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Fortissimamente doxy. Si insomma pure qui si è parlato di doxyPEP, a fine giornata ma ne parlo subito.

Non sono state dette chissà quali novità, inoltre il tema è stato inquadrato dal punto di vista degli USA ma comunque i dati fanno spavento. Solo negli USA nel 2022 il CDC ha registrato 1,6 milioni di casi di clamidia (CT), quasi 650.000 casi di gonorrea (NG), 207.000 casi di sifilide. Dal momento che il CDC non è fatto da menomati mentali come da noi, ha chiarito subito che chiunque sia sessualmente attivo può prendersi una IST, ma ci sono alcuni gruppi di popolazione sul piano statistico registrano più contagi: giovani fra i 14 e i 24 anni, MSM, donne incinte, minoranze etniche. Ribadisco: sto scrivendo di dati statistici, ovvia che la clamidia non ha la volontà politica di colpire le donne incinte o gli afro-americani.

Da qui parte il bisogno dei ricercatori statunitensi di trovare uno strumento efficace, con quei numeri è anche comprensibile. Ed ecco che esce la doxyPEP. La dott.ssa Connie Celum, dell’università di Washington, ha presentato i suoi bravi dati sull’efficacia partendo dai primi del 2015, passando per lo studio Ipergay di Molina un open label del 2018 e DoxyVac del 2024, gli studi USA di Luetkemeyer sempre del 2023, di Fredricksen del 2024 che fissano intorno al 65% il calo delle IST usando la doxyPEP. Lo studio di Molina (anche gli altri a ben vedere) denuncia un calo inferiore nei casi di gonorrea. Da ulteriori approfondimenti si nota una propensione di gonorrea a resistere all’azione della doxyciclina questo sia nello studio di Molina del 2024 che in quello di Luetkemeyer del 23. In una slide dal titolo che succede se l’uso di doxyPEP incrementa la resistenza di gonorrea? Vengono fatte alcune ipotesi (nella logica generale del non si sa):

  • Può indurre resistenze anche in altre classi di antibiotici (dati limitati)
  • La doxyPEP smetterà di funzionare contro gonorrea?
    • Secondo lo studio DoxyVac ha continuato a funzionare nonostante il 65% di resistenza in Francia
    • La soglia di resistenza necessaria per avere un impatto su doxyPEP è sconosciuta
  • Compromesso: doxyPEP riduce l’incidenza di gonorrea e l’uso di cefriaxone del 50%

In conclusione:

  • gonorrea: aumento della resistenza alle tetracicline negli studi Doxy PEP e DoxyVacc
    • DoxyPEP può proteggere meno contro i ceppi resistenti
    • La sorveglianza dell’antibiotico resistenza in CG è importante
  • Clamidia: non sono state osservate resistenze
  • Sifilide: doxiciclina è un’alterativa utilizzabile nel trattamento della patologia
    • Nessuna resistenza alle tetracicline osservata su sifilide che invece diventa rapidamente resistenza all’azitromicina
  • diminuzione del tasso di colonizzazione stafilococco aureus. con aumento di resistenza alla doxiciclina
    • nessun aumento di resistenza a stafilococco aureus (MRSA)
  • impatto minimo sul microbioma intestinale, ma si registra un aumento di attivazione dei geni di resistenza alle tetracicline

si segnala la difficoltà di isolare l’impatto di doxyPEP nell’organismo stante che la doxiciclina può arrivare anche per altre vie come un trattamento per clamidia, altre infezioni, cibo. Con questo, e quanto già scritto dal simposio al CROI di Denver, spero di aver chiarito che non ci sono risposte definitive. Molto chiarificatrice l’immagine finale della ricercatrice, che potete vedere qui a fianco, prendi a mazzate una patologia e ne spuntano altre magari proprio a causa della mazzata.
A fine presentazione ho chiesto un parere alla dott.ssa Celum. Io ho l’impressione che i ricercatori USA siano meno preoccupati della gonorrea resistente di quelli europei, e lei ha confermato. Ma ha anche detto che qualcosa si sta muovendo anche in USA perché il problema si sta presentando anche li. Ossia il tema è presente e da monitorare.
Insomma siamo lontani dall’avere uno strumento perfetto ma, se non sbaglio era Voltaire a dire che le mieux est l’ennemi du bien.

A parziale ritrattazione di quanto scritto ieri, segnalo che sull’efficacia degli anticorpi monoclonali ampiamente neutralizzanti ci sono gli studi HVTN 703/HPTN 081 e HVTN 704/HPTN 085. Dovessero andare bene potrebbero essere una via per un vaccino contro HIV con qualche speranza di riuscita.
Potrebbero essere infusi indicativamente 2 volte all’anno. La cosa interessante è che si inizia a ragionare in termini etici sulla necessità di avere un braccio placebo nell’era della PrEP che comunque sarebbe considerata come standard di prevenzione anche in questi studi.

In merito alla PrEP è interessante lo schema di pro e contro proposto anche perché si incomincia a ragionare (preventivamente) di PrEP con gli bNABs (anticorpi neutralizzanti):

PrEP oralePrEP iniettiva(virtuale) PrEP con anticorpi neutralizzanti (bNABs)
ProProPro
– Opzione daily e on demand
– Flessibilità di implementazione
– Monitoraggio clinico minimo per quasi tutti
– Dati di efficacia in tutte le popolazioni
– Test HIV trimestrale
– Costo del TDF/FTC generico basso
– Efficacia superiore
– Aderenza giornaliera non richiesta
– Ogni 6 mesi (LEN) ogni 2 mesi (CAB)
– Discrezione nell’uso: non ci sono pillole in giro
– Efficacia (?)
– Frequenza di infusione (sei mesi?)
– Discrezione nell’uso: non ci sono pillole in giro
– Nessuna preoccupazione per la resistenza agli ARV
ControControContro
– Aderenza giornaliera o regime complesso
– Le pillole potrebbero non essere accettabili o preferite da tutte le persone
– Maggior numero di visite (CAB)
– Requisiti per il test HIV
– Costi e accesso al servizio
– Problemi logistico-organizzativi
– Infezioni da HIV problematiche (CAB)
– Procedure amministrative
– Durata della visita (?)
– Costi e accesso al servizio (?)

Ma intendiamoci, in Italia è utilizzabile solo la PrEP orale. La PrEP iniettiva è stata recentemente approvata da AIFA ma stanno ancora confrontandosi con ViiV per il prezzo. Non so dirvi di più perché da ormai diverso tempo non ci rende partecipe degli obiettivi né degli strumenti per raggiungerli. Speriamo per il meglio. La PrEP con bNABs, come ho scritto, è ancora lontana dall’essere sdoganata sul piano scientifico, figuriamoci su quello regolatorio.
Tuttavia è interessante che nelle conferenze scientifiche internazionali si vedano questo tipo di raffronti.

La sessione sulla situazione dell’America latina nella lotta contro HIV è sintetizzabile con la cascade relativa ai famosi obiettivi di UNaids, l’agenzia dell’ONU che si occupa di HIV, ossia i 95-95-95 (il 95% delle persone con HIV diagnosticate, il 95% in terapia ARV, il 95% undetectable). Tutt’altro che rosea come potete vedere dall’immagine. L’America latina se la gioca con le regioni messe peggio e, naturalmente, le persone più povere, a bassa scolarità, sono quelle più colpite. Capite perché mi sono così infastidito vedendo la protesta delle comunità indigene che IAS non ha fatto entrare nonostante fossero persone decorose e molto gentili anche se ferme nelle loro rivendicazioni.
Per quanto riguarda la PrEP con lenacapavir di Gilead, pare proprio che sia un farmaco fenomenale, con percentuali di successo del 96%, stando ai dati dello studio Purpose2, si è dimostrato superiore alla PrEP orale. Non mi dilungo perché se ho capito bene, ci sarà una sessione dedicata alla conferenza sui farmaci di Glasgow. Se tutto va bene vi racconterò qualcosa di più specifico dalla Scozia.

Una cosa è emersa molto chiaramente e da più relazioni: la PrEP deve essere semplificata. In questa conferenza si parla molto di ampliare la possibilità di prescrizione (chi lo dice ai nostri infettivologi?), agevolarne la distribuzione anche presso i servizi di comunità (come i PrEP Point), integrare la PrEP con altri servizi (per esempio peer-counselling, test per le IST), attivare servizi di tele PrEP o di digital PrEP, erogazione della PrEP nelle farmacie.

Speriamo che questi ragionamenti vengano trasferiti anche ad ICAR, la nostra conferenza su AIDS e ricerca antivirale.

Sandro Mattioli
Plus aps.

La seconda giornata della conferenza EACS in corso a Varsavia, inizia con una splendida lettura del dott. Molina, il “papà” della PrEP on demand usata da almeno il 50% degli utenti in PrEP.

Chi meglio di lui poteva impostare una lecture dal titolo “Going beyond HIV and STIs with PrEP and PEP” (Superare l’HIV e le malattie sessualmente trasmissibili con la PrEP e la PEP).

Solo questo incipit è già tutto in programma per il nostro Paese dove ancora c’è chi pensa che chi ha preso HIV è perché se l’è andato a cercare, che chi usa PrEP o PEP è uno che si espone volontariamente a rischi molteplici o si è già esposto ad essi, a seconda della strategia di prevenzione scelta.

Molina, sempre preciso nelle sue relazioni, ci mostra i dati dell’infezione globale del 2022 che danno 39 milioni di persone con HIV, 1,3 milioni di nuove diagnosi. Rispetto al decennio precedente si nota un calo del 32% nelle nuove diagnosi e del 52% nelle morti per AIDS. Ma nell’Europa Orientale e in Asia centrale le nuove diagnosi sono cresciute del 52%. È l’area dove HIV cresce più velocemente nel pianeta, con un’incidenza che supera il 30%. Qualcuno dal salotto di casa propria in Italia starà già pensando chi se ne frega, ma non è così che funziona questa epidemia. Le capitali dell’Est Europa sono a un’ora di volo e se non si affronta questa situazione assurda, in buona parte causata da frequenti atteggiamenti discriminatori, anche noi rischiamo una ripresa dell’infezione.

Molina chiarisce subito che, pur in assenza del vaccino, la prevenzione è possibile e cita gli elementi principali purtroppo iniziando con

  • l’ABC (astinenza, fedeltà, condom); studi osservazionali descrivono un calo dei casi di HIV del 70-90% ma sulla reale possibilità di porre in essere questa strategia ci sono più dubbi che certezze;
  • la circoncisione maschile è accreditata di circa il 60% di riduzione della trasmissione da donna a uomo, ma è molto legata alla tradizione/religione e comunque protegge i maschi ma non le femmine come molte attiviste hanno fatto notare in diverse conferenze internazionali;
  • la strategia della riduzione del danno, in particolare fra gli IDU (Injection Drug Users), per esempio su aghi/siringhe. Efficace ma limitata a un solo gruppo esposto;
  • i farmaci antiretrovirali che si sono dimostrati efficaci nella prevenzione materno-fetale; con la PEP (Profilassi Post Esposizione), con la TASP (trattamento come prevenzione, con la PrEP (Profilassi pre-esposizione).

Negli anni la PrEP si è dimostrata altamente efficace nel prevenire l’infezione negli uomini e nelle donne ed è uno strumento essenziale nella lotta contro HIV, questo scrive Molina… dovrebbe fare un giro di conferenze in Italia.
PrEP è presente ormai in tutte le linee guida, in quelle OMS dal 2015!! Le persone in PrEP in Europa e Asia Centrale sono oltre 200.000 e l’obiettivo di OMS è di arrivare a 500.000 entro il 2025.
Poi passa a descrivere gli studi scientifici a sostegno che vi risparmio anche perché ormai dovrebbero essere noti ai lettori di Plus.

Tuttavia la PrEP come la conosciamo oggi non è priva di problemi, i due principali sono l’aderenza terapeutica e la cosiddetta “retention in care” ossia il restare in PrEP. Sono ormai diversi gli studi che evidenziano problemi degli utenti ad assumere correttamente, in orario, la PrEP. Anche in Italia lo studio ITAPreP ha riscontrato questo problema così come gli studi della coorte Kaiser in USA, o gli stessi studi di Molina in Francia. I motivi sono diversi ma sicuramente lo stigma legato alla sua assunzione gioca ancora un ruolo importante.

Il farmaco Cabotegravir di ViiV usato come PrEP una volta ogni due mesi, potrebbe risolvere questo problema dell’aderenza. È un farmaco iniettivo studiato per il lento rilascio. EMA ne ha approvato da pochissimo la commercializzazione in UE. Per cui ora la palla è nel campo della ViiV e dei rapporti che vorrà tenere con AIFA (rimborsabilità, tempi – che non saranno brevi – ecc.). Stupisce sempre il fatto che in Francia è stato avviato lo studio “Prevenir – CABOPrEP che si propone di arruolare 322 MSM e di mettere a confronto l’attuale PrEP in pillole con quella iniettiva.

Non capirò mai perché in Italia questi studi non vengono né fatti né avallati se richiesti. Da un lato siamo spesso così provinciali da guardare con supponenza gli studi degli altri, dall’altro poco propensi a farne in Italia a meno che non ci sia un primario che decida in tal senso. Secondo me questo è uno dei motivi che ci fanno spesso arrivare ultimi nel porre in essere strategie di prevenzione vincenti. Sembra quasi che si pensi che se qualcuno si contagia, pazienza… alla peggio sono froci (?).

Fra l’altro sul Cab come PrEP non sappiamo proprio tutto e abbiamo risolto tutto, studi sono ancora necessari:

quanto è onerosa l’iniezione – che oltretutto deve essere fatta da personale sanitario – prevista ogni 2 mesi, non c’è ancora chiarezza sui tempi di protezione e della cosiddetta “forgiveness”, le eventuali reazioni nel sito delle iniezioni, il costo del farmaco e l’implementazione.

Sul tema della prevenzione la Francia è un Paese da ammirare perché la PrEP è gratis dal 2016 (in Italia dal 2023 e non ancora disponibile ovunque), i condom sono sovvenzionati dal 2018, la PrEP può essere prescritta anche dal medico generico dal 2021.
Tuttavia la PrEP è ancora poco usata in Francia e buona parte delle nuove infezioni si registrano fra persone non in PrEP per lo più per paura degli effetti collaterali, per un basso livello di percezione del rischio, perché non gli è mai stata offerta, ma c’è anche chi aveva timore di essere giudicato.

Detto questo è anche chiaro che l’elefante nella stanza è il condom: il 71% degli MSM HIV negativi sotto i 24 anni non lo usa nei rapporti anali in Francia e, ovviamente, se il condom non viene usato non funziona. Va da sé che questa strategia non è efficace almeno non come è stata portata avanti fin qui in Francia… figuriamoci da noi dove i condom si pagano, e pure cari. Ma da noi non si fanno questo tipo di studi per cui il problema è già risolto.

Molina segnala anche l’incremento in Francia, ma possiamo dire lo stesso anche da noi, delle infezioni a trasmissione sessuale (IST) fra le persone in PrEP, in particolare fra coloro che hanno molti partner e non usano/usano in parte il condom. Caratteristiche confermate dagli studi portati avanti da Molina dove è emerso che il 39% dei partecipanti producevano l’89% dei casi in IST.

Da qui gli studi sull’uso dell’antibiotico doxiciclina come PEP (200 mg max dopo 72 ore dal rapporto), ovviamente con visite e controlli.
In effetti stiamo parlando di persone che, verosimilmente, avrebbero preso il farmaco perché hanno frequenti diagnosi di IST. Tanto vale che lo assumano come PEP sia pur in casi particolari. Gli studi hanno dato ragione a Molina infatti la riduzione dei contati è evidente soprattutto per clamidia.
Le linee guida internazionali (IAS 2022, EACS 2023) sono possibiliste per gli MSM da valutare caso per caso perché il rischio di resistenze non è ancora stato sufficientemente studiato e non sarebbe corretto essere troppo di manica larga.

Ho partecipato a una sessione relativa al Monkeypox per capire se possiamo mettere la parola fine almeno su questa epidemia. Pare che sia meglio stare ancora attenti.

Mi ha tuttavia fatto piacere ascoltare le belle relazioni di Nicolò Girometti, un ex specializzando del S. Orsola di Bologna che ora lavora al Chelsey and Westmister Hospital e a 56 Dean Street a Londra. Non serve che dica altro!

Pressoché tutti i dati presentati, ormai un po’ datati, evidenziano che la fase acuta dell’epidemia è sicuramente superata, che le persone con HIV con meno di 350 CD4 hanno subito le situazioni peggiori mentre quelli con una situazione immunitaria migliore non hanno avuto particolari problemi, in caso di contagio hanno risolto come tutte le persone senza HIV; sicuramente l’epidemia ha riguardato in maggioranze MSM per vari motivi (di cui abbiamo già scritto in precedenti report), sicuramente è importante tenere alta la guardia perché qua e la ancora qualche caso viene rilevato. Per cui tutti i ricercatori insistono perché il vaccino venga effettuato da tutti gli MSM, in particolare chi vive con HIV, appunto per evitare eventuali “ritorni di fiamma”. Del resto il vaccino è la prevenzione per eccellenza, non ha senso attendere che l’infezione si ripresenti in massa.

Sandro Mattioli
Plus aps

Con una piccola citazione dal film di Pedro Almodóvar, parto con la relazione di oggi.

La plenaria di oggi ha celebrato i 30 anni della Pepfar.

The U.S. President’s Emergency Plan for AIDS Relief (PEPFAR), un impegno oggettivamente molto alto degli Stati Uniti che dal 2003 ha investito qualcosa come 100 miliardi di dollari in una singola malattia. Di questo ha parlato il direttore del programma Pepfar per l’Africa John Nkngasong di cui ho apprezzato la chiarezza espositiva con la quale ha mostrato i passi in avanti fatti grazie al programma.

Come vedete dall’immagine, la situazione in Africa prima del 2003 era davvero pessima, c’è da dire che lo si sapeva almeno dal 1990, con crollo dell’aspettativa di vita fino al 35% in Zimbabwe, non che gli altri Stati fossero messi molto meglio. L’impatto di HIV/AIDS ha sconvolto la vita di milioni di africani nel disinteresse generale, diciamolo. Nel dicembre 2002 i membri afroamericani del Congresso indirizzarono una richiesta d’aiuto al Presidente Bush che prese l’impegno di sostenere le richieste contenute e già a gennaio 2003 annunciò l’impegno dell’amministrazione per un piano straordinario di aiuti per “the people of Africa”. Al di la di questi aspetti un po’ lecchini, i fondi non solo sono arrivati ma, grazie a una serie di controlli, sono stati usati davvero per cercare di porre rimedio alla situazione in Africa, sia pur con colpevole ritardo.

Il relatore cita i dati di 30 anni di interventi, progetti, azioni in vari Stati del Continente resi possibili grazie ai fondi Pepfar:

E per fortuna verrebbe da dire perché l’Africa da sola raccoglie il 60% delle infezioni da HIV del pianeta e il 65% delle morti aids correlate. Tuttavia la cosa incredibile è nonostante questa situazione molti Stati africani hanno raggiunto gli obiettivi UNAids (i tre 90) e sono addirittura vicini a raggiungere i tre 95 previsti per il 2030. Parlo del 95% delle persone con HIV diagnosticate, il 95% delle persone diagnosticate in terapia, il 95% delle persone in terapia undetectable.
Quegli stessi obiettivi che il Sindaco di Bologna si è impegnato a ottenere prima del 2030 aderendo a Fast Track City. Speriamo di essere più bravi del Botwana che, secondo i dati presentati, è a un passo da raggiungere i tre 95.

20,1 di persone in trattamento
5,5 milioni di bambini nati senza HIV
70.000 strutture realizzate
340.000 operatori sanitari formati
3.000 laboratori in funzione.

Gli investimenti hanno infatti consentito vaste campagne di testing che hanno portato alla luce dati già noti – come i numeri incredibilmente alti di donne contagiate – ma anche dati non noti come il boom di casi fra giovani uomini cresciuto del 33%, è evidente che non facevano i test.

Inoltre, l’impegno di questi anni ha reso possibile il dispiegamento di personale formato anche contro covid (vaccinazioni, test, raccolta dati). Alla fine quella Pepfar si è dimostrata una piattaforma utile anche per contrastare altre infezioni emergenti.

Ovviamente ora, per citare il relatore, l’Africa vuole andare avanti e sono previsti investimenti nella direzione dei long acting come PrEP, in laboratorio e progetti di ricerca per la cura contro HIV. Progetti ambiziosi che fanno impallidire la coscienza dei politici italiani, se ne avessero una, in perenne ritardo su qualunque tema innovativo in questo campo.

Ho partecipato anche ad alcune sessioni interessanti su un tema di cui in Italia si vocifera da tempo ma non si prende nessuna decisione ufficiale: la doxiciclina come profilassi post esposizione per le IST batteriche, principalmente gonorrea, clamidia, sifilide. Infezioni molto comuni fra i nostri utenti in PrEP, test che potremmo effettuare anche al Checkpoint se non fosse per inedia dell’Azienda Sanitaria, ma anche considerando solo i dati del PrEP-Point sarebbe interessante ragionarci su questa forma di PEP.

Nella sezione Hiv And Sti Prevention: New Tools Approaches sono stati presentati numerosi studi sia pur non con grandi numeri, i cui risultati vanno tutti nella direzione di un consistente calo di incidenza di IST.

Lo studio più strutturato, anche se open label, è quello presentato da Molina, il papà della PrEP francese ricercatore principale dello studio Ipergay che ha portato la PrEP on demand nelle nostre case.
Gli studi sostanzialmente convergono sulla concentrazione efficiente e persistente della doxy nelle mucose, in particolare quelle rettali (il che spiega l’efficacia osservata negli MSM, dice la ricercatrice con un tono più vicino all’invidia che alla sorpresa) quindi per funzionare funziona ma ci sono ancora perplessità rispetto al dosaggio e, soprattutto sulla possibilità di creare ceppi resistenti.

Tornando a Molina e il suo studio “Doxyvac”, che è particolare perché i partecipanti – tutti MSM – sono stati inizialmente divisi in 4 gruppi: 1 gruppo con DoxyPEP e uno senza, un gruppo con il vaccino contro meningite B e uno senza, il tutto con numeri consistenti (fra i 170 e i 330 arruolati a seconda dei bracci di sperimentazione). I dati sono molto buoni in particolare su clamidia e sifilide che hanno visto un calo di incidenza fino all’80%, ma anche su gonorrea 55% direi che non ci possiamo lamentare. L’evidenza sostenuta da questi dati ha convinto l’organo di controllo dello studio a fermare l’arruolamento di nuovi partecipanti e a offrire a tutti doxypep e il vaccino.
Come “nota di colore” chiudo con un commento, fra le varie slide che sono state presentate, una che mi ha molto divertito riguarda la valutazione sulle variazioni dei comportamenti sessuali, il sexual behaviour, dei ragazzi gay del campione: nessuno. Come potete vedere dall’immagine, al netto che i ragazzi fossero in doxypep o no, fossero vaccinati o no, non si sono registrate variazioni, il che la dice lunga sulla necessità di questo genere di pep nel campione preso in esame.

Sexual behaviour

Le conclusioni di Molina sono chiare:

  • la pep con doxy è ben tollerata e vede un alto tasso di aderenza;
  • i dati mostrano un consistente calo nell’incidenza di IST negli MSM;
  • il vaccino 4CmenB ha ridotto l’incidenza di un primo episodio di NG fra gli MSM arruolati;
  • in corso la valutazione del pieno impatto sulla resistenza agli antibiotici (IST, microbioma).

Ovvio che la bacchetta magica non ce l’ha nessuno ma potrebbe essere sulla carta utile un approccio combinato.

Rispetto al tema delle resistenze gli studi non hanno sottolineato ma sembra evidente che serviranno studi mirati di più lunga durata per valutare se questo problema sulla carta consistente si può considerare superato o superabile e comunque credo che sia meglio attendere i dati sulle resistenze dello studio di Molina che mi è sembrato il meglio strutturato.

Sandro Mattioli
Plus aps