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In base agli artt. 11 e 12 dello statuto dell’associazione, è convocata online l’Assemblea dei soci e delle socie di Plus, in prima convocazione il giorno domenica 18 aprile 2021 alle ore 5.00, in seconda convocazione il giorno domenica 18 aprile 2021 alle ore 17.

L’Assemblea si svolgerà online su: https://zoom.us/j/96649721717

Ordine del giorno

  1. relazione Presidente sull’attività svolta
  2. relazione Tesoriere
  3. relazione Organo di Controllo
  4. Approvazione del bilancio consuntivo 2020
  5. varie ed eventuali

È cambiata l’assistenza sanitaria per l’HIV a causa dell’emergenza Covid-19?

Il Covid-19 sta cambiando il mondo.
Che impatto ha sull’assistenza sanitaria per le persone con HIV nel nostro Paese?

Plus lancia una indagine per raccogliere le esperienze e le opinioni delle persone HIV+ che sono in terapia antiretrovirale in Italia. L’indagine è curata scientificamente dal sociologo Raffaele Lelleri.

L’indagine è:

  • ANONIMA E CONFIDENZIALE ~ Non permette di risalire all’identità delle persone che vi partecipano. Le elaborazioni statistiche verranno infatti fatte in modo aggregato per evitare ogni rischio di identificazione, sia diretta sia indiretta
  • ON-LINE ~ È ospitata su Google Forms
  • BREVE ~ Sono circa 10 i minuti necessari per rispondere a tutte le domande

Scadenza per la compilazione: 30 aprile 2021

Per partecipare all’indagine è necessario essere maggiorenni e dichiararlo.

I risultati verranno presentati e diffusi soltanto in forma aggregata, nel rispetto della normativa vigente sui dati personali. Verranno pubblicati sui siti web www.plus-aps.it e www.lelleri.it nel mese di giugno 2021.

Il link al questionario: www.bitly.com/plus-hiv-covid19

Co-infezione HIV/HCV: un target “difficile”

Uno dei gruppi all’interno del quale pare più difficile eliminare l’infezione da HCV è quello degli MSM che vivono con HIV. In altre parole, la co-infezione di HIV e HCV nei maschi gay, soprattutto nel sottogruppo che fa chemsex e pratiche sessuali – come fisting o condivisione di sex toys – considerate più a rischio per la trasmissione di HCV, è una condizione sulla quale bisogna lavorare.

Partiamo da un recente studio francese che ha esaminato i dati di oltre 50.000 persone con HIV (sia MSM, etero, consumatori di sostanze per via iniettiva, ecc.) seguendole negli anni tra il 2012 e il 2018: durante questo periodo, gli MSM sono diventati il gruppo in cui più frequentemente si registravano casi di epatite C con viremia di HCV rilevabile. Come noto, infatti, l’infezione da HCV può guarire spontaneamente in alcuni casi; quindi, ci possono essere persone che risultano positive agli anticorpi per HCV ma negative alla ricerca del virus. Queste persone, ovviamente, non trasmettono l’infezione perché non hanno più HCV nel loro corpo. Chi invece è viremico per HCV può trasmetterla. Nello studio francese la proporzione di persone HIV-positive con viremia rilevabile per HCV è diminuita dal 67,0% nel 2021 all’8,9% nel 2018. Un risultato raggiunto curando chi ha l’infezione e mettendo in campo adeguate strategie di prevenzione. Questo, ad esempio, è vero per le persone che hanno preso l’HIV attraverso l’uso di droghe per via iniettiva: le persone di questo gruppo (indicato con la sigla IVDU – intravenous drug users) rappresentavano il 55% dei pazienti viremici nel 2012 ma solo il 37% nel 2018. Una dimostrazione che gli interventi di riduzione del danno e la terapia di sostituzione per oppioidi, largamente disponibili in Francia, funzionano. Nello stesso periodo, però, i maschi che fanno sesso con maschi che, nel 2012, rappresentavano il 14,6% delle persone viremiche, sono passati a rappresentare nel 2018 il 37,9% di chi ha una infezione da HCV attiva. Forse, per questo gruppo, non sono state messe in campo adeguate strategie di prevenzione.

Trattare tutti, subito

Come si può ridurre il rischio di trasmissione di HCV tra gli MSM? Innanzitutto, trattando tutti i casi. Anche quelli acquisiti da poco che, nello studio francese, rappresentano il 59,2% degli MSM con viremia da HCV rilevabile nel 2018.

Fino a qualche tempo fa, infatti, si tendeva piuttosto ad aspettare a curare i casi di infezione acquisita da poco tempo per vedere se per caso il paziente guarisse spontaneamente. Ma questo approccio non teneva conto del rischio di ulteriore diffusione dell’infezione. In un contesto come quello dei maschi che fanno chemsex o che praticano il fisting o usano sex toys in sesso di gruppo – cioè quelli in cui diversi studi osservano una maggiore frequenza di casi di epatite C – se una persona è viremica per HCV è facile che lo trasmetta ad altri.

Lo dimostra, tra gli altri, uno studio spagnolo, anche questo recentissimo: analizzando i dati tra il 2016 e il 2019 di 350 pazienti che avevano acquisito l’infezione da HIV attraverso rapporti sessuali e che sono seguiti in quattro cliniche del sud della Spagna, i ricercatori hanno visto che i casi di infezione da HCV acquisita recentemente sono diminuiti tra il 2016 e il 2017 e si sono poi mantenuti stabili. Il gruppo in cui più frequentemente si registravano queste infezioni recenti da HCV era quello degli MSM che condividono droghe chimiche. Secondo i ricercatori, questi casi di infezione recente da HCV potrebbero alimentare l’epidemia da HCV e, di conseguenza, impedire l’eliminazione dell’HCV come programmato dall’Oms.

HCV: testare tutti, spesso

Come si può fermare questa tendenza? Una indicazione viene da uno studio condotto in Scozia che ha esaminato il ricorso al test, la diagnosi e il trattamento per HCV tra le persone con infezione da HIV incrociando i dati del sistema di sorveglianza nazionale e quelli di programmi sentinella fino alla fine del 2017: su 5018 persone con HIV, circa 797 (15%) non erano mai stati testate per l’HCV e 70 (9%) di questi avevano una infezione cronica da HCV non diagnosticata. Questa situazione si registrava più frequentemente in coloro che non erano in trattamento per l’HIV. I ricercatori concludono che l’eliminazione di HCV è fattibile, ma bisogna aumentare gli sforzi per individuare e trattare le persone con co-infezione HIV/HCV, soprattutto coloro che non sono in trattamento per l’HIV.

E tra chi non ha l’infezione da HIV? Un altro studio condotto in Inghilterra ha analizzato i dati clinici e i comportamenti a rischio per la trasmissione di HCV relativi a 40 MSM (HIV positivi o no) che hanno acquisito l’infezione da HCV tra gennaio e settembre 2017. Di questi, 16 erano MSM HIV-negativi e 24 HIV-positivi. Gli MSM HIV-negativi erano più giovani di quelli con HIV, e la maggior parte di loro (81,3%) aveva assunto la PrEP nell’anno precedente. Tra i comportamenti a rischio più frequentemente riportati, l’uso nell’ultimo anno di droghe iniettabili (riferito dal 45% del campione) o non iniettabili (85%). Inoltre, la maggior parte in entrambi i gruppi ha riferito di aver fatto sesso anale senza preservativo, fisting e sesso di gruppo. Dal momento che in pochi avevano dimostrato una consapevolezza rispetto alla prevenzione di HCV, i ricercatori concludono che occorre implementare su più larga scala strategie di riduzione del rischio per HCV – incluso il test HCV – anche tra gli MSM che fanno chemsex, fisting o sesso di gruppo e che non hanno l’HIV, specie tra chi usa la PrEP.

Conclusioni 

In conclusione, la diffusione di HCV si è ridotta sensibilmente ma per eliminarla totalmente bisogna intervenire in quei sottogruppi in cui ancora l’infezione circola. Si tratta, secondo i dati disponibili, soprattutto delle persone MSM, con HIV o in PrEP, che fanno sesso di gruppo, chemsex, fisting e scambio di sex toys. E chiariamo un punto: qualcuno potrebbe pensare che la prevenzione consista nello scoraggiare questi comportamenti sessuali. Non siamo d’accordo: noi riconosciamo a ciascuno il diritto a vivere la propria sessualità come crede. Suggerendo magari alcuni accorgimenti: fare frequentemente (almeno due volte all’anno) il test per HCV e iniziare immediatamente il trattamento in caso di risultato positivo sono misure che, pure in un contesto di comportamenti sessuali a rischio per la trasmissione di epatite C, limitano la diffusione dell’infezione. E consentono di godersi in maniera più piena la propria sessualità.

PLUS, Persone LGBT+ Sieropositive, aps cerca infermieri che vogliano contribuire all’attività di offerta di test per HIV, HCV e altre infezioni sessualmente trasmissibili agli utenti – in massima parte LGBT – del BLQ Checkpoint, il primo centro community based per i servizi di salute sessuale al di fuori dell’ambiente ospedaliero.

Al BLQ Checkpoint opera un gruppo di volontari, composto soprattutto da persone gay con HIV, per portare il tema della salute sessuale al di fuori dell’ambiente ospedaliero, più a contatto con la comunità LGBT con una particolare attenzione ai maschi gay e agli altri maschi che fanno sesso con maschi (MSM). L’azione di Plus è fortemente centrata sul supporto fra pari, ossia la comunità che offre servizi alla comunità stessa, nella logica di rivolgersi ai servizi ospedalieri quando serve. Cerchiamo di portare fuori dall’ospedale tutto quello che può essere gestito dalla community stessa.

Da qui nasce l’idea del BLQ Checkpoint, il primo centro community based condotto da operatori alla pari aperto in Italia nel 2015.

Le attività del BLQ Checkpoint prevedono l’esecuzione di test rapidi per HIV, HCV e altre infezioni sessualmente trasmissibili. I volontari di Plus si occupano dell’accoglienza e della gestione dell’utente durante il test.

Agli infermieri volontari si chiede di eseguire i test rapidi per HIV, HCV e le principali infezioni a trasmissione sessuale, nell’ambito del programma Sex Check.
Gli orari di apertura del centro sono i seguenti:

lunedì e mercoledì dalle 18 alle 21

Il centro si trova in via S. Carlo 42/C a Bologna.
È prevista una formazione con il duplice scopo sia di illustrare le modalità di esecuzione dei test, sia di condivisione dell’approccio alla base dell’attività di Plus e del BLQ Checkpoint.

È richiesta una copertura assicurativa con estensione relativa al contagio HIV/HCV.

Ti chiediamo di regalarci un poco del tuo tempo (basta anche un solo turno al mese!) per consentire il proseguimento della esperienza del BLQ Checkpoint, considerato in tutta Italia un modello di lotta all’HIV da prendere ad esempio. Siamo certi che si rivelerà essere anche per te una esperienza molto appagante.

Per ulteriori informazioni e appuntamento per colloquio, info@plus-aps.it. È gradito l’invio del curriculum vitae.

 

Si è concluso l’hackaton online di DEVS for HEALTH, il primo progetto italiano di Open Innovation dedicato al mondo dell’HIV, promosso e organizzato da Gilead Sciences con medici e pazienti. A primeggiare sono stati UNLOCK 4/90 fHIVe: due progetti che propongono soluzioni per migliorare la qualità di vita del paziente e contribuire all’emersione del sommerso. A sceglierle una Giuria multidisciplinare di esperti: medici, esperti di digital health rappresentanti di associazioni e delle istituzioni.

 

 

FHIVe è una app che mira a sensibilizzare l’utente, a informarlo sui rischi della mancata diagnosi e sui test. UNLOCK 4/90 è un servizio che garantisce il ritiro dei farmaci antiretrovirali in un posto sicuro, comodo e lontano da occhi indiscreti. Assegnata inoltre una menzione speciale a un terzo progetto, PGP Medical Card, il cartoncino che ti salva la vita. Si tratta di una tessera che contiene una sintesi delle informazioni sanitarie relative al suo proprietario, scritte in modo crittografato.

Ai membri dei team ideatori dei progetti vincitori sono stati assegnati 3.000 euro in buoni Amazon mentre ai vincitori della menzione speciale buoni per 1.000 euro.

DEVS FOR HEALTH è realizzata in collaborazione con alcuni partner leader nel settore delle tecnologie digitali e patrocinata dalla Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali (SIMIT) e da numerose Associazioni operanti nell’area dell’HIV/AIDS: ALA (Associazione Lotta all’AIDS), Anlaids Onlus (Associazione Nazionale per la Lotta contro l’AIDS), Anlaids Lombardia, Associazione NADIR Onlus, ARCIGAY MILANOMilano CheckpointCentro d’iniziativa Gay OnlusARCOBALENO AIDSASA (Associazione Solidarietà AIDS Onlus), Circolo di cultura Omosessuale Mario MieliOmphalos LGBT Life PerugiaLILA (Lega Italiana per la Lotta contro l’AIDS), NPS Italia Onlus (Network Persone Sieropositive), NPS Sezione LombardiaPLUS (Persone LGBT+ sieropositive). Ha inoltre il patrocinio del Comune di Milano.

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Un uomo di San Paolo che – almeno secondo i test effettuati finora – non mostra alcun segno di HIV dopo più di 15 mesi dall’interruzione della terapia antiretrovirale potrebbe rappresentare il primo caso di una cura funzionale senza i rischi legati al trapianto di cellule staminali, secondo un rapporto presentato oggi (ieri 7 luglio, ndt) alla 23a Conferenza internazionale sull’AIDS (AIDS 2020: virtual).

Il  ricercatore capo Dr Ricardo Diaz. Università Federale di San Paolo / www.unifesp.br

All’interno di uno studio clinico, l’uomo di 35 anni ha aggiunto al suo regime standard di tre farmaci altri due antiretrovirali, l’inibitore dell’integrasi dolutegravir (Tivicay) e l’inibitore dell’entrata Maraviroc (Celsentri). Inoltre, ha ricevuto nicotinamide, una forma solubile in acqua di niacina o vitamina B3.

Nel marzo 2019 ha interrotto il trattamento sotto stretto monitoraggio medico. Più di 15 mesi dopo, continua ad avere l’RNA dell’HIV non rilevabile (la forma di materiale genetico virale misurata in un tipico test di carica virale) così come il DNA dell’HIV (la forma che in gran parte costituisce il serbatoio virale).

Tuttavia, gli esperti mettono in guardia dal trarre conclusioni affrettate da questo caso, dal momento che ha coinvolto solo un singolo individuo e non sono ancora stati condotti test approfonditi per le tracce dell’HIV in vari siti del corpo umano.

“Il fatto che si tratti di un singolo caso suggerisce che questo potrebbe non essere reale”, ha dichiarato ad aidsmap il dott. Steven Deeks dell’Università della California a San Francisco. “Sappiamo che alcune persone possono ottenere quella che sembra essere la remissione con i soli farmaci antiretrovirali. Questa potrebbe essere semplicemente una persona che ha avuto fortuna con gli antiretrovirali.”

Finora, due persone sembrano essere state curate dall’HIV. Timothy Ray Brown, precedentemente noto come Berlin Patient, non ha tracce di HIV competente per la replicazione in nessuna parte del suo corpo da più di 13 anni. Il secondo uomo, soprannominato London Patient, non ha ancora alcun virus rilevabile mentre si avvicina a tre anni senza terapia antiretrovirale (ART).

Entrambi gli uomini hanno ricevuto trapianti di midollo osseo per il trattamento della leucemia o del linfoma usando cellule staminali da un donatore con una rara mutazione genetica nota come CCR5-delta-32, che si traduce nella perdita di co-recettori CCR5 sulle cellule T, il gateway che la maggior parte dei tipi di HIV usa per infettare le cellule. Prima dei trapianti, hanno ricevuto la chemioterapia per uccidere le loro cellule immunitarie cancerose, essenzialmente permettendo alle cellule staminali del donatore di ricostruire un nuovo sistema immunitario resistente all’HIV.

Ma questa procedura è troppo pericolosa per le persone la cui vita non è già minacciata dal cancro avanzato. Inoltre, richiede un intenso intervento medico, è estremamente costoso e probabilmente non potrebbe essere sufficientemente reso disponibile a una scala tale da raggiungere milioni di persone che vivono con l’HIV in tutto il mondo.

Ciò ha portato i ricercatori a chiedersi se una giusta combinazione di farmaci potesse offrire un percorso più sicuro e meno costoso per la remissione a lungo termine o, in definitiva, una cura.

Il dott. Ricardo Diaz dell’Università di San Paolo in Brasile, il dott. Andrea Savarino dell’Istituto superiore di sanità di Roma e il loro team hanno condotto uno studio clinico noto come SPARC-7 per valutare molteplici interventi volti a ridurre le dimensioni del serbatoio dell’HIV.

Questo serbatoio è composto da HIV latente integrato in cellule ospiti inattive, principalmente cellule T. Gli antiretrovirali non possono raggiungere questo virus nascosto, ma se il trattamento si interrompe e le cellule si riattivano, possono ricominciare a produrre nuove copie del virus.

Lo studio ha arruolato adulti sieropositivi che erano al primo regime antiretrovirale, avevano soppressione virale da più di due anni e non avevano mai avuto una conta di CD4 inferiore a 350 cellule/mm3 .

Cinque dei partecipanti hanno aggiunto al loro regime antiretrovirale a tre farmaci dolutegravir, maraviroc e 500 mg due volte al giorno di nicotinamide per 48 settimane. Sono poi tornati alla ART standard e infine hanno subito un’interruzione del trattamento monitorata, in cui la carica virale e altri parametri sono attentamente controllati.

L’intervista in inglese di aidsmap a Andrea Savarino, ISS.

Come ha spiegato Savarino in un’intervista con aidsmap prima della conferenza (guarda l’intervista in inglese qui sopra), la nicotinamide è stata scelta perché sembra combattere l’HIV con molteplici meccanismi. Disponibile come un economico integratore orale, la nicotinamide viene studiata come trattamento per il cancro a causa delle sue proprietà di potenziamento del sistema immunitario. Aiuta a prevenire la morte (apoptosi) delle cellule T esauste inibendo l’attività degli enzimi chiamati PARP che riparano il DNA rotto. Può anche agire come un inibitore dell’istone deacetylase (HDAC) che mantiene le cellule T fuori da uno stato latente. Anche Maraviroc può agire come agente di inversione della latenza oltre al suo effetto più noto di bloccare l’ingresso dell’HIV nelle cellule.

Il brasiliano che rimane in remissione è stato diagnosticato con HIV nell’ottobre 2012, quando aveva il numero di cellule CD4 più basso di sempre (372 cellule/mm3) e una carica virale (oltre 20.000 copie/ml) caratteristica dell’infezione cronica. Due mesi dopo, ha iniziato il trattamento con efavirenz (Sustiva), zidovudina (AZT) e lamivudina (3TC), sostituendo la zidovudina con tenofovir disoproxil fumarato (TDF) nel 2014.

L’uomo si è arruolato nella sperimentazione clinica nel settembre 2015 e ha iniziato il regime di ART intensificato più nicotinamide. Tra i 30 partecipanti che hanno ricevuto vari regimi sperimentali nello studio, è stato l’unico a sperimentare blip virali di basso livello durante il suo trattamento sperimentale (alle settimane 16 e 24), ma in seguito la sua carica virale è rimasta non rilevabile.

Dopo aver completato 48 settimane con questa combinazione, è tornato al precedente regime a tre farmaci, sostituendo in seguito efavirenz con nevirapina (Viramune) e infine dolutegravir. Per tutto il tempo ha mantenuto la soppressione virale.

Nel marzo 2019, ha iniziato un’interruzione del trattamento monitorata, interrompendo la sua terapia antiretrovirale sotto controllo medico. Oggi, la sua carica virale rimane non rilevabile secondo gli esami del sangue dell’HIV RNA eseguiti ogni tre settimane. Il suo ultimo test è stato il 22 giugno 2020, il che significa che ha mantenuto la soppressione virale per oltre 65 settimane dalla interruzione degli antiretrovirali.

La conta di cellule CD4 dell’uomo è stata generalmente stabile durante il regime sperimentale intensificato, si è alzata dopo essere tornato alla terapia standard a tre farmaci e poi si è abbassata dopo aver iniziato l’interruzione del trattamento.

Vari marcatori di attivazione delle cellule CD8 – il tipo di cellule T che combattono l’HIV – sono diminuiti dopo aver iniziato il regime intensificato e sono rimasti al di sotto del livello di base.

Osservare altri parametri può aiutare a capire se l’HIV rimanga presente ma sotto controllo o sia stato veramente eliminato.

Il livello di DNA dell’HIV nelle cellule immunitarie del sangue periferico è aumentato dopo aver iniziato il regime sperimentale – suggerendo che il trattamento potrebbe aver riattivato le cellule del serbatoio latente – ma poi è sceso a un livello non rilevabile dopo aver ripreso l’ART standard. È rimasto non rilevabile durante l’interruzione del trattamento.

Il DNA dell’HIV nei campioni di biopsia intestinale dell’uomo è diminuito mentre era in regime intensificato. Saranno necessarie ulteriori analisi dell’HIV nel tessuto intestinale, nei linfonodi e in altri siti – come ha subito Timothy Brown – per dimostrare se l’uomo è effettivamente guarito funzionalmente. Tuttavia, Savarino ha detto a aidsmap che questi test più invasivi sono stati sospesi a causa delle restrizioni dovute a COVID-19 sui servizi sanitari in Brasile.

La presenza di anticorpi anti-HIV indica che, anche durante il trattamento, rimane abbastanza virus da stimolare la produzione di anticorpi in corso. In questo caso, il livello di anticorpi dell’uomo è diminuito costantemente mentre era in regime sperimentale e ha continuato a diminuire dopo aver ripreso la terapia con tre farmaci. Durante l’interruzione del trattamento, ha mantenuto un livello di anticorpi molto basso – così basso da rendere negativo un test anticorpale rapido.

È importante sottolineare che, come ha detto Savarino a aidsmap, altri quattro individui trattati con lo stesso regime intensificato non hanno mantenuto la soppressione virale.

Parlando a un briefing mediatico, il copresidente della conferenza, il dott. Anton Pozniak del Chelsea e del Westminster Hospital, ha ricordato che abbiamo già sentito parlare di molte altre potenziali cure per l’HIV – inclusa la famosa bambina del Mississippi, che ha mantenuto la soppressione virale dagli antiretrovirali per più di due anni prima che il suo virus si rialzasse – ma finora alla fine quasi tutti questi casi sono stati delle delusioni.

Deeks ha sollecitato cautela nel “sovrainterpretare” i risultati di questo caso, e che esso non suggerisce alcun intervento che le persone affette da HIV dovrebbero intraprendere da sole in questo momento. In particolare, le persone non dovrebbero iniziare a prendere nicotinamide o niacina, che possono causare un effetto collaterale di rossore a dosi elevate.

“Vorrei certamente incoraggiare le persone a non precipitarsi su questo trattamento. Questo caso potrebbe non essere reale e il trattamento potrebbe effettivamente causare danni”, ha detto. “Non incoraggerei nessuno a correre al negozio di alimenti naturali locale per ottenere questo farmaco o, peggio, a smettere di assumere antiretrovirali.”

Articolo originale di Liz Highleyman su aidsmap, tradotto da Giulio Maria Corbelli per Plus

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