Verso la fine del 2005, assistetti a una riunione convocata dal Centro Operativo Aids, durante la quale la dott.ssa Suligoi illustrò la situazione relativa ai casi di HIV, di Aids e le prospettive future. In quegli anni in Italia la maggior parte dei casi di HIV erano appannaggio dei “tossicodipendenti”, come venivano definiti allora, per via dell’uso di scambiarsi la medesima siringa.
Tuttavia la dott.ssa Suligoi intuì che le cose iniziavano a cambiare e ci fece notare un incremento dei casi fra gli “omo-bisessuali”, altro termine coevo.
Ricordo che alzai la mano e chiesi qualche informazione in più. Mi venne risposto di non preoccuparmi perché eravamo nella media europea in quanto ad incremento di casi fra gli omo-bisessuali.
L’informazione non mi lasciò particolarmente sereno, infatti decisi di controllare i dati ufficiali dell’Unione Europea e scoprii che l’Italia era esattamente a metà della media europea: 12 Paesi meno bravi di noi e 12 più bravi.
Incominciai quindi a cercare di capire cosa facessero quelli più bravi di noi, mi interessò soprattutto notare che non c’erano solo i “soliti” Paesi del Nord Europa, ma c’erano anche Paesi dell’area mediterranea fra i più bravi.
Pochi mesi dopo, durante una conferenza di ILGA Europe, assistetti a una presentazione di Ferran Pujol sul Checkpoint di Barcellona aperto appena un anno prima. Il metodo checkpoint anche se nato in Olanda, poteva essere applicato anche in un Paese a noi vicino come la Catalogna.
Inizia così la storia del BLQ Checkpoint, quando chi scrive era ancora responsabile salute del Cassero.
Ci sono voluti sette anni di advocacy per arrivare a convincere la Regione, ma anche l’associazionismo locale, che il checkpoint come modello d’intervento era assolutamente necessario in una città e una regione che da sempre ha un problema importante con le diagnosi tardive di HIV.
Nel 2013 la Regione Emilia-Romagna fa un atto di importante riconoscimento politico: con il DGR 768/2013 con il quale riconosce il lavoro di Plus che viene definito soggetto attuatore del progetto di interesse regionale BLQ Checkpoint. Un atto pubblico coraggioso, che nessun’altra Regione ha avuto il fegato di fare, a dimostrazione che il lavoro di tessitura politica e anche tecnica alla fine paga. I tempi lunghi si spiegano con la difficoltà, in parte insita nella Pubblica Amministrazione, ad accettare i progetti innovativi soprattutto se difficilmente inquadrabili nelle regole e nelle procedure in essere. In effetti un checkpoint non si inquadra in nessuna di esse perché non è un ambulatorio ma esegue test di screening, non è un centro associativo ma svolge attività per la community. In effetti svicoliamo, probabilmente la Regione dovrebbe oggi pensare a un altro gesto coraggioso realizzando delle regole per i Checkpoint, condivise e trasparenti. Ma questo si vedrà.
Il Comune di Bologna si dimostra subito collaborativo e mette a disposizione una dirigente per strutturare una convenzione, che diventerà a tre con l’aggiunta di Azienda Sanitaria di Bologna. Sarà un processo abbastanza faticoso appunto per gli aspetti innovativi di un centro che mal si adatta alle regole esistenti. Ma alla fine ce la facciamo e viene firmata una convenzione trina: Plus, Comune di Bologna e Azienda Sanitaria.
Il Comune ci trova una sede, i locali che occupiamo attualmente, non propriamente una sede meravigliosa perché si trattava di un ex ristorante chiuso da sette anni, pertanto completamente fuori norma e da ristrutturare. Cosa a cui ha dovuto pensare Plus. Posso dire con orgoglio che siamo riusciti a trovare oltre 300.000€ con i quali abbiamo ristrutturato e allestito una sede che, anche grazie al progetto di ben due architetti (Andrea Adriatico e Nino Tammaro), è oggettivamente un bel posto, molto lontano dalla tipica struttura ambulatoriale alienante. Un luogo in sé accogliente, fermo restando che l’accoglienza vera e propria la fa il personale volontario dedicato a questo scopo che non sbaglia un colpo, agisce sempre in modo molto professionale. Visto l’ammontare speso, concordiamo con il Comune una convenzione di 15 anni che non prevede il pagamento di un affitto.
Il terzo ente firmatario è l’Azienda Sanitaria di Bologna. Grazie all’insostituibile lavoro della dott.ssa Venturi, responsabile del Centro C.A.S.A., forse l’unica responsabile genuinamente interessata al progetto, otteniamo una convenzione della durata di quattro anni, credo che sia il massimo per USL. In questa fase iniziale l’Azienda si impegna a fornire gli infermieri per l’esecuzione dei test (anzi, del test perché all’epoca abbiamo iniziato con il solo test di screening per HIV), ad occuparsi dell’acquisto del test, della gestione del materiale di consumo e dello smaltimento dei rifiuti speciali. Inoltre USL si sarebbe occupata, in collaborazione con Plus, della formazione del personale volontario dell’associazione. La disponibilità del personale infermieristico viene fissata in sei ore alla settimana, per cui decidemmo di aprire martedì e giovedì dalle 18 alle 21. Dopo otto anni siamo ancora fermi a questa fase di start-up.
Dopo poche settimane dall’apertura, l’Ospedale S. Raffaele di Milano ci coinvolge in uno studio sull’esecuzione di test di screening a risposta rapida su HCV (epatite C).
Di li a poco verranno aggiunti anche i test per sifilide.
Alla scadenza della convenzione lato USL, dopo vari solleciti per un incontro teso a rinnovo ovviamente, per tutta risposta ci arriva una mail con la convenzione già rinnovata, in peior, e già firmata dalla dott.ssa Gibertoni allora direttrice generale dell’Azienda Sanitaria di Bologna. La convenzione passa da 4 anni a uno, si mette così una pietra tombale sulle reali possibilità di sviluppo del BLQ Checkpoint… come se questo non fosse sufficiente, quest’anno (2023) il rinnovo annuale della convenzione ha subito un ritardo di ben sei mesi. Per cui siamo nelle condizioni di ipotizzare programmi di sviluppo senza la collaborazione di USL, che manco risponde alle mail e si fa negare al telefono, della durata massima di 12 mesi, quest’anno ridotti a sei.
Poi si chiedono perché chiudere.
Per riprendere l’esempio del Checkpoint di Barcellona, i cui abitanti sono più o meno come quelli della nostra regione, quel centro è aperto 12 ore al giorno, il personale interno riceve uno stipendio, hanno comunque decine di giovani volontari che promuovono il servizio nelle discoteche, ai Pride e così via. Il centro distribuisce la PrEP gratuitamente mentre noi dovremo impazzire. Un centro che ha aperto 17 anni fa in puro volontariato, che oggi offre un’opportunità di lavoro e segue oltre 2.000 persone. Questo significa sviluppo.
A Bologna invece da alcuni anni ci dobbiamo pagare i test per sifilide per motivi burocratici ma mai confermati ufficialmente, non abbiamo contezza di chi sia il nostro medico di riferimento perché dal giorno in cui la dott.ssa Venturi è andata in pensione semplicemente questo passaggio è saltato, siamo stati spostati dal Dipartimento cure primarie a quello di salute mentale senza alcuna spiegazione. Chissà, forse qualcuno ha ipotizzato che i gay possano avere problemi in tal senso. A ben vedere siamo riusciti ad andare avanti in questi ultimi 4 anni solo grazie all’appoggio della Responsabile infermieristica che ci segue, anche meglio di un medico, dott.ssa Assueri.
Va da sé che Plus non ha alcun preconcetto ideologico, pertanto a fronte di un impegno serio della Pubblica Amministrazione e dell’Azienda Sanitaria nello specifico, un impegno che vada nella direzione logica che ha portato il Sindaco Lepore a firmare il protocollo Fast Track City e che, quindi, metta il BLQ Checkpoint nelle condizioni di uscire dalla fase di start-up e dare un serio contributo al raggiungimento degli obiettivi di UNAids prima del 2030, non abbiamo nessun problema a fare marcia indietro.
Ma al momento resta in essere la decisione di chiudere il BLQ Checkpoint a partire dal 1 luglio 2023. Di seguito il comunicato stampa.
Sandro Mattioli
Plus aps
Presidente.