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Positivo sano libero_GorgPaolo Gorgoni è un volontario di Plus, membro del direttivo dell’associazione. Come molti di noi è abituato a metterci la faccia e ad affrontare di petto i temi che ci stanno a cuore. Lo fa da persona omosessuale e sieropositiva.

Paolo vive a Lisbona, la stessa città dove nel 2009 è stato vittima di una vile aggressione a colpi di spranga. Nel verbale stilato dalla polizia lusitana non apparve la parola «omofobia».

Di recente, Paolo è stato bersagliato da parole gravissime. È cominciato tutto su facebook, all’interno di un gruppo per italiani a Lisbona. Dopo aver segnalato alla piattaforma un post dai contenuti inaccettabili, Paolo è stato espulso dal gruppo. Il post è rimasto.

Dopo questo antefatto, una sequela di offese e intimidazioni, pubbliche e in privato, ai danni del nostro volontario. Conoscenti iscritti al detto gruppo gli hanno inviato screenshot di conversazioni on line dove la sua immagine è stata messa accanto a corpi impiccati e immagini di tortura.

Paolo si è di nuovo rivolto alla polizia, che dopo aver minimizzato forse aprirà un’indagine. Amici di Paolo iscritti alla stessa università presso la quale lavorerebbe la persona che ha dato il via a questa catena di insulti hanno scritto al rettore denunciando l’accaduto. Paolo sarebbe stato infatti minacciato di morte da un ricercatore.

Plus si stringe compatta attorno al proprio volontario e chiede con forza la solidarietà di tutto il movimento LGBT+ italiano.

Siamo stanchi di leggere tra le righe di tanti episodi di violenza – fisica e psicologica – l’impressione che le persone gay siano sacrificabili, figlie di qualche oscura divinità minore. Siamo stanchi e incazzati. L’omofobia va fermata prima che si tramuti in lividi e ferite. Va disinnescata prima. Va estirpata. Paolo, e tutte le persone nel mirino di aggressioni omofobiche, non possono restare sole.

Sandro Mattioli
Plus Onlus
Presidente

E’ la seconda volta che mi trovo davanti al termine “diseducativo” riferito a campagne che sostengono che le persone con HIV sono in primis persone e non un virus. Prima alcuni commenti da socie di un’altra associazione ospiti al BLQ Checkpoint per vedere un film, poco fa un censore che nel commentare una campagna geniale di UniLGBT, ci tiene a ricordare a tutti che il contagio da HIV è ancora un problema sociale. Ora, fermo restando che ovviamente è necessaria la prevenzione, corre l’obbligo spiegare che in Italia abbiamo punte elevatissime di persone sieropositive in terapia di successo, ossia con viremia non rilevabile o, se preferite, con un virus che, ancorché presente, non replica. Punte elevatissime di persone che ben difficilmente riuscirebbero a contagiare qualcuno anche volendo. Persone che, con encomiabile costanza, assumono i trattamenti quotidianamente e sono riuscite a cronicizzare l’infezione. Una infezione cronica è ben differente dalla malattia. C’è la stessa differenza che passa fra l’ipertensione controllata da un paio di pillole e un ictus. Ma molte persone preferiscono continuare a credere che HIV riguardi solo altri, che l’unica cosa che è possibile fare è discriminare e stigmatizzare continuamente la possibilità di contagio anche quando è oggettivamente e scientificamente pressoché impossibile. Purtroppo il cosiddetto movimento LGBT italiano se ne guarda bene dall’effettuare interventi a sostegno di lotta per uno stigma che non si inquadri nell’interessa della diva di turno e la nostra associazione spesso è sola a dare notizia di cose note ormai dal 2008, ma che in Italia faticano ad entrare nel patrimonio comune il quale, d’altra parte, è ancora per lo più fermo agli anni 90. Di davvero diseducativo in questo tristissimo e ignorante paese, c’è solo la poca voglia di conoscere e approfondire il tema, la tanta voglia di trovare un capro espiatorio (che non mi stupirei se portasse ad una criminalizzazione), di mettere la testa sotto la sabbia come fanno buona parte delle persone msm (maschi che fanno sesso con maschi). Un gruppo sociale che in Italia è caratterizzato da una incidenza molto preoccupante, così come lo è pressoché in tutto il continente ma, mentre altrove in Europa l’associazionismo LGBT si è fatto carico di azioni concrete tese a ridurre e ricomporre il problema dell’aumento delle nuove diagnosi, in Italia ha fatto di tutto per tenersi distinto dal problema, con una costanza invidiabile che ci ha portati ad avere numeri di contagio da terzo mondo. Certo, cari lettori, il contagio da HIV è ancora presente in Italia e buona parte di esso è causato dall’ignoranza, dalla presunzione, dalla testa sotto la sabbia, dalla discriminazione e dalla volontà, sempre più evidente, di isolare le persone sieropositive, di colpevolizzarle e possibilmente criminalizzarle, facendo ricadere su di esse e solo su di esse, la responsabilità di ciò che avviene. Beh, non ci avrete mai come ci volete, come vi immaginate. I sieropositivi oggi possono e devono ambire a condurre una vita normale, con una aspettativa di vita normale e non c’è imbecille con il suo veleno ignorante che possa impedirci di essere noi stessi. Buon Pride a tutte e a tutti.

Sandro Mattioli
Plus Onlus
Presidente

CIVILIZZATI-02

E va bene provo a dire la mia sui diritti omosessuali, spinto dagli articoli apparsi sul quotidiano La Abito ma non leggeStampa e, soprattutto, dalla linea editoriale scelta dal quotidiano ossia quella di non scegliere. Tipica della stampa italiana che da tempo ha scelto di smettere di fare il proprio mestiere: fare cultura, far crescere la capacità della scatola cranica degli italiani infondendo il dubbio e la capacità critica. La Stampa ha posto un articolo di Emanuele Felice di fianco a quello di Franco Garelli. Uno pro e uno meno pro, per non dire contro. Linea editoriale in stile un colpo al cerchio e uno alla moglie ubriaca (cit.)

Emanuele Felice scrive un buon articolo, forse leggermente troppo di cuore, ma buono, dal titolo “Italia ultima sui diritti per colpa della politica”. Buono nel senso che descrive lo stato di fatto del nostro paese. Un luogo dove le persone omosessuali faticano a vivere e dal quale spesso emigrano. In effetti basta attraversale le Alpi e voilà: diritti e matrimoni si sprecano. Ma non è solo questo. “Qui a Madrid, l’aria che si respira è diversa…” ricordo ancora le parole testuali di uno dei miei tanti amici, omosessuali come me, che hanno abbandonato l’Italia (e non sempre per vivere in un Paese più ricco), stanchi di vivere e respirare discriminazione quotidiana in qualsivoglia ambiente: dallo sport alla politica, dalla religione alla scuola, alla cultura.

L’Italia è un paese che discrimina e al quale piace discriminare perché, diversamente, avrebbe messo mano alle leggi vigenti quando era il momento: 10-20 anni fa, quando anche le altre nazioni dell’Europa occidentale discutevano e legiferavano su temi come quelli di cui si discute oggi.

La tanto citata norma tedesca alla quale il nostro governo fa riferimento, è stata approvata, vado aBacio sposi memoria ma non credo di sbagliare, nel 2001. Pertanto, contrariamente a quanto sostiene Franco Garelli nel suo articolo su La Stampa, l’eventuale approvazione del ddl Cirinnà non ci toglierebbe affatto dalla scomoda posizione di fanalino di coda dell’Europa: raggiungeremmo solo la Germania, che non ha certo la legislazione più avanzata d’Europa, con 15 anni di ritardo.

Una norma che, ripeto, se approvata, consentirebbe a fatica solo un mezzo riconoscimento delle unioni omosessuali, inclusa la tanto discussa stepchild adoption che fa riferimento solo alla possibilità di adottare i figli del partner. Per chi non ha avuto figli da precedenti rapporti, l’adozione resta preclusa. Con buona pace della capacità di crescita, di sviluppo, di inserimento sociale della maggior parte delle coppie omosessuali italiane.

Capiamoci ragazze e ragazzi: è su questa roba qui che siamo chiamati ad animare le strade. Una norma che nasce vecchia di 15 anni e che, comunque, non rende giustizia a decenni di lotte del movimento italiano.

Una norma che, come scrive Felice, ricalca le volontà dei conservatori europei laddove il nostro Governo si dovrebbe richiamare a un ideale progressista. Ebbene così non è. Stiamo lottando per dare alla popolazione omosessuale un contentino discriminante, frutto di una politica di retroguardia e conservatrice.

Just marriedAcclarato questo che cosa vogliamo fare? Accontentarci di queste quattro cazzate che ci elargiscono e ci vogliono far digerire come se fosse manna dal cielo?

Mi auguro proprio di no. È del tutto evidente che, non essendo noi Parlamento ma movimento, subiremo le decisioni dei cattolici in politica (qualcuno mi dovrà spiegare, prima o poi, perché per alcune persone devote la loro fede deve impegnare anche quella parte di popolazione che ne è priva), ma spero vivamente che il movimento LGBT italiano abbia un moto di orgoglio, una buona volta, e cessi di essere lo zerbino del partito di governo di turno (piuttosto che tutore di interessi personali), esiga pari diritti, esiga una reale uguaglianza che, in Italia, significa matrimonio egualitario (non unioni civili) e ampliamento della legge Mancino contro le discriminazioni di stampo omofobico.

A partire da questi punti si può iniziare a filtrare, facendo cultura nel quotidiano, l’aria fetida che respiriamo in Italia e forse perfino a far tornare qualche persona omosessuale emigrata dalla disperazione.
Questo sì che sarebbe un bel primo passo, non un ddl vecchio e, sa solo il cielo quanto, massacrato dai conservatori comodamente seduti in aula a gestire le nostre vite personali sulla base della loro morale posticcia. Chi vi scrive quest’anno compie 53 anni.

53 anni di lotte, di manifestazioni per vie e piazze delle principali città italiane e straniere (sì, sono andato anche a Madrid quando Zapatero allargò il matrimonio alle coppie dello stesso sesso). Non ho nessuna intenzione di andare per strada per una cosa come il ddl Cirinnà, per la quale non ho mai lottato, che non ho mai chiesto, che è stata decisa altrove senza tener conto delle reali necessità della gente. Per citare il nostro socio fondatore Stefano Pieralli, alla mia età i piccoli passi li faccio verso la pensione. Alla mia età lotto per qualcosa in cui credo, che valga la pena, sicuramente non lotto per farmi discriminare, non lotto per compiacere gli interessi di pochi.IMG_0575

Ultima cosa: ha ragione chi scrive che siamo un’associazione di lotta contro HIV/AIDS.
L’ho scritto più volte e ora lo ripeto: stigma e discriminazione sono strumenti atti alla diffusione di HIV, non è una mia opinione ma quanto è emerso alla Conferenza Mondiale Aids di Vienna (nella quale da Roma non venne nessuno, nonostante fosse a due passi). Non sfugge a chi scrive che in Italia la maggior parte delle nuove diagnosi, da 4 anni a questa parte, è triste appannaggio dei maschi che fanno sesso con maschi. Non è un caso quindi che Plus prenda una posizione ferma, forte – e pazienza se non condivisa dal delirio buonista del meglio poco che niente (che i miei amici argentini, altro paese cattolico dove è in vigore il matrimonio egualitario, definiscono consuelo de tontos, il contentino dei tonti!).

Sandro Mattioli
Plus Onlus
Presidente

plus_1dicembre15_webAl Festival di Berlino del 2014, nella sezione Panorama, è passato un piccolo film indipendente a stelle e strisce diretto da un ballerino di nome Chris Mason Johnson: Test. A prima vista si tratta di una pellicola romantica incentrata su una compagnia di danza contemporanea a San Francisco, in pieni anni Ottanta. Colonna sonora frocissima e vestiti camp che più camp non si può… per tacer dei tagli di capelli e degli accessori. I due protagonisti, Frankie (Scott Marlowe) e Todd (Matthew Risch), s’innamorano durante la preparazione di uno spettacolo e affrontano una serie di test – compreso quello dell’hiv, a suo tempo una novità assoluta. Il primo test anticorpale ELISA venne infatti introdotto negli Stati Uniti nel marzo del 1985. A colpire, nel film, più che lo smarrimento dinanzi a una pandemia mortale dalla trasmissione ancora incerta, è il senso di vergogna che si accompagna alla decisione di testarsi. Anche allora, lo stigma era più potente dell’infezione e le dava man forte. Sono passati trent’anni esatti: a che punto siamo con la cultura del test?

Nell’ultimo anno, noi di Plus abbiamo lanciato due campagne: « hiv = », sulla condivisione di responsabilità e la subordinazione dello stato sierologico a uno spirito comunitario, e «positivo ma non infettivo», sulla non contagiosità delle persone sieropositive in terapia efficace. I passi avanti compiuti dalla scienza consentono davvero di eliminare il «divide» sierologico archiviando apartheid e paure irrazionali. Ma questa ricetta per il benessere collettivo si regge, ora come nel 1985, su un passaggio fondamentale: conoscere il proprio stato.

Il test hiv, così progredito da aver ridotto il periodo finestra a poche settimane, resta non solo una preziosa verifica per il singolo, ma anche uno strumento di prevenzione in un’ottica macro. La sopravvivenza di hiv/aids dipende infatti dalle infezioni non diagnosticate. E la diagnosi, oggi comeplus_1dicembre15_web nel 1985, resta uno snodo cruciale nel diagramma di flusso della vita di una persona. Solo che ora, rispetto agli anni Ottanta, abbiamo anche i mezzi per tenere sotto controllo l’infezione, e stare bene. Ecco perché abbiamo aperto il BLQ Checkpoint: per far sì che il test – rapido, anonimo, gratuito e sicuro – non sia uno stress ma una bella esperienza, da ripetere con regolarità.

Il 1° dicembre, giornata mondiale per la lotta contro l’Aids, il BLQ Checkpoint sarà aperto in via eccezionale dalle 15 alle 21. L’iniziativa, realizzata in collaborazione con la Asl di Bologna, vuole rendere più facile l’accesso al test HIV e HCV a tutte le persone, in particolare agli uomini gay e a tutti i maschi che fanno sesso con maschi. Il BLQ Checkpoint si trova a Bologna, in via San Carlo 42/C. Venite a testarvi da noi.

Simone Buttazzi
Plus Onlus

E’ uno slogan immortalato una vecchia foto, credo risalga al 1993, che riprende il tema del silenzio e lo collega alla mafia. Non ho potuto fare a meno di pensare ad Act Up che, in uno dei suoi slogan più famosi e riusciti, collegava il silenzio alla morte, l’ignoranza alla paura.

Si parla molto in questi giorni dei funerali lussuosi (cafoni?) del mafioso Casamonica e tutti si chiedono come sia potuto succedere. Mi rendo conto che passerò per spocchioso, ma perché sembra strano che una famiglia che si è posta al di fuori della legalità organizzi simili eventi nel silenzio/consenso generale?
Sappiamo tutti che una parte non indifferente del territorio italiano è in mano alle varie associazioni mafiose, ma non è certo un caso che questo sia possibile in Italia.
In questo paese la mentalità mafiosa è il pensiero più diffuso, da nord a sud. Una “cultura” generalizzata che fa operare o, più spesso, non operare un una direzione che, se non è pienamente illegale, fa si che gli interessi propri o dei propri accoliti, familiari, amici, prevalgano rispetto all’interesse della collettività, della cosa pubblica.
Che c’entra la mentalità mafiosa con l’epidemia da HIV?
Secondo c’entra e pure molto.
C’entra sul piano culturale, c’entra sul piano della falsità e del pressappochismo con cui in Italia il act-up-haringtema è stato affrontato negli ultimi 30 anni.
E’ la mentalità mafiosa che pervade l’Italia che ha fatto si che in 30 anni si siano viste solo una manciata di campagne contro il virus (per lo più discriminatorie e del tutto ininfluenti, vi basta guardare cosa hanno prodotto il resto dei paesi europei).
E’ grazie alla mentalità mafiosa italiana che non si sono mai visti messaggi importanti, insistenti e reiterati sull’utilizzo “talebano” del preservativo nei rapporti sessuali penetrativi. D’altra parte, a fronte di un papa che, contrariamente a qualunque logica e risultato scientifico, ha affermato che il condom non è utile a contrastare l’epidemia, perché mail il nostro ministro della salute avrebbe dovuto prendere decisioni di segno opposto, dispiacere un potere occulto (ma neppure tanto) e rischiare di perdere voti e poltrona… questo venir meno al proprio dovere e ruolo istituzionale per motivi futili che altro è se non cultura mafiosa?
In Italia non ci sono mai state azioni forti nei confronti dei gruppi di popolazione maggiormente esposti alla possibilità del contagio: penso alla popolazione carceraria (provate a far entrare i preservativi in carcere!), alla comunità omosessuale (in particolare quella maschile), alla comunità trans, alla popolazione che si prostituisce… Di nuovo, perché mai gli amministratori, gli assessori, i sindaci, i ministri non si sono mai occupati seriamente di questi gruppi, a parte sporadici quanto vani interventi occasionali, se non perché in fondo avrebbero potuto rischiare voti e, quindi, la poltrona, dispiacere quella parte di popolazione che va in chiesa tutte le domeniche ad ascoltare

Vogliamo essere parte della soluzione.
Vogliamo essere parte della soluzione.

un vescovo che discrimina i gay (cosa molto comune anche nella “civile” Bologna).
Chiariamo anche il punto relativo ai dati: non è vero che non ci sono dati ufficiali, che non sappiamo come si muove HIV in Italia (per altro non si capisce perché dovrebbe muoversi in modo difforme dal resto d’Europa). Non si contano gli studi, le analisi, le indicazioni, ecc. che sono arrivate dai vari organismi europei e anche il nostro COA (Centro Operativo Aids) dell’Istituto Superiore di Sanità, sa benissimo che la popolazione omosessuale in Italia è esposta al rischio, ha pubblicato dati che vedono le infezioni in crescita in tale popolazione, ma nessuno ha preso provvedimenti. E’ decisamente più comodo lasciare le associazioni da sole a operare, con pochi mezzi, contro l’epidemia, contro lo stigma (doppio se parliamo di comunità omosessuale e HIV), spesso contro le politiche sanitarie disattente, quando non addirittura, come è successo recentemente, contro alcune associazioni di lotta contro l’Aids timorose di perdere finanziamenti se, per caso, dovessero essere distratti dalle loro casse per attaccare HIV laddove si cela realmente.
Mentre in Francia l’associazione Aides combatte HIV in nome e per conto dello Stato, finanziata con fondi pubblici (con un bilancio annuo di oltre 40 milioni di euro), promuove ed esegue i test, fa ricerca in una popolazione che per lo Stato sarebbe difficilmente raggiungibile, in Italia Plus si deve arrangiare fra mille difficoltà a reperire fondi per fare un lavoro che dovrebbe essere fatto, direttamente o indirettamente, da chi ha in carico la salute pubblica.
Ci sono voluti quasi 10 anni per aprire il BLQ Checkpoint in una città attenta come Bologna (non oso pensare quanto ci sarebbe voluto altrove), ma il vero lavoro inizia ora. Sarà una sfida tenere aperto il centro, convincere la comunità MSM (maschi che fanno sesso con maschi) che è meglio fare periodicamente un test rapido che mettere la testa sotto la sabbia e sperare per il meglio, convincere un associazionismo lontano e distratto ad occuparsi fattivamente di questi temi o a supportare concretamente chi lo fa, aiutare la comunità LGBT a crescere sia politicamente che culturalmente al fine di agevolare quanto sopra, ecc. I primi segnali sono incoraggianti, il resto lo scopriremo presto, perché noi vogliamo essere parte della soluzione.

Sandro Mattioli
Plus Onlus
Presidente

Molti anni sono serviti solo per spiegare l’idea alla comunità LGBT e ai responsabili sanitari.
Molti mesi sono stati necessari per concordare, capire di chi sono le colpe e le responsabilità, capire di doveva pararsi voi sapete cosa, capire chi aveva davvero interesse per la salute di questo gruppo di popolazione esposta al contagio da HIV.
Altri mesi per reperire i fondi necessari… e ancora oggi stiamo cercando di reperire gli ultimi denari necessari a concludere i lavori.
Tuttavia, finalmente, le prime picconate sono state date, i primi calcinacci sono caduti, la ristrutturazione della sede del BLQ Checkpoint in via S. Carlo 42 a ha mosso i primi passi.

Il centro piano piano sta prendendo forma e siamo emozionati come padri in attesa dei primi vagiti.

Il centro sarà principalmente dedicato alle persone LGBT, ai loro bisogni, alle loro peculiarità, con particolare riguardo alla prevenzione da HIV, ai test, ai counselling. Tuttavia sarà accogliente per chiunque voglia entrare e dedicare qualche minuto alla propria salute, in un ambiente non ospedaliero\ambulatoriale, ma il più amicale e meno ansiogeno possibile.

Ogni aiuto è ben accetto, per cui, fuori da ogni principio di buona educazione, colgo l’occasione per suggerire un paio di possibilità di donazione:

via Rete del Dono
via PAYPAL
via 5×1000 (codice fiscale: 91341670379)
via Bonifico bancario: Plus Onlus, Unipol Banca, IBAN IT51W0312702405000000002286

 

Paolo LXContinuano le avventure del giovane attivista. Nello scorso episodio, riflettevo sull’esperienza di Glasgow HIV Therapy 2014.
Questa volta, vi parlerò di Checkpoint LX, un progetto fantastico di GAT (Grupo de Ativistas sobre Tratamentos) in cui ho avuto il privilegio di lavorare. Durante il primo modulo di STEP-UP, EATG Training Academy, ci è stato suggerito di imparare ad entrare in rete con colleghi di altri paesi, di sfruttare tutte le occasioni per condividere riflessioni, esperienze, buone pratiche, informazioni. Detto fatto. Proprio a Glasgow, grazie alla mediazione del mio collega Ricardo Fuertes (responsabile di In-Mouraria, a Lisbona), ho conosciuto Maria José Campos e Miguel Rocha, di Checkpoint LX, ed è stato amore a prima vista.
Noi di Plus Onlus siamo all’opera per l’apertura di BLQ Checkpoint, il primo centro community-based italiano in cui sarà possibile effettuare test HIV (gratuito, anonimo e confidenziale) a risposta rapida, con un percorso di accompagnamento personalizzato e fornito “alla pari”.
Uno spazio in cui, oltre alla mera somministrazione del test, ci sarà spazio per discutere delle tematiche relative ad HIV e sieropositività in un clima rilassato e informale, con operatori appartenenti alla comunità LGBT e adeguatamente formati sul tema.
Una novità assoluta, per l’Italia. Per fortuna, niente di così nuovo per il resto d’Europa. Checkpoint GATLX, a Lisbona, fa esattamente questo. Così, l’idea di andare a lavorare un po’ con loro per acquisire competenze sul campo, è stata immediata e spontanea. A Novembre se n’è parlato, il 10 Gennaio atterravo a Lisbona per iniziare questa esperienza.
I primi giorni hanno richiesto un po’ di assestamento: parlavo già portoghese piuttosto bene, tuttavia non mi ero mai occupato di temi relativi alla salute in lingue che non fossero italiano o inglese, per cui ho avuto bisogno di costruirmi il lessico specifico del settore in questa terza lingua, approfittando della disponibilità e pazienza dei colleghi del posto. Molto bene, sfida entusiasmante.
Ad attendermi nel Checkpoint un piano di formazione stilato con estrema precisione, che prevedeva la mia integrazione graduale nelle attività del centro: i primissimi giorni a chiacchierare della teoria e di certe questioni preliminari (il codice etico, le procedure, la divisione dei compiti, le tipologie di servizi erogati), subito dopo la possibilità di affiancare i colleghi in alcune delle attività, poi le visite programmate ai centri in cui si realizzano altri progetti di GAT relativi ad aree di intervento simili o comunque prossime, infine la collaborazione a pieno titolo nella somministrazione dei test, nella realizzazione dei questionari, nella gestione dei materiali e della struttura.
Ciò che Checkpoint LX offre attualmente è molto più che il solo test HIV: si realizzano infatti anche screening di HCV (epatite C), HPV (papilloma) e sifilide ed è attivo un servizio gratuito di monitoraggio di tutte le malattie a trasmissione sessuale (CheckList) curato dalla Dott.sa Maria José Campos. Certo, mi spiega João Brito, responsabile di Checkpoint LX, non è stato così fin dall’inizio: la prima fase di lavoro di questo progetto è stata meno pretenziosa, si è partiti dal solo test HIV, accompagnato da counselling, e da un importante processo di raccolta ed elaborazione dati, in collaborazione con l’Università di Porto, che ha permesso di capire molto sull’utenza del centro e di riadattare il servizio offerto in base alle reali esigenze di chi ne fruisce. Checkpoint LX In_Mourariaè un centro rivolto principalmente a MSM (acronimo che sta per “Men having Sex with Men“, uomini che fanno sesso con uomini), ma resta aperto a chiunque voglia fruirne, a libero accesso, senza necessità di prenotazione.
I tre aggettivi chiave relativi al servizio offerto sono: Gratuito, Anonimo, Confidenziale, mi spiega Miguel Rocha, soffermandosi molto sulla necessità di trattare con assoluta riservatezza tutte le informazioni che emergono nel rapporto con gli utenti.
Se incontri per strada un utente che hai conosciuto qui dentro – mi spiega Nuno Pinto – in reception, non lo saluti e ti comporti come se non lo avessi mai visto: il fatto di essere tutti membri di una stessa comunità deve rimanere un punto di forza della nostra struttura, non un elemento di criticità. Prosegue: La reception è il luogo in cui devi essere sufficientemente accogliente da non trasmettere freddezza, ma anche asciutto e rapido. Devi capire tutto con poche domande, a voce bassa, l’utente non deve trovarsi costretto ad essere riconosciuto/identificato da altre persone che si trovino eventualmente in attesa. Niente di nuovo, per me che ho partecipato varie volte alle Testing Week di Plus, ma fa sempre bene ricordare certi dettagli.
Come dicevo, MSM è l’acronimo che identifica un gruppo variegato: non soltanto l’uomo gay -che si riconosce nella comunità LGBT, che appartiene ad un certo universo culturale-, ma anche l’individuo di sesso maschile che (a vario titolo, magari non abitualmente, probabilmente senza sentirsi membro di una comunità o senza appartenere ad un certo panorama culturale di riferimento) fa sesso con altri uomini.
Checkpoint LX accoglie anche altre persone, naturalmente, con un’attenzione speciale per coloro che col sesso ci lavorano.
Altro progetto coordinato da GAT, che interseca il lavoro del Checkpoint pur senza essere esattamente la stessa cosa, è quello curato da Júlio Esteves. Si tratta di interventi mirati di assistenza a chi si prostituisce in appartamento. Il tipo di lavoro che Júlio svolge si realizza principalmente in outreach.
Oltre ad operare nel Checkpoint, due giorni alla settimana, lavora all’esterno per tutto il resto del tempo. Grazie ad anni di mediazione tra i lavoratori e le lavoratrici del sesso e gli enti e le organizzazioni che forniscono servizi per la salute, si è creata una rete di contatti incredibilmente vasta e ramificata. Per chi lavora col sesso, l’appartamento è anche un po’ una prigione, mi spiega, Broken promises killperché ogni volta che ti allontani, per una qualunque ragione, rischi che ti arrivi la chiamata di un cliente, e di non poterlo ricevere. In un clima, peraltro, di grande crisi, in cui la concorrenza è tantissima e feroce, i prezzi medi per le prestazioni piuttosto bassi, la disponibilità dei clienti scarsa. In un simile contesto, l’interesse per la propria salute può anche essere alto (ed è spesso incredibilmente più alto in confronto a quello di altri tipi di popolazione), ma i tempi di attesa, lunghissimi, per ottenere prestazioni sanitarie in strutture pubbliche, possono scoraggiare. Per questo il Checkpoint, grazie alla particolarità di avere i test rapidi, diventa per i Sex Worker il miglior luogo possibile in cui occuparsi attivamente della prevenzione delle malattie a trasmissione sessuale.
Inoltre, grazie ad un sistema che prevede visite a domicilio su richiesta, Júlio mantiene un rapporto costante col mondo della prostituzione in appartamento e ottimizza il tempo trascorso nelle case consegnando gratuitamente kit di prevenzione (preservativi, lubrificanti e femidom).
Ho avuto l’onore di essere portato in queste visite e di capire come il tipo di supporto che si offre vada molto oltre la semplice consegna di materiali: si chiacchiera, si discute, si parla di salute sessuale, spesso c’è un bisogno forte di entrare nel personale, di raccontarsi. Bisogna capirsi, parlare la stessa lingua, conoscere i codici comportamentali e rispettarli. Come in qualunque ambiente.
Gruppo GATEssere un operatore che si occupa di salute non può costituire il pretesto per salire in cattedra, ma, al contrario, può diventare l’occasione giusta per scendere dal piedistallo, rilassarsi, abbandonare giudizi e pregiudizi, entrare in contatto in modo autentico. Diversamente, non funziona.
Essere considerato peer (pari) da un altro uomo gay come te è sicuramente più semplice e naturale, ma essere considerato un “pari” da qualcuno che fa cose molto diverse da quelle che fai tu (almeno nel tuo immaginario) è qualcosa che richiede umiltà, rispetto e apertura.
Il mondo del lavoro sessuale è fatto anche di persone che lo fanno per scelta, di genitori, di figli e figlie, di studenti universitari, di persone transessuali, di ragazzi e ragazze non più giovanissimi, di persone provenienti dai più disparati paesi.
Altra realtà interessante, già citata, ma di cui intendo parlarvi un po’ meglio, è il centro In-Mouraria. Quartiere piuttosto centrale di Lisbona -incredibilmente affascinante, con le sue strettissime salite e le case diroccate-, Mouraria si sviluppa a partire dalla piazza di Martim Moniz.
Vi si sono concentrati, per anni, una serie di fenomeni: la vendita e il consumo di droghe (anche iniettive), la forte presenza di persone senza fissa dimora e di immigrati clandestini.
In una simile posizione, In-Mouraria nasce come centro dedicato prima di tutto alla salute sessuale e alla gestione delle dipendenze, ma assume ben presto, grazie alla sensibilità e all’esperienza dei suoi lavoratori, tutti i connotati di un punto di socializzazione fondamentale, in cui ci si conosce, si discute, si gioca, si parla, si beve e si mangia insieme.
In-Mouraria è il punto di partenza di un processo molto interessante: l’attivismo delle persone tossicodipendenti.
Nel centro si lavora soprattutto in termini di riduzione del rischio. Ancora una volta, non ci si trova in un posto in cui tutti si sentono più saggi, furbi, immacolati e moralmente accettabili di te -e, dunque, legittimati nel decidere per te che cosa dovresti fare della tua vita-, bensì in un luogo in cui il giudizio non entra mai e ci si occupa di questioni concrete. Non c’è la maestrina a dirti che devi smettere di bucarti, ma potresti trovare altre persone che lo hanno fatto (o che lo fanno ancora), pronte però a difendere con tutti i mezzi possibili, salute, diritti, benessere.
In-Mouraria non è un ambiente statico: cambia forma continuamente, si adatta ai bisogni di chi loCrew frequenta, stimola il confronto, ricerca ed accoglie le critiche ed i suggerimenti, attiva corsi, costruisce occasioni di socializzazione. Lo confesso: mi ci sono proprio sentito a casa ed ho avuto la sensazione che fosse così per tutti. Bello.
Naturalmente, nel conoscere e valutare queste ottime realtà portoghesi, mi sono sempre sforzato di vedere le principali differenze col nostro sistema. Ad esempio, da noi in Italia, il test HIV rapido non può essere effettuato se non da operatori sanitari. Questo comporta una serie di conseguenze: l’idea del Checkpoint è proprio quella di de-medicalizzare la prevenzione, creando un ambiente che, non sostituendosi alle strutture sanitarie del territorio, vada ad integrarne il servizio, offrendo qualcosa di differente e complementare.
Noi di Plus non ci siamo lasciati abbattere ed abbiamo deciso di strutturare il nostro centro in modo che potesse essere subito operativo ed efficace, inserendo nella nostra equipe di lavoro Campagna Plusquattro infermieri. L’esperienza condivisa della formazione è stata assolutamente positiva ed ora che siamo diventati un team affiatato, non vediamo l’ora di partire.
Le più recenti iniziative di somministrazione test presso la sede del MIT (Movimento Identità Transessuale), che generosamente ci ospita, hanno colpito nel segno: molta affluenza, molti colloqui, un clima caloroso. Lavorare insieme, durante la European Testing Week e nella settimana di San Valentino, è stato bello e abbiamo avuto la fortuna di poter contare anche sulla collaborazione degli amici del RED, che ci hanno volontariamente aiutato con l’accoglienza.
Senza dubbio il progetto del BLQ Checkpoint è il nostro principale motivo di orgoglio e costituisce l’occasione giusta per operare concretamente sul nostro territorio e per la nostra comunità. Inoltre, l’onda europea che ha visto sorgere un vero e proprio network di servizi comunitari per la salute, è un fenomeno che ci incoraggia e ci fornisce continui spunti di riflessione e opportunità di confronto.
Adesso i lavori sono in corso, apriremo prestissimo e non vediamo l’ora che siate tutti con noi a brindare per l’inizio di questa piccola grande rivoluzione. Perché noi combattiamo HIV, non le persone che vivono con HIV.

Paolo Gorgoni
Plus Onlus

A volte sul web leggo cose davvero strane.
Spesso ci sono personaggi simpatici che, per divertire gli altri, scrivono assurdità dichiarate, un po’ come succede quotidianamente su Facebook. Altri, invece, usano internet per fare sfoggio di grossolani pregiudizi. Credo che qualunque persona LGBT sappia di cosa scrivo. Ormai quotidianamente siamo attaccati da chiese, politici, fascisti, ecc.

Nell’ultimo anno e mezzo, Plus ha fortemente cercato, anche con alcune forzature provocatorie, di svecchiare il pensiero della comunità LGBT in termini di trattamenti contro HIV e prevenzione. WHOQuesto ha provocato, com’era nelle nostre intenzioni, l’apertura di vari momenti di confronto il più delle volte interessante anche se a tratti assai triste.
Triste, in parte perché il livello della discussione ha dimostrato quanto arretrata sia la nostra comunità e quanto sia indisponibile ai cambiamenti supportati da nuovi dati scientifici, sia quanto sia arretrato il pensiero politico in questo Paese, soprattutto fra alcune associazioni il cui scopo primario è, o dovrebbe essere, quello di evitare ogni possibile nuovo contagio.

È appunto con estrema tristezza che ho letto l’articolo scritto qualche tempo fa dalla presidente di NPS, Margherita D’Errico, sulla PrEP, dove trascina l’OMS in avventurosi ragionamenti sulla discriminazione delle persone MSM, o gay che dir si voglia, che l’Organizzazione Mondiale per la Sanità rinchiuderebbe nuovamente in categorie a rischio. Plus viene citata come una sorta di estensione italiana di tale ragionamento distorto.
Mi rendo conto che ne tentativo di trovare sostegno a tesi poco sostenibili politicamente parlando, ci si arrampica su tutti gli specchi possibili, ma da qui ad accusare un ente globale e la nostra associazione, di aiutare lo stigma ce ne corre: è una stupidaggine talmente palese che forse non meriterebbe nessuna risposta.
Ma, in vista di Icar 2015 che vede proprio la presidente di Nps fra gli organizzatori, penso che sia il caso di ricordare che OMS ha semplicemente preso atto di dati epidemiologici che, anche se a NPS è evidente che da fastidio, sono purtroppo incontrovertibili. Tali dati dovrebbero portare le associazioni di lotta contro HIV/Aids e le associazioni LGBT a ragionare sulle rispettive strategie di prevenzione, a come non siano andate a buon segno, o non completamente, adeguarle alle attuali Puzzle1esigenze della popolazione di riferimento, se si vuole provare a invertire la tendenza che si desume dai dati.
Dati che non arrivano solo dall’OMS, ma anche dal nostro COA e, più sommessamente, dal centro di controllo dell’Emilia Romagna. Continuare a fingere che tutto vada bene e insistere in campagne che centrano solo in parte l’obiettivo, sarebbe un po’ come insistere a dare lo stesso trattamento a persone HIV+ in fallimento terapeutico.
Una davvero una posizione furba!
Plus, per altro, non ha mai smesso di fare campagne contro lo stigma, di distribuire condom, di fare presenza anche in locali vocati al sesso occasionale (banalmente se vogliamo combattere HIV ha senso farlo dove più facilmente esso si annida), come è facilmente verificabile.
Plus non ha mai smesso di evidenziare il fatto che la prevenzione è un puzzle fatto da molte possibilità di intervento spesso da porre in essere in combinazione fra loro. Lo stesso presidente di Plus, in coppia siero-discordante, è in terapia ARV e utilizza il condom tanto per portare un esempio personale.

Pertanto, siamo tranquillamente nella posizione di rimandare al mittente le risibili accuse formulate dalla responsabile legale di Nps. Questa associazione si è interessata alla PrEP, solo nel momento in cui da diversi studi è arrivata la conferma dell’efficacia del trattamento. Chi ha più sexhiv-34-ridmemoria che pregiudizi, ricorderà che chi vi scrive espresse pesanti perplessità quando FDA approvò l’utilizzo di Truvada dopo un solo studio (Iprex). Oggi la situazione è profondamente mutata: sono stati portati a termine ben due studi europei che hanno confermato l’efficacia della PrEP anche on demand, gli interventi al CROI 2015 del dipartimento di salute pubblica di San Francisco, dove la PrEP è in uso da qualche anno, ci hanno descritto una tendenza in calo per le nuove diagnosi, ecc. mi hanno convinto che il trattamento preventivo è una realtà efficace. Chiaramente non per chiunque! La PrEP ha senso, ed è stata sperimentata,laddove le altre strategie bio-medicali si sono dimostrate non efficaci, non adatte elle esigenze delle persone.

Certamente ci sono numerosi nodi da sciogliere per andare avanti. Dobbiamo capire come interfacciare la PrEP con il nostro articolato sistema sanitario, come impatterà sulla pratica clinica, come gestire la presa in carico, ecc. Tutti temi sicuramente importanti, ma che, in parte, esulano dal ruolo di advocacy di una associazione.

Vale la pena sottolineare come insistere nell’evidenziare che il condom costa meno ed è altrettanto efficace, cosa ovvia, equivale ad abbandonare quelle persone che, per mille motivi, hanno difficoltà a usare sempre il condom.
È appunto a quel gruppo che si rivolge la PrEP: alcuni MSM, alcuni/e sex workers, ecc. persone che,Slut Shaming Department per elevato numero di partner, per alto numero di rapporti sessuali, unitamente all’uso discontinuo del preservativo, sono a rischio di contagio. Questo dicono le ricerche fin qui.
È vero che si tratta di gruppi sui quali ancora oggi grava il peso dello stigma e della discriminazione. Pesa perché ancora c’è chi presenta a nostra popolazione, che spesso non conosce, la nostra sessualità, in modo giudicante. Questo si che crea discrimine.
Si tratta di scelte. Plus ha scelto. Ha scelto di prendere atto che esistono persone con le quali ha più senso operare in termini di riduzione del rischio, che non in termini di giudizio. Persone con le quali si otterrebbe sicuramente di più con una PrEP, che non insistendo nel dire che il condom costa meno o che i gay devono astenersi. Persone che, se lasciate sole, corrono fortemente il rischio di contagiarsi e Plus preferisce evitare anche solo una infezione, invece di lanciarsi in giudizi inutili.

Sandro Mattioli
Plus Onlus
Presidente

croi2015_w280x100Ascolta o popolo di naviganti eroi poeti e santi
di emigranti di ricchi benestanti e lavoranti stanchi
or piantatela con i lamenti
basta di mugugnare
presto in coro a cantar e attenti a non stonare…

Sulla PrEP rimbalzano dal web, o dalle dichiarazioni dei tanti “ministri per la salute”, diverse inesattezze, imprecisioni, o addirittura sciocchezze spesso lasciate intendere, qualche volta perfino scritte da presunti esperti i quali, purtroppo, vengono ascoltati.

Anche se un po’ infastidito dalla superficialità con cui vengono affrontati temi delicati, provo a replicare con serenità a tali scempiaggini augurandomi che prima di scriverle/dirle, in futuro ci si informi un po’ meglio.

Apro affermando che la PrEP è consigliata ai soggetti ad elevato rischio di contagio. Non a tutti, non controvoglia o per forza.

A chi interessa la PrEP e perché tutto questo baccano intorno alla profilassi post esposizione per HIV.
Semplice: perché si parla di una infezione che si trasmette scopando.

Infatti la PrEP è una metodica utilizzata anche per prevenire la malaria e nessuno si è mai posto strane domande né si è mai chiesto chi ci guadagna con la malaria.

La PrEP per HIV per ora è stata autorizzata negli USA con un prodotto di Gilead che si chiama Truvada.
Poiché Gilead è una multinazionale, qualcuno ha pensato che chi promuove la PrEP, sia in qualche modo a libro paga della Gilead.
Poco importa che sia l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) a consigliare la PrEP. Pagheranno anche l’OMS, per non parlare del FDA (Food and Drug Administration che ha autorizzato la PrEP negli USA), UNAids (il programma delle Nazioni Unite contro l’Aids) che ha giusto oggi rilasciato un comunicato stampa a sostegno della PrEP (UNAIDS welcomes further evidence of the efficacy of antiretroviral medicines in preventing new HIV infections). Pagheranno anche tutte le 81 associazioni europee che, come noi in Italia, hanno sottoscritto lo stesso documento.

PuzzleQuello che sospettosi ignorano, è che il brevetto del Truvada scadrà nel 2017, ossia fra pochissimo, e che Gilead non ha nessun interesse economico a sponsorizzare il suo farmaco come PrEP in Europa. Banalmente si dovrebbe sbattere in richieste di autorizzazioni al commercio, concordare costi e procedure per poi far guadagnare le aziende dei generici.
Se non sollecitata dalle associazioni di pazienti e di lotta contro l’Aids europee, Gilead non farà nulla.
Quindi a chi interessa la PrEP?

Semplice: alle associazioni che hanno a cuore la salute delle persone e il cui obiettivo primario è evitare foss’anche una singola sieroconversione.

Il Truvada ha effetti collaterali. E’ assurdo far prendere una pillola al giorno ed esporre le persone a tali effetti. I farmaci sono veleno.

I farmaci salvano la vita alle persone. Gli effetti collaterali vanno gestiti dal medico insieme al paziente. In particolare gli effetti del farmaci ARV solo ormai noti e la loro gestione è più che possibile. Chi sostiene che il trattamento ARV è veleno, è una persona che non ha idea di quello che scrive.

Gli effetti collaterali del Truvada sono cosa notissima. La mia opinione, per quello che vale, è che è meglio il Truvada nel sangue che l’HIV, con buona pace degli effetti collaterali.

Detto questo, su possibili effetti a breve termine, mal di testa, vomito, ecc non sto neppure a replicare perché sono problemi che scemano velocemente e non si ripresentano. Cosa diversa, invece, sono gli effetti collaterali di lungo periodo.

Questi ultimi, hanno colpito le persone sieropositive che, costrette ad assumere il trattamento antiretrovirale a vita, hanno assunto il Truvada per anni non per un periodo di tempo.

La PrEP è una profilassi, non una terapia che si assume a vita e non puoi interrompere.

Interrompendo la PrEP gli eventuali problemi, per esempio ai reni, rientrano immediatamente (cfr SeattleCROI 2015 abstract 981 Reversibility of glomerular kidney function decline in HIV uninfected men and women discontinuing Emtricitabine/Tenofovir Dosoproxil Fumarate Pre-exposure Prophylaxis).

Cito uno studio presentato al CROI di Seattle sia perché è meglio sostenere le affermazioni con documenti scientifici, sia per far notare come sulla PrEP la ricerca sta andando avanti nel mondo, con buona pace degli scettici italiani. Ne allego alcuni in fondo alla pagina fotografati nel salone degli abstract del CROI, mi scuso per la qualità.
Il CROI è una conferenza della International Antiviral Society USA, non è il consiglio di amministrazione di Gilead.

Come se non bastasse, chi lamenta che il soggetto in PrEP prenderà farmaci per tutta la vita dimostra quantomeno di non essere informato se non addirittura in malafede. Gli studi europei Proud e Ipergay andavano proprio nella direzione opposta. In particolare Ipergay ha studiato l’assunzione on demand della PrEP. Ipergay ha dimostrato l’efficacia della formulazione che oltre ad essere efficace è anche meno costosa dell’assunzione quotidiana.

E qui veniamo ad un altro tema. Costa troppo, chi paga?

Costa troppo chi lo dice? Se in Italia prendessimo l’abitudine di fare studi, forse potremmo scoprire che costa meno una PrEP ad un ventenne ormonato per qualche mese, che ritrovarselo sieropositivo di li a poco e essere costretti a dargli una terapia per 60 anni, quella si tutti i giorni e con gli effetti collaterali di lungo periodo.

In Italia i farmaci di quel genere vengono rimborsati agli ospedali dal sistema sanitario. La PEP, profilassi post esposizione, la paga il sistema sanitario. Non vedo motivi perché debba essere diverso per la PrEP. Ovviamente è necessario che i decisori affrontino questi temi, non possono farlo le associazioni che semmai possono collaborare.

Ho scritto che la PrEP non è per tutti ma solo per gli individui esposti. In Italia, con ogni probabilità, parleremmo di MSM (maschi che fanno sesso con maschi).

A chi sostiene che quei gay che volessero accedere alla PrEP se ne devono assumere la responsabilità e devono pagare la visita, i farmaci e tutto il resto, così come a quei baroni della sanità che sostengono che la PrEP non è etica, rispondo benissimo, condivido.

Ma se la salute pubblica la misuriamo con il metro della responsabilità personale, allora anche chi fuma dovrà pagare il cardiologo o l’oncologo, gli interventi chirurgici, i farmaci antitumorali o chiemioterapici, ecc.; le donne che accedono all’aborto se ne assumeranno la responsabilità e pagheranno visite e intervento perché ci sono preservativi, femidom e anticoncezionali a piacere, e così via.

E’ del tutto evidente che chi fa certe sparate, dovrebbe valutare con maggiore attenzione le sue affermazioni, anche perché oggi la tendenza epidemiologica segnala un problema nella comunità MSM, ma non è detto che domani cambi. Assunto che si tratta di omosessuali maschi, non posso fare a meno di chiedermi che ruolo gioca l’omofobia, così diffusa in Italia, anche interiorizzata nella discussione in corso sulla PrEP.

Sandro Mattioli
Plus Onlus
Presidente

Secondo giorno, altra letterina.
croi2015_w280x100Plus, insieme a molte altre associazioni europee e, udite udite, italiane, ha sottoscritto un documento di sostegno alla PrEP preparato niente meno che da EATG e Aides.
Già alla pubblicazione del comunicato stampa, sono apparsi i primi commenti ed è davvero curioso notare come in questa conferenza sembra che i relatori li leggano e rispondano.
Infatti una plenaria e una intera mattinata di oral abstract (non è sesso orale astratto ma comunicazioni orali sulle ricerche effettuate), sono state dedicate al tema della prevenzione di secondo livello e della PrEP. Gli studi europei Proud e Ipergay, nome non certo casuale, sono stati presentati durante i workshop, così come un “demostration project” su PrEP e ART (trattamento antiretrovirale), un’analisi sull’incidenza della PrEP a S. Francisco, uno studio di fase III sull’applicazione pericoitale del gel al tenofovir per la prevenzione femminile.
Ma procediamo con ordine.
La plenaria di stamattina è iniziata con un primo resoconto dell’andamento della conferenza:

  • 4.015 partecipanti
  • 86 Paesi rappresentati
  • 44% dei partecipanti vengono da fuori gli USA
  • 25% per la prima volta al CROI

dato commentato dal podio con “sangue fresco”, forse non rendendosi ben conto.
Battute a parte, la plenaria parte in quarta con un argomento scottante, quanto meno per l’Italia, che è la PrEP, con una presentazione dal titolo: PrEP nella prevenzione di HIV. Quello che sappiamo e quello che abbiamo ancora bisogno di sapere per implementarla.
Relatore Raphael Landovitz University of California Los Angeles.
Landoviz inizia la lettura con una slide che, riassumendo, spiegava che per HIV non abbiamo né un vaccino, né una cura e indicava in PrEP e circoncisione maschile i punti su cui intervenire per ridurre il più possibile l’incidenza. Oltre alla necessità di ottimizzare la prevenzione proprio perchéPuzzle1 i fondi non sono illimitati.
Quindi dobbiamo utilizzare in modo combinato tutte le risorse che abbiamo a disposizione, e la slide successiva dimostra come la prevenzione di HIV sia un puzzle formato da tanti elementi, tutti con lo stesso obiettivo. Uno di questi elementi è la PrEP.
La PrEP non nasce certo con HIV, per esempio viene utilizzata per prevenire la malaria (ora qualcuno mi risponderà che però non protegge dalla febbre gialla?), in qualche modo è pure possibile un paragone con gli anticoncezionali che, alla loro comparsa sul mercato, provocarono polemiche infinite tutte di ordine morale e ora sappiamo tutti che cosa è e soprattutto non è successo con quelle pillole, ormai diventate di uso comune.
Il farmaco che ad oggi ha dato risultati più rilevanti è il Tenofovir+Emtricitabina. Perché è generalmente ben tollerato, è già possibile una co-formulazione, è relativamente difficile da aggirare e creare resistenze, ha una rapida concentrazione nei tessuti genitali e rettali. Il tutto è anche supportato da modelli animali.
Come ci siamo arrivatiNon mi dilungo sui meccanismi di funzionamento che sono molto complessi, vado subito al tema dei dosaggi. A quanto ho capito, oltre che sui modelli animali, ci si è basati sulle tempistiche della PEP (profilassi post esposizione) che è efficace entro un massimo di 48 ore dal rapporto a rischio. Per cui la PrEP andrebbe assunta entro 24/48 ore dal rapporto sessuale per ottimizzare la copertura del farmaco? Nel 1998/2000 questi erano gli orientamenti di studio. Sono poi stati riportati diversi studi a partire dal 2010 che ne dimostrano l’efficacia, nonché, per la gioia dei miei preoccupati connazionali, una serie di studi che dimostrano che la PrEP è generalmente ben tollerata tranne per lo start up dove si registrano sintomi quali nausea, vomito. I classici effetti collaterali a breve termine. Per quanto riguarda gli effetti collaterali seri la presentazione mostra dati e percentuali davvero poco significative in relazione ai possibili problemi renali (un leggero aumento di creatinina su 2 partecipanti su 5469), e ossei, tanto è vero che non c’è associazione ad un incrementato rischio di fratture. Tuttavia, giustamente, il ricercatore segnala che sono necessari follow up di lungo termine per essere certi di questi risultati.
Viene giustamente citato il counselling a sostegno di chi fa la PrEP e anche tutta una serie di strumenti che posso essere di aiuto, sostegno, controllo della persona in PrEP: dagli sms, ai portapillole pre-dosati, alle app.
Altro tema caldo: costo-efficacia. Ovviamente la PrEP non è per tutta la popolazione sessualmente attiva, ma se la PrEP viene targettizzata su individui o gruppi ad elevato rischio di contagio, ci sono già i primi studi che parlano di costo-efficacia positiva (Buchbinder SP e altri, Lancet 2014).Cost-effectiveness
Le conclusione a cui giunge il ricercatore sono che la PrEP:
è altamente efficace se assunta come da indicazioni;
va rivolta solo a particolari persone, segnala la necessità di più studi su persone transgender, donne esposte, possibilmente in partnership con le associazioni. E chiude in maiuscolo con un bellissimo “nessun singolo intervento sarà mai in grado di far finire l’epidemia da HIV”, quindi la parola magica è combinazione di più elementi, utilizzare tutte le armi che abbiamo in combinazione. Torniamo al puzzle di prima.
Il resto della mattinata è stato dominato dalle presentazioni degli studi europei sulla PrEP.
Sheena McCormack (Clinical Trial Unit of University College, London) ha presentato lo studio randomizzato open label Proud. Uno studio molto interessante che parte implicitamente da una critica allo studio statunitense Iprex, il quale pretendeva una aderenza stellare per avere risultati buoni. Il mondo reale non è l’Iprex, che succede se non c’è quel tipo di aderenza? Lo studio è stato proposto a maschi gay (guarda caso), randomizzato in due bracci uno con Truvada subito, uno con Truvada dopo 12 mesi. Il follow up di 3 volte al mese per 24 mesi. Una cosa impegnativa. Disegnato per imitare la vita reale, dice una slide della ricercatrice, e infatti anche i test clinici sono ridotti alla routine, ma vengono testate le IST (HIV, HCV, sifilide, gonorrea, clamidia); vengono anche proposti interventi di cambio di comportamento in base al rischio sessuale corso, alla aderenza, ecc. Gli arruolati sono 545, di cui 276 trattati subito e 269 differiti.
Interessante notare come fra i trattati subito in 14 non hanno mai iniziato la PrEP e sempre la stessa percentuale è in seguito ricorsa alla PEP. Ma va anche detto che ben l’83% dei differiti è ricordo alla PEP. La PrEP è stata interrotta da 28 partecipanti di entrambi i gruppi, ma solo 13 hanno avuto eventi che correlavano con l’assunzione dei farmaci (nausea, mal di testa, ecc.). 11 su

CONCLUSIONI STUDIO PROUD
CONCLUSIONI STUDIO PROUD

13 hanno ripreso lo studio. Questi in sostanza sono stati i disturbi fisici.
I risultati sono impressionanti. A 48 settimane dall’arruolamento, i casi di sieroconversione nel braccio dei trattati subito sono stati 3. Nei differiti 19. Con un rapido calcolo è facile vedere che l’incidenza totale di 4,9, già alta, sale a 8,9 nel gruppo dei differiti. Lo studio propone una percentuale di efficacia del 86% (P value 0,0002).
Ma la PrEP non protegge dalle altre IST. Verissimo. Lo studio è andato a misurare l’incidenza nei i due gruppi delle varie infezioni a trasmissione sessuale (sifilide, clamidia, ecc.) e si è visto che non ci sono differenze significative fra i due gruppi. Al follow up si è visto che in entrambi i gruppi non ci sono stati incrementi nel numero dei partner, nel numero dei rapporti sessuali senza condom. Sembra cade quindi un altro tema caldo: le infezioni a trasmissione sessuale non subiscono modifiche, non c’è la rincorsa allo scopare tutto ciò che si muove.
Ricordo che parliamo di persone che non usano sempre il condom.
Le conclusioni segnalano che gli stessi ricercatori non si aspettavano una indicenza così alta e che la PrEP è opportuno usarla in questi casi e, quindi, in questi gruppi. Che le IST contratte sono state speculari in entrambi i gruppi. Che per gli MSM ad elevato rischio la PrEP è una strategia concreta di riduzione del rischio e che il condom va usato comunque. Aggiunge in ultimo che le cliniche devono essere nelle condizioni di poter fornire la PrEP, ovviamente.

ON DEMAND
ASSUNZIONE ON DEMAND

Il secondo studio europeo è Ipergay presentato da Jean Michel Molina, Università Diderot di Parigi, in rappresentanza del gruppo di lavoro dello studio che ha unito centri francesi e canadesi.
Ipergay si presenta subito come ancora più attento alla vita quotidiana. Infatti vuole capire se la PrEP funzione anche on demand.
Già vedo i fumetti sulla testa di chi sta leggendo… per caso c’è scritto così le checche sono libere di scoparsi il mondo con un paio di pillole alla bisogna?
Nel caso vi ricordo che la stessa cosa la dicevano i nostri nonni delle pillole anti-concezionali.
Il background da cui parte Ipergay è simile a quello britannico: alta prevalenza fra gli MSM (cosa che evidentemente in Francia nessuno teme che si sappia); il tallone d’achille degli studi americani rispetto alla aderenza altissima; i costi più bassi del dosaggio on demand rispetto all’assunzione giornaliera e, probabilmente, un maggiore gradimento di questa modalità. Anche in questo caso si citano i modelli animali a supporto.

Con “on demand” si intende che lo studio ha sperimentato un’assunzione di 2 compresse prima del rapporto sessuale, 1 compressa 24 ore dopo il rapporto e una 48 ore dopo la prima dose.
Anche in questo caso vengono controllate la sieroconversione, l’aderenza, le IST, i comportamenti sessuali (uso del condom, numero dei partner, numero dei rapporti sessuali, ecc.), la sicurezza e l’efficacia. Lo studio è organizzato su due bracci, uno trattato e un placebo. Ed è proprio sull’efficacia che a ottobre 2014 il braccio placebo viene interrotto per ragioni etiche, tale era l’evidenza dell’efficacia.

CONCLUSIONI IPERGAY
CONCLUSIONI IPERGAY

414 arruolati sono stati randomizzati in due bracci: 206 trattato con tenofovir/emtricitabina e 208 placebo. 88% di follow up in entrambi i gruppi. Di nuovo ricordo che parliamo di persone con una vita sessuale molto attiva e che non sempre usano il condom.
Per quanto riguarda le IST i risultati sono simile allo studio inglese, così come l’andamento dei rapporti sessuali. Le sieroconversiono sono state 14 nel braccio placebo e 2 nel braccio trattato. Anche qui il risultato finale è 86% di copertura (P value 0,0002), la percentuale di uso corretto della PrEP è stata buona anche grazie alla modalità on demand.
Le conclusioni di Ipergay sono speculari allo studio Proud:
non si aspettavano una incidenza così alta;
la PrEP on demand è altamente efficace nel ridurre tale incidenza;
la PrEP on demand è sicura, ed è una alternativa attrattiva alla PrEP con assunzione quotidiana di pillole, almeno negli MSM ad alto rischio che non sempre usano il condom.

Ma andiamo avanti. Jared Baeten ha presentato un altro aspetto della lotta contro HIV, sempre sul piano della prevenzione. Ossia la combinazione di Art e PrEP in un progetto dimostrativo effettuato in Kenya/Uganda. Un approccio combinato quindi, che potrebbe portare la riduzione dell’incidenza al 90%.
Questa volta il target sono coppie eterosessuali sierodiscordanti, escluse le coppie che già avevano partecipato allo studio Partner.
La ART offerta al partner positivo a prescindere dal numero di CD4 come da linee guida ugandesi; la PrEP offerta in assunzione quotidiana per via orale di tenofovir/emtricitabina per circa 6 mesi, ossia il periodo necessario al partner positivo per raggiungere la viremia undetectable. Anche qui c’è stato un follow up di 24 mesi comprensivo di test HIV, supporto, riduzione del rischio, ecc. In totale 1013 sono le coppie arruolate, il 66% delle quali ha avuto rapporti non protetti nel mese precedente l’arruolamento.
L’osservazione ha mostrato una riduzione del 96% rispetto all’incidenza attesa.

Il Dipartimento di salute pubblica di S. Francisco e la SFAF si stanno già chiedendo come incrementare l’uso della PrEP, stante i risultati che stanno avendo a partire dal 2013. Robert Grant, Gladston Institutes, S. Francisco, ne ha parlato nel workshop successivo. Gli obiettivi del Dipartimento sono rendere disponibilità la PrEP per tutte le persone che ne necessitano, soddisfareSCALE UP SFAF il desiderio di PrEP, raggiungere così un calo del 70% delle nuove diagnosi.
Come tale hanno svolto studi e ricerche tese a valutare i rapporti a rischio più comuni, i bisogni della popolazione più a rischio, a valutare l’impatto che la PrEP potrebbe avere nella pratica quotidiana. Mi sembra di vedere un film di fantascienza.

Ultimo poi vi disturbo più per un po’; lo studio sulle donne e la prevenzione al femminile. E’ uno studio sudafricano, randomizzato, multicentrico, di fase III, sull’utilizzo pericoitale di gel al Tenofovir. Banalmente significa l’applicazione del gel vaginale prima e dopo il rapporto. Il tema dell’aderenza è stato un dramma in questo caso, meno del 25% delle donne è riuscita ad essere aderente, nonostante gli sforzi e le campagne (“I party with my gels”) degli organizzatori. In questo caso la stima di riduzione di incidenza è risultata essere del 52% (P value 0,04). Le conclusioni parlano di sicurezza del prodotto ma di efficacia insufficiente a tutelare questa popolazione che, evidentemente, ha dimostrato grosse difficoltà nell’utilizzo dello strumento in sé. Le donne hanno utilizzato il gel nel 50-60% dei rapporti sessuali (percentuale definita semi oggettiva dagli stessi ricercatori). Infatti la maggior parte delle partecipanti non è riuscita a raggiungere il livello di copertura necessario alla protezione. Chiude chiedendo strumenti di prevenzione studiati per le giovani donne, strumenti facili da usare, che sia possibile integrare nella quotidianità.

Sandro Mattioli
Plus Onlus
Presidente