davvero servono? Sulla prevenzione: ancora il tema donne, la necessità di espandere la PrEP, non esiste alcun vaccino e scusate se è poco dopo 40 anni di ricerca e milioni di morti.

Per HBV la situazione è complessa. Serve un test DNA, l’accesso al Tenofovir è un problema in molti Paesi, la vaccinazione è un’arma ottima ma ancora buona parte del mondo non ha accesso alla vaccinazione contro HBV. Per quanto riguarda HCV, la dottoressa insiste sulla necessità di test RNA per confermare la infezione cronica, raggiungere le popolazioni chiave e, quindi, andare oltre i centri specialistici, è ancora un problema e noi ne sappiamo qualcosa, penso al progetto “Stop HCV”. Non esiste vaccino, la riduzione del rischio spesso è inadeguata, la criminalizzazione dell’uso di sostanza sicuramente non aiuta a cancellare l’HCV dalla faccia della terra. Esiste una cura che funziona bene, per lo più su tutti i genotipi, ma non è accessibile a tutti. In altre parole serve un vaccino efficace e accessibile.

Ormai è abbastanza chiaro che chi sei e dove vivi ha un peso importante nella sconfitta di queste infezioni. Se sei IDU, MSM, indigeno, donna, afro-americano potresti essere elegibile per i trattamenti ma non riceverli. In tutto questo sicuramente l’arrivo del Covid non ha aiutato, la ricercatrice calcola in 72.000 i morti in più per HCV. Come se non bastasse c’è anche il monkeypox appena dichiarato emergenza sanitaria globale. Alla fine della fiera neppure la ricercatrice ha le risposte, ci propone un progetto canadese che tende a rendere più orizzontale l’approccio sanitario con il coinvolgimento della community. In altre parole le solite chiacchiere.

Vorrei spendere due parole sulla cosiddetta Positive Lounge. Un luogo dove le persone con HIV possono riposare, se lo desiderano, bere qualcosa (caffè, succhi si frutta, è cosa nota che chi ha HIV non beve altro), o anche fruire di servizi quali sessioni di yoga o di massaggi. Il lounge è presidiato da un nutrito numero di volontari e volontarie per ovvi motivi di servizio. Ovviamente nessuno ti fa il test HIV all’ingresso, ma solitamente un minimo di etica fa si che il servizio sia fruito pressoché solo da persone con HIV, spesso stagionate come me, o che hanno problemi fisici e necessità di riposo. A me è sempre sembrato una cosa di grande civiltà, sensibilità e rispetto per le fragilità di persone con HIV che, nonostante gli anni e gli acciacchi sono presenti e danno un contributo fondamentale alla riuscita della conferenza.

Per la prima volta nella mia via associativa, mi sono fermato fino alla fine della conferenza per vedere il lavoro dei rapporteur (praticamente riassumono la conferenza per aree di competenza) e la cerimonia di chiusura.

I rapporteur fanno decisamente un lavoraccio. Infatti per ogni “track” devono riassumere gli elementi principali delle relazioni. Si tratta di una conferenza mondiale, per cui vi lascio immaginare. Devo dire che anche dai riassunti non è emerso niente di particolarmente nuovo, semmai conferme: molto lavoro sugli anticorpi neutralizzanti, sulla cura siamo ancora alle sfide o a “servono altri studi per…” mi è sembrato di capire che la strategia shock e kill sia ancora in auge e qualche studio promette bene. Ho visto anche che si parla spesso di patches con micro-aghi che potrebbero aiutare i long acting.

Finalmente il Governo canadese si è fatto vivo. Durante la cerimonia di chiusura è comparso il Ministro per la Salute, prontamente contestato dagli attivisti e dalle attiviste, in particolare sex worker. Ho adorato l’attivista anziana e con il deambulatore ma in piedi e con il cartello sopra la testa. Un esempio per tutti. Il Ministro non ha fatto una piega anzi, forse ha preso in contropiede i manifestanti dichiarando, da politico consumato, la piena disponibilità a lavorare con la community, a portare avanti un progetto di legge che modifichi – se ho ben capito – quella attuale che prevede l’obbligo di disclosure per chi ha HIV prima di un rapporto sessuale, e così via. Nessun accenno alla decriminalizzazione del sex working.

 

E con questo si chiude la ventiquattresima conferenza mondiale AIDS. Sicuramente non è una conferenza che verrà ricordata per una svolta nella lotta contro HIV/AIDS, in effetti non ho grandi novità e da quel che ho ascoltato anche diversi clinici sono d’accordo con me. Tuttavia, dopo due anni di covid, era ora di ricominciare a fare advocacy, community, a scambiarci parere, best practices, a mettere li idee per i futuri progetti perché, in fondo, a questo serve la International AIDS Conference. La cosa che ho notato con molto piacere è stata una buona presenza di giovani, nonostante le leggi immigratorie di merda di cui anche il Canada si è dotato, a quanto apprendo. In particolare ho conosciuto un paio di attivisti dell’Asociación Ciclo Positivo, Argentina che, a covid piacendo, andrò sicuramente a visitare a Buenos Aires non appena sarà possibile andarci. Ragazzi giovani ma che hanno trovato il modo di cambiare in meglio la legge su HIV nel loro Paese e che parlano già in un’ottica globale. Il futuro promette bene. Ma non voglio anticipare la parte “giovani” che è giustamente di appannaggio di Salvio, che scriverà più avanti.

Sandro Mattioli
Plus aps

Eccoci alla quarta giornata che chiamerei dei vaccini e delle proteste.

Ma prima di questi, vorrei parlarvi della relazione di Rena JANAMNUAYSOOK, Institute of HIV Research and Innovation in Thailandia che ci ha parlato di Resilient and sustainable systems for health. In genere non sono molto interessato a relazioni di paesi così lontani da noi per cultura e leggi. Tuttavia questa è stata di grande ispirazione… e anche di grande fastidio.
In primo luogo Rena ci tiene a chiarire che la Thailandia ha definito cosa sono le popolazioni chiave e lo ha fatto sulla base dei dati epidemiologici. Inoltre definisce anche cosa sono i servizi sanitari effettuati dalle key population per le comunità di riferimento.

  • un insieme definito di servizi sanitari correlati all’HIV incentrati su una specifica popolazione chiave
  • i servizi sono identificati dalla popolazione chiave stessa e sono basati sui bisogni, guidati dalla domanda e centrati sull’utenza
  • fornito da lay provider formati e certificati, che sono anche membri delle popolazioni chiave cui il servizio si rivolge

in parole povere, questi servizi vanno a colmare le lacune dei servizi sanitari che non riescono ad essere attivi sui bisogni delle popolazioni chiave. A me ricorda qualcosa.

Per chiarire, queste strutture hanno iniziato nel 2011 a erogate test di screening community based. Poi hanno iniziato a fornire servizi per persone in PrEP (nel 2016 ossia 2 anni prima che in Italia fosse possibile), un anno dopo hanno messo in piedi un progetto di gender-affirming dedicato alle persone trans comprensivo di controllo della terapia ormonale. Oggi i lay provider di Thailandia, in accordo con il Ministero della salute, possono:

  • effettuare i test finger-prick per HIV e altre IST;
  • effettuare test molecolari point of care per HIV e IST e dare I risultati;
  • dispensare farmaci orali per PrEP/PEP e IST prescritti dal medico

Ora stanno cercando di integrare queste strutture con il sistema sanitario nazionale. Ma non è tutto. La slide successiva titola “Community-based same-day antiretrovirale treatment” e cita l’intervista rilasciata dal sig. Phunkron dove descrive come su 173 persone diagnosticate HIV+, 141 le ha messa in trattamento lo stesso giorno della diagnosi dopo un percorso di idoneità. Il sig. Phunkron è un lay provider.

Questi centri si occupano anche di salute mentale e attraverso uno screening i peer sono in grado di certificare una depressione. Se questo è possibile in un cosiddetto income country, perché nell’Italia del “primo mondo” non si riesce a fare? Provo a buttare li un’ipotesi: penso a una classe medica, ovviamente sto generalizzando, arroccata su posizioni di potere e corporativa, che si è costruita leggi, norme, ordini al fine di mantenere tale potere e in HIV lo abbiamo presente tutti, credo, visto che sono 40 anni che il tema è di esclusiva pertinenza degli infettivologi, con buona pace di tutte le altre specialità di cui oggi abbiamo bisogno, visto che invecchiamo, ma dalle quali fatichiamo non poco ad avere riscontri. Altro che paziente al centro, semmai paziente fra l’incudine e il martello. Le terapie per covid ora sono prescrivibili anche dal MMG e usca. Speriamo di non dover assistere ad altre stragi perché un po’ di cose cambino… ma dubito.

Le relazioni su monkeypox iniziano con la Dimie OGOINA, Niger Delta University, che ci parla di luoghi dove il vaiolo è endemico (anche se noi ci accorgiamo delle cose solo colpiscono UE o USA). Due sono i ceppi virali presenti in Africa orientale e nel bacino del Congo dall’inizio degli anni ’70, per cui facciamoci due conti, ma negli ultimi 20 anni c’è stato un consistente incremento di casi, soprattutto nel Congo. Le cause sono molteplici e vanno da una incrementata capacità diagnostica, un declino della immunizzazione (in effetti il 2,6% di immuni è basso), alcuni fattori hanno reso più facile il contatto fra animali e esseri umani (la maggiore mobilità da paese a paese, l’incremento degli allevamenti, ecc.) e sicuramente un incremento nella trasmissione fra umani con ogni probabilità aiutata da deficit immunitari (anche HIV è endemico in Africa), dai rapporti sessuali, ecc.

Si passa ai dati del WHO con Meg DOHERTY che parte in quarta:
da gennaio 2022 sono 78 gli Stati colpiti per un totale di 21.256 casi al 31 luglio 2022, 10 i decessi di cui 2 in Spagna.
In Europa sono oltre 13.880 i casi, il 98,8% sono maschi di questi il 98,1% MSM. Nel 94,2% dei casi si tratta di contagio per via sessuale. Alcuni nuovi sintomi sono stati descritti. Per esempio: proctite, uretrite, ritenzione urinaria. In diversi casi i pazienti denunciano dolori anche forti. WHO ha analizzato anche i setting di contagio e una slide sorprendente ci dice che su 3.900 casi analizzati, 3.600 hanno a che vedere con i rapporti sessuali; su 1.380 casi esaminati, oltre 1.000 contagi sono avvenuti duranti party con o senza previsione di rapporti sessuali, grandi eventi con toccaggi, abbracci, ecc.
Attenzione: una parte consistente dei contagi, 38% circa, riguarda persone MSM con HIV, probabilmente il valore è sottostimato perché non sempre viene riportato il dato. La profilazione dei pazienti HIV+ non MSM è appena sopra il 4%.
Rispetto ai vaccini, WHO raccomanda quelli di terza generazione (per esempio MVA-BN) attivi su smallpox e monkeypox, mentre non raccomanda i vaccini di prima generazione. WHO raccomanda anche di approfittare delle vaccinazioni per diffondere informazioni ma anche per effettuare studi clinici randomizzati con protocolli di rilevazioni dati standardizzati. Un modo gentile per dire che ne sappiamo ancora relativamente poco di questo virus. WHO raccomanda attenzione nella comunicazione per evitare stupidi rischi di discriminazione. Per far ciò, ha chiesto e ottenuto l’aiuto delle comunità più colpite fra cui gli organizzatori dei principali Pride, influencer, Grindr, Scruff, ecc. nonché le associazioni MSM global.

A seguire la presentazione di Nicolò GIROMETTI che è stato uno dei medici del nostro punto PrEP e che ora è al Chelsea and Westminster Hospital e 56 Dean Str. UK. Girometti è un medico e quindi ci descrive la situazione che registra quotidianamente nel suo ospedale.
Al 19 luglio, 620 sono i casi confermati, 99% MSM di cui il 70% bianchi. Il 31% HIV+ di questi il 90% undetectable tutti con CD4 >350. Età mediana 39 anni.

Il periodo di incubazione in media è di 8,5 giorni di solito asintomatico o con sintomi lievi. A proposito di sintomi:

febbre 66%
astenia 64%
mialgia 36%
mal di testa 32%
mal di gola 14%
ma il 17% non riporta nessun sintomo in particolare finché non compaiono le lesioni sulla pelle.

Per quanto riguarda la fase eruttiva, il 99% dei pazienti presentava almeno una lesione sulla pelle. Il 93% delle lesioni sono riscontrate in area ano-genitale. Nel 62% dei casi sono state viste linfoadenopatie inguinali per lo più bilaterali.

Complicazioni, per fortuna non terribili:

  • infiammazione della mucosa rettale nel 17% dei casi (con dolori al retto anche importanti, costipazione)
  • il 25% trattato con antibiotici a causa di sovra infezioni batteriche
  • in caso di ulcerazioni in bocca/gola è stata osservata una difficoltà ad inghiottire
  • sono state riportate lesioni nella congiuntiva (nel qual caso è consigliato un trattamento antivirale

Il medico riporta anche che il vaiolo può essere scambiato per altre infezioni come HSV – nel suo ospedale il 53% è stato testato per quello – o sifilide. Questo ha portato a offrire test per le principali IST a questi ragazzi con il risultato che il

22% aveva la gonorrea
14% la clamidia
6% una nuova sifilide

Infezioni che i pazienti ignoravano di avere.
Rispetto al trattamento, nella maggioranza dei casi è sui sintomi per cui si raccomanda l’idratazione e l’assunzione di analgesici. Mentre in caso di complicanze è possibile agire con vari prodotti sulla complicazione in essere. Esistono antivirali ma vengono usati solo nei casi più severi, per esempio in chi deve essere ospedalizzato, i bambini < 8 anni, le donne in gravidanza, ma va anche sottolineato che trattamenti approvati e specifici per monkeypox attualmente non ce ne sono nel senso che la loro efficacia è desunta da studi in vitro o su modelli animali.

La relazione della direzione generale della sanità pubblica di Montreal ve la risparmio. Mi limito a dire che è in essere una campagna vaccinale con il vaccino Ankara-Bavarian Nordic (MVA-BN) approvato nel 2020 e attivo sia contro smallpox che monkeypox negli adulti, in Europa si chiama Imvanex. Due dosi ad almeno 28 giorni di distanza, già una buona risposta immunitaria dopo una settimana. Il Canada ha vaccinato 15.300, pochissimi gli eventi avversi (4 reazioni nel luogo dell’iniezione, 1 reazione severa ma è poco probabile che vi sia un collegamento con il vaccino), al 31 luglio sono 39 i vaccinati che hanno contratto l’infezione (0,3% circa).
La presentazione è stata interrotta da una mega protesta di attivisti che brandivano numerosi cartelli con varie scritte tutte sopra un triangolo rosa. Sono certo che avete già capito che sia tratta di Act Up. Gli attivisti al microfono se la sono presa con gli USA che non stanno vaccinando (come noi del resto) e hanno mandato “affa” il Presidente Byden, ma soprattutto le attiviste africane hanno sottolineato come ancora una volta l’Africa è da sola ad affrontare l’ennesima emergenza sanitaria. È stato così con HIV, poi col Covid, adesso con monkeypox. Forse è ora di affrontare la realtà?

Pochi minuti fa nello stand di IAS è andata in onda un’altra protesta. Gli attivisti hanno chiamato per nome i colleghi e le colleghe e tutti a urlare “access denied”, con riferimento all’impianto vergognoso messo in piedi dal Canada per chi deve entrare nel Paese sia pur per una conferenza. Guarda caso tutti gli attivisti “bocciati” erano di income country. Si, forse è il caso di affrontare la realtà e dire forte e chiaro a IAS che le conferenze non si fanno in luoghi ricchi e costosi, ma in paesi democratici o per lo meno dove è possibile entrare per partecipare alla International AIDS Conference. Altrimenti meglio non farla o, come già successo in occasione della conferenza di S. Francisco, farne un’altra altrove per gli attivisti e le attiviste.

Sandro Mattioli
Plus aps

Mi dispiace forse annoierò qualcuno, ma il tema della conferenza mondiale AIDS di Montreal è Re-engage, follow the science. Per cui è ormai chiaro che il punto centrale sarà cosa possono (o devono) fare le associazioni per recuperare quanto perduto in termini di uguaglianze, opportunità, crescita e, ovviamente, lotta senza quartiere al virus HIV. Contrariamente alla mentalità che mediamente si percepisce in Italia, qui tutti hanno molto chiaro che HIV non si combatte “solo” ingoiando pillole. A nessuno verrebbe in mente quello che sento dire da alcuni tristi medici italiani (avete i farmaci che diavolo altro volete). No, non funziona così. È chiaro a tutti che HIV si sconfigge seguendo quello che dice la ricerca per esempio la PrEP che da noi è schifata da chi dovrebbe promuoverla e negli USA è appannaggio dei bianchi per quasi il 70%. Lo sguardo degli attivisti è quindi rivolto agli afro-americani, ai cosiddetti “brown”, ai “latinos”, ma qui in Canada i riflettori della seconda giornata sono accesi sulle popolazioni indigene: su come hanno reagito alla crisi HIV/AIDS e, soprattutto, su come oggi sono state lasciate sole ad affrontare la ripresa della crisi. Di nuovo il problema dei fondi, stornati altrove ovviamente per scelte politiche, che hanno comportato l’abbandono di popolazioni ai margini, più vulnerabili, nella logica del “tanto a chi interessa” che noi italiani conosciamo molto bene.

La seconda plenaria è iniziata in modo insolito. Doris Peltier, una anziana indigena canadese, si è presentata come nonna di tanti nipoti ma cita in particolare i “due spiriti” che hanno intrapreso un percorso di transizione e che hanno tutto il suo sostegno. Ci dice di aver pregato. Si è messa in contatto con i suoi avi per vincere il nervosismo del discorso. Ci dice quanto le nazioni indigene siano state lasciate sole dal Quebec, senza fondi, senza sostegno e che la comunità internazionale, presente a Montreal, deve rendersi conto di cosa sta accadendo in Canada, di quanto il Paese sia cambiato in peggio. Doris allarga il ragionamento a tutte le cosiddette minoranze, popolazioni lasciate ai margini della società. Insomma un discorso da nonna, senza slide, senza citazioni da studi pubblicati. Il vecchio buon senso che, forse, dovremmo tornare a usare.

Andriy Klepikov dovrebbe introdurre la relatrice successiva, ma si prende qualche minuto in più. Andriy, direttore di Alliance for Public Health, è ucraino e non si fa scappare l’occasione per parlare della situazione drammatica nel suo Paese. Usa pochi minuti del suo tempo, ma denuncia una serie incredibile di porcherie commesse dall’esercito di invasione russo incluso l’incendio di farmaci, anche ARV, in alcuni ospedali. Julie Bruneau è medico dell’ospedale universitario di Montreal e ci illustra rapidamente la crisi degli oppioidi che, a quanto afferma la ricercatrice, a partire dagli USA sta investendo tutto il Nord America e non solo. La sua relazione parte dalle campagne anni ’90 contro il dolore cui sono seguite massicce prescrizioni di oppioidi che, negli anni, avrebbero portato una parte importante della popolazione all’abuso di eroina, poi di preparati sintetici come il fentanyl, il tutto amplificato da una realtà fatta di disuguaglianze sociali, assenza di programmi di harm reduction che, a loro volta, hanno consentito a HIV e HCV di progredire. Covid19 manco a dirlo ha peggiorato la situazione che, di nuovo manco a dirlo, riguarda principalmente afroamericani, nativi americani, ispanici. In Canada si stimano in circa 14.000 i morti per overdose da oppioidi negli ultimi 4 anni, in British Columbia sono morte più persone per overdose che per covid19.

Lo Stato sta reagendo ma siamo sempre nella logica del chiudere le stalle a vacche scappate. Ci si concentra giustamente sul covid e lascia la gente morire di altro, salvo poi correre ai ripari con soluzioni emergenziali… non so a me ricorda qualcosa. A seguire sessione su cosa abbiamo imparato dal covid. Da non credere: si torna a ripetere come un mantra al grammofono nothing on us without us, no person no nation left behind, crisis will not end without international cooperation and leadership e così via. Slogan storici che dovrebbero essere ormai parte della cultura comune ma che qui vengono ripetuti spesso e volentieri come se tutti ce lo fossimo dimenticato e, chissà, forse è proprio così. Forse le crisi covid, la guerra, il vaiolo, hanno davvero reso egoisti gli stati e non solo loro.

Ma sono le 10,45: inaugura il Global Village, il luogo della community dove tutto è possibile. Un caffè al volo e via a vedere cosa si sono inventati… tutta la forza delle sex worker, delle drag, delle magnifiche matrone africane non cambia il fatto che quest’anno il Global ha patito più di altri anni le regole dell’immigrazione canadese. Quest’anno è più piccolo del solito ma ci sono più networking zone dove parlare e confrontarci, il che non guasta dopo 2 anni di virtual. I networking sono organizzati ovviamente ma sono pieni già dalle prime ore… certo non pieni di gente come Chez Stiletto lo stand delle sex worker che, covid o non covid, sono sempre presenti e troppo avanti. Basta leggere gli slogan delle campagne con le quali hanno tappezzato le pareti a partire da “feminism need sex worker need feminism”. Un ses worker cinese arringa la folla, descrive lo stigma subito nel suo paese e come rispondere. E’ una donna minuta ma ha energia da vendere.
C’è lo stand di M-Pact che spinge sul buon sesso (di cui anche le persone con HIV hanno diritto), gli stand delle associazioni africane dove splendide, coloratissime matrone vendono braccialetti e abito con stampe tribal per finanziarsi, ci sono anche i cartelli della manifestazione a favore delle persone a cui non è stato concesso il visto: “pas de visa, pas de voix”, “shame in Canada” di Montreal Youth Force, ma i giovani sono un’area di pertinenza di Salvio. Mi limito a dire con gioia che esiste un movimento giovane che non si limita a reclamare spazi ma ha anche la forza e la capacità di riempirli di contenuti e di ideali.

I corridoi davanti al Global sono diventati un’esposizione artistica di tutto rilievo. Alcuni lavori sono fatti riutilizzando le pillole o i test di screening usati, ma c’è anche un bellissimo mandala che riprende il tema della conferenza.

Una sorta di fantastico pinocchio iper-colorato presenta la elder Mohawk, di cui ho già scritto, e parte la cerimonia di benedizione anche per il Global Village mentre una sex worker cinese arringa le colleghe. Troppo avanti anche per le benedizioni.

Sandro Mattioli
Plus aps

 

La Conferenza Mondiale AIDS di Montreal è iniziata col botto. Come disse Hillary Clinton – “non sarebbe una conferenza senza proteste”. Anche il civile e pacifico Canada mostra parecchie lacune e nessuno sembra intenzionato a soprassedere, giustamente. Io stesso, che pur vengo da un Paese di cui il Canada si fida, ho dovuto produrre un cospicuo numero di documenti sulla mia salute, sul covid, dichiarazioni giurate sul motivo della richiesta di entrare in Canada, Visa, assicurazione, ecc. ma sono riuscito a entrare. Purtroppo molti attivisti e attiviste soprattutto di income countries e perfino personale di IAS, non hanno ottenuto il visto d’ingresso, ma hanno ottenuto accuse di razzismo al Governo canadese nei confronti del quale pressoché tutti gli speaker dell’inaugurazione hanno speso parole molto dure.

Giustamente dure. Nessun esponente del Governo si è presentato ad accogliere i delegati, il Ministro dell’economia (se ben ricordo) ha dato forfait all’ultimo.

In compenso la sessione inaugurale è iniziata con una cerimonia di purificazione e con la benedizione di un’anziana Mohawk che, finito il cerimoniale, nel suo intervento non ha lesinato accuse nei confronti della cultura che ha accettato e nascosto lo sterminio di centinaia di bambini della sua nazione dati in custodia a una nota organizzazione religiosa.

Anche nei prossimi giorni ci saranno sessioni dedicate a come le nazioni indigene si rapportano ad HIV/AIDS e a come siano state ulteriormente emarginate.

L’idea di un Canada accogliente anche nei confronti dei nativi americani si sta sgretolando ora dopo ora e si fa strada l’idea che anche nel civile Canada le diseguaglianze siano importanti.

“Inequalities” (disuguaglianze) è senza dubbio la parola che emerge in questa giornata congressuale.

Disuguaglianze che ovviamente ci sono sempre state, forse un poco meno forti grazie al lavoro costante delle attiviste e degli attivisti, del fondo globale, di interventi mirati e accordi penso alla produzione in loco dei farmaci. Le cose sono radicalmente peggiorate per molte ragioni che molto hanno a che vedere con la guerra in Ucraina e con il covid che hanno assorbito ingenti quantità di denaro a discapito di un approccio globale alla salute. Infatti il fondo mondiale per l’Aids dichiara di aver ricevuto oltre un miliardo di dollari in meno. Una somma consistente che avrà pesanti ricadute proprio su quei Paesi i cui attivisti qui a Montreal si sono già fatti sentire interrompendo la sessione inaugurale con una protesta rumorosa, con cartelli e slogan tesi a ricordare che l’HIV non è ancora finito. Non ci stanno a morire di Aids e occupano il palco perché la voce delle persone con HIV, e non solo quella dei medici, deve essere presente sul palco della Conferenza. E così salta fuori che in Africa è cresciuto il numero delle nuove diagnosi soprattutto donne giovani spesso vittime di violenze. Ma c’è una nuova epidemia e quando questo accade gli Stati diventano egoisti e l’approccio globale nella lotta contro HIV, se mai è esistito veramente, sta sparendo.

Vengo a sapere dello stupore di alcuni giovani medici italiani arrivati a Montreal, forse con la piena, per queste proteste folkloristiche e non posso fare a meno di ripensare alla nostra piccola e silenziosa protesta a Icar di Milano, abbiamo issato un banner in fondo alla sala, in silenzio, mentre parlava il vescovo. E siamo stati identificati dalla polizia.

Piccola nota personale.

La conferenza mondiale Aids è per me fonte di carica, di ispirazione, di energia. È un modo per riprendere fiato, spazio e ragione dalla pochezza culturale, politica e spesso anche associativa dell’Italia. Rivedere la mia vera comunità, quella degli attivisti e delle attiviste internazionali, quelli che si sparano decine di migliaia di chilometri per esserci, fare gruppo, fare community, scambiare idee e best practices. Quelli che nel cuore e nella mente hanno l’attivismo, la fine dell’HIV, la fine delle discriminazioni, quelli che lottano davvero per un mondo migliore e magari credono ancora un po’ negli ideali di Denver. Spero che sia così anche per Salvio che ringrazio per essere venuto a rappresentare Plus.

Dopo due anni di conferenze online finalmente ci siamo. Cazzo quanto mi siete mancate attiviste africane e community, famiglia di tutto il mondo.

Sandro Mattioli
Plus aps

 

Qualche giorno fa ho compiuto il 25° compleanno di vita con HIV e lei mi ha offerto, ancora una volta, l’opportunità di essere d’aiuto.
Una persona che ha contattato Plus, bloccata a Bologna per positività al covid 19, ci ha chiesto aiuto perché l’inaspettato prolungamento del soggiorno gli ha causato l’esaurimento della piccola scorta di farmaci che aveva portato con sé dal suo Paese. Il servizio unità anticrisi dell’Azienda Sanitaria non era ancora riuscita a rifornirlo degli antiretrovirali indispensabili al mantenimento stabile della terapia. Con empatia mi sono messo nei suoi panni di ‘straniero in terra straniera’ e mi sono subito domandato: se mi capitasse di trovarmi nella stessa situazione?
Quindi ho agito col cuore: mi sono attivato immediatamente, gli ho portato in dono 10 delle mie compresse (alla faccia di quel miserabile ex parlamentare più falso di una quinta teatrale e delle sue recenti deliranti dichiarazioni pubbliche sulla sua convinzione dell’esistenza delle “lobby gay”).

Per un Plussiano le parole vuote che hanno come unica base il delirio di una personalità spacciata in partenza, vengono lasciate lì dove cadono.
Per me lo spirito di appartenenza alla nostra comunità passa anche attraverso queste azioni di aiuto, sostegno e supporto.

Sono poi stato contattato dall’Azienda Sanitaria la quale si è detta disponibile a creare assieme a Plus un percorso di allineamento per futuri casi simili che, spero avvenga a breve, e su mia richiesta avrebbe scritto una mail alla farmacia delle malattie infettive per informarli sulla mia donazione e conseguente credito.

Confido che questa mia azione venga considerata per quello che è: un gesto di aiuto a chi ne aveva immediato bisogno e senza ripercussioni, piuttosto che come colui che avrebbe aperto il vaso di Pandora.

Ciò che ancora una volta mi sono messo in tasca è che tendere una mano per fare del bene mi ha fatto bene, mi ha restituito il cuore felice di una persona.

Questo ha, per me, valore umano per la mia comunità.

Michele Degli Esposti
Plus aps

Pur con tutta una serie di difficoltà, di cui ovviamente darò conto, la conferenza Icar, che si è svolta a Bergamo dal 14 al 16 giugno, secondo me è stata caratterizzata anche da aspetti positivi per cui inizio con questi.

La prima cosa palesemente positiva è stata una conferenza molto partecipata da parte della community, nonostante i problemi legati alle erogazioni delle scholarship che hanno portato Plus a un passo dalla cancellazione dei propri impegni congressuali. Una partecipazione attenta e con una grande voglia di tornare a fare community, che è poi il motivo principale che porta la comunità dei pazienti/attivisti a Icar. Abbiamo dimostrato di essere un valore aggiunto per una conferenza diversamente piuttosto autoreferenziale. Ancora più che a Riccione lo scorso anno, ho percepito la felicità di rivedere tanti attivisti, alcuni volti noti e alcuni nuovi, chiacchierare con gli attivisti di Plus Roma e confrontare le nostre idee e posizioni è stato molto interessante e formativo. È evidente che Giulio e gli attivisti di Roma stanno facendo un ottimo lavoro.

Abbiamo potuto finalmente confrontarci de visu con le altre associazioni sulla vicenda della riforma della 135/90 e decidere al volo correzioni di rotta.

Aggiungo anche un paio di soddisfazioni personali, che umanamente ci stanno: alcuni nostri giovani attivisti sono stati notati e mi sono state riportate opinioni positive anche da noti clinici; la lecture che ho tenuto insieme a Franco Maggiolo pare che sia stata un successo o, per lo meno, molti si sono congratulati.

Come Presidente di Plus, cercando di concretizzare un paio di progetti che mi frullano per la mente, ho avuto modo di contattare la multinazionale MSD, di parlare con il commerciale di Cepheid, insieme a Giulio abbiamo parlato con Mattew Halse, un giovane canadese responsabile di ViiV global che si occupa di prevenzione, con il quale abbiamo parlato di PrEP in Italia e del nostro lavoro nei Checkpoint… speriamo che da cosa nasca cosa. Da bravi attivisti abbiamo molto insistito sulla definizione di un prezzo auspicabilmente basso del nuovo farmaco iniettivo long acting per la PrEP, nonché sulla necessaria richiesta di rimborsabilità.

La opening session è stata abbastanza interessante. Come sempre è iniziata con il premio Raccontart. Una iniziativa in pectore carina che consente ai ragazzi delle scuole superiori di progettare campagne di prevenzione. Sono stato uno dei “giudici”, devo dire che dei 60 lavori (su ben 120) che ho esaminato buona parte era terribile. Pur tenendo conto della giovane età e dell’inesperienza erano davvero terribili non tanto come realizzazione ma per i messaggi che veicolavano. 2/3 lavori invece emergevano su tutti, in particolare un video realizzato sul tema del U=U – che infatti ha vinto – l’ho trovato molto efficace nella sua semplicità, al punto che mi sono congratulato con il ragazzo che l’ha realizzato e ho dato il mio biglietto all’insegnante per essere ricontattato e capire se e come fosse possibile usarlo come Plus. Vedremo.

Inoltre, insieme a Salvio, abbiamo parlato con Tanja Dittfeld e Bertrand Audin (rispettivamente responsabile Fast Track Cities per l’Europa e vice Presidente di IAPAC), sulle prossime mosse da fare in merito alla firma del protocollo Fast Track Cities da parte del Comune di Bologna: se giochiamo bene le nostre carte potrebbero arrivare delle belle novità.

Da ultimo, ma non meno importante, sia Giulio che io abbiamo parlato con Ornella Fasulo di Viatris (ex Mylan per capirci), per concretizzare la definizione di un protocollo che consenta di ottenere il loro farmaco generico per la PrEP a un costo controllato.

Dal punto di vista delle sessioni della conferenza, per motivi che spiegherò sotto non ho avuto modo di seguire tutte le sessioni che avrei voluto.

Martedì 15 ho seguito la sessione relativa alla PrEP. In particolare si è parlato dell’incidenza, in aumento, delle infezioni a trasmissione sessuale fra le persone in PrEP ma anche di come lo stigma o certe notizie diffuse in modo strumentale siano utili solo ad incrementare la discriminazione, sulla prevalenza di HPV in utenti in PrEP del Checkpoint di Milano: uno studio interessante in base al quale gli utenti del centro sono stati formati a farsi un tampone anale che veniva poi analizzato dalla piattaforma GeneXpert di Cepheid. Le persone con esito positivo, venivano inviate in clinica per un controllo più approfondito. In effetti il test di Cepheid rileva singolarmente il sottotipo 16 di HPV, il 18 insieme al 45 e tutti gli altri sottotipi rilevabili in un unicum. Purtroppo i dati dello studio sono stati inficiati, almeno in parte, dal fatto che i pazienti inviati in clinica ci hanno messo mediamente un anno per fare le analisi, sempre grazie al covid! Inoltre il 12% dei test di Cepheid hanno dato errore perché eseguiti male dagli utenti.

Max Appenroth

Nel pomeriggio del 15 Calzavara ed io abbiamo presieduto una sessione che ha centrato alcuni aspetti etici di PrEP e vaccini. Oltre all’ottima presentazione di Giulio, abbiamo avuto due ospiti stranieri di grande profilo umano e tecnico: Will Nutland fondatore di Prepster che ha trattato il tema delle popolazioni escluse dagli studi scientifici dove ancora oggi vengono arruolati tendenzialmente maschi, bianchi, cisgender, in buona salute, e Max Appenroth che è entrato nello specifico delle persone trans, con un focus sui maschi, largamente ignorati dagli studi. A conclusione, Enrico Girardi con la consueta precisione metodologica ha fatto una bella presentazione sul tema costo-efficacia della PrEP. Al netto delle indubbie capacità del relatore, una osservazione mi è uscita dal cuore: ricordiamo tutti il costo esorbitante dei primi farmaci contro HCV, eppure lo Stato quei soldi li ha spesi. Sulla PrEP invece ci lambicchiamo il cervello sulla costo-efficacia, per giunta su un farmaco che costa 60€ in farmacia e che un ospedale paga intorno ai 15€ a scatola.

Interessante anche la sessione dedicata alle comorbidità. In particolare Nicola Squillace ha detto molto chiaramente che il vaccino contro HPV ha un’efficacia molto bassa contro i condilomi se fatto in età adulta, mentre da una mano contro la formazione di lesioni cancerose. È bene farlo anche se probabilmente vanno aggiustate le aspettative dei nostri utenti.

Lucia Taramasso ha poi parlato di quello che possiamo tranquillamente considerare un effetto collaterale tipico della classe degli inibitori dell’integrasi: l’aumento di peso, un problema che caratterizza infatti tutti i farmaci della classe sia pur in modo non uniforme. La cosa che ho trovato curiosa, forse anche un po’ irritante da paziente, è che è stato rilevato come la presenza di Tenofovir DF (TDF) insieme agli inibitori dell’integrasi andrebbe a limitare l’effetto di aumento di peso. Non so se sia una soluzione percorribile, significa chiedere al paziente se preferisce ingrassare o avere problemi alle ossa e ai reni. Come si dice a Bologna, tra correre e scappare…!!

Diverse sessioni, così come i corsi precongressuali, hanno suscitato molto interesse ma, purtroppo, sono state organizzate in sale che si sono dimostrate piccole. Dopo aver tentato di entrare nelle sale previste per due corsi precongressuali, ho notato persone che assistevano in piedi, altre sedute per terra per cui ho scelto di far entrare due ragazze giovani dietro di me e ho rinunciato.

Ciò mi da la stura per parlare degli aspetti non positivi di Icar, aspetti che attengono quasi tutti alla logistica, sicuramente complessa in una città onerosa come Bergamo – per altro città non scelta né da noi né con noi bensì da chi ne ha diritto (cit.)  – ma che a tratti è stata gestita in modo pessimo dal provider Effetti. Infatti, in più occasioni sono dovuto intervenire anche per risolvere problemi per gestire i quali c’è un provider molto ben pagato, e che mi sono costati la perdita di sessioni.

Già il primo giorno di convegno è stato contrassegnato da un certo caos, soprattutto per chi era alloggiato al NH di Orio al Serio, fatto di personale confuso, non preparato ma sicuramente ben maleducato. Tanto è vero che, dopo ore di attesa passate sotto al sole, alcuni partecipanti hanno deciso di non recarsi in hotel a Orio, lasciare la valigia al centro congressi e iniziare i corsi pre-congressuali… del resto una volta a Orio non sarebbero stati sicuri di poter tornare al centro congressi perché nessuno sapeva indicare se ci sarebbe stata o meno una navetta. Sembra una sciocchezza, probabilmente anche il Presidente del congresso lato community la definirebbe tale, ma questo ha comportato che diversi partecipanti hanno potuto raggiungere l’hotel solo dopo la cena.

Buona parte della mattina del secondo giorno di convegno, l’ho passata a cercare di tranquillizzare gli attivisti di Plus che erano in un gruppo di circa 30 partecipanti lasciati soli in un hotel a Orio al Serio, senza indicazioni da parte del provider, dopo che le 2 navette previste, una alle 7,45 e una alle 8,45 erano partite. Per fortuna che lo slogan di Icar di quest’anno era “alleanza per non lasciare indietro nessuno”.

La titolare di Effetti ha risposto dopo circa 4 ore e, come troppo spesso accade in modo insolente, tanto è vero che ho contattato il Presidente residente della conferenza, Franco Maggiolo, che si è dato da fare per risolvere il problema anche se, oggettivamente, non era compito suo; a dirla tutta, Franco Maggiolo si è anche adoperato per risolvere una situazione sgradevole occorsa al nostro Michele Degli Esposti, per cui è giusto ringraziare Franco che ha fatto più del suo dovere per rimediare al caos.

Alla fine i ragazzi sono arrivati ma si sono persi tutte le sessioni sulla PrEP del mattino. Plus si sta spendendo molto sul tema PrEP, per cui questa mala organizzazione mi ha dato molto fastidio, ma mai tanto quanto le risposte sia della Tacconi che del Presidente Icar lato community: la prima sempre sulla difensiva, insolente, tesa a scaricare sugli attivisti gli errori che la sua organizzazione commette, il secondo teso a sottolineare come noi, persone con HIV e attivisti, siamo ospiti (dunque mutismo e rassegnazione?). Mah… come se non bastasse, il nostro iscritto Raffaello è stato aggredito verbalmente dalla titolare di Effetti per aver chiesto se fosse possibile pranzare anche dopo le 14,30 cosa che mi è stata segnalata da due attiviste di LILA. Raffaello partecipava ad alcune sessioni della community organizzate in pausa pranzo (del resto siamo ospiti). Ovviamente ho mandato un garbato messaggio di protesta al Presidente residente, nessuna risposta. Peggio è andata con i vari responsabili della community che hanno sostenuto la tesi per questo genere di cose ci si arrangia. Io spero che una simile aggressione non accada mai a un attivista di LILA, di Arcigay o di ASA perché mi ricorderò del nuovo significato dato al termine “comunità”: comunità vuol dire arrangiarsi.

E qui veniamo al motivo per cui i pazienti sono “coinvolti” in Icar. Uno degli organi della conferenza si chiama Community sub Committee (CsC). Il CsC è chiamato a definire alcuni argomenti e temi di interesse per la community da sviluppare in conferenza. Quindi non siamo esattamente ospiti se dobbiamo lavorare gratis per la conferenza. Ogni tentativo di Plus di migliorare, modificare, aggiornare il funzionamento del CsC, così come di migliorare la presenza degli attivisti a Icar, viene  smontato quando addirittura non capito. In merito a ciò, da mio punto di vista ci sono almeno due punti fermi: non ci sono obiettivi comuni da parte del gruppo di associazioni che fanno parte del CsC né strategie per raggiungerli, in altre parole ognuno pensa al proprio tornaconto e aggiungo anche la soddisfazione personale, umanamente comprensibile, di far parte della “faculty” di una conferenza nazionale. Una conferenza che ha di base una strutturazione di tipo clinico, scientifico e noi di fatto ci dobbiamo adattare a quello schema ossia presentare abstract e fare gli scienziati il che non è affatto il motivo per cui gli attivisti partecipano alla conferenza. La community sta in Icar per fare community. Quindi aspetti sociali, relazionali, best practices, ecc.

Se devo prendere spunto dalla mia esperienza personale, la community in Icar dovrebbe avere uno spazio simile al Global Village della Conferenza Mondiale Aids, dove vengono si presentati abstract, studi e ricerche, ma vendono proposti banchetti di associazioni da tutto il mondo, ci sono spazi di confronto fra attivisti, meeting e creazione di relazioni, scambio di best practices, così come proiezioni di film e documentari a tema, spettacoli teatrali o di danza, mostre e così via. Dal Village partono sempre i cortei di protesta a sottolineare le condizioni di difficoltà che via via emergono nella comunità dei pazienti che reagisce unita e coesa alle ingiustizie delle multinazionali, ai casini che spesso combinano gli Stati Uniti e così via.

OK quella è la conferenza mondiale e noi siamo un piccolo Paese delle banane, ma nulla vieta di allargare la partecipazione delle associazioni (penso ai gruppi trans, alle associazioni di sex worker, ecc.), di organizzare spettacoli, mostre, azioni sceniche, artistiche per esempio usando la street art.

Sono solo esempi, già portati da Plus nel CsC. Per fare ciò a mio parere dovremmo gestire come CsC la parte di bilancio destinata alla partecipazione della community a Icar ma da una parte siamo ospiti e dall’altra il CsC non sente la necessità di lavorare su questi punti… per cui è evidente che Icar va bene com’è alla maggioranza delle associazioni presenti che, del resto, è altrettanto evidente stanno li per la soddisfazione personale di cui ho già scritto. Condividere tali soddisfazioni con altri o, addirittura, lavorare per ampliare la visione non è una via percorribile. Siamo al punto che quest’anno, Gilead ha pagato per la realizzazione di un lavoro in stile street art in una piazza vicina alla sede del congresso e ViiV ha sponsorizzato l’allestimento della mostra “40 anni di HIV” promossa l’anno scorso dal Milano Checkpoint. Mostra bellissima e toccante, ma che è stata riallestita al Bergamo Science Center a due passi dal centro congressi, un luogo piccolo, non climatizzato dove hanno trovato “spazio”, se vogliamo dire così, i banchetti della maggior parte delle associazioni – tranne 1 o 2 privilegiati che sono stati piazzati nei corridoi del centro congressi – che hanno fatto un enorme sforzo ma sono stati visitati da poche persone come era facilmente immaginabile.

In chiusura torno rapidamente sul tema presenza attivisti/ospiti e risposte infastidite del provider Effetti. Penso che valga la pena evidenziare che gli attivisti che partecipano a Icar usano le loro ferie, il loro tempo libero, per dare un contributo alla conferenza Icar che, al netto delle dichiarazioni ampollose, sarebbe ben poca cosa senza il contributo della community. Per cui il minimo che ci aspettiamo è che gli attivisti vengano trattati con il rispetto dovuto, non come ragazzini in gita scolastica, e venga fornita attenzione a ciò che dicono. Insolentire un attivista che nonostante i 75 anni ancora ha la voglia e la forza di fare parte della comunità dei pazienti, non è la via per il paradiso.

Rendo note le proposte di Plus per rendere migliore la conferenza:

  • valutare un luogo fisso per la realizzazione della conferenza, possibilmente privo di cliniche di malattie infettive così che il prestigio dato dall’ospitare la conferenza sia indirizzato verso la conferenza stessa e non verso questo o quel primario, possibilmente in un luogo con buona ricezione alberghiera, con la presenza di un centro congressi, relativamente semplice da raggiungere con i mezzi pubblici, azioni queste che contribuirebbero a contenere i costi.
  • Il CsC dovrebbe avere la gestione della parte di bilancio che rende possibile la partecipazione della community a Icar e poter organizzare la parte sociale della conferenza come parte integrante sia della conferenza che della lotta contro HIV/AIDS: dubito che la International AIDS Conference sia meno conferenza scientifica perché vanta la presenza di un Global Village.
  • Va valutata anche la frequenza della realizzazione della conferenza, forse una conferenza biennale come lo sono diverse altre, darebbe maggiore ariosità alla conferenza e ne consentirebbe una realizzazione più precisa nei tempi e nella logistica.

Da parte mia personale, aggiungo anche che si dovrebbero valutare altri provider.

Sandro Mattioli
Plus aps
Presidente

Dopo HIV, HAV, meningite e morbillo è l’ora del vaiolo.

Grindr, ha inviato a tutti i suoi utenti un messaggio di informazione e prevenzione sul “vaiolo delle scimmie” che è recentemente arrivato in Europa e anche in Italia. Grindr rimanda al comunicato del European Center for Disease Control (ECDC) che ci informa sul numero dei casi di vaiolo – ancora pochi in effetti – e del fatto che la maggioranza dei casi si è avuta fra Maschi che fanno Sesso con Maschi (MSM). Inoltre, l’ECDC raccomanda senza mezzi termini che gli MSM che fanno sesso occasionale o che hanno molti partner sessuali devono essere vigili. Salvo poi “rimediare” scrivendo che “Individuals engaging in casual sex or who have multiple sexual partners who are not MSM should also be vigilant.” Quindi tutti coloro che hanno rapporti con più partner sessuali, non solo MSM, devono essere vigili.

Tuttavia la segnalazione è arrivata forte e chiara e i soliti stronzi omofobi di casa nostra non si sono persi l’occasione per attaccare la nostra comunità. Purtroppo la “comunità” sembra rispondere con richieste di divieti e negazioni come già avvenne anni fa con HIV.

Va da sé che un virus non ha la volontà politica di colpire solo i gay e infatti niente collega direttamente il virus del vaiolo ai gay, tanto è vero che gli omofobi scrivono le usuali idiozie ideologiche prive di qualunque reale base scientifica.

Detto questo, il messaggio di ECDC centra il punto: le persone che fanno sesso con più partner devono essere un po’ più vigili di altre per via della più ampia possibilità di esposizione al rischio. Quindi il tema sta nella esposizione al rischio e nella epidemiologia, non nell’orientamento sessuale.

Questo concretamente cosa significa? Forse che noi gay facciamo più spesso sesso occasionale o di gruppo? Ovviamente non lo so, ma se dobbiamo dar retta allo studio di Chris Bayer pubblicato su The Lancet, noi abbiamo una vulnerabilità biologica legata ai comportamenti, così come una vulnerabilità relazionale dovuta alla dimensione e alla densità dei network di incontri. Bayer si riferiva alla consistente presenza di HIV nella comunità MSM, ma credo che il ragionamento si possa estendere anche al vaiolo delle scimmie, anche se è presto per definirlo una infezione a trasmissione sessuale. Anche gli etero fanno sesso di gruppo? Sicuramente si, ma io mi occupo di salute sessuale nella MSM community per cui non mi interessa ciò che fanno gli eterosessuali a letto o sulla lavatrice, ma ci tengo a tenere il più possibile sana la mia comunità in una logica di riduzione del rischio in assenza di giudizio, che è poi il lavoro che facciamo tutti i giorni in Plus.

Come si prende vaiolo delle scimmie?

La circolare del Ministero della Salute ci informa che “la trasmissione interumana avviene attraverso il contatto stretto con materiale infetto proveniente dalle lesioni cutanee di una persona infetta, nonché attraverso droplet in caso di contatto prolungato faccia a faccia e attraverso fomiti”. Con quest’ultima parola, decisamente desueta, credo si faccia riferimento agli oggetti inanimati che se contaminati da agenti patogeni, possono passare l’infezione a un nuovo ospite. In altre parole pure le mutande del partner posso essere fonte di contagio. “Inoltre – prosegue la circolare – il virus può essere trasmesso per contatto diretto con i fluidi corporei di una persona infetta, il contatto di mucose o cute non intatta con lesioni esantematiche aperte…”.

Ci risiamo. Torniamo alla formula del contatto coi fluidi corporei già usato per HIV.

Lo ammetto: che cosa voglia dire il contatto coi fluidi corporei non l’ho mai capito e anche questa volta non so che significhi. Se tocco con le dita il sudore di un partner infetto mi contagio? Se tocco l’urina o gli metto un dito nel culo, mi contagio? O, come già per HIV, si intende ricevere sperma nel retto… alla faccia del contatto?

Se non altro la circolare è più chiara quando parla di mucose o pelle lesionata che vengono a contatto con le vescicole o le ulcerazioni tipiche del vaiolo, esse stesse fonte di contagio.

In realtà, più fonti mediche sostengono che è presto per parlare di infezione a trasmissione sessuale, ma è chiaro che prima della penetrazione esistono numerosi “giochi erotici” che vengono posti in essere per far “salire la pressione” – a partire dal petting – che possono essere essi stessi fonte di contagio in caso di presenza delle lesioni a cui accenna la circolare.

Dunque essere vigili. Come si possa essere vigili in una dark o un durante un’orgia dove ovviamente gli ormoni tendono a prevalere sui neuroni, non so dire, ma è necessario tenere gli occhi aperti ragazzi, anche perché se il periodo di incubazione del virus è mediamente di una settimana e può arrivare a tre settimane, secondo una nota della Santé Publique France, la persona infetta non è contagiosa finché non compaiono i sintomi. Per cui vigili, ma non paranoici.

Cosa c’entra la comunità gay in questa storia?

Niente.
Niente collega specificamente il vaiolo delle scimmie al sesso tra uomini. D’altra parte, avere più partner è un fattore di esposizione, indipendentemente dall’orientamento sessuale. Un primo rapporto di valutazione del rischio nell’Unione Europea, pubblicato lunedì 23 maggio, stima quindi che il rischio di contagio sia “molto basso” nella popolazione generale, ma diventa “alto” una volta che abbiamo diversi partner sessuali.

È così che alcuni “cluster” sono stati collegati ai network sessuali gay. In Belgio si parla di tre casi legati a Darklands, festival fetish che si è tenuto ad Anversa dal 5 all’8 maggio. In Spagna, il responsabile della sanità regionale di Madrid ha dichiarato 23 casi in gran parte convergenti su una sauna cittadina poi chiusa. Lo stesso responsabile ha riferito di un altro legame tra le persone contagiate e il Pride organizzato nelle Isole Canarie dal 5 al 15 maggio, che ha riunito circa 80.000 persone. Il Ministero della Salute di Israele ha già espresso preoccupazione per il Pride di Tel Aviv che il 10 giugno riunirà svariate migliaia di persone, un evento che potenzialmente potrebbe contribuire a diffondere questo virus proprio per lo stretto contatto di decine di migliaia di persone che sicuramente non faranno una mega orgia, ma altrettanto sicuramente si baceranno, struscieranno, abbracceranno, staranno gli uni vicini agli altri come è avvenuto in Gran Canaria. Già questo pare essere in qualche caso sufficiente a trasmettere il virus.

“Sappiamo che il vaiolo delle scimmie può essere diffuso attraverso uno stretto contatto con le lesioni di una persona infetta e sembra che il contatto sessuale abbia ora amplificato questa trasmissione”, dichiara David Heymann, dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), a Reuters. In altre parole, è probabile che qualcuno sia stato infettato, abbia sviluppato lesioni sui genitali, sulle mani o altrove, e poi lo abbia trasmesso ad altri attraverso i rapporti sessuali, da intendersi in senso ampio non solo la penetrazione.

Insomma, come è già avvenuto per altre epidemie, ovviamente HIV ma anche meningite o morbillo, gli MSM tendono ad essere più esposti rispetto alla popolazione generale a causa di un numero di partner sessuali in media maggiore rispetto alla popolazione generale, quantificato in cluster specifici.

Attenzione all’omofobia!

Al netto delle considerazioni di ordine epidemiologico che restano valide per la comunicazione interna alla comunità e per le contromisure di prevenzione, attenzione alle tirate omofobiche che anche in Italia si stanno già diffondendo a partire dalla ineffabile De Mari che, non paga di aver perso una causa e subito una sospensione dall’ordine, insiste con i suoi articoletti tesi a diffondere analogie improprie e generalizzazioni ideologiche di orientamento omofobico. Ma, senza perdere tempo con le mosche con la tosse, vale la pena citare UNAIDS che insiste sul fatto che, oltre ad essere inaccettabili di per sé, le posizioni omofobiche sul vaiolo delle scimmie ostacolano la lotta contro la diffusione del virus. “Lo stigma e la colpevolizzazione minano la fiducia e la capacità di rispondere efficacemente a focolai come questo”, ha affermato il vicedirettore Matthew Kavanagh. Con la sua lunga esperienza nella lotta all’AIDS, l’organizzazione sa che i cliché razzisti o omofobici “creano un circolo vizioso di timori, che spinge le persone a evitare i centri sanitari, che limita la portata degli sforzi per identificare i casi di infezione e incoraggia misure punitive inefficaci”.
Non dobbiamo esitare a combattere queste impostazioni.

Quali raccomandazioni contro il vaiolo delle scimmie?

In caso di dubbi indossa una mascherina e vai dal medico – che è decisamente meglio di Google – e segui le sue indicazioni.

Sandro Mattioli
Plus aps

Il BLQ Checkpoint ha iniziato ormai sei anni fa ad offrire test di screening su HIV. Poco dopo la sua apertura ha esteso l’offerta ai test per epatite C e sifilide.

La Regione Emilia Romagna ha deciso di supportare il progetto BLQ Checkpoint erogando all’Azienda Sanitaria di Bologna 50.000 € che vengono in parte usati per acquistare i test di screening.

Credo si possa dire senza ombra di dubbio che il progetto checkpoint abbia portato la popolazione a controllarsi con maggiore frequenza e attenzione in modo da trattare immediatamente le eventuali infezioni così da ridurre la circolazione dei relativi patogeni.

In effetti, una delle situazioni decisamente migliorabili in Emilia Romagna, per esempio, sono le diagnosi tardive in HIV che l’epidemiologia della Regione stima in quasi il 60% delle nuove diagnosi, dato che si ripete in pressoché tutte le province della Regione tranne che a Bologna dove è visibile una consistente differenza con le altre province sia per le diagnosi tardive che per le diagnosi di AIDS.

Evidentemente il lavoro del BLQ Checkpoint, unitamente al resto dei servizi offerti da PLUS, è riuscito a dare quel quid in più nell’attività di testing che ha fatto la differenza e che sarebbe bene riuscire a promuovere anche nelle altre province.

Purtroppo non sempre le cose vanno per il verso giusto e non sempre le istituzioni sanitarie comprendono appieno il pensiero innovativo che insiste dietro a un progetto come quello del BLQ Checkpoint: un modello di intervento che, pur in sussidiarietà orizzontale, con un approccio community based e peer oriented consente di attaccare le infezioni favorendo una migliore informazione sulla propria percezione del rischio e, di conseguenza, una migliore difesa contro le principali infezioni a trasmissione sessuale.

Dall’inizio del 2021 al BLQ Checkpoint abbiamo inviato in clinica per i test di conferma ben 10 persone risultate reattive al test di sifilide.

Una infezione molto comune il cui contagio è reso più “semplice” dal fatto che si trasmette per contatto. Ma anche un’infezione la cui diagnosi non è semplice soprattutto in caso di recidiva. Infatti alle persone che hanno già avuto una diagnosi di sifilide non è possibile eseguire un test anticorpale perché risulterebbe un falso positivo. Gli anticorpi restano presenti nel sangue per molti anni rendendo di fatto inutili i comuni test anticorpali.

Al BLQ Checkpoint usiamo appunto i test anticorpali e possiamo farli solo a chi non ha mai avuto una diagnosi di sifilide. L’Azienda Sanitaria acquista infatti i test di screening treponemici di Abbot che, ultimamente, hanno dato qualche problema che abbiamo prontamente segnalato sia alla USL che al Ministero della Salute e ovviamente all’azienda produttrice.

L’acquisto dei test è stato sospeso ma, ad oggi, l’Azienda Sanitaria – nello specifico il Dipartimento di Cure Primarie diretto dalla dott.ssa Maccaferri – non ha deciso che fare. La logica conseguenza è che i test di Abbott sono terminati e il servizio è stato sospeso.

Esistono altri test di screening per sifilide che sono ovviamente in grado di rilevare gli anticorpi, ma anche di segnalare se l’infezione è attiva. Si tratta di test che già utilizziamo nell’altro nostro servizio effettuato in collaborazione con il S. Orsola denominato Sex Check. Questa informazione è stata data ai nostri referenti che pur tuttavia non hanno preso alcuna decisione con buona pace dei tanti esiti reattivi che abbiamo individuato, così come del fatto che si tratta di soldi della Regione non dell’Azienda Sanitaria.

Non è il primo episodio che dimostra un certo menefreghismo da parte della dirigenza del Dipartimento Cure Primarie che ha scelto di non comunicare con Plus da molti mesi a questa parte, di non assegnare un medico di riferimento (o forse è stato fatto ma nessuno ha pensato di comunicarlo), di non organizzare la formazione, tutte cose previste dalla convenzione in essere. Una convenzione, per altro, in parte peggiorativa rispetto alla precedente dove abbiamo assunto degli obblighi mai concordati con la direzione sanitaria, semplicemente l’allora Direttrice Generale, dott.ssa Gibertoni, ha deciso cosa doveva fare PLUS senza consultarci o degnarsi di riceverci. Un perfetto esempio di stile padronale.

In effetti PLUS potrebbe togliere fondi da altri progetti e acquistare i test di cui sopra per non sospendere il servizio, ma non lo farà in primis perché gli altri fondi sono finanziati da privato e non dalla Regione Emilia Romagna che, al contrario dell’Azienda Sanitaria, ha fin qui dimostrato un interesse reale, non formale, per il BLQ Checkpoint.

Ça va sans dire che speriamo di poter riprendere quanto prima il servizio di testing, sperando di essere presi in considerazione.

 

PLUS, nei suoi 10 anni di attività, ha sempre dialogato con le istituzioni e con tutte le forze politiche con un’unica discriminante antifascista.

Per la realizzazione degli obiettivi della nostra associazione, sono necessarie oltre, a una visione progressista e inclusiva della società, anche competenze e visioni programmatiche innovative del modello socio sanitario promosso dal servizio pubblico in sussidiarietà orizzontale di cui il nostro servizio BLQ Checkpoint ne è un fulgido esempio.

Fermo restando quanto premesso, come associazione ci siamo domandati quale posizione tenere a riguardo delle prossime elezioni amministrative di Bologna.

La presenza in varie liste, tutte a sostegno del candidato a sindaco Lepore, di personalità LGBTQI+ sono da ritenersi un elemento molto positivo che va nel solco della tradizione cittadina.

Naturalmente ci auguriamo e speriamo che tutte le persone LGBT candidate siano elette.

Tuttavia come associazione LGBT che opera per la promozione della salute sessuale, per la lotta contro HIV, per la lotta allo stigma verso le persone che vivono con HIV e al doppio stigma verso le persone LGBT che vivono con HIV, non possiamo restare indifferenti alla candidatura di Nadalina Assueri nella lista Civica di Lepore.

Non possiamo restare indifferenti per due motivi

Il primo motivo riguarda i tanti anni di lavoro svolto con Nadialina Assueri per la realizzazione e la gestione del BLQ Checkpoint, noi come privato sociale lei come responsabile ASL nonché come componente della Commissione Regionale AIDS, che ci ha permesso di conoscere e misurare la sua professionalità, la sua competenza e la sua capacità di visione di sistema.

Il secondo motivo è che una personalità come quella di Nadalina Assueri sia stata candidata.

Un segnale politico e programmatico che non possiamo sottovalutare e che ci sentiamo di dover seguire e sostenere.

Quindi, dopo profonda riflessione PLUS ritiene di dover prendere parola e segnalare ai propri soci e socie, alle persone lgbtiq+, alle persone che vivono con HIV, a tutte le persone che si occupano delle politiche di prossimità la candidatura di Nadalina Assueri nella lista civica di Matteo Lepore.

L’eventuale elezione dell’Assueri in Consiglio Comunale avrebbe un impatto positivo sul sistema anche in favore della salute delle persone lgbtqi+ che invitiamo a valutare e considerare al momento del voto.