
Chi ha letto i miei report degli anni precedenti, oltre a guadagnare punti per il paradiso, saprà che tendo a dare la precedenza alle plenarie perché normalmente gli interventi effettuati davanti a oltre 3.000 persone sono i più importanti.
I temi trattati nella prima plenaria, spesso danno l’idea dell’orientamento che avrà la conferenza o di ciò che “bolle in pentola” e, con gli interventi del Governo federale, bollono parecchie cose.
È interessante notare che la prima lettura è stata HIV Cure: A Translational Research Perspective, Ole S. Søgaard, Aarhus University, Aarhus, Denmark. Ma guarda un po’: il primo tema della prima plenaria è proprio la cura, ossia a che punto siamo con il trattamento per guarire da HIV.
La ricerca traslazionale, per dirla in parole povere, cerca di realizzare nuovi strumenti clinici a partire dalle scoperte scientifiche degli studi.
La foto del soffitto del ponte coperto che collega le due aree del centro congressi Moscone, (dedicato al Sindaco di S. Francisco assassinato insieme a Harvey Milk nel 1978) rende l’idea: per eliminare HIV, è necessario trovare l’unica lucina fasulla, ma in apparenza uguale alle altre, fra tutte quelle lucine. Togliere HIV dal nostro corpo è cosa estremamente complessa e il dott. Søgaard ce lo ha fatto capire molto chiaramente.
La HSCT, ossia il trapianto di cellule staminali ematopoietiche (Hematopoietic stem cell transplantation), può curare ma non è sicura, volendo usare un garbato eufemismo stante che circa il 20% dei trapiantati muore. Tuttavia è una prova che HIV può essere curato.
Il problema principale nella lotta contro HIV è che il virus si integra nel DNA umano e lo si trova ovunque nel corpo. Ora… ovviamente comprendo che si tratta di un tema estremamente complicato, che abbiamo strumenti limitati, che queste ricerche costano moltissimo, lo comprendo. Ma quello che a mio avviso è importante è tenere un faro puntato su questo tema. Quando mi chiedono quali sono i bisogni insoddisfatti delle persone con HIV, la prima cosa che penso è che non siamo ancora guariti.

Tutti i pazienti tendono a voler guarire, perfino chi ha un cancro in fase terminale cerca una via per farcela. Chissà perché a noi questo obiettivo pare che non sia concesso, invece è un obiettivo politico da tenere sempre, costantemente sullo sfondo. Io sono un attivista, un politico, non un ricercatore e penso che in questa vicenda ognuno deve fare il suo mestiere. Il mio è quello di spingere perché i ricercatori trovino una soluzione, la ricerca la deve trovare.
Il dott. Søgaard è un ricercatore con il giusto atteggiamento e parte in quarta a descrivere le strategie perseguibili per eliminare HIV: 1) prendere di mira il provirus, 2) migliorare la risposta immunitaria. Sulla carta ci sono vari modi per raggiungere questi obiettivi ma sono tutti ancora in fase di studio, alcuni anche da molto tempo come la strategia “shock and kill”, fin’ora con scarsi risultati: si è visto che le LRA (Latency-reversing agents) possono incrementare HIV nelle cellule e nel plasma, ma non hanno alcun impatto nei reservoir. Ci sono poi le modifiche genetiche, la sfida dei vaccini terapeutici, gli inibitori del checkpoint a sua volta una forma di immunoterapia o gli anticorpi neutralizzanti.
Ci ha anche dato un’idea della cosiddetta cura funzionale, ossia la soppressione immuno-mediata della replicazione virale, ma anche su questo si parla di attendere anni.
Secondo il relatore, la ricerca si dovrebbe orientare verso:
- Riduzione dei reservoir
- abbiamo bisogno di strategie più specifiche e potenti per ridurre i reservoir (in modo sicuro)
- indurre il controllo virale
- acquisire una migliore comprensione di come e quando colpire la persistenza dell’HIVcostruire sulla base dei segnali positivi che arrivano dagli studi attualmente in corsoesplorare interventi combinati volti a migliorare l’immunità adattativa specifica
- sviluppare strategie per superare la disfunzione immunitaria in coloro che hanno iniziato tardi la terapia antiretrovirale
- mantenere il controllo virologico
- esplorare approcci e modalità per mantenere alti livelli di aNAb (anticorpi neutralizzanti) e cellule T specifiche per l’HIV
Nella presentazione successiva, Chris Beyrer, del Duke Global Health Institute, Durham, NC, USA, ci ha relazionato sul tema The global HIV/AIDS pandemic: where are we now?

In sé un titolo tipico del riempitivo, non molto allettante, invece è stato vero il contrario. Il relatore ha esordito dicendo che l’accesso al trattamento ARV deve continuare… perché già alle attuali condizioni il 23% delle persone con HIV non è in terapia, nel mondo, e infatti il numero di morti per AIDS non sta calando con la rapidità attesa e le stime UNaids sul numero di nuove diagnosi è di 1 milione 300 mila persone nel 2023, un numero sottostimato a partire dal fatto che i dati ufficiali della Russia sono troppo bassi, almeno il 50% dei casi non vengono dichiarati.
In altre parole:
- non abbiamo raggiunto gli obiettivi di UNAIDS 2025, tenendo presente che incidenza e mortalità per HIV sono in calo, ma troppo lentamente
- l’incidenza in particolare è ancora troppo alta per poter raggiungere il controllo dell’epidemia per il 2025
- in 3 Regioni (Europa e Asia Centrale, America Latina, Medio Oriente e Nord Africa nel 2025 sono in espansione epidemiologica
Anche nei Paesi dove le cose non vanno male, alcune fasce di popolazione continuano ad avere una incidenza ostinatamente alta (per esempio gli MSM afro-americani in USA).
Il relatore propone alcuni messaggi chiave:
- Per ottenere il controllo dell’epidemia serve implementare in modo significativo i programmi di prevenzione primaria
- Purtroppo, a parte la prevenzione materno-fetale, i programmi di prevenzione finanziato con la PEPFAR sono in pausa
- L’aderenza alla prevenzione primaria, compresi gli iniettabili a lunga azione, potrebbe ridurre notevolmente l’incidenza dell’HIV, ma solo se applicata su larga scala sia alla popolazione ad alta densità di incidenza (MSM, Sex Worker, TGW, ragazze adolescenti (AGYW) in contesti ad alto carico) sia a quella a bassa incidenza.
- Per raggiungere il controllo epidemico occorre che oltre 40 milioni di persone sia messo in PrEP.
In questo quadro i cambiamenti apportati dal governo federale USA alle politiche sanitarie stanno creando un vero caos.
Per rendere l’idea,
prima della PEPFAR | Con PEPFAR |
nei paesi africani ad alto tasso di HIV | Dopo oltre 20 anni e 110 miliardi di dollari investiti |
l’aspettativa di vita media stava diminuendo di 10-30 anni | 25 milioni di vite salvate – hanno aiutato a colmare il divario di aspettativa di vita nei Paesi supportati |
Il prodotto interno lordo in calo del 2,6% all’anno | 20,5 milioni di persone in ART |
29 milioni di persone contagiate e senza accesso ai farmaci | 5,5 milioni di bambini nati senza HIV |
Prodotto interno lordo pro capite in crescita del 2,1% |

L’impatto atteso della PEPFAR nel periodo 2024-2030 era già stato calcolato e prevedeva, per esempio, 5,2 milioni di morti in meno nei 12 Paesi supportati, ma senza PEPFAR si prevede:
- un aumento del 400% di morti per patologie AIDS correlate
- raddoppio degli orfani a causa dell’AIDS dal 2023
- la PrEP verrà offerta solo alle donne incinte o in allattamento
Le popolazioni chiave vengono rimosse dagli indicatori, dai report di monitoraggio, dalle linee guida, dal flusso di immissione dati e dai modelli.
Fra le sex worker si prevede un incremento del 30% di nuove infezioni, il 20% fra MSM e donne trans, il 15% fra drug user.
Sandro Mattioli
Plus aps