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cri-pasqua-1Lo so che sta per arrivare Natale, ma noi di Plus stiamo già pensando a Pasqua.
Pensiamo a Pasqua perché le persone sieropositive seguite dall’ambulatorio malattie infettive dell’ospedale Maggiore, diverse centinaia, riceveranno una sorpresa nell’uovo: passeranno tutte al Sant’Orsola.

L’ambulatorio del Maggiore verrà chiuso, tutti i pazienti trasferiti in un nuovo centro attualmente in corso di ristrutturazione, ossia il Padiglione Palagi del policlinico Sant’Orsola-Malpighi. Nella nuova struttura saranno convogliate tutte le persone affette da HIV e anche quelle con il virus C dell’epatite, quindi oltre ai pazienti del Maggiore anche tutti i pazienti attualmente seguiti dalle malattie infettive del Sant’Orsola.
Dal punto di vista organizzativo, il nuovo centro potrà sfoggiare un importante passo avanti informatico: a ogni paziente verrà infatti consegnato un codice a barre grazie al quale sarà reindirizzato verso l’ambulatorio medico per la visita, o l’ambulatorio prelievi, o lo spazio farmacia per il ritiro farmaci.

Tutto perfetto quindi?
Be’, non proprio.
Per chi è seguito dal Sant’Orsola cambierà poco. Per chi è seguito dal Maggiore, invece,

Mai su di noi, senza di noi.
Mai su di noi, senza di noi.

cambierà parecchio. Nonostante le vaghe assicurazioni del prof. Viale, Direttore di Malattie Infettive, non sarà più possibile avere un medico di riferimento. I pazienti saranno seguiti dal reparto, cioè dal primo medico disponibile in turno nel giorno della visita.
Una scelta in netto contrasto con decine di studi sulla validità di un forte rapporto medico-paziente, sulla continuità di cura e via dicendo.
Plus non starà a guardare e farà del suo meglio per garantire ai pazienti del Maggiore la possibilità di continuare a essere seguiti dal proprio medico, ma appare per ora evidente che su questo punto non vi è alcuna disponibilità da parte della direzione.

Quello che non cambierà sarà la fornitura dei farmaci, che continueranno a essere erogati un mese alla volta, cosa che costringe i pazienti a recarsi in ospedale 12 volte l’anno solo per ritirarli. Significa 12 permessi sul lavoro, ai quali si sommano i permessi per le visite, per i prelievi ecc.
È opportuno ricordare che nessuno obbliga un centro clinico a impedire al paziente con HIV di scegliere il medico. Il reparto malattie infettive del policlinico di Modena, per fare un esempio a noi vicino, consente da sempre questa buona pratica.

Il giorno 2 dicembre Plus è stata invitata a un confronto con la Direzione Sanitaria su questi temi. Di seguito il breve report che, dopo una dovuta riflessione, abbiamo inviato alle istituzioni sanitarie e alle associazioni di pazienti e di lotta contro l’HIV/Aids che fanno parte della commissione inter-aziendale Aids (per nulla coinvolta nella gestione del passaggio).
Ancora una volta, il destino delle persone con HIV viene deciso senza tener conto delle esigenze dei principali attori.
Ancora una volta ci troviamo a dire: basta decisioni su di noi senza di noi.

report-riunione-santorsola

Sandro Mattioli
Plus Onlus
Presidente

Articolo di Benjamin Ryan

di Benjamin Ryan

Nell’estate del 2016, due studi di ampia portata hanno scoperto quanto segue: nessun partecipante sieropositivo ha trasmesso il virus al proprio partner sieronegativo in presenza di viremia soppressa (non rilevabile), malgrado rapporti sessuali in massima parte senza preservativo. Abbiamo quindi la garanzia che i sieropositivi undetectable non sono contagiosi?

Una recente meta-analisi di vari studi ha scoperto che i maschi che fanno sesso con altri maschi (i cosiddetti MSM) in PrEP (la profilassi pre-esposizione) hanno un tasso molto elevato di infezioni sessualmente trasmissibili rispetto agli altri MSM. Significa forse che prendere la PrEP agevola l’acquisizione di gonorrea, clamidia & co.?

La corretta interpretazione di queste ricerche – quali conclusioni trarre, quali evitare – dipende dalla comprensione di determinati principi della letteratura scientifica. Non bisogna avere un dottorato per arrivarci, ma quando ci si trova di fronte a certe notizie può essere utile ricorrere a un paio di concetti chiave, scientifici e matematici. Eccoli qua.

TasP - articolo di Benjamin Ryan

L’intervallo di confidenza

Forse vi è arrivato alle orecchie il motto lanciato dalla Prevention Access Campaign (PAC), «Undetectable = Uninfectious». Lo slogan si basa sull’assenza di trasmissioni di hiv rilevata nel corso dello studio HPTN 052 e nello studio PARTNER, tuttora in corso. Nessun partecipante sieropositivo con carica virale non rilevabile ha trasmesso al partner sieronegativo. Nel caso dello studio PARTNER, parliamo di 22.000 rapporti sessuali tra MSM e 36.000 rapporti sessuali etero.

Si tratta di un bel po’ di sesso senza preservativo in assenza di trasmissioni. Ciò detto, i ricercatori non saranno mai in condizione di affermare con assoluta certezza che chi è undetectable non è infettivo. Per capire il perché, bisogna prendere in considerazione un concetto importante in ambito statistico noto come l’intervallo di confidenza.

Quando gli autori degli studi scientifici pubblicano le stime relative a un determinato esito – in questo caso il tasso stimato di trasmissioni di hiv nel corso del tempo in presenza di viremia non rilevabile – forniscono anche un intervallo di confidenza. Questo significa che basandosi sui dati a disposizione, gli autori dello studio sono sicuri al 95% che l’esito definitivo si trova all’interno di un certo intervallo. Più dati hanno, più possono restringere l’intervallo di confidenza della loro stima.

Un intervallo di confidenza si può solo restringere, non eliminare. La sua persistenza, categorica conferma dell’inamovibile natura dell’incertezza, sta a significare che qualsiasi affermazione scientifica circa il rischio di trasmettere hiv anche in presenza di un virus soppresso si accompagnerà sempre a un briciolo di dubbio. I ricercatori possono solo consolidare la loro certezza nella stima del rischio.

Mettiamola così: in ambito scientifico non esistono garanzie al 100%, né c’è modo di dimostrare il contrario. Anche se i partecipanti allo studio PARTNER avessero centomila miliardi di rapporti sessuali in presenza di viremia soppressa e con zero trasmissioni, c’è sempre la possibilità che essa scatti in occasione del prossimo. Gli autori dello studio PARTNER possiedono già abbastanza dati per stimare che il rischio di trasmissione quando la viremia non è rilevabile è, davvero, zero. Ma i loro intervalli di confidenza per i vari tipi di atto sessuale sono molto diversi, in quanto si basano sui dati raccolti finora.

Dando un’occhiata a tutti i possibili tipi di sesso penetrativo con una persona sieropositiva undetectable, l’intervallo di confidenza degli studiosi ci dice che se seguissimo 10.000 coppie per un anno, il virus verrebbe trasmesso tra le 0 e le 30 volte. Dato che lo studio dispone di meno dati per gli MSM, l’intervallo di confidenza per quanto riguarda il rischio di trasmissione nel sesso anale con eiaculazione e partner hiv+ attivo oscilla attualmente tra 0 e 270.

Col procedere dello studio PARTNER, questi intervalli di confidenza sono destinati a rimpicciolirsi. E col tempo, almeno finché non si registreranno trasmissioni, la scienza potrà dire con sempre maggiore certezza che il rischio di passare il virus è così minuscolo da essere trascurabile.

PrEP - Articolo di Benjamin RyanCorrelazione vs. causalità, ovvero perché è così difficile determinare se la PrEP è responsabile dell’aumento delle IST

Può essere molto difficile, per gli studi scientifici, anche solo avvicinarsi all’obiettivo di dimostrare che un determinato fattore provoca un determinato esito. In una recente meta-analisi che mette a confronto il tasso di infezioni sessualmente trasmissibili tra MSM partecipanti a studi sulla PrEP e quello degli MSM coinvolti in altri studi, i ricercatori hanno scoperto che per i maschi in PrEP è 25 volte più probabile ricevere una diagnosi di gonorrea, 11 volte più probabile riceverne una di clamidia e 45 volte più probabile essere diagnosticati con la sifilide.

Quello che l’articolo non può dire con certezza è se andare in PrEP o partecipare a uno studio sulla PrEP faccia sì che gli uomini contraggano un maggior numero di IST. L’unica cosa acclarata è questa associazione, questo link, questa correlazione tra uso della PrEP e alti tassi di infezioni sessualmente trasmissibili. In altre parole: chi prende la PrEP tende a contrarre IST. O, detto con maggiore accuratezza, chi partecipa a studi sulla PrEP registra alti tassi di infezioni sessualmente trasmissibili. Tuttavia, un numero indefinito di cosiddetti fattori di confondimento può aver contribuito a questo alto tasso di infezioni che interessa i partecipanti agli studi sulla PrEP.

È più che comprensibile che un gruppo di MSM in PrEP tenda a contrarre un sacco di IST, visto che sono proprio i comportamenti sessuali ad alto rischio a far sì che una persona sia adatta a entrare in uno studio del genere – comportamenti che agevolano la presenza di gonorrea, clamidia o sifilide. E la buona notizia è che i maschi che rischiano di più sono anche i più interessati alla PrEP: quindi, se tutto va bene, la loro assunzione di Truvada dovrebbe concorrere al calo delle nuove infezioni.

Spesso, gli autori delle ricerche tendono a correggere o controllare i dati per tenere conto dei fattori di confondimento e dare un senso più netto di causa ed effetto, o almeno suggerire che una variabile possa aiutare a predirne un’altra – ad esempio l’obesità come fattore predittivo dell’infarto. Controllare questi fattori può aiutare gli studiosi a individuare con maggiore chiarezza il loro ruolo nell’esito che stanno esaminando.

Gli autori dell’articolo sulla PrEP non hanno modificato il tasso di IST per dare conto di qualche fattore confondente. Non hanno teorizzato che la differenza tra i tassi di infezione tra gli MSM in PrEP e quelli degli altri studi possa in parte essere funzione del fatto che per partecipare agli studi sulla PrEP bisogna essere propensi a rapporti rischiosi. La loro analisi non è stata strutturata per esaminare i cambiamenti nel tasso delle IST nel corso del tempo o per individuare le potenziali cause di tali tassi.

Se uno studio volesse capire se andare in PrEP cambia il tasso di IST, dovrebbe prima fotografare il tasso prima di assumere il Truvada e poi monitorare come cambia nel tempo. Anche in tal caso, lo studio non potrebbe dire se il tasso di IST avrebbe comunque seguito una traiettoria analoga anche senza introdurre la PrEP. I ricercatori avrebbero bisogno di un gruppo di confronto composto da persone simili, non in PrEP, in modo da seguire l’andamento delle IST nel corso del tempo.

Ma se i membri di questo gruppo di controllo non vengono selezionati a caso, ecco che il paragone rischia di introdurre variabili disorientanti. Le differenze nei comportamenti sessuali che influenzano le scelte di quegli MSM che hanno deciso di propria sponte di andare in PrEP o di partecipare a uno studio sulla PrEP, rispetto a quelli di coloro che hanno scelto di non farlo, potrebbero viziare i risultati di un confronto tra i due gruppi.

Lo studio PROUD con la PrEP, centrato su MSM con comportamenti ad alto rischio in Inghilterra, ha istituito sul serio un gruppo di confronto – allo scopo di determinare quanto la PrEP riesce a prevenire le nuove infezioni – facendo sì che una porzione dei partecipanti ricevesse il Truvada in un secondo momento. In questo modo tutti i partecipanti sono entrati nello studio alle medesime condizioni, ma ad alcuni di essi, scelti a caso, la PrEP è stata somministrata più tardi. Effettuato un confronto tra i tassi di IST dei partecipanti in PrEP e quelli in attesa di prenderla – tassi in entrambi i casi molto elevati – i ricercatori non hanno individuato alcuna correlazione tra l’inizio della PrEP e un aumento delle infezioni.

Altri studi sulla PrEP non hanno tendenzialmente riscontrato alcun cambiamento nel tasso di IST tra i partecipanti nel corso del tempo. Tuttavia, uno studio basato su una somministrazione della PrEP non giornaliera ha registrato un calo nell’uso del preservativo appena i partecipanti sono passati dalla fase placebo a quella open label, in cui sapevano cosa stavano prendendo. Questa è, finora, la prova scientifica più solida di come, almeno tra gli MSM, andare in PrEP coincida davvero con un aumento dei comportamenti sessuali a rischio, un fenomeno che può essere definito compensazione del rischio o, in parole povere, disinibizione.

Articolo originale (pubblicato su POZ il 4 novembre 2016)

Traduzione di Simone Buttazzi

glasgow-2016Plus Onlus è stata presente anche alla edizione 2016 della HIV Drug Therapy di Glasgow, una conferenza interessante e molto partecipata, come sempre del resto.
In effetti oltre 2000 partecipanti si notano, ma, al di la di questo, i contenuti esposti la confermano come una delle più importanti conferenze al mondo.
Durante la sessione inaugurale, Anthony Fauci, uno dei massimi esperti di HIV con la fortuna di saper esporre pressoché ogni tema legato all’argomento con estrema facilità, ha arringato la folla con il suo “Follow the science” indicando come sia solo restando sull’evidenza scientifica che è possibile sconfiggere HIV anche grazie agli strumenti che già abbiamo.
Sembra una ovvietà ma non è affatto così. Consideriamo quanto stigma, discriminazione, criminalizzazione e altre follie degenerative del cervello di pochi ossessionati possono condizionare la diffusione di HIV, pur non avendo nulla a che vedere con l’evidenza scientifica.
Inizia da lontano la lettura di Fauci, dal 1981 quando il MMWR (Morbidity and Mortality Weekly Report), riportò i primi casi di PCP e Sarcoma di Kaposi a Los Angeles e New York. Oggi i dati al 2015 della pandemia, sono di quelli fanno tremare le gambe:
• 36,7 milioni di persone che vivono con HIV,
• 1.1 milioni di morti,
• 2.1 milioni di nuove infezioni (fonte UNaids).
Tuttavia, mentre l’aspettativa di vita nel 1980 mediamente non superava i 12 anni senza la ART, oggi, grazie ai trattamenti efficaci, in media abbiamo una aspettativa di vita di 53 anni addizionali. Oggi è ormai acclarato che l’offerta della terapia come prevenzione aggiuntiva è utile a concedere meno spazio all’epidemia, tuttavia è evidente che per mettere in trattamento i diversi milioni di persone con HIV nel mondo occorrono volontà politiche, prima ancora dei fondi necessari (che qualcuno più avanti dimostrerà essere meno di quel che si crede). In caso di esito positivo al test la cosiddetta retention in care è un tema che affligge molti paesi. Sicuramente gli USA che perdono numeri impressionanti di pazienti fra la diagnosi e l’inizio del trattamento, lo è anche per l’Italia anche se, per una volta, il nostro paese riesce a fare molto meglio della grande potenza.
Il tema della continuità del trattamento è direttamente proporzionale alla possibilità di avvicinarci all’obiettivo 90-90-90 proposto al mondo da UNaids (90% delle persone con HIV diagnosticate, 90% in trattamento, 90% a viremia soppressa). È un obiettivo molto ambizioso e la data limite del 2020 lo pone nella sfera delle idee irrealizzabili, tuttavia anche solo avvicinarsi in modo consistente alla meta, comporterebbe una grossa “botta” all’epidemia. Infatti, come è ormai largamente faucidimostrato, la soppressione virale comporta una possibilità di contagio talmente remota da poter dire zero, ma è ovvio che la carica virale va mantenuta abbattuta, che il paziente deve essere aderente e deve essere controllato da un sistema sanitario in grado di funzionare. Il che è maggiormente vero oggi che i pazienti HIV+ invecchiano, si trovano ad affrontare le co-morbidità tipiche dell’età che avanza a fronte di un sistema sanitario sempre più a corto di fondi, nella sensazione generale che HIV non sia più un’emergenza.
Attenzione: HIV ci mette pochissimo a tornare ad essere un’emergenza.
Vorrei anche chiarire che se l’obiettivo è ambizioso non è irrealizzabile. Secondo quanto riportato da HIV Medicine il 18 agosto 2016, la Svezia è il prima stato che dichiara di aver raggiunto quanto disposto da UNaids.
Ma non è tutto qui. Anthony Fauci ci ricorda che anche in caso di esito negativo non ce la caviamo con un ok tutto bene arrivederci, e propone il “Prevention Contiuum” ossia l’offerta di tools che facciano si che la persona con esito negativo resti tale. Fauci parla di counselling, di “Combination HIV Prevention”. È una gioia ascoltarlo e vorrei che molti compagni di viaggio (e che si fanno dei bei viaggi) italiani lo potessero ascoltare, è una gioia annotare che il BLQ Checkpoint sta già facendo pressoché tutto ciò che il professore cita.
Tornato alla terapia, Fauci cita alcuni fra i principali studi, ultimo quello pubblicato su JAMA lo scorso luglio, che lo portano a dire che ad oggi non ci sono casi documentati di trasmissione in coppie siero-discordanti dove il partener HIV+ è a viremia soppressa e lo fa citando i 58.000 atti sessuali dello studio, chiudendo così l’argomento.
prepTuttavia, non pago, ne apre immediatamente un altro: la PrEP. E va immediatamente alla best practice di San Francisco dove, grazie alla PrEP offerta a 1200 persone, in un anno mezzo hanno azzerato le nuove diagnosi fra gli arruolati nel programma. Mentre si sono registrate 82 nuove diagnosi fra chi non era nel programma (fonte AIDS 2016 abstract FRAE0104).
Con un eloquente gesto teso a dire spero che questo sia un messaggio chiaro a tutti, Fauci passa al futuro, prossimo per altro, e ci descrive gli studi sui farmaci a lento rilascio per poi passare alle sfide vere per il futuro che indirizza verso che quella che chiama HIV Persistence: la cura. Chiarisce subito che la cura classica, l’eradicazione, non è, qui e ora, nelle nostre possibilità ma è possibile giungere a controllare il rebound virologico grazie ad anticorpi specifici (cita un suo studio su animali pubblicato su Science il 13 ottobre, secondo il quale una breve terapia ARV con l’aggiunta di anticorpi particolari, porta ad un prolungato controllo della viremia a fronte della sospensione della terapia)… insomma ci spazi per la speranza. Ma non si ferma qua e dice al sua anche sul tema vaccino.
Fauci presenta due strade per un vaccino: quella tradizionale (approccio empirico o induttivo) che riproduce una infezione naturale e porta alla riorganizzazione del sistema immunitario che ci attrezza per combattere e vincere il contagio. Ci abbiamo già provato, infatti Fauci cita il noto studio realizzato in Thailandia con i fondi del ministero della difesa USA (risultati pubblicati su New England Journal of Medicine nel 2009), ci riprova l’NIH con uno studio che sta per iniziare in Sud Africa che prevede l’utilizzo di anticorpi monoclonali.
Studi interessanti ma anche necessari perché Fauci ci fa notare che si, è vero che il trattamento anticorpiARV è utile per la lotta contro HIV e per la sua prevenzione, ma costa molto. Il costo dei trattamenti per HIV, unitamente a quelli per HCV e il cancro, hanno portato pesanti dissesti in più un sistema sanitario nei paesi del primo mondo e Fauci sembra voler offrire una soluzione da temporeggiatore mostrando una tabella relativa ai farmaci generici per HIV, già utilizzabili per molti principi attivi e parecchi altri brevetti stanno per scadere. In effetti un accesso diffuso ai generici potrebbe garantire un utilizzo del trattamento ARV su larga scala, ma Fauci denuncia l’over-charging sui farmaci e chiede trasparenza sui prezzi come già ha fatto l’OMS. Ma Fauci va anche oltre, arrivando a ipotizzare i buyers club laddove i prezzi dei farmaci non dovessero consentire il trattamento diffuso e fa un preciso riferimento a Gilead, ai 10 miliardi di dollari di tasse che avrebbe aggirato e al costo dei farmaci per HCV.
È doveroso segnalare che durante un panel discussion, la prof. Mussini, direttrice della Clinica

Prof.ssa Mussini
prof. Mussini, direttrice della Clinica Malattie Infettive del Policlinico di Modena, ha citato il BLQ Checkpoint come best practice italiana nell’ambito delle nuove strategie per incrementare i test e limitare il numero delle diagnosi tardive

Malattie Infettive del Policlinico di Modena, ha citato il BLQ Checkpoint come best practice italiana nell’ambito delle nuove strategie per incrementare i test e limitare il numero delle diagnosi tardive. Un riconoscimento pubblico in una grande conferenza internazionale che è stato molto gradito.
Jens Lundgren ha tenuto una lettura sui dati scientifici a sostegno dell’inizio immediato della terapia in tutte le persone che ricevono la diagnosi di HIV. Lundgren è tra i ricercatori che ha condotto negli anni passati lo studio START, un grande studio in tutto il mondo per stabilire il rapporto tra rischi e benefici dell’inizio immediato della terapia. Ci sono voluti più di quattro anni per arruolare le oltre 4.500 persone che hanno preso parte allo studio, anni in cui tante discussioni sono state fatte su questo tema, anche dubitando che ci fosse la necessità di questo studio. Alla fine lo studio si è svolto in 215 centri di 35 paesi. Per prendere parte allo studio le persone dovevano avere una conta dei CD4 di almeno 500 cellule. Lo studio doveva continuare con i due gruppi – uno che iniziava la terapia subito e l’altro che aspettava fino a che i CD4 scendevano sotto la soglia di 350 considerata di riferimento allora dalla maggior parte delle linee guida per l’inizio della terapia – fino alla fine di quest’anno ma a metà 2015 il comitato che analizza i dati ha deciso di offrire la terapia a tutti perché era già evidente che in questo modo si evitano molti problemi di salute. Infatti ci sono state sensibilmente meno persone morte o che hanno sviluppato delle malattie gravi nel gruppo che ha iniziato la terapia subito rispetto a quelle nel gruppo che ha atteso il declino dei CD4. Anche la qualità della vita è migliorata nei primi due anni nelle persone che hanno iniziato la terapia subito. Una delle slide mostra come il rischio di sviluppare malattie collegate all’infezione da HIV cresce notevolmente nel gruppo che aspetta ad iniziare la terapia, ma non è nullo nemmeno nel gruppo che la inizia subito; questo indica che HIV è capace di fare danni anche in presenza di terapia almeno in alcune persone. Anche il rischio di lundgrenavere un tumore si riduce di circa il 60% se si comincia la terapia subito. Il rischio di malattie cardiovascolari invece non diminuisce significativamente. È stato fatto anche un sottostudio per valutare la elasticità delle arterie ma non si sono viste differenze grosse tra i due gruppi. Un altro sottostudio ha guardato la funzione polmonare: la differenza si vede tra chi fuma e chi non fuma, ma non tra chi inizia la terapia subito e chi aspetta. Infine hanno guardato anche se c’erano differenze per le funzioni neurologiche: nessuna differenza in questo caso, l’unica cosa che si vede è che le persone imparano a fare i test neuropsicologici sempre meglio nel corso del tempo. Adesso che lo studio è finito, i ricercatori possono vedere se c’è un qualsiasi aumentato problema di salute dovuto al fatto di fare la terapia per un tempo più lungo. Ovviamente ci sarebbe bisogno di seguire le persone per più tempo, ma in questi anni di studio non si è visto niente che possa far pensare a un danno di questo tipo. Una delle riflessioni finali è che la terapia precoce non elimina del tutto i problemi legati all’infezione da HIV, c’è quindi bisogno di nuove strategie per risolvere questo problema.
Fra i molti poster presentati, diversi sull’utilizzo dei farmaci ARV come prevenzione, interessante il lavoro di 56 Dean Street sulla percezione del rischio negli MsM in PrEP.
56-dean-strQuasi l’80% in daily PrEP e una minoranza ha scelto di assumerla secondo necessità. I risultati sono stati ottenuti sottoponendo un questionario anonimo a oltre 100 MsM nel quale veniva chiesto da quanto tempo fossero in PrEP, se e come fosse cambiata l’attività sessuale e la scelta dei partner, oltre a come percepiscono il rischio di prendere una IST.
Dal questionario è emerso un incremento nei rapporti condomless negli utenti in PrEP da più di 4 mesi, rispetto a coloro che aveva iniziato da poco l’assunzione. Inoltre dallo studio emerge che i partecipanti fossero molto più rilassati di un tempo rispetto alla possibilità di prendere HIV, ma più preoccupati di prendere una IST.
È importante che protocolli sulla PrEP vengano inseriti screening sulle IST e interventi di riduzione del rischio.
Ragionamento supportato anche da un altro studio dell’Università di Montreal sull’incremento di Chlamydia dopo la prescrizione della profilassi pre esposizione.
Sempre sulla PrEP è stato interessante notare come sia stata inserita nelle sessioni dedicate ai case studies. Il prof. Molina, padre della PrEP francese, ha portato sia il caso di una donna eterosessuale sposata ad un uomo con HIV che voleva avere figli e per via naturale, sia il caso di Mr B, un uomo gay di 30 anni in coppia con un partner HIV- con il quale fa sesso condomless, ma che con gli altri partner occasionali non ha un uso consistente di condom nei rapporti anali. Mr B è HIV-, HBV e HCV negativo, ha sentito che esiste una profilassi e chiede un supporto medico. Interessante notare come anche fra i sanitari del panel di discussione, l’atteggiamento non era più lo stesso e la differenza fra la donna che voleva un figlio e il ragazzo che faceva sesso in giro. Un medico avrebbe segnatamente consigliato di essere fedele al compagno e fine li. La platea, che poteva votare, consigliava di usare sia la Prep che il condom.
Le conclusioni di Molina sono da manuale: le persone a rischio elevato di contagio, devono riceve in via prioritaria interventi, quali counselling vis a vis, sulla riduzione del rischio e PrEP.
In caso di avvio della profilassi, è necessario eseguire test Ab-Ag al momento, dopo il primo mese e successivamente ogni tre mesi.
La PrEP, secondo Molina, deve essere parte integrata delle strategie di riduzione del rischio.
Un serie di presentazioni hanno cercato di valutare come raggiungere più rapidamente l’obiettivo 90-90-90. Si è parlato di barriere al test e, invece di distruggerle si pensa al test a casa, così come al home kit per la PrEP da un lato, mentre dall’altro il recupero delle raccomandazioni dell’OMS che prevedono per i sieropositivi una visita ogni 3-6 mesi e il ritiro dei farmaci ogni 3-6 mesi. Chissà se qualche centro clinico le ha mai lette.

Alla conferenza sono presenti numerosi espositori e booth di associazioni. È sempre molto interessante gironzolare e scoprire cosa fanno gli altri, specie se “gli altri” sono il THT che si è gorgoniinventato un simpatico pieghevole “gratta e vinci” per valutare se è ora di fare il test oppure no. Poi uno si volta e dallo stand di Gilead compare il viso di Simone Marcotullio di Nadir e subito sotto Paolo Gorgoni della nostra associazione, entrambi testimonial della campagna “Beyond HIV” alla quale numerose associazioni hanno dato un contributo.

L’ultima plenaria è stata interamente dedicata alla PrEP. Uno sguardo al passato, dove siamo arrivati ora, i follow up in corso, le possibilità per il futuro. Chiunque sia minimamente avvezzo alle conferenze avrà già capito che questo significa che PrEP ha piena titolarità nelle conferenze scientifiche.
Ma andiamo con ordine e, a proposito di ordine, ricordiamo che la PrEP è raccomandata con forza dall’OMS nelle sue linee guida. Raccomandata per chi? ECDC, European Center fo Disease Control, ci spiega che in Europa l’epidemia sta crescendo pressoché solo fra gli MsM. L’ECDC prende atto ecdcche le politiche di prevenzione rivolte a questa popolazione sono miseramente fallite e che la PrEP deve essere indirizzata verso questo gruppo in primis.
Valentina Cambiano, ricercatrice presso University College London, nella sua bella relazione sulla costo-efficacia della PrEP nel cosiddetto “primo mondo”, cita ben 15 studi sui costi della profilassi nei paesi ad alto reddito e le sue conclusioni sono molto più restrittive: allo stato dei fatti, la PrEP è costo-efficace non per tutti gli MsM, solo per coloro che sono effettivamente ad alto rischio. E qui entra in gioco il ruolo del counselling, possibilmente peer counselling e possibilmente da non confondersi con la relazione medico-paziente. Ossia l’associazionismo e in ruolo fondamentale che può e deve svolgere nella diffusione della PrEP.
Non paga la Cambiano si addentra nel tema citando due modelli indipendenti realizzati in Olanda e UK. Per comodità cito solo quello espresso in euro, dal quale emerge che il costo annuo di una persone in PrEP (monitoraggio incluso) è 7400€ in caso di assunzione giornaliera, 3850€ se assunzione on demand; il costo medio di un paziente in trattamento sta fra i 12400€ e i 13500€. Non mi sembra occorra un genio per notare la differenza tanto è vero che la Cambiano ipotizza addirittura che la PrEP possa essere cost-saving in qualche caso.
Tuttavia non è facile capire chi è eleggibile per essere inserito in un programma PrEP, ci viene in aiuto il prof. Molina di Parigi secondo il quale si devono selezionare persone:
• Adulte >18 anni
• HIV negativi al basale, meglio se dimostrato con un test combo
• Senza segni di infezione primaria da HIV
• Senza recenti esposizioni al rischi (almeno 4 settimane)
• Alto rischio di contagio
Di più: Molina chiarisce anche cosa significa per lui alto rischio per il gruppo MsM
• Sesso anale condomless con più di 2 differenti partner negli ultimi 6 mesi;
• IST diagnosticata negli ultimi 12 mesi (sifilide, gonorrea, chlamydia, HBV, HCV, ecc.)
• PEP (profilassi post esposizione) multiple negli ultimi 12 mesi;
• Uso di droghe durante i rapporti sessuali (cocaina, GHB, MDMA, ecc.)

Sempre secondo Molina, alcune persone non possono essere inserite in un programma di PrEP:
• Persone sieropositive o siero-ignote;
• Persone con segni di infezione primaria da HIV;
• Creatinina • Persone con HBV cronica se PrEP on demand;
• Ipersensibilità al TDF o FTC o agli eccipienti

Le dosi proposte, come è ormai noto, sono una pillola al giorno oppure on demand ma solo per gli MsM (causa assenza di dati su altri gruppi).
Le persone che si sottopongono a PrEP, dovrebbero sottoporsi a una visita al basale, dopo il 1° mese e poi ogni 3 mesi. Devono anche essere eseguite analisi e test quali HIV, HBV, HCV, IST e prep-attivisticreatinina da ripetere dopo il 1° mese e ogni 3 mesi per quanto riguarda HIV, almeno una volta all’anno per le altre IST.
Ma Molina è il padre della PrEP in Francia dove la profilassi è già disponibile. Che succede nel resto dell’Europa? Ci si arrangia con internet, interPrEP, ossia, chi può, compra farmaci generici online. Un gruppo di ricercatori britannici ha effettuato un monitoraggio dei prodotti che circolano online, per evitare che i farmaci per la PrEP avessero la stessa sorte del Viagra con la vendita online. Per farlo ha chiesto la collaborazione di un gruppo di persone che fanno capo ai servizi e che hanno asserito di comprare i farmaci in internet. A tali persone sono stati fatti prelievi per monitorare il livello di farmaco nel sangue e vedere se fosse effettivamente sufficiente a ottenere una copertura. I risultati dello studio sono confortanti: non ci sono segni di farmaci falsificati, i siti online si sono dimostrati genuini. Ma è stato evidente che il Truvada brand non è acquistabile da tutti, così come, del resto, il generico è una spesa che molti posso affrontare ma non tutti. In Europa, i generici saranno disponibili con ogni probabilità dal 2017.
Come sempre, noi italiani arriveremo a prendere delle decisioni sulla base di studi effettuati da altri, in altri territori e su gruppi probabilmente non sovrapponibili ai nostri, senza avere idee chiare sull’impatto nella clinica, senza sapere come e chi effettuerà la distribuzione, il tutto in un sistema sanitario sottoposto a tagli lineari e con budget sempre più ridotti. È facile ipotizzare che la vita della PrEP italiana non sarà semplice, dovrà imparare a sopravvivere fra medici ignoranti gli effetti della profilassi, la community impreparata ed altrettanto ignorante, la possibilità concreta di ulteriori discriminazioni nella community rispetto a chi scegli PrEP come gli USA hanno ampiamente dimostrato (cfr truvada whore).

Sandro Mattioli
Plus Onlus
Presidente

La partecipazione di Plus Onlus alla HIV Drug Therapy 2016 è stata resa possibile grazie a un contributo non condizionato di ViiV Healthcare.

È l’ultima giornata della conferenza e si chiude in bellezza.
Tanto per far arrabbiare qualche italiano, ho deciso di partecipare alla sessione sulla PrEP delle 11… poi devo partire.
Si tratta di una sessione di un’ora e mezza nella quale ricercatori provenienti da mezzo pianeta descrivono come implementare la Prep. Si, implementare.
Noi siamo ancora a menare il can per l’aia con asserzioni idiote quando non discriminatorie, qui gli studi vanno avanti dando ormai per assunto che Prep funziona per cui a nessuno viene in mente di proporre studi di efficacia. Tutti si sono lanciati in studi di accesso allargato, implementazione, follow up.
Inizia le danze il dott. Siegler, un bel ragazzo dell’università di Atlanta, che presenta un piccolo studio sulla possibilità e accettabilità di una Prep a casa, con supporto streaming… non so se vi rendete conto della fantascienza. Ha mostrato anche il video, fatto in modo simpatico e rivolto a Black MsM (un gruppo molto esposto). In pratico la persona riceve a casa un kit con tutto il necessario per restare in Prep, per fare i test necessari per IST (HIV, sifilide, tampone orale e rettale con le relative istruzioni su come fare), per poi spedire il tutto. Come ho scritto c’è anche la possibilità di parlare con un medico o con un counsellor per via telematica, ma risulterà che solo la metà del gruppo ha giudicato utile questa possibilità. Naturalmente si tratta di un piccolo pilota e anche il ricercatore nelle sue conclusioni afferma chiaramente che non si tratta di una soluzione universale. Potrebbe semplicemente essere una possibilità, da non sottovalutare stante che i ¾ dei partecipanti erano molto interessati all’utilizzo dei componenti del kit per testare le IST, che è costo efficace, che i partecipanti sono stati super aderenti.

Il successivo intervento era in pratica un follow up dello studio Caprisa 008 del 2010, sull’utilizzo topico del gel al tenofovir. In questo caso la delivery veniva fatta attraverso quelli che noi chiameremmo consultori familiari. La modifica, dalla clinica ai consultori, pare che sia piaciuta ma i risultati non sono stati esaltanti in termini di aderenza, se è vero che la presenza del farmaco nei tessuti vaginali ai controlli non è risultata altissima. Ricordo che 2 anni fa una ricercatrice lamentava non tanto la capacità del gel, che pare funzioni, quanto la scomodità dello strumento da utilizzare in loco.

La presentazione successiva riguardava l’utilizzo di Prep nelle coppie sierodiscordanti. Si tratta di uno studio dimostrativo realizzato in Uganda. La persona sieronegativa veniva messa in Prep per il periodo necessario al partner positivo, in trattamento, a raggiungere la soppressione virale, in genere almeno sei mesi. Il partner negativo ha assunto una pillola al giorno di Truvada, dopo aver chiarito che si sarebbe trattato di una assunzione a tempo. Per comprendere al meglio sia le motivazioni che l’aderenza, alle persone arruolate nello studio sono state proposte interviste qualitative registrate in audio e tradotte in inglese. La maggioranza delle persone in Prep erano donne, alcune (il 14%) hanno interrotto il trattamento a causa di una gravidanza, solo il 2% per una sospetta sieroconversione. Dalle interviste è emerso che, a fronte di una serie di dubbi iniziali sulla prep (timore degli effetti collaterali, adeguarsi al concetto “nuovo” di prendere medicine come prevenzione, ecc.), una volta che le utenti si sono abituate alla prep, che gli effetti collaterali sono scomparsi, di fronte al susseguirsi di test per HIV con esito negativo, la fiducia sullo strumento si è incrementata al punto che molte delle partecipanti hanno chiesto di restare in Prep perché dava loro una maggiore sicurezza, mentre è risultata chiara la pochissima fiducia nella capacità di prevenzione della Tasp del partner anche dopo il raggiungimento della soppressione virale.

La presentazione della SFAF (San Francisco Aids Foundation) la cito per dovere di cronaca stante la fantascienza applicata alla vita che rappresenterebbe per noi poverette. Si tratta si uno studio di implementazione della Prep, rivolto in primis alle persone trans o, meglio, cis gender men. Dei 1252 utenti screenati, il 92% asseriva di fare sesso senza preservativo , una parte nettamente inferiore aveva come fattore di rischio un rapporto monogamo con partner HIV+, una parte, circa il 3,6%, aveva un basso fattore di rischio dato dall’uso costante per condom ma è stata arruolata lo stesso perché gli utenti volevano sentirsi più sicuri.
Interessanti i dati sull’aderenza: il rispetto della visita programmata è passato dal 80% del primo mese all’84% del 16esimo mese, l’aderenza farmacologica supera il 95% e non accenna a calare. Storia diversa per le IST: al 16esimo mese si nota un incremento di un paio di punto delle infezioni rettali e della silifide, un incremento di 3 punti percentuali delle infezioni al cavo orale e all’uretra. Rispetto ai numero di rapporti sessuali senza condom, una netta prevalenza dei partecipanti allo studio non ha effettuato cambiamenti (49%), mentre una parte minoritaria, ma non insignificante, ha incrementato i rapporti senza condom che restano però stazionari con il passare dei mesi (34-39%). Questo tipo di Prep community delivered, perché distribuita e gestita dall’associazione, si è dimostrata efficace e, dalle interviste condotte, gradita perché pone la parola fine sulla paura del contagio (per citare uno degli intervistati).

La dott.ssa Heffron ci ha illustrato uno studio dimostrativo teso a ottimizzare la frequenza di controlli renali necessari a chi si sottopone alla Prep. Vi calmo subito dicendovi che il calo nella creatinina è un evento raro, nello studio addirittura il 75% chi aveva avuto un calo nella clereance non è stato confermato nei test successivi. Per cui parliamo di test da fare perché consigliati, ma per stare dalla parte dei bottoni. In sostanza viene confermata la raccomandazione del CDC di un test ogni 6 mesi. L’ultima presentazione viene dall’Australia, che tutto ha tranne che necessità della Prep e invece li è stata attivata e ci viene presentato pure uno studio di implementazione nelle comunità del Nuovo Galles del Sud. Non ne hanno un gran bisogno perché le nuove diagnosi in Australia sono stazionarie dal oltre 10 anni, tuttavia il governo locale ha deciso di migliorare la situazione già buona aggredendo anche quello zoccolo duro. Dopo tutto il piano strategico nazionale, perché l’Australia ha un piano (sic!), in pratica dice che test frequenti, trattamento precoce, prevenzione, può portare alla fine di HIV entro il 2020… Vedremo. Gli arruolati sono tutti MSM con una storia di rapporti a rischio, o uso di mentanfetamine, o diagnosi di gonorrea o clamidia rettale, o sifilide. Lo studio si chiama EPIC (Expanded Prep Implementation in Communities) e in effetti si propone di arruolare circa 3.700 MsM entro il 31 dicembre 2016. La fine del trial è prevista per dicembre 2018. Come farò a sopravvivere alla curiosità?!

Questa di Durban è stata fra le più classiche IAC alle quali ho avuto la fortuna di partecipare, accomunabile a quella di Città del Messico del 2008 per la forza delle associazioni e degli attivisti. In effetti sia in Africa che in America Latina si muore ancora troppo di Aids e la discriminazione su HIV è fortissima. Basti pensare che allo stand delle sex worker cercavano di capire come ovviare al fatto che le donne non possono tenere condom nella borsa perché se no rischiano l’arresto come prostitute. Il corto circuito è evidente. Qui essere omosessuale è un rischio in sé. In molti, troppi, paesi africani non ci sono dati sul contagio fra gli MsM banalmente perché essere gay è fuorilegge, un reato punibile con il carcere, se non peggio. Qui gli attivisti rischiano in proprio, vanno spesso contro la legge, vanno ben oltre al metterci la faccia. Ma hanno una forza interiore davvero incredibile e molti di coloro che hanno partecipato alla conferenza, l’hanno trasmessa parlando dai palchi, arringando i partecipanti, ballando, distruggendo lo stand di Gilead. Il coraggio sta nell’agire, se davvero vuoi che le cose cambino.

Chiudo informando tutti che EMA, European Medicine Agency, ha raccomandato il 21 luglio 2016, l’approvazione dell’uso di Truvada per la Prep. Ora tocca agli stati nazionali. Si va avanti.

Sandro Mattioli
Plus Onlus
Presidente

La partecipazione di Plus alla Conferenza Mondiale Aids 2016 di Durban, è stata resa possibile grazie ad un contributo di ViiV Healthcare.

Oggi alla Conferenza mondiale Aids di Durban il tema della plenaria erano le “chiavi”: key barriers, key population. È apparso un personaggio davvero singolare.
Cyriaque Ako, attivista gay ivoriano ovviamente sieropositivo, con tanto di corona (un suo fan mi sussurra che è una royal person… mah!), ci arringa su come non sia possibile arrivare alla fine di hiv se non vengono fatti programmi per aggredire hiv la dove principalmente si annida: nelle popolazioni chiave. Fra queste gli msm sono una delle principali e fra le più neglette. Non si va da nessuna parte senza la fine della discriminazione e dello stigma che le popolazioni chiave subiscono. Oggi troppi paesi negano perfino la presenza delle popolazioni chiave.
Ci ricorda che cosa è l’equità:
• Ricerche e dati su ciò che funziona
• Soluzioni e tecnologie innovative
• Revisione a livello giuridico e politico su punti a noi mirati
• Programmi su misura
• L’inclusione nel processo decisionale e di programmazione a tutti i livelli
• Finanziamenti che giungono alle comunità
Ci ricorda l’importanza di avere il coraggio di essere attivisti per i diritti delle proprie popolazioni chiave nei nostri paesi, al ritorno dalla conferenza sarà questo atteggiamento che potrà cambiare le cose.
Richiama anche tutto il personale sanitario all’attivismo e a supportare programmi rivolti alle popolazioni chiave nei propri territori.
Noi siamo la chiave per chiudere la partita con hiv, dice Ako, e fa alzare in piedi tutti quelli che sono popolazione chiave: msm, transgender, idu, sex worker e tutti coloro che supportano le nostre azioni. Sta di fatto che quasi tutta la sala, enorme, è in piedi.
Chiude farcendoci gridare accesso, equità e diritti (lo slogan della conferenza) in 4 lingue diverse.
Una grande lezione di coraggio e iniezione di fiducia. Non so se mr. Ako si è portato dei fan, ma il pubblico lo ha prima accolto con strane grida, presumo caratteristiche del suo paese, poi sottolineavano ad alta voce alcuni passaggi del suo intervento un po’ come i fedeli fanno col predicatore. Una sessione strana ma di grande aiuto per l’entusiasmo che l’attivista ci ha saputo infondere.

La parte scientifica della plenaria non è che abbia raccontato chissà quali novità. Deborah Persaud, d
ella Jonhs Hopkins, ci ha spiegato che un elemento chiave nella ricerca della cura per HIV consiste nel combattere i reservoir, ossia materiale provirale residente per lo più in cellule cd4+T memory che è dimostrato sopravvivono alla arv per anni. Questo è il vero motivo per cui hiv non è curabile con le strategie attuali. Queste “riserve” forniscono il carburante per la ricrescita virale in caso di interruzione della terapia.
Secondo la relatrice, gli obiettivi verso cui orientare la ricerca sono l’eradicazione delle riserve virali e il controllo del rebound virale.
Al momento la strategia più efficace per limitare le riserve latenti è il trattamento precoce pur nella consapevolezza che, pur iniziando il trattamento anche solo a due mesi dal contagio, i reservoir si settano lo stesso, ma non evolvono. In altre parole strada lunga.

L’ultima relazione, HIV nella sanità mondiale e lo sviluppo di obiettivi sostenibili, è stata un lungo e accorato appello alla fine degli sprechi da parte dei governi e delle multinazionali, la fine della discriminazione con particolare riguardo a quella di genere con tanto di sostenitori che si sono alzati in silenzio e hanno portato all’attenzione dei media presenti i cartelli che avevano preparato e che ho fotografato ovviamente.

A seguire mi sono recato in un’altra sala per la sessione dal titolo AIDS activism over the generation. Speravo fosse una sezione interessante, in realtà è stata in buona parte una delusione. Pressoché a tutti gli argomenti gli attivisti più vecchi ricorrevano al come eravamo, i giovani alla necessità di coinvolgere i giovani.
Forse la riflessione più interessante, per noi europa-centrici, riguarda la introduzione dei farmaci nella metà degli anni 90. Viene chiesto cosa è cambiato e sembra che ancora nel 2002 non fosse cambiato molto per i paesi in via di sviluppo, viene ricordato che il presidente del sud africa proprio nel periodo della conferenza di Durban del 2000 si dichiarava negazionista, ma, a parte questo, l’accesso ai farmaci è stato un processo complesso e lungo per questi paesi. Sta di fatto in sud africa muoiono di aids e tb 400 persone ogni giorno. La metà di 10 anni fa, ma ancora decisamente troppi. Viene fatto di chiedersi se davvero l’accesso universale sia raggiungibile per queste popolazioni e se, quand’anche lo fosse, ci sia la possibilità di una qualche forma di controllo dell’epidemia stante la vastità del problema.


Ammetto che nel pomeriggio ho fatto public relation al Global Village: ho salutato alcuni attivisti di Lila e EATG, parlato con una attivista sud africana rispetto al grande interesse per la Prep che pervade anche il continente africano, visitato alcuni stand fra cui quello di una curiosa associazione australiana dal nome Disclosure. Molto semplicemente o stand consisteva di uno striscione, un sofà e qualche cuscino. Le persone sieropositive erano invitate a sedersi e a raccontare il loro “coming out” per quando riguarda l’HIV.
Non ho potuto fare a meno di pensare che in Italia forse si siederebbero in 10 persone in tutto. Ma l’idea è bella, un modo per rendere pubblica la propria esperienza e farla quindi diventare un patrimonio di tutti, rendendola, nel contempo, meno pesante da gestire.
Sono passato allo spazio delle donne (quello con i reggiseni stesi), dove ho ascoltato un paio di interventi e un breve concerto rap. Sono passato dallo stand del ministero brasiliano della salute, pressoché sempre presente a queste conferenze, con tanti condom verdi.
Sono anche ripassato dallo stand del governo della provincia di cui ho già scritto, dove mi hanno offerto condom come se piovesse: alla fragola, alla banana, al mirtillo, ecc. Li porterò nella sede di Plus a disposizione dei soci di Plus e degli utenti del BLQ Checkpoint.

Sandro Mattioli
Plus Onlus
Presidente

La partecipazione di Plus alla Conferenza Mondiale Aids 2016 di Durban, è stata resa possibile grazie ad un contributo di ViiV Healthcare.

Plenaria di mercoledì 20, procede liscia fino alla seconda presentazione, di Anton Pozniak, sulla drammatica situazione relativa all’epidemia di TB che non accenna ad arrestare la sua marcia, quando viene interrotta da una ragazza che si alza e inizia un canto, subito seguita da altre decine di ragazzi e ragazze, adolescenti con cartelli scritti a mano protestano e chiedono condom nelle loro scuole e la possibilità di andare a scuola. Emerge che la mancanza di assorbenti fa perdere alle ragazze decine di giorni di scuola.
Solo 5 minuti di interruzione che definiscono la disattenzione che il Paese pone in problemi facilmente risolvibili, il tutto alla presenza del ministro sudafricano per la salute che spero si sia vergognato. Ora capisco perché il Global Village è murato di condom, o perché alla conferenza di Città del Messico negli ultimi giorni gli attivisti africani facevano razzia di condom in tutti gli stand. Sulla relazione di Pozniak, molto interessante, per non sovrappormi a quanto scriverà Giulio, mi limito a segnalare la sua soluzione per la TB, così come per HIV, le co-infezioni e le co-morbidità: $90 $90 $90. 90 dollari all’anno per il trattamento di HIV; 90 dollari all’anno per trattare HBV; 90 dollari per 12 settimane di trattamento di HCV. Ossia il costo dei trattamenti non deve più essere un tema, una denuncia fortissima in un continente che sopravvive pressoché solo grazie alle donazioni.
Chiaramente Pozniak ha ripreso gli obiettivi che si è data UNAids per porre fine all’epidemia di HIV: 90% delle persone HIV+ a conoscenza del loro stato, 90% delle persone con HIV in trattamento, 90% delle persone con HIV in trattamento efficace (soppressione virale raggiunta), il tutto entro il 2020… un obiettivo da nulla!

Vaccino, a che punto siamo?
Non voglio rischiare di sovrappormi a Giulio perché si è trattato di una presentazione con molti dati scientifici, per cui mi limito a dire che era un po’ che non assistevo a una presentazione tesa a fare il punto strano della situazione sui vaccini. Noto che le mie sensazioni a riguardo non sono cambiate: un mix di depressione per i piccoli passi avanti e i clamorosi passi indietro che sono stati fatti fin qui, ma anche di speranza e esaltazione per il lavoro che c’è da fare e le possibilità che si stanno aprendo. Purtroppo i risultati, anche solo per gli studi in corso, sono previsti nel 2020. Da li, forse, sarà possibile fare ragionamenti di più alto tenore.
Come già ha scritto Giulio, le conferenze mondiali Aids, diversamente da altre un po’ più scientifiche, hanno lo scopo di mettere insieme comunità di pazienti e medici\ricercatori per unire gli sforzi e tentare di vincere HIV. Spesso, quindi, le plenarie si trasformano in momenti di denuncia e/o di riscatto di situazioni drammatiche rispetto alle quali ben poco può la scienza. Molto potrebbe la politica che, come spesso avviene, è la vera assente di queste conferenze. E’ il caso dell’attivista gay HIV+ Michael Ighodaro. Vivere come gay in Nigeria, dove il tuo corpo, il tuo essere viene visto come un abominio e rischi la vita. Se sei gay sieropositivo e vivi in Nigeria, rischi la vita due volte. Il coraggio di un ragazzo che vive apertamente la propria condizione, che lavora

Michael Ighodaro
Michael Ighodaro

per una organizzazione che si occupa di MsM che vivono con HIV, lui che da giovane gay sieropositivo sta sferzando la conferenza dicendo basta a slogan vuoti, sta dicendo che è ora di fare qualcosa e sta anche dettando l’agenda, il cosa fare per avere davvero una generazione aids free: “io sono gay, sono nigeriano, sono un rifugiato a 22 anni. Il mio compagno è morto perché come gay non ha potuto avere accesso ai servizi. Se non potete darci altro che slogan vuoti, se non potete fare niente per risolvere queste situazioni, non avremo mai una generazione libera e senza hiv”. Ha dato una grande prova di coraggio, una grande prova di cosa vuol dire lottare come attivista, trovare il coraggio di denunciare una situazione insostenibile davanti a migliaia di persone, e ha definito una volta per tutte che la discriminazione e lo stigma aiutano la diffusione di HIV. La slide delle conclusioni di una presentazione precedente, chiudeva con il suggerimento “find a champion in your country, or be yourself one”. Michael il nigeriano ha preso alla lettera quella conclusione.

Il prof. Molina, il padre della Prep francese, ha iniziato la sua relazione sullo studio open label, una sorta di follow up del ipergay (il noto studio francese che ha acclarato l’efficacia della Prep), ma viene subito interrotto dall’ingresso di attivisti (sotto potete vedere alcuni momenti) che protestano per l’avidità delle case farmaceutiche; in particolare viene posto l’accento su Gilead, come potete vedere dai cartelli autoprodotti esposti, accusata di pensare solo al profitto e di essere troppo tiepida sul tema Prep (con Truvada). Non posso fare a meno di pensare che, al netto del pensiero pragmaticamente ovvio che le imprese farmaceutiche sono imprese, il loro obiettivo è fare soldi, in effetti Gilead sta dimostrando un disinteresse per la Prep con Truvada che a tratti trovo fastidioso. Sappiamo che Truvada è efficace, basterebbe poco per fare un “bel gesto” pur sapendo che il brevetto di Truvada è in scadenza, e fare la figura dei “buoni”. Cosa molto più utile, a mio avviso, di qualunque strategia commerciale, porterebbe maggior lustro a Gilead e, dunque, maggiori entrate.

Tornando al prof. Molina, come ho detto sopra, c’è poco da dire: lo studio open label ha ri-dimostrato l’efficacia sia del prodotto che della modalità di somministrazione (on demand). Ma ha anche evidenziato che le preoccupazioni dei soliti gufi si stanno dimostrando infondate. Le conclusioni di Molina non riportano significative variazioni nell’uso di condom, né un calo dell’aderenza al trattamento col passare del tempo. Viene confermato il dato del calo della paura di affrontare un rapporto sessuale con conseguente incremento del piacere per il rapporto in sé e non mi sembra un risultato irrilevante in termini di qualità della vita delle persone che vivono con HIV. Trova conferma dallo studio l’incremento delle IST, tema che secondo Molina deve essere affrontato. Non voglio in nessun modo sottovalutare il tema, penso che la possibilità di incremento delle infezioni a trasmissione sessuale ci dica come la PrEP vada erogata a un gruppo relativamente ristretto di persone ad alto rischio di contagio, come del resto previsto in tutti gli studi, previo counselling vero (non solo rapporto medico paziente) teso a comprendere a fondo le motivazioni di certe scelte e ad avere un supporto quanto meno prossimo alla relazione di aiuto. Come disse la signora Clinton alla conferenza di Washington “non c’è conferenza senza proteste”, oggi le sue parole hanno trovato conferma. Gli attivisti africani, forse perché hanno ancora il senso della vita che gli sfugge tra le mani, sono molto più attenti di noi e non ho avuto la sensazione che il gruppo degli MsM venga isolato\trascurato dalla comunità. Qui il tema del contagio incredibilmente altro fra i “Black MsM” è estremamente presente nelle attività che vedo al Global Village, con messaggi e campagne specificamente rivolti a loro. Non serve che dica che nulla di tutto ciò viene fatto in Italia dove la paura e l’ipocrisia la fanno da padrone.

Sandro Mattioli
Plus Onlus
Presidente

La partecipazione di Plus alla Conferenza Mondiale Aids 2016 a Durban, è stata resa possibile grazie a un contributo di ViiV Healthcare.

“Quando stavo per morire, volevo qualcuno vicino”. Con questa frase inizia la mia visita alla plenaria di oggi e la mia visita alla Conferenza Mondiale Aids 2016 a Durban.

Una conferenza che si presenta, fin dalle prime battute, molto centrata sul tema della discriminazione e dove i temi politici e sociali avranno un grosso peso.
Un frase forte che da la misura di quanto lo stigma pesi su questa gente, una frase che non può che trovarmi d’accordo. Se penso alla discriminazione che subiamo in Italia, dubito fortemente che una persona in fin di vita a causa dell’HIV abbia l’appoggio di molte persone, amici, parenti, comunità di appartenenza. Ma avremo senz’altro modo di affrontare ancora l’argomento.
Per riprendermi dalla plenaria depressiva, ho fatto un giro nel colorato mondo dell’associazionismo locale ed internazionale al Global Village…. e ho fatto bene. La fantasia, la voglia di continuare la lotta che il Village da sempre infonde a tutti coloro che lo frequentano, anche quest’anno si fa sentire. Tante donne, tanti femidom (tanti con una spugnetta rotonda in fondo perché, mi spiega una attivista, oltre ad assorbire “i liquidi”, va a toccare punti che “voi uomini” non riuscite nemmeno ad immaginare… passare per etero mi diverte sempre). Condom onnipresenti, in ogni forma, foggia, colore o gusto (al mirtillo non l’avevo ancora visto, chissà se lascia la lingua viola). Sono ricomparsi anche i dispenser per i preservativi, lunghi e rettangolari sono della misura giusta per far uscire un condom alla volta.
Un mondo multiforme quello del Global Village, con alcune riconferme come lo spazio di Condomize, ormai una certezza ad ogni conferenza, che quest’anno organizza spettacoli con ballerini locali, oltre alla solita reinterpretazione del condom. Musica e danza la fanno da padrona al Global Village, fin troppo ovvio il luogo comune, ma tant’è. Un gruppo di lavoratori e lavoratrici (Doris), che da noi sarebbero probabilmente inquadrati come operatori socio-sanitari, protestano per la mancanza di riconoscimento per il loro lavoro. Hanno organizzato un piccolo cimitero completo di lapidi sulle quali campeggiano le mancanze del Governo e le loro richieste. Protestano cantando (e pure bene), fanno un lavoro che spesso viene svolto da volontari non pagati e, quindi, loro ricevono salari bassi, assistenza scarsa, ecc. ecc. Proprio vero che tutto il mondo è paese.
Sono quelli che portano i farmaci alle persone con HIV nelle zone rurali, poverissime, interne del Paese (diversamente non avrebbero i mezzi per raggiungere i centri di delivery). Forse contribuiscono alla causa più di altri e sono qui a raccontare il loro disagio.
Dentro al Village è un fermento. C’è una donna che stende reggiseni e femidom a un filo, un sex worker nero coi capelli rossi che spiega la campagna sex workers do it better (che cosa c’è da spiegare…) a un paio di astanti e una sex worker che cerca di convincermi che l’aborto è una opzione possibile in caso di gravidanza. Non riesce a convincermi molto, ma mi dice che qui l’aborto è legale, tuttavia se ci provi ti discriminano (cosa nuova!) e che l’aids pediatrico è un problema enorme per il Paese. Dall’unione dei due problemi nasce la loro campagna.
Aides France ha un bellissimo spazio nell’area francofona del Global Village, una bella ragazza mi allunga una scatola di un nuovo medicinale: il Homophobiol, il primo trattamento sintomatico contro l’omofobia, indicato fin dalla comparsa dei primi sintomi: insulti, aggressività ecc. Trattare l’omofobia aiuta a combattere l’HIV. Un’idea davvero carina e divertente che usa l’ironia per abbattere l’omofobia.
Ovviamente ci sono anche gli spazi ufficiali di strutture governative (ovviamente perché non siamo in Italia). Fra le altre spicca la provincia di Gauteng che mostra opuscoli di prevenzione per pressoché ogni gruppo esposto, ne ha uno anche per il gruppo LGBT e perfino con due donne in copertina. Ma, al di la di questo, lo stand è bellissimo e, per me molto emozionante, con foto di uomini e donne che ci mettono la faccia, immagini accattivanti e fatte bene e, soprattutto, un banco di prova con un prova di falli di gomma, una ciotola di preservativi e un paio di signore nere dall’aria molto stile “mo vediamo che sai fare” (esame superato pfiu!). Uno stand del governo. Ricordate mi proporre il banco ai nostri assessori.
Fantastico lo spazio gestito dal MSMGF, il global forum sugli MsM, dove mi hanno preso, messo dentro a un enorme preservativo e fotografato. Una iniziativa simpatica, ottima per capire come si sente uno spermatozoo oltre che per dare informazioni. Tante idee, alcune originali alcune meno, ma danno la misura di quanto sia vivace la comunità internazionale e, cosa per me più importante, di quanto sia presente la comunità LGBT nei pensieri di questa conferenza, così come nelle precedenti del resto. Lascio a chi legge il paragone con quanto avviene in Italia.
Tornando alla MsM community, mi ha molto colpito il workshop intitolato Let’s lead our campaign. Diverse associazioni di pazienti hanno mostrato come cercano di risolvere il tema della visibilità e della discriminazione nei loro paesi. Il più “forte” è stato sicuramente il delegato dell’associazione Thai, Apcom, che ha mostrato una campagna dall’inequivocabile titolo Suck. F*#k. Test. Repeat, una campagna sul test indirizzata specificamente alla comunità MsM di quel paese. Il punto di forza sono dei video che, per immagini e simpatia, spiegano molto chiaramente come è stato possibile indirizzare, ad una community particolare, dei messaggi mirati, chiari, semplici e, soprattutto, efficaci.

Sandro Mattioli
Plus Onlus
Presidente

La partecipazione di Plus alla Conferenza Mondiale Aids 2016 a Durban, è stata resa possibile grazie a un contributo di ViiV Healthcare.

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Durante 58.000 rapporti sessuali senza preservativo con persone HIV positive in terapia e con carica virale non rilevabile, non c’è stato nessun caso di trasmissione del virus. Sono questi i risultati dello studio PARTNER appena pubblicati su JAMA, basati su quelli presentati al CROI nel 2014.

Essendo – immeritatamente – uno degli autori dello studio, vorrei fare alcune considerazioni. Questi risultati ci portano sempre più vicino alla certezza che le persone con HIV in terapia efficace non trasmettano l’infezione. Diciamo che per quanto riguarda i rapporti eterosessuali, la certezza è praticamente raggiunta; il margine di affidabilità del risultato “zero” ottenuto dallo studio PARTNER e da altri studi (come l’HPTN 052) è talmente buono che si può parlare di ragionevole certezza.

Esiste un margine più ampio per i rapporti anali che ci dice che l’affidabilità del “rischio zero” è meno stringente a causa del fatto – e solo a causa di ciò – che questi studi sono stati condotti su un numero più piccolo di persone. Anche per i rapporti anali non si sono osservate trasmissioni del virus da parte di persone con HIV in terapia efficace, ma siccome il numero di persone osservate è minore, il margine di incertezza (chiamato tecnicamente intervallo di confidenza) aumenta. Nello studio PARTNER, mentre per i rapporti vaginali il rischio al massimo potrebbe essere di una infezione ogni 333 anni di relazione sessuale, per i rapporti anali, invece, ne “basterebbero” 142 di anni di sesso in una coppia per avere un caso di infezione…

Perché questa differenza? Come dicevo prima, la differenza è dovuta soltanto al fatto che il campione osservato è più piccolo. Ma ci sono ragioni per pensare che il rischio nei rapporti anali sia maggiore? Alcuni sostengono che biologicamente il rapporto anale sarebbe più traumatico e quindi renderebbe più facile la trasmissione. Tuttavia ci deve essere un virus perché la trasmissione avvenga e siccome i dati finora ci mostrano che le persone sieropositive con carica virale non rilevabile non mostrano traccia di virus da trasmettere, sembra improbabile che siano in grado di trasmetterlo nei rapporti anali dal momento che si sono dimostrate incapaci di trasmetterlo nei rapporti vaginali.

È per questo motivo che, secondo gli autori dello studio PARTNER (me compreso), anche il rischio di trasmissione nei rapporti anali con persone HIV positive che prendono efficacemente e regolarmente la terapia è presumibilmente zero: ma siccome la scienza non si fa con le presunzioni, servono più dati per confermare questo dato. Infatti, lo studio PARTNER prosegue arruolando solo coppie omosessuali maschili (sempre con la caratteristica che uno dei due sia HIV-positivo e l’altro no, che il partner sieropositivo sia in terapia con carica virale inferiore alle 200 copie e che i due partner abbiano deciso autonomamente di non usare sempre il preservativo nei rapporti sessuali). Lo chiamiamo PARTNER 2 e cerca partecipanti anche in Italia (precisamente a Milano, Modena, Genova, Roma, Catania; maggiori informazioni anche sulla pagina Facebook Partner Study Italia). Da un punto di vista strettamente scientifico, i dati dello studio PARTNER 2 sono la base necessaria per poter affermare definitivamente che anche nel caso di rapporto anale il rischio di trasmissione non c’è. Tuttavia gli autori dello studio ritengono che questi dati siano sufficientemente robusti per poter dire che nel caso di rapporti sessuali con persone HIV positive che siano in terapia e abbiano una carica virale stabilmente non rilevabile, l’uso del preservativo per evitare di contrarre l’infezione non è necessario. La raccomandazione all’uso del preservativo, infatti, non è contenuta nella pagina di domande e risposte che gli autori hanno predisposto per presentare con un linguaggio accessibile i risultati dello studio. In altre parole, i risultati dello studio PARTNER confermano che le persone con HIV in terapia e viremia undetectable non sono infettive, cioè non possono trasmettere il virus, e quindi fare sesso senza condom con loro è sicuro dal punto di vista del rischio di trasmissione dell’HIV.

Mi rendo conto che questo è un messaggio che in molti considerano “forte”. Ma i dati sono ampiamente affidabili. E se non credete che il dato sui rapporti anali sia sufficientemente affidabile, aiutateci a trovare uomini omosessuali in coppia sierodiscordante (con un partner HIV+ in terapia e l’altro HIV-) che abbiano deciso di non usare sempre il preservativo e che siano disposti a partecipare allo studio PARTNER 2.

autore: Giulio Maria Corbelli, vice-presidente Plus onlus e membro del comitato esecutivo dello studio PARTNER

Chemsex-Foto di GruppoLa terapia antiretrovirale efficace compie 20 anni.
20 anni di fatica, di sperimentazione sui corpi delle persone sieropositive, sui nostri corpi, di modificazioni genetiche, di lipodistrofia, di atrofia, di depressione, di idea di morte che ci accompagna da sempre.
Oggi, lo possiamo dire con fierezza, il panorama è cambiato grazie all’impegno delle persone che vivono con HIV.
Oggi abbiamo farmaci potenti ed efficaci, generalmente ben tollerati. Oggi possiamo e dobbiamo ambire a una vita sana e normale, com’è il caso per molti altri malanni cronici.
Quello che manca in Italia è una comunità vera, solidale, in grado di lottare senza vergogna contro lo stigma e la discriminazione, in particolare nei confronti delle persone omosessuali, che è uno degli strumenti più potenti che HIV usa per diffondersi.
Sono anni che il Centro Operativo Aids (C.O.A.) dell’Istituto Superiore di Sanità, segnala un Prep Franceincremento delle nuove diagnosi fra gli MsM (Maschi che fanno sesso con Maschi). Appelli che cadono invariabilmente nel vuoto istituzionale e, spesso, anche associativo.

L’omofobia non si ferma neppure davanti a un tema di salute pubblica. Non abbiamo una politica di prevenzione nazionale, ma neppure regionale, tesa a ridurre il numero dei nuovi casi, a intaccare quello zoccolo duro di alcune migliaia di diagnosi all’anno che non accenna a diminuire.

L’atteggiamento omofobo e provinciale con cui l’Italia, diversamente dalla Francia per esempio, prende in esame la PrEP (Profilassi pre Esposizione), è l’ennesimo esempio dell’arsura intellettuale che dimora in questo Paese. Non è con l’ideologia che si vince contro HIV, ma con tutti gli strumenti a nostra disposizione, strumenti che dobbiamo ottenere e pretendere.

Sandro Mattioli
Plus Onlus
Presidente

Positivo sano libero_GorgPaolo Gorgoni è un volontario di Plus, membro del direttivo dell’associazione. Come molti di noi è abituato a metterci la faccia e ad affrontare di petto i temi che ci stanno a cuore. Lo fa da persona omosessuale e sieropositiva.

Paolo vive a Lisbona, la stessa città dove nel 2009 è stato vittima di una vile aggressione a colpi di spranga. Nel verbale stilato dalla polizia lusitana non apparve la parola «omofobia».

Di recente, Paolo è stato bersagliato da parole gravissime. È cominciato tutto su facebook, all’interno di un gruppo per italiani a Lisbona. Dopo aver segnalato alla piattaforma un post dai contenuti inaccettabili, Paolo è stato espulso dal gruppo. Il post è rimasto.

Dopo questo antefatto, una sequela di offese e intimidazioni, pubbliche e in privato, ai danni del nostro volontario. Conoscenti iscritti al detto gruppo gli hanno inviato screenshot di conversazioni on line dove la sua immagine è stata messa accanto a corpi impiccati e immagini di tortura.

Paolo si è di nuovo rivolto alla polizia, che dopo aver minimizzato forse aprirà un’indagine. Amici di Paolo iscritti alla stessa università presso la quale lavorerebbe la persona che ha dato il via a questa catena di insulti hanno scritto al rettore denunciando l’accaduto. Paolo sarebbe stato infatti minacciato di morte da un ricercatore.

Plus si stringe compatta attorno al proprio volontario e chiede con forza la solidarietà di tutto il movimento LGBT+ italiano.

Siamo stanchi di leggere tra le righe di tanti episodi di violenza – fisica e psicologica – l’impressione che le persone gay siano sacrificabili, figlie di qualche oscura divinità minore. Siamo stanchi e incazzati. L’omofobia va fermata prima che si tramuti in lividi e ferite. Va disinnescata prima. Va estirpata. Paolo, e tutte le persone nel mirino di aggressioni omofobiche, non possono restare sole.

Sandro Mattioli
Plus Onlus
Presidente