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Anche alla conferenza di Glasgow è stato affrontato il tema dei farmaci iniettivi o non iniettivi a lunga durata. Sono stati presentati alcuni aggiornamenti per il trattamento in persone con viremia soppressa. In effetti ormai diversi studi a livello globale hanno dimostrato che per alcune persone assumere la terapia ogni giorno è un problema. Lo studio “Positive perspective 2” è stato uno dei più grandi studi a livello mondiale su HIV, che ha coinvolto oltre 2.300 persone con HIV maggiorenni, da 25 Paesi. Dallo studio è emerso che il 58% del campione maschera o nasconde l’assunzione della terapia per evitare di rivelare lo stato sierologico; il 58% ritiene che prendere le pillole ogni giorno sia un promemoria del proprio stato sierologico, il 33% si sente stressato o ansioso perché si deve ricordare di prendere le pillole.

Lo so, per qualcuna delle persone veterane della lotta contro HIV potrebbero sembrare sciocchezze, ma non lo sono. Anche chi vi scrive ha provato i long acting iniettivi proprio sulla scorta del pensiero che prendere la pillola tutti i giorni mi ricorda l’HIV. Non sarà una cosa vitale, ma se ci fosse la possibilità di ovviare al problema, perché no?
Poi sono tornato alla terapia orale a causa di un effetto collaterale per me fastidioso, anche se non importante.

Anche io, come la relatrice, penso che cabotegravir+rilpivirina possa aiutare, e lo pensano anche le principali linee guida internazionali che fra il 2020 (IAS) e il 2022 (DHHS) hanno definito i passaggi a questo regime che, come sicuramente ormai saprete, prevede 2 iniezioni ogni 2 mesi ossia 12 iniezioni intramuscolo all’anno (e non 6 come ha scritto la relatrice). Zeri i dubbi sull’efficacia del trattamento, tutti gli studi (Atlas, Carisel, Solar, Cares) hanno avuto risultati simili con efficacia tendenzialmente sopra il 90% con punte del 96% (Cares) e fallimenti virologi molto bassi, tendenzialmente sotto l’1%. Lo studio Cares ha attirato la mia attenzione perché ha arruolato per il 58% donne, si è tenuto in Uganda e Sud Africa, quindi in una situazione di endemia. Ovviamente il 99% erano donne nere, con una media di 8 anni di terapia e tutto con viremia <50. Come d’uso lo studio prevedeva un braccio con ART orale (257) e uno con long acting (255).

Nel braccio con LA solo 2 persone su 255 (0,8%) hanno avuto un fallimento virologico per cui un’alta efficacia e, dai PROs somministrati è emersa una elevata soddisfazione delle pazienti.

È stato presentato anche un piccolo ma interessante studio che ha arruolato 140 adolescenti fra i 12 e i 18 anni, con un peso di almeno 35 Kg, non c’è stato nessun fallimento virologico, la concentrazione del farmaco è risultata simile a quella degli adulti e tutti i 140 arruolati hanno espresso netta preferenza per gli iniettivi LA, rispetto all’assunzione quotidiana.

Inoltre, è stata presentata un’analisi multivariata che ha individuato dei fattori di rischio al basale in grado di predire un fallimento virologico come, per esempio, un alto BMI (indice di massa corporea).
Viene perfino presentato uno studio inglese sulla distribuzione dei LA iniettivi in clinica e presso i centri di comunità (LANA).
Lo stesso tipo di studio che abbiamo cercato di effettuare anche noi di Plus ma che ViiV Italia, con vari espedienti, ha messo nelle condizioni di chiudere prima ancora che partisse, dimostrando poca lungimiranza sugli problemi logistico-organizzativi che gli ospedali affrontano come possono e che i centri community-based sicuramente avrebbero risolto diversamente con felicità dei pazienti e di chi avrebbe potuto incrementare il business, mentre ora piange miseria verosimilmente per aver sovrastimato le potenziali vendite del farmaco LA. I dati raccolti indicano chela distribuzione in un setting di comunità è fattibile, accettabile e appropriata per il 44-47% dei partecipanti. In altre parole avremmo potuto dare una mano ad alleggerire il super lavoro dei centri clinici.

Quindi? Tutto ok? Ovviamente no, occorre proseguire su questa strada perché c’è spazio di miglioramento, per esempio:
• Una agevole autosomministrazione a casa
• Ridurre il numero di iniezioni
• Maggiori indicazioni sui pazienti con viremia (barriera genetica più alta).

In effetti quanto sopra è stato studiato su pazienti undetectable. Che succede a chi ha la viremia >50? Ne ha parlato la relatrice Monica Gandhi della UCSF che ha iniziato analizzando quali sono le sfide relative all’aderenza terapeutica (si perché nelle conferenze sono ancora tutti convinti che i long acting vengono dati a chi è poco aderente, non come da noi che vengono dati solo a chi è super aderente, nel senso che arriva puntuale alla visita) e perché alcuni pazienti vanno incontro al fallimento virologico. Ovviamente le terapie funzionano se assunte e pure correttamente, tutte, anche la ART.
Dunque quali sono i fattori che espongono al rischio di fallimento virologico?
• Dimenticare di prendere le pillole
• Essere lontano da casa
• Cambiamenti nella routine quotidiana
• Depressione
• Abuso di alcol/sostanze
• Stigma
• Sentirsi male
• Lontananza dalla clinica
• Scorte esaurite
Ma possiamo aggiungere barriere strutturali come la non fissa dimora o instabilità abitativa, la povertà, l’accesso ai trasporti. Sta di fatto che ogni 100 persone diagnosticate nel 2022 negli USA, solo il 65% è ancora undetectable.

A livello mondiale, il 79% degli adulti resta soppresso a 1 anno, dato che scende al 65% a tre anni. Nei bambini/adolescenti in ART, il 36% di soppressi dopo 1 anno, 24% a 3 anni (HAN, Lancet HIV 2021).
A questo si aggiungono i dati di UNAIDS del 2024 che non sono buoni e portano a chiedersi se gli obiettivi per il 2030 siano realistici:
• 39,9 milioni di persone con HIV, la Russia non comprare nel dato per cui verosimilmente sono oltre 40 milioni
• 1,3 milioni di nuove diagnosi lo scorso anno, lo stesso numero del 2022
• 630.000 morti lo scorso anno, stesso dato del 2022
• 43,3 milioni i morti dall’inizio dell’epidemia e 88,4 milioni di infezioni
• Solo il 77% è in ART, il 72% undetectable
Stigma, incremento del sentimento anti-LGBTQ, perdita dell’8% nei finanziamenti dal 2020-23 giocano un ruolo.


In questo quadro i Long Acting potrebbero dare una mano con l’aderenza e sarebbero una sfida anche in altri campi come il trattamento delle patologie psichiatriche (il trattamento antipsicotico nei pazienti con schizofrenia), nella contraccezione (contraccezione long acting… altra cosa che in Italia la vedrei facile) o il naltrexone long acting per la dipendenza dall’alcol.
Chissà, magari fare rete per un obiettivo comune è chiedere molto mi rendo conto.
Tornando ai long acting per HIV, ormai ci sono dati consolidati sulla efficacia, tutti gli studi confermano valori molto bassi di fallimento virologico ma pressoché tutti rimandano che quei pochi sviluppano resistenze. Per fare un esempio, lo studio ATLAS riporta che su 522 pazienti, alla settimana 152 “solo” 12, il 2,3% ha fallito la terapia, ma di questi 11 hanno sviluppato resistenze al farmaco.
Invece il famoso lenacapavir di Gilead è stato valutato nello studio CAPELLA per quanto riguarda efficacia e sicurezza. Si tratta sempre di LA iniettivo sottocutaneo in paziente viremici, multi trattati, con numerose resistenze… come dire, nella disperazione proviamo anche quello nuovo. I dati non sono definitivi (settimana 104) ma sembra che il farmaco se la stia cavando bene anche in presenza di mutazioni.

Si è parlato dello studio ARTISTRY-1 che mette insieme bictegravir e lenacapavir in pillole su persone con viremia >50 che sembra stia funzionando, anche se è ancora presto per dirlo con certezza, ma che da un senso all’ipotesi di una combinazione di lenacapavir e cabotegravir… figuriamoci! Sono farmaci di 2 imprese strenuamente concorrenti, riusciranno mai a trovare un equilibrio per il bene dei pazienti?

Tuttavia la cosa intriga, la dott.ssa Gandhi di cui sopra, ma messo insieme questa “case series” di pazienti che usano una combinazione di lenacapavir e cabotegravir long acting e, naturalmente, ne ha fatto una pubblicazione con l’idea di stimolare la nascita di uno studio con particolare riguardo a chi ha una resistenza agli NNRTI. Speriamo bene anzi a dire il vero qualcosa si sta muovendo perché la Gandhi ha annunciato che lo studio ACTG A5431 sui due long acting sia stato finalmente approvato. Ovviamente è solo un piccolo studio su 38 persone che devono essere

• viremiche
• resistenti agli NNRTI
• con problemi di aderenza con la ART orale.

La speranza è che lo studio ACTG apra le porte a un grande trial.
Chiudo citando che anche le pillole stanno reagendo allo strapotere dei LA iniettivi. Sta arrivano la pillola da una volta a settimana con islatravir e lenacapavir per ora in pazienti undetectable, siamo ancora alla fase di studio sull’efficacia e la sicurezza ma sembra che si stia comportando bene.

Sandro Mattioli
Plus aps

Per la serie a volte ritornano ecco rispuntare la frase categorie a rischio, questa volta addirittura nel programma di una conferenza sulla salute organizzata da Motore Sanità e, per giunta nella parte su HIV ed epatiti virali dove chi scrive è stato chiamato a parlare. È vero che la conferenza prende le mosse da quello che chiama “pensiero creativo”, ma un limite alla mancanza di conoscenza.
Chiunque si sia minimamente interessato ad HIV e ha messo il naso fuori dai reparti di malattie infettive, dove verrebbe da credere quella frase non ha mai perso di efficacia, dovrebbe cogliere al volo il peso di quella frase.

Chiariamo subito: nessuno studio, scientifico, sociale, psicologico o terrapiattista ha mai dimostrato che HIV ha una volontà politica di colpire questa o quella parte di popolazione.
Semmai sono comportamenti a rischio di contagio. Ma in questo triste e ignorante Paese è chiaramente più comodo dare la colpa dell’infezione a fette di popolazione. Si identifica un “nemico” e ci si mette il cuore in pace.

Così per anni si è creduto che HIV fosse la malattia dei gay, al punto che qualcuno propose di chiare GRID (gay related immunodeficiency disease) quello che poi si sarebbe chiamato AIDS. Poi, guarda un po’, HIV inizio a colpire anche gli injection drug user (IDU), poi tutti e ancora oggi – come è sempre stato del resto – è una patologia che può colpire chiunque sia sessualmente attivo. Ma la paura o l’ignoranza, scegliete voi, è più forte della scienza – soprattutto se anche clinici e ricercatori usano “categorie a rischio” – e quindi ancora oggi, dopo oltre 40 anni di epidemia globale, per buona parte della popolazione italiana HIV è la patologia dei gay, degli africani, dei drogati e la discriminazione prosegue con grande soddisfazione di HIV che può contare su un vasto bacino di diagnosi tardive

In effetti chi non è né gay, né IDU, né africano perché mai dovrebbe farsi un test. Ecco come HIV prosegue la sua corsa in Italia, grazie al pressappochismo di chi dovrebbe prestare attenzione a cosa scrive, e all’ignoranza generalizzata di un Paese dove tutti dicono che di HIV non se ne parla più. Tutti, a partire dai giornalisti che dovrebbero informare al popolazione ma scrivono titoli da inquisizione spagnola o mettono in piazza lo stato sierologico di chiunque, con buona pace delle leggi vigenti a partire dalla 135/90.

Leggere di categorie a rischio nel programma di una conferenza scientifica equivale a mandare indietro la cultura sociale dell’Italia su HIV di decenni e pure a pedate, perché avvalora una sciocchezza ascientifica agli occhi di chi non conosce la materia o è troppo superiore per occuparsi di questioni semantiche (come mi è stato già scritto). In un attimo tutto quello che è stato fatto da grandi attivisti, dai principi di Denver a U=U, viene spazzato via.

Vi do per certo che in molti cercheranno di minimizzare, sta già succedendo. Qualcuno mi ha detto che non è il caso di farne una questione di stato, altri al telefono mi hanno detto “io sono una categoria a rischio”, altri, peggio ancora, hanno cercato di avvalorare la frase dicendomi che, in fin dei conti, è la versione italiana di key population, ossia popolazioni chiave che sono quei gruppi sociali che l’epidemiologia ci indica come più esposti al rischio di contagio perché al loro interno i comportamenti a rischio tendono ad essere più frequenti, spesso proprio a causa della marginalizzazione a cui sono soggetti. È una definizione universalmente accettata se non ché nel resto del mondo a nessuno verrebbe in mente di generalizzare o dire che l’intera popolazione “X” ha l’HIV. Inoltre nel resto del mondo si attivano politiche di prevenzione rivolte a quelle popolazioni per modificare o limitare i comportamenti a rischio. In Italia invece vengono additate e marginalizzate. Del resto negli ultimi 40 anni io non ho mai visto in Italia una campagna di prevenzione rivolta a gay o a sex worker, campagne che altri Paesi anche meno ricchi di noi fanno da anni. Da noi al massimo abbiamo messo un alone viole intorno a qualcuno e, per anni, abbiamo preteso di difendere gli italiani con l’etica cattolica invece che col condom.

Ecco cosa si nasconde dietro la frase categorie a rischio. C’è un Paese che, per quanto sia ai primi posti nella clinica, deve ancora fare molta strada sul piano sociale.
Una strada che periodicamente va riasfaltata perché qualche sciagurato si diverte a farci dei buchi.
Per HIV non esistono né cura né vaccino ed è un’infezione a trasmissione sessuale. Quindi deve essere combattuto sul piano scientifico e su quello sociale, altrimenti fra altri 40 anni saremo ancora qui a chiederci se sia la malattia dei gay.

Sandro Mattioli
Plus aps
Presidente

Stefano Pieralli è scomparso l’anno scorso a soli 57 anni, di cui oltre 40 dedicati all’attivismo LGBT e sieropositivo. È stato uno dei sette fondatori di Plus, di cui è stato vicepresidente e membro del Direttivo pressoché sempre, fin dall’inizio. È stato lo “zoccolo duro” di Plus e ha contribuito a costruirne l’impostazione politica, è stato una figura cruciale non solo nella storia di Plus ma nella lotta alla HIV e alla sierofobia in Italia. Intitolargli la sede nazionale di Plus non è che un riconoscimento minimo per una persona che ha dedicato la sua vita all’attivismo, contribuendo a creare condizioni di vita migliori per centinaia di persone LGBT che vivono con HIV o sierocoinvolte.

Stefano ha dato a Plus un’impostazione politica tesa all’equidistanza dai partiti, preferendo il colloquio istituzionale al rischio di lasciare che questo o quel partito mettesse il cappello sul nostro lavoro. Ci ha insegnato ad avere una serie di attenzioni verso il mondo della politica, da un lato vitale per il sostegno al nostro lavoro e dall’altro spesso poco interessato alla prevenzione. Ci ha insegnato a guardare oltre le parole anche nel mondo delle associazioni, ed è stato proprio grazie a queste osservazioni che abbiamo deciso di fondare Plus in risposta alle carenze dell’associazionismo LGBT nella lotta all’HIV e nell’investimento di fondi nella salute queer.

Il 16 aprile, ad un anno dalla sua morte, Plus ha deciso quindi di ricordare Stefano Pieralli e di intitolare a Stefano la sede in via San Carlo 42/C, un luogo che lui stesso ha contribuito a costruire e che negli anni ha accolto migliaia di persone.

È stato emozionante vedere presenti le istituzioni, l’associazionismo bolognese e tanta gente che ha conosciuto Stefano e ne ha apprezzato il valore. Altrettanto emozionante ripercorrere la storia e la figura di Stefano, l’impegno per Plus fortemente voluta da Stefano proprio perché era giunto il momento di scuotere la comunità LGBT che da troppo tempo non si occupava più del tema, pur a fronte delle alte percentuali di nuove diagnosi fra gli MSM (maschi che fanno sesso con maschi). Oltre alla necessità di invertire il trend delle nuove diagnosi, Plus nasce, come ci spiega Pieralli nella breve intervista che abbiamo mostrato durante la cerimonia, Plus viene creata per intervenire contro lo stigma sociale, anche interno alla comunità LGBT, nonché sul tema della qualità della vita delle persone sieropositive che oggi, grazie alle terapie, hanno un’aspettativa di vita simile a quella della popolazione generale ed è, pertanto, necessario affrontare il tema della qualità della vita, gli aspetti relazionali e sociali, il lavoro, ecc. per tacere della necessità di rompere una serie di pregiudizi sulla trasmissione dell’infezione, sulla possibilità di avere relazioni con le persone sieropositive. In sintesi, un’azione culturale forte, sia all’interno della comunità LGBT che all’esterno di essa.

Azioni oggi più che mai necessarie e rese possibili grazie all’incredibile avanzamento scientifico che ha portato a un consistente allungamento dell’aspettativa di vita delle persone con HIV.

Tuttavia deve essere chiaro che questo non vuol dire che il problema HIV si può considerare risolto, se non addirittura superato, come sentiamo spesso dire anche da alcuni attivisti. Tutt’altro.

Noi non abbiamo un vaccino preventivo e siamo ben lontani dall’ottenere una cura contro HIV.

Pertanto il virus ad oggi rimane nel nostro corpo e continua a fare il suo lavoro anche se non rilevabile. Non tutti sanno che, sul piano patogenetico, il percorso di HIV prevede due tipi di azioni. Una, la più nota, è la distruzione progressiva del sistema immunitario che ci rende vulnerabili agli attacchi di altri agenti patogeni, crea danni d’organo e agevola la formazione di neoplasia; su questo abbiamo potuto porre un freno grazie ai farmaci sempre più potenti e ben tollerati.

L’altra, meno nota, consiste nell’attivazione del sistema immunitario che, a sua volta, attiva un processo infiammatorio generale e tendenzialmente cronico. Un’azione che avviene anche in caso di viremia non rilevabile. HIV è in sé un elemento di disturbo per l’organismo e il perdurare dello stato infiammatorio, nel tempo porta egualmente a danni d’organo, rischio cardiovascolare, disturbi cognitivi, formazione di neoplasie.

Quello dell’attivazione immunitaria è un tema rispetto al quale siamo ancora sostanzialmente disarmati. È appunto questa azione pluriennale di HIV che ha aiutato la formazione del cancro che ci ha portato via Stefano, così come altri esponenti di Plus, attivisti e tante persone sieropositive.

Quindi no! HIV non è affatto risolto anche se, sicuramente, abbiamo reso più difficile la sua azione tanto è vero che oggi possiamo vivere bene molti anni, invece dei pochi mesi di aspettativa di vita di 30 anni fa. Tuttavia, il problema sia risolto, dobbiamo continuare a svolgere un’opera di pressione politica e sociale affinché la politica investa, la ricerca trovi finalmente il bandolo della matassa, la società sia più attenta e cessi di discriminare le persone che vivono con HIV.

Sandro Mattioli
Plus aps
Presidente

La Conferenza EACS 2023 si avvia al termine. Ormai buona parte dei quasi 3.000 delegati e delle delegate se ne sono andati, il che non è mai un buon segno. Ma incominciamo con gli aspetti positivi a partire dal fatto che la nostra piccola associazione è riuscita a portare alla conferenza Enrico Turchetti, uno dei nostri attivisti più “attivi”. Enrico, alla sua prima esperienza, ha praticamente svernato in conferenza, passando da una sessione all’altra come se non ci fosse un domani, salvo poi chiedersi “come mai sono così stanco?”.

Con questa conferenza, posizionata a Varsavia, è palese che si è voluto dare un segnale politico di attenzione rispetto alla situazione dell’Est Europa, che non è affatto buona in termini di nuove diagnosi. Una situazione favorita anche dalle politiche di alcuni governi, incluso quello polacco (che però ha appena perso le elezioni, per cui speriamo bene) che discriminano invece di tutelare. Vi ricordo che la Polonia è quella della “LGBT free zone” e così via. In generale, i dati di incidenza che ci hanno mostrato nel corso della conferenza, vedono un’alta percentuale di diagnosi da rapporti sessuali etero (in larga maggioranza maschi), pochissimi dicono di essere gay in questi paesi ovviamente, chi vorrebbe essere discriminato per l’orientamento sessuale e poi pure per lo stato sierologico?

Queste politiche sciagurate incidono sulla prevenzione, che ovviamente non viene rivolta laddove HIV si annida. Sorte simile tocca agli Injection Drug User (IDU) per i quali, in alcuni Paesi, le strategie di riduzione del danno (siringhe pulite, sostanze sostitutive, ecc.) semplicemente non sono attivate o addirittura vietate. Quindi non c’è da stupirsi che HIV ringrazi i governanti e corra libero in Europa dell’Est.

C’è stata molta presenza di attivisti in questa conferenza sia locali, che da altri Paesi (fra cui l’Italia) e un grosso sforzo organizzativo da parte di EATG (European Aids Treatment Group) una splendida associazione continentale che ha organizzato la formazione “STEP” sulla cura, dedicata a Giulio. Abbiamo potuto finalmente rivedere attivisti da tutto il Continente, riallacciare i rapporti, scambiarci pareri ed esperienze… insomma abbiamo fatto community e svolto il nostro ruolo principale, cosa che non sembra ancora chiara in Italia.

Di base ad ogni conferenza io cerco di seguire soprattutto le sessioni in plenaria, perché di solito sono le più importanti o con nomi “di grido”. Sicuramente la lettura magistrale del dott. Molina sulla PrEP è stata la meglio eseguita.
Finalmente anche in Europa si è parlato di co-patologie legate a HIV. Ebbene sì HIV non ha affatto esaurito la sua storia e non solo perché non abbiamo le conoscenze per realizzare una cura eradicante (ossia l’unica cura vera), ma perché HIV incrementa il rischio di una serie di patologie.
Situazione che noi viviamo quotidianamente, ma che in Italia è ancora poco trattata.
Belle anche le sessioni sull’incremento delle IST, sull’invecchiamento precoce delle persone con HIV, sull’utilizzo di Cabotegravir come PrEP.

Passiamo agli aspetti negativi.

Di regola non partecipo spesso alla conferenza EACS perché da diverso tempo è stata di fatto “declassata” a congresso utile a riportare a livello continentale quello che viene detto nelle conferenze più importanti (CROI, IAS). Allora tanto vale andare in quelle importanti. Anche dal confronto con ricercatori e medici, è emerso che la ricerca è quasi completamente mancata in questa conferenza. Aggiungo che alcune sessioni sono stati organizzate male, con panelist che esponevano dati vecchi, con un inglese stentato e pochissimo engagement con il pubblico, per esempio la sessione sul Mpox che è stata tra le più noiose, tranne che per le relazioni di Nicolò Girometti (ex

specializzando del S. Orsola, serenamente emigrato verso lidi dove i professionisti brillanti vengono apprezzati), più vicine a una lecture per la qualità dei dati e l’eleganza espositiva. Ne approfitto per scusarmi con Nicolò che nel salone mi è passato sotto al naso, mi ha salutato passando un po’ di fretta e io non l’ho riconosciuto subito… gioie dell’età.

Solo una piccola nota fastidiosa dovuta al fatto che in ben due occasioni non mi è stato possibile entrare nelle sessioni perché riservate ai prescrittori. In sintesi, erano sessioni governate da due case farmaceutiche che hanno deciso chi poteva entrare e chi no. Non mi è mai capitato prima ed è davvero strano, neanche dovessero contrattualizzare una operazione di corruzione.
Care aziende se lasciate fuori gli attivisti, soprattutto se persone con HIV che quelle pillole le ingoiano, non fate una bella figura né in termini di trasparenza, né in termini politici.

Mi dispiace sottolineare come le associazioni locali tendessero a giustificare la situazione adducendo motivi tecnico-normativi (neanche la Polonia fosse questo faro del diritto globale), mi è parso evidente che sfuggisse il punto politico della decisione delle multinazionali del farmaco.

Sandro Mattioli
Plus aps

#HIVisible – 2gether, Giornata Mondiale AIDS 2020

LA STORIA DELL’HIV LA RACCONTANO I NOSTRI CORPI

1° dicembre #HIVISIBLE

Nella giornata mondiale per la Lotta all’AIDS, PLUS aps, PLUS Roma e Conigli Bianchi rilanciano l’appello di Paula Lovely, altrimenti conosciuta come Paolo Gorgoni, a tutte le persone che vivono con HIV: oltre alla mascherina, quest’anno mettiamoci la faccia, rendiamoci collettivamente #HIVISIBLE, attraverso un flashmob.

In un momento di crisi sanitaria ed economica globale senza precedenti come quello che stiamo vivendo, le persone che vivono con HIV non possono permettersi di restare invisibili. Per chiedere la continuità dei servizi sanitari, rispondere allo stigma quotidiano e diffondere sieroconsapevolezza, le singole storie non bastano, oggi serve la visibilità di una intera comunità.

Se vivi con HIV e credi che ogni coming out possa ispirarne altri, questo 1° dicembre scendi in piazza con noi. Contribuisci a dare vita a una presa di coscienza transnazionale e a ricordare al mondo che le persone sieropositive esistono. Noi esistiamo. Esistono i nostri corpi fieropositivi, i nostri bisogni, i nostri desideri, la nostra bellezza e la nostra potenza.

Se avevi già pensato di parlare della tua sieropositività e non l’hai ancora fatto, questa potrebbe essere l’occasione giusta. Per partecipare al flashmob serve soltanto:

– vivere con HIV
– tessuto rosso
– mascherine e distanziamento

Scrivi a info@plus-aps.it per aderire a #HIVISIBLE.

Se sei una persona sierocoinvolta ma non positiva, puoi supportare #HIVISIBLE in moltissimi modi:

– con foto e video in diretta dalla piazza (#HIVISIBLE)
– coinvolgendo amici/amiche e alleati/alleate
– aiutandoci a diffondere la comunicazione sui social
– amplificando la voce troppo spesso silenziata delle persone sieropositive.

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Plus aps, Persone LGBT+ sieropositive, nasce con l’intento di far sì che le persone LGBT+ sieropositive siano tutelate sia come persone LGBT+ che come persone sieropositive, in un contesto in cui la formazione e l’informazione scientifica viene promossa e portata avanti in un clima paritario, da professionisti, operatori e volontari che condividono lo stesso background sociale ed esperienziale degli utenti. 

Conigli Bianchi: un gruppo di attivist*, performers, fumettist*, illustratori e illustratrici, cantanti, attori e attrici che hanno deciso di unire le forze per aprire un discorso pubblico sul tema più misconosciuto del pianeta.
“Sogniamo di fare una rivoluzione parlando di sangue ma senza spargerlo. Vogliamo rompere il silenzio che circonda HIV, divulgare informazioni aggiornate e combattere lo stigma che circonda le persone che vivono con HIV.”

Paula Lovely (@Paula_Lovely_Gorgeous) è una dragtivista che lotta per restituire centralità ai corpi sieropositivi. Dal 2018 ha ideato un percorso politico e performativo di autodeterminazione e racconto di sé che definisce “una PornoRivoluzione Fieropositiva”. Crede che i movimenti di liberazione nati da creazioni individuali possano crescere, esprimersi e guadagnare di senso solo quando si trasformano e ramificano, solo quando permettono ad altrettante voci e racconti di venire alla luce.

# HIVISIBLE è l’occasione di performare 2gether. Non si tratta di un atto solitario, ma dell’evoluzione in senso collettivo di un lavoro preesistente. L’episodio zero, +Gl0ry+, è un atto sacrificale in cui un corpo drag e sieropositivo viene ri-sessualizzato in una performance che mescola le formule cattoliche dell’eucaristia all’utilizzo di un Gl0ry h0le. L’episodio 1, b1oom, racconta invece di una trasformazione irreversibile: al decimo anno dalla diagnosi di HIV, passando per il dolore fisico dell’ago, col sangue innocente in vista, b1oom rappresenta la scelta di fiorire.2gether, l’episodio 2, è la celebrazione della gloria e della forza che risultano dall’unione.

Firme:

Altre associazioni, gruppi, collettivi

Arcigay Ferrara, Gli Occhiali D’Oro
A.S.A. onlus
B-Side Pride
BogaSport
Cassero LGBTI+ Center
Coming-Aut LGBTI+ Community Center Aps
Gruppo Trans aps
IAM – Intersectionalities And More
IDA – Iniziativa Donne AIDS
Komos – Coro LGBT Bologna
Laboratorio Smaschieramenti
La MALA Education, collettivo
LILA Bologna
MIT, Movimento Identità Transessuale
NPS Italia onlus
Omphalos LGBTI, Perugia
Red Bologna aps
Rete Genitori Rainbow

Singole:

Vanni Piccolo
Cesare Di Feliciantonio, Manchester Metropolitan University
Massimo Cernuschi, ASA Milano
Daniele Calzavara, Milano Checkpoint
Margherita Errico, Nps Check Point Napoli
Fabio Gamberini
Rita Masina, Infermiera Policlinico S. Orsola-Malpighi
Natale Schettini, medico
Giovanni Guaraldi, medico
Marco Canova, medico
Filippo von Schloesser, Nadir
Giorgio Barbareschi, EATG, LILA Piemonte
Rosaria Iardino, Fondazione The Bridge
Sara Iuculano, studentessa
Francesco Lepore, giornalista

World Aids Day 2018: Plus pone l’accento sulla TasP

In occasione del 1 dicembre, giornata mondiale della lotta all’Aids, Plus Onlus ribadisce con una campagna la centralità della TasP, acronimo inglese che sta per trattamento come prevenzione. Una persona sieropositiva in terapia efficace non è in grado di trasmettere il virus. La TasP è una delle colonne della prevenzione dell’Hiv insieme al preservativo, alla PrEP (profilassi pre-esposizione) e alla PEP (profilassi post-esposizione). Strategie che posso essere integrate e sono di sicura efficacia.

È dal 2015, dalla campagna Positivo ma non infettivo, che Plus Onlus pone l’accento sulla non contagiosità delle persone che vivono con Hiv e hanno la carica virale non rilevabile (undetectable). Questa affermazione è suffragata dai risultati di 10 anni di studi, dalla Swiss Declaration allo studio Partner. Dopo la conferenza mondiale di Amsterdam del luglio 2018 e la presentazione dei risultati dello studio Partner2, la validità della TasP è più che mai confermata. Lo dicono 77.000 rapporti sessuali penetrativi senza preservativo tra partner sierodiscordanti (uno negativo, uno positivo undetectable) e zero contagi. A livello internazionale, il messaggio della TasP è stato riassunto nella formula U=U (undetectable = untransmittable).

Questa non è solo una buona notizia in termini di prevenzione, ma dovrebbe anche mettere la parola fine allo stigma nei confronti delle persone sieropositive diagnosticate, che nella stragrande maggioranza dei casi raggiungono in breve tempo lo status undetectable.

Dovrebbe, ma purtroppo non è sempre così. A Plus sono infatti arrivate segnalazioni da utenti che si sono rivolti a ospedali di Livorno, Brescia e Grosseto, i cui medici hanno negato la formula U=U generando paure irrazionali. Un atteggiamento spesso fomentato da articoli giornalistici irresponsabili. In occasione di questo 1 dicembre Plus invita ufficialmente Simit, nonché l’Ordine dei giornalisti, a organizzare eventi di aggiornamento per i propri iscritti affinché questi incidenti non si ripetano più. La TasP è una misura efficace contro la diffusione di Hiv, e le persone sieropositive che raggiungono lo status undetectable sono fiere di svolgere un ruolo chiave nella battaglia contro il virus.

 

 

 

 

 

Laboratorio residenziale su identità sessuale e sierodiscordanza
rivolto a MSM HIV+ e HIV-

Ci sono uomini che amano altri uomini. Fanno sesso. Si innamorano.
Ci sono uomini che amano uomini che sono sieropositivi.
E poi ci sono uomini che amano uomini che sono sieronegativi.
E tutto questo è un fatto.

Ma troppo spesso, sia dentro che fuori la comunità lgbtq, ci si dimentica di questo fatto. Si preferisce pensare che siamo tutti ‘sani’, relegando l’HIV in fondo ad un armadio, come un ricordo scomodo, che è meglio non avere davanti agli occhi tutti i giorni.

Invece le persone sieropositive con l’HIV ci fanno i conti ogni giorno. Vedono la loro quotidianità di vita trasformarsi a causa dell’HIV: la terapia, i controlli medici, le conseguenze emotive (ma non solo) di avere ricevuto l’esito di un test con su scritto positivo.

Ma vivere con l’HIV oggi vuol dire solo questo?

Alcune persone sieropositive raccontano ad altri – amici, familiari – qualcosa della propria sieropositività, ma sono tanti quelli che invece raccontano poco o nulla, che magari gestiscono la questione esclusivamente in ospedale, con l’infettivologo, oppure solo con il proprio compagno, se ne hanno uno.

Si nascondono per evitare lo stigma sociale: un tentativo di negoziazione col mondo esterno della migliore qualità di vita possibile per se stessi. Perché ancora oggi, ad oltre 35 anni dalla sua comparsa, l’HIV nell’immaginario collettivo è qualche cosa di spaventoso, cui si associano parole come malattia, contagio, morte…

Ma insomma, ragazzi, sveglia: non sono più gli anni ’80.

Da alcuni anni Plus Onlus realizza laboratori di formazione alla persona, rivolti ad MsM che vivono con HIV, che hanno già visto la partecipazione di oltre 130 uomini omo/bisessuali.
Non si tratta di terapia di gruppo, né di gruppi gay per amanti della natura, ma di percorsi di sperimentazione nella relazione con Sé e con l’Altro, finalizzati all’acquisizione di strumenti per ‘inventare il proprio benessere‘ e valorizzare le proprie capacità individuali.

+ o – Diversi rappresenta la nuova frontiera: un nuovo ‘gruppo-di-pari’ composto in egual numero da uomini omo/bisessuali sieropositivi e sieronegativi, che si confrontano sulle proprie similitudini e/o diversità, nella reciproca consapevolezza della pluralità di stati sierologici in gioco.

Un laboratorio originale ed atipico nel panorama lgbtq, nel quale i partecipanti possano sentirsi accolti, sia in quanto uomini-che-fanno-sesso-con-altri-uomini, sia in quanto persone che vivono o meno con HIV.
Il gruppo come potente cassa di risonanza, in un luogo accogliente e ‘protetto’, che offra ai partecipanti la certezza che la propria privacy e riservatezza saranno tutelate.

+ o – Diversi è laboratorio esperienziale intensivo, pensato per chi nella propria vita erotico-sentimentale abbia (od abbia avuto) a che fare con il tema della sierodiscordanza: un’occasione per dialogare e conoscere l’altro simile a me (in quanto attratto dagli uomini), ma diverso da me (per stato sierologico).

Lui mi piaceva… Però… Ho deciso che era meglio chiudere… D’ora in poi voglio frequentare solo altri ‘come me’…
E se provassi un’altra strategia?
– Ciao, sono Paolo e sono sieropositivo.
– Ciao, sono Andrea e sono sieronegativo.
Ok, siamo sierodiscordanti: To Be Continued vs The End.

Un’occasione per imparare qualche cosa che potrebbe tornare utile domani, con l’amico che ci hanno appena presentato, con il collega di lavoro carino, con quel tipo che mi guarda in discoteca o con il commesso bono: potrebbe essere sieropositivo… o sieronegativo… come me… o diversamente da me…

E forse, dopo due giorni e mezzo passati insieme in un fantastico agriturismo sull’appennino romagnolo, scopriremo che il mondo, più che dividersi fra sieropositivi e sieronegativi, si può organizzare secondo altre priorità!

+ o – Diversi
QUANDO: venerdì 13, sabato 14 e domenica 15 ottobre 2017.
DOVE: in una struttura attrezzata per gruppi residenziali sull’Appennino romagnolo.
COSTO: 50 € a testa.
SCADENZA ISCRIZIONI: è possibile iscriversi fino a domenica 1 ottobre 2017.
INFO ED ISCRIZIONI: info@plus-onlus.it oppure scarica i moduli allegati.
NB: la scheda tecnica va letta con attenzione e la puoi tenere per te. Invece la scheda di iscrizione va compilata in ogni sua parte e inviata a info@plus-onlus.it.

Scheda tecnica + o – Diversi
Scheda iscrizione + o – Diversi (1)

iniziativa realizzata da PLUS Onlus con il supporto non condizionato di ViiV Healthcare

Positivo sano libero_GorgPaolo Gorgoni è un volontario di Plus, membro del direttivo dell’associazione. Come molti di noi è abituato a metterci la faccia e ad affrontare di petto i temi che ci stanno a cuore. Lo fa da persona omosessuale e sieropositiva.

Paolo vive a Lisbona, la stessa città dove nel 2009 è stato vittima di una vile aggressione a colpi di spranga. Nel verbale stilato dalla polizia lusitana non apparve la parola «omofobia».

Di recente, Paolo è stato bersagliato da parole gravissime. È cominciato tutto su facebook, all’interno di un gruppo per italiani a Lisbona. Dopo aver segnalato alla piattaforma un post dai contenuti inaccettabili, Paolo è stato espulso dal gruppo. Il post è rimasto.

Dopo questo antefatto, una sequela di offese e intimidazioni, pubbliche e in privato, ai danni del nostro volontario. Conoscenti iscritti al detto gruppo gli hanno inviato screenshot di conversazioni on line dove la sua immagine è stata messa accanto a corpi impiccati e immagini di tortura.

Paolo si è di nuovo rivolto alla polizia, che dopo aver minimizzato forse aprirà un’indagine. Amici di Paolo iscritti alla stessa università presso la quale lavorerebbe la persona che ha dato il via a questa catena di insulti hanno scritto al rettore denunciando l’accaduto. Paolo sarebbe stato infatti minacciato di morte da un ricercatore.

Plus si stringe compatta attorno al proprio volontario e chiede con forza la solidarietà di tutto il movimento LGBT+ italiano.

Siamo stanchi di leggere tra le righe di tanti episodi di violenza – fisica e psicologica – l’impressione che le persone gay siano sacrificabili, figlie di qualche oscura divinità minore. Siamo stanchi e incazzati. L’omofobia va fermata prima che si tramuti in lividi e ferite. Va disinnescata prima. Va estirpata. Paolo, e tutte le persone nel mirino di aggressioni omofobiche, non possono restare sole.

Sandro Mattioli
Plus Onlus
Presidente

E’ la seconda volta che mi trovo davanti al termine “diseducativo” riferito a campagne che sostengono che le persone con HIV sono in primis persone e non un virus. Prima alcuni commenti da socie di un’altra associazione ospiti al BLQ Checkpoint per vedere un film, poco fa un censore che nel commentare una campagna geniale di UniLGBT, ci tiene a ricordare a tutti che il contagio da HIV è ancora un problema sociale. Ora, fermo restando che ovviamente è necessaria la prevenzione, corre l’obbligo spiegare che in Italia abbiamo punte elevatissime di persone sieropositive in terapia di successo, ossia con viremia non rilevabile o, se preferite, con un virus che, ancorché presente, non replica. Punte elevatissime di persone che ben difficilmente riuscirebbero a contagiare qualcuno anche volendo. Persone che, con encomiabile costanza, assumono i trattamenti quotidianamente e sono riuscite a cronicizzare l’infezione. Una infezione cronica è ben differente dalla malattia. C’è la stessa differenza che passa fra l’ipertensione controllata da un paio di pillole e un ictus. Ma molte persone preferiscono continuare a credere che HIV riguardi solo altri, che l’unica cosa che è possibile fare è discriminare e stigmatizzare continuamente la possibilità di contagio anche quando è oggettivamente e scientificamente pressoché impossibile. Purtroppo il cosiddetto movimento LGBT italiano se ne guarda bene dall’effettuare interventi a sostegno di lotta per uno stigma che non si inquadri nell’interessa della diva di turno e la nostra associazione spesso è sola a dare notizia di cose note ormai dal 2008, ma che in Italia faticano ad entrare nel patrimonio comune il quale, d’altra parte, è ancora per lo più fermo agli anni 90. Di davvero diseducativo in questo tristissimo e ignorante paese, c’è solo la poca voglia di conoscere e approfondire il tema, la tanta voglia di trovare un capro espiatorio (che non mi stupirei se portasse ad una criminalizzazione), di mettere la testa sotto la sabbia come fanno buona parte delle persone msm (maschi che fanno sesso con maschi). Un gruppo sociale che in Italia è caratterizzato da una incidenza molto preoccupante, così come lo è pressoché in tutto il continente ma, mentre altrove in Europa l’associazionismo LGBT si è fatto carico di azioni concrete tese a ridurre e ricomporre il problema dell’aumento delle nuove diagnosi, in Italia ha fatto di tutto per tenersi distinto dal problema, con una costanza invidiabile che ci ha portati ad avere numeri di contagio da terzo mondo. Certo, cari lettori, il contagio da HIV è ancora presente in Italia e buona parte di esso è causato dall’ignoranza, dalla presunzione, dalla testa sotto la sabbia, dalla discriminazione e dalla volontà, sempre più evidente, di isolare le persone sieropositive, di colpevolizzarle e possibilmente criminalizzarle, facendo ricadere su di esse e solo su di esse, la responsabilità di ciò che avviene. Beh, non ci avrete mai come ci volete, come vi immaginate. I sieropositivi oggi possono e devono ambire a condurre una vita normale, con una aspettativa di vita normale e non c’è imbecille con il suo veleno ignorante che possa impedirci di essere noi stessi. Buon Pride a tutte e a tutti.

Sandro Mattioli
Plus Onlus
Presidente

Banner_Pride_WEB_B_MAl Bologna Pride 2016 Plus mette al centro la salute. I volontari plussiani sfileranno orgogliosi come sempre, indossando una maglietta che recita Positivo, sano, libero.

L’anno scorso, la campagna ideata da Plus in occasione del Pride era centrata sulla non contagiosità delle persone sieropositive in terapia efficace: Positivo ma non infettivo. La prima campagna italiana a fare della TasP (il trattamento come prevenzione) una bandiera politica, un grimaldello antistigma.

Quest’anno gli aggettivi sono tre e oltre a “positivo”, alla constatazione serena del proprio stato sierologico, si parla di salute e libertà. Riappropriandosi in chiave non solo fiera, ma anche fattuale, di due ambiti considerati troppo spesso appannaggio esclusivo delle persone sieronegative.

Sei sano? – si legge spesso in chat. Vivere con hiv al giorno d’oggi significa molto spesso essere clinicamente sani, o potervi tranquillamente ambire. Così come i passi avanti della ricerca scientifica consentono a una persona sieropositiva di non trasmettere il virus, l’efficacia del trattamento permette di spezzare la concordanza tra infezione e malattia. La sporcizia e l’infermità appartengono solo al linguaggio di chi discrimina.

Un’infezione cronica non è sinonimo di malattia, anzi. E non è neppure sinonimo di schiavitù nei confronti di farmaci e ospedali. Lo spread tra la qualità della vita di una persona sieropositiva e una sieronegativa si è ormai ridotto ai minimi termini, come quello tra le due aspettative di vita.

Ed è come persone orgogliosamente positive, sane e libere che i volontari di Plus scendono in piazza il 25 giugno insieme all’intero movimento LGBTQI, a fianco delle associazioni con le quali è nata una sinergia speciale: Arcilesbica Bologna, Uni Lgbt, RED, Bugs, Boga sport.