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La plenaria della terza giornata della conferenza, si apre con una relazione sulle comorbidità correlate a HIV… ma allora non esiste solo l’aids e le aids correlate!

La dott.ssa Susanne Dam Nielsen dell’ospedale universitario di Copenaghen Rigshospitalet, parte in quarta dichiarando le determinanti sociali che correlano direttamente con l’aspettativa di vita delle persone HIV+
:…. Vi lascio il tempo di andare a prendere talismani vari e fare gesti apotropaici… fatto?

  • il genere
  • l’etnia
  • la situazione sociale ed economica
  • il fumo, l’alcool, l’uso di sostanze illecite
  • la salute mentale

Posto che all’età di 40 anni la popolazione generale vanta un’aspettativa di vita di 40,7 anni ulteriori e che noi MSM e gli etero siamo subito sotto ma di poco (ma comunque sotto), vediamo quali sono gli eventi che abbassano l’aspettativa di vita.

Al primo posto le patologie cardiovascolari (CVD). Rispetto alla popolazione generale, le persone con HIV hanno il doppio del rischio di ischemia CVD (Infarto del miocardio e stroke inclusi), che sale a tre volte in caso di ostruzione di arterie. Le CVD causate da HIV sono triplicate negli ultimi 20 anni. Bene l’infarto del miocardio colpisce di più le donne con HIV.
Ma non è tutto: l’arresto cardiaco, più comune nei giovani con HIV; la SCD (sudden cardiac death) è una delle maggiori cause di morte nella popolazione con HIV: 1/3 dovuta a uso di sostanze.

E poi c’è il fumo che è decisamente prevalente nelle persone con HIV che nella popolazione generale.

Il fumo sembra far gruppo insieme ad altre determinanti sociali della salute come l’alcool, assumere sostanze per via iniettiva (IDU), salute mentale, fattori socio-economici ossia avere i soldi per occuparsi di tutte quelle cose.

La ricercatrice chiude scrivendo in grassetto che il fumo è la barriera che impedisce alle persone con HIV di raggiungere la stessa aspettativa di vita della popolazione generale e che se tutti i sieropositivi smettessero di fumare, ci potrebbe essere il 42% di infarti in meno.

Ma il peggio arriva per chi usa sostanze per via iniettiva (IDU) perché è alto il rischio di una aderenza e, quindi, di una soppressione virale subottimale. Gli IDU con HIV hanno un’aspettativa di vita molto più bassa della popolazione generale e delle altre persone con HIV.

Quindi, in conclusione:

  • le persone con HIV hanno un’aspettativa di vita minore che compensiamo con un maggiore rischio cardiovascolare (CVD). Aggiungere il CVD nei controlli periodici che fanno persone con HIV potrebbe essere vitale;
  • la presenza di replicazione virale e un basso nr di CD4, sono un elemento di rischio cardiovascolare;

Bene ora passiamo ai polmoni delle persone con HIV. La broncopneumopatia cronica ostruttiva (COPD) è un’affezione respiratoria con colpisce il 30% delle persone con HIV, un rischio più alto di quello della popolazione generale e, anche su questa co-patologia, fumare peggiora la situazione unitamente all’avanzare dell’età. Di nuovo la replicazione virale, un basso nr di CD4 ma anche una pregressa TB o pneumocisti incrementano il rischio. La funzionalità polmonare in genere peggiora con l’avanzare dell’età, ma con l’HIV peggiora più rapidamente di circa 8-10 mL/anno… peggio per chi fuma… peggio se sei afro-americano… peggio se vivi in Africa. Come sempre devi avere il culo di nascere nel “Paese giusto” e non solo. Quindi in conclusione: HIV è in sé un fattore di rischio per la COPD.

In una successiva sessione è stato affrontato il tema dei long acting, ossia dei farmaci a lunga durata contro HIV. Parliamo soprattutto di cabotegravir+ rilpivirina long acting (CAB+RPV LA) la cui efficacia è stata dimostrata ormai da diversi studi. In alcuni studi è emerso un rischio parziale di fallimento terapeutico e di insorgenza di resistenze. Parliamo di pochissimi casi che, tuttavia, vanno monitorati. Sono stati mostrati studi che hanno dimostrato la soddisfazione dei pazienti che hanno preso in considerazione il minor uso di pillole, l’ansia per l’aderenza alla terapia, la paura di essere visti durante l’assunzione quotidiana delle pillole o anche la scatola delle pillole in casa, nonché il fatto che l’assunzione giornaliera delle pillole comporta un continuo ricordarsi di avere HIV; sono uscite le linee guida sia di EACS che di IAS per questi farmaci che, sul piano clinico, possono essere proposti ad adulti in soppressione virologica, senza pregressi fallimenti virologici con gli inibitori della trascrittasi inversa e dell’integrasi, ecc. in molti centri clinici italiani devi essere puntualissimo agli appuntamenti e non ti devi azzardare a chiedere di spostarli perché sudano ad affrontare questo genere di problemi logistici ed è più comodo tornare alle pillole al primo accenno di problema… In tutte le conferenze, e anche EACS non fa differenza, i ricercatori insistono nel dire che i farmaci LA sono perfetti per chi ha problemi di aderenza ma, evidentemente, costoro non hanno tenuto conto di altri fattori.

Oltre alla terapia anti retrovirale long acting, ci sarebbe anche la raccomandazione di OMS per l’uso di CAB come prevenzione da HIV e come parte di un programma completo di prevenzione. Infatti, anche se l’attuale PrEP con Tenofovir/Emtricitabina è utilizzabile da tutti, non ha dimostrato la stessa efficacia per tutti per esempio nelle donne.

La PrEP con CAB LA potrebbe andare a coprire altri gruppi sociali vulnerabili. Potrebbe essere una sfida interessante alla quale i Checkpoint italiani potrebbero dare un contributo ora che ci siamo un po’ sviluppati e che sono presenti anche in altre aree del Paese non solo a Bologna e a Milano. EMA ne ha approvato la commercializzazione un mese fa, ma la Francia è già partita con uno studio locale. Non capirò mai perché l’Italia arriva sempre tardi agli appuntamenti con la prevenzione.

Suggerisco di riprendere in mano il cornino rosso perché stanno per riprendere le sfighe.

Una sessione interessante ci ha aggiornato sul tema delle infezioni sessualmente trasmissibili (IST). Parte con la prospettiva globale che vede 128 milioni di casi di clamidia, 82 di gonorrea, 7 di sifilide, sono dati del 2020. Si aggiungano stigma, impotenza, problemi di gravidanza, cancro, la diffusione delle resistenze ai farmaci, il rischio di HIV. L’Europa del resto, con i suoi 12 milioni di casi di clamidia non si fa ridere dietro. La ricercatrice ha insistito molto sulla mancanza di un modello statistico comune europeo, ma anche sul fatto che per HPV, le epatiti A e B la copertura vaccinale in Europa è del tutto insufficiente.

Chiudo rapidamente con alcuni dati relativi alla sessione sull’invecchiamento delle persone con HIV e dei problemi anticipati che questo comporta.
La prevalenza di fragilità cognitiva nelle persone con HIV di più di 50 anni è più alta di quella della popolazione generale di età maggiore di 65 anni.
Il numero di anni vissuti con HIV è associato a una maggiore fragilità cognitiva, il che porta a pensare che HIV in sé sia un fattore di rischio per lo sviluppo di queste condizioni, con ogni probabilità a causa dell’infiammazione provocata dalla presenza di HIV nel corpo.

Anche nella conferenza EACS, come in tutte le principali conferenze, questi temi vengo affrontati con sempre maggior frequenza. Mi chiedo quando accadrà anche nei reparti di malattie infettive.

Sandro Mattioli
Plus aps