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In vista di San Valentino, il  gestito BLQ Check Point gestito da Plus Onlus programma un’apertura straordinaria, resa possibile dalla stretta collaborazione con l’azienda sanitaria.

La settimana dal 13 al 17 febbraio, sempre dalle 18 alle 21, sarà quindi una Testing Week molto speciale… dedicata a tutti gli innamorati (in coppia o di se stessi), perché un virus non guarda in faccia a nessuno.

Ricordiamo inoltre le nuove modalità di prenotazione dei test hiv e hcv in vigore da questo mese. Oltre al numero di telefono 051 42 118 57 (attivo negli orari di apertura, quindi di regola martedì e giovedì 18-21) si può anche inviare una mail a prenota@blqcheckpoint.it, in risposta alla quale verrà fissato un appuntamento.

Il BLQ Checkpoint offre test rapidi, anonimi, gratuiti e sicuri. Il test hiv è a prelievo capillare (punturina sulla falangetta), il test hcv è salivare e per essere effettuato con successo non bisogna aver mangiato, bevuto bibite, fumato, masticato chewing-gum o usato il dentifricio nei venti minuti precedenti. Nel caso in cui non si possa andare all’appuntamento prefissato, è opportuno segnalarcelo.

Alcuni farmaci anti-Hiv (in particolare gli inibitori della proteasi) aumentano i livelli di alcune droghe da sballo nel corpo quali MDMA, ketamina, speed, GHB e crystal meth, col rischio di overdose. Sotto l’effetto di droghe si corre inoltre il rischio di prendere le pillole all’orario sbagliato, o di saltare la dose.
Il sildenafil (Viagra), il tadanafil (Cialis) e gli altri principi attivi che agevolano l’erezione possono interagire con alcuni antiretrovirali, per cui conviene limitarne il dosaggio o prenderli in orari distanti da quelli delle terapie. Poppers e droghe simil-viagra possono anche causare pericolosi abbassamenti della pressione sanguigna, soprattutto se assunti insieme.
I due farmaci usati per l’Hiv che possono avere le interazioni più pericolose con le droghe da chemsex, con i farmaci per l’erezione o con le benzodiazepine sono il ritonavir (Norvir) e il cobicistat (Tybost). Il cobicistat è un componente delle pillole Stribild, Genvoya (che contengono anche elvitegravir, tenofovir ed emtricitabina), Prezcobix (con il darunavir), Symtuza (con darunavir, emtricitabina e tenofovir alafenamide) ed Evotaz (con atazanavir). Il ritonavir è presente nel Kaletra (con il lopinavir) ma di solito si assume in una pillola a parte chiamata Norvir da prendere con altri inibitori della proteasi; è presente anche nel Viekira Pak che contiene due pillole per il trattamento dell’epatite C.
Anche se è possibile che ci siano potenziali interazioni tra le droghe da chemsex e altri farmaci usati contro l’Hiv, secondo alcuni studi sarebbero meno pericolose. Nel caso si assuma ritonavir o cobicistat (anche in una delle combinazioni elencate sopra) e non si riesca a rinunciare al chemsex, è meglio parlarne apertamente con il proprio medico per valutare la possibilità di cambiare terapia.
Per quanto riguarda gli inibitori non nucleosidici della trascrittasi inversa, in particolare efavirenz (Sustiva), nevirapine (Viramune) ed etravirine (Intelence), l’interazione può provocare un abbassamento della concentrazione delle droghe. Questo potrebbe portare ad assumere più droghe magari in maggiore quantità per ottenere l’effetto atteso, con rischi imprevedibili.

 

Specchietto basato sugli studi dell’università di Liverpool


Questa pubblicazione è stata realizzata grazie a un contributo non condizionato di ViiV Healthcare. Testi a cura di Giulio Maria Corbelli, Simone Buttazzi, Sandro Mattioli e Stefano Pieralli. Per la parte legale ringraziamo Niccolò Angelini e Andrea Frigieri. Fotografie di: Antonio Falzetti.

Le informazioni sono aggiornate al mese di gennaio 2021.

Se ti esponi al rischio di contrarre l’Hiv (ad esempio, se si rompe il preservativo), c’è la possibilità di iniziare una terapia in grado di prevenire l’infezione. Si chiama profilassi post-esposizione (PEP, o PPE) e comporta l’assunzione di tre farmaci antiretrovirali per 28 giorni consecutivi. La PEP ha maggiori possibilità di successo se iniziata nel giro di poche ore dal rapporto a rischio. Prima si comincia, meglio è. Ma può ancora essere efficace se iniziata entro 48 ore dall’incidente.

Se vuoi iniziare la PEP, contatta rapidamente un centro di malattie infettive, o se gli orari di apertura non lo consentono, il Pronto Soccorso dell’ospedale più vicino e chiedi di vedere l’infettivologo di turno. Spiegherai a lui cosa è successo (puoi contare sulla sua riservatezza) e insieme valuterete se è il caso di fare la PEP.

La profilassi pre-esposizione o PrEP è invece l’assunzione di una pillola che contiene due farmaci antiretrovirali (tenofovir ed emtricitabina combinati con il nome commerciale di Truvada). La persona sieronegativa che assume con regolarità questa pillola riduce sensibilmente le possibilità di contrarre l’Hiv. Ciò che più conta per aumentare questa protezione è assumere il farmaco secondo le indicazioni. Lo schema consigliato per l’uso della PrEP è quello di una pillola al giorno, ogni giorno.

In alternativa, funziona anche prendere quattro pillole per rapporto sessuale a rischio: due qualche ora prima, una il giorno dopo e una il giorno dopo ancora (più o meno alla stessa ora). Questo uso intermittente della PrEP può essere adatto se prevedi di fare sesso solo in certi giorni.

Se vuoi maggiori informazioni sulla PrEP, puoi consultare il sito prepinfo..

Ricordati infine che una persona sieropositiva in terapia efficace da almeno sei mesi (con viremia “undetectable” o non rilevabile) non è contagiosa. È la TasP, terapia come prevenzione, o U=U, undetectable = untrasmittable.


Questa pubblicazione è stata realizzata grazie a un contributo non condizionato di ViiV Healthcare. Testi a cura di Giulio Maria Corbelli, Simone Buttazzi, Sandro Mattioli e Stefano Pieralli. Per la parte legale ringraziamo Niccolò Angelini e Andrea Frigieri. Fotografie di: Antonio Falzetti.

Le informazioni sono aggiornate al mese di gennaio 2021.

Il concetto è semplice: se la quantità di virus presente nel tuo organismo è drasticamente ridotta dai farmaci, è difficile che tu possa trasmettere ad altri l’infezione.

Ci sono delle condizioni perché questo possa avvenire:

  • devi essere in terapia antiretrovirale e avere una viremia non rilevabile da almeno sei mesi;
  • devi essere aderente alla terapia (cioè prendere tutte le pillole, ogni giorno, agli orari giusti) e devi farti vedere dal medico con regolarità;
  • non devi avere altre infezioni sessualmente trasmissibili.

Questo concetto, secondo cui la terapia che una persona assume per controllare l’infezione da Hiv abbatte la possibilità che trasmetta l’infezione, va sotto il nome di “Terapia come prevenzione” (Treatment as Prevention – TasP).

La TasP ci ha aiutati a diminuire la tensione all’interno del nostro rapporto. Continuiamo a usare il preservativo visto che il mio partner è sieronegativo, ma sappiamo che se qualcosa va storto è molto improbabile che io gli trasmetta il virus, in quanto ho la viremia non rilevabile 

Ci si può fidare?

Secondo il punto di vista di noi persone con Hiv, un pregio della TasP è quello di togliere a chi vive col virus l’angoscia di percepirsi come una bomba biologica. Sapere che il rischio di trasmettere l’infezione è quasi azzerato grazie alla terapia è un sollievo per molti.

Questo significa che non è necessario l’uso del profilattico? Qui la questione si fa più complessa: innanzitutto bisognerebbe prima essere sicuri di rientrare nei parametri necessari ad abbattere il rischio (viremia non rilevabile, aderenza totale, nessuna IST) e sappiamo ad esempio che molte IST vengono diagnosticate in ritardo. In secondo luogo, gli studi riportano dati prevalentemente relativi al rapporto eterosessuale, cioè vaginale: nel rapporto anale l’Hiv si trasmette con maggiore facilità che nel rapporto vaginale, tuttavia molti esperti ritengono che questi risultati possano essere riferiti anche al sesso anale. Servirebbero più dati: c’è uno studio in corso (studio PARTNER) ma per avere i risultati bisognerà aspettare il 2017. Inoltre qualcuno teme – anche qui i dati sono equivoci – che anche se la viremia è non rilevabile nel sangue, potrebbe non esserlo sempre nello sperma o nelle mucose anali. E poi c’è sempre il rischio di saltare qualche dose della terapia o di contrarre una IST proprio rinunciando al profilattico…

Se sei in una relazione con un uomo sieronegativo o semplicemente fai sesso con sieronegativi, sapere che, nelle condizioni esposte sopra, il rischio di trasmettere l’infezione è quasi nullo può essere un sollievo. Ma la decisione se usare o meno il preservativo può essere solo vostra. Noi pensiamo che continuare a usarlo sia comunque utile: saresti più sicuro, continueresti a proteggerti da alcune IST e, cosa secondo noi non secondaria, aiuteresti a diffondere una buona prassi – l’uso del preservativo, appunto – sempre più ignorata.

Undetectable ma col condom

Hai la viremia non rilevabile da tempo e nessuna IST? Se stai pensando di non usare il preservativo, ricorda che:

  • l’uso del profilattico praticamente azzera il rischio di trasmissione dell’Hiv;
  • è molto più difficile prendersi altre IST (come l’epatite C, che è una patologia molto grave) se usi il preservativo;
  • l’uso del profilattico previene anche i guai con la giustizia; eventuali accuse di lesioni o tentate lesioni personali da parte di un ex partner sieronegativo, infatti, crollerebbero immediatamente.

Plenaria di mercoledì 20, procede liscia fino alla seconda presentazione, di Anton Pozniak, sulla drammatica situazione relativa all’epidemia di TB che non accenna ad arrestare la sua marcia, quando viene interrotta da una ragazza che si alza e inizia un canto, subito seguita da altre decine di ragazzi e ragazze, adolescenti con cartelli scritti a mano protestano e chiedono condom nelle loro scuole e la possibilità di andare a scuola. Emerge che la mancanza di assorbenti fa perdere alle ragazze decine di giorni di scuola.
Solo 5 minuti di interruzione che definiscono la disattenzione che il Paese pone in problemi facilmente risolvibili, il tutto alla presenza del ministro sudafricano per la salute che spero si sia vergognato. Ora capisco perché il Global Village è murato di condom, o perché alla conferenza di Città del Messico negli ultimi giorni gli attivisti africani facevano razzia di condom in tutti gli stand. Sulla relazione di Pozniak, molto interessante, per non sovrappormi a quanto scriverà Giulio, mi limito a segnalare la sua soluzione per la TB, così come per HIV, le co-infezioni e le co-morbidità: $90 $90 $90. 90 dollari all’anno per il trattamento di HIV; 90 dollari all’anno per trattare HBV; 90 dollari per 12 settimane di trattamento di HCV. Ossia il costo dei trattamenti non deve più essere un tema, una denuncia fortissima in un continente che sopravvive pressoché solo grazie alle donazioni.
Chiaramente Pozniak ha ripreso gli obiettivi che si è data UNAids per porre fine all’epidemia di HIV: 90% delle persone HIV+ a conoscenza del loro stato, 90% delle persone con HIV in trattamento, 90% delle persone con HIV in trattamento efficace (soppressione virale raggiunta), il tutto entro il 2020… un obiettivo da nulla!

Vaccino, a che punto siamo?
Non voglio rischiare di sovrappormi a Giulio perché si è trattato di una presentazione con molti dati scientifici, per cui mi limito a dire che era un po’ che non assistevo a una presentazione tesa a fare il punto strano della situazione sui vaccini. Noto che le mie sensazioni a riguardo non sono cambiate: un mix di depressione per i piccoli passi avanti e i clamorosi passi indietro che sono stati fatti fin qui, ma anche di speranza e esaltazione per il lavoro che c’è da fare e le possibilità che si stanno aprendo. Purtroppo i risultati, anche solo per gli studi in corso, sono previsti nel 2020. Da li, forse, sarà possibile fare ragionamenti di più alto tenore.
Come già ha scritto Giulio, le conferenze mondiali Aids, diversamente da altre un po’ più scientifiche, hanno lo scopo di mettere insieme comunità di pazienti e medici\ricercatori per unire gli sforzi e tentare di vincere HIV. Spesso, quindi, le plenarie si trasformano in momenti di denuncia e/o di riscatto di situazioni drammatiche rispetto alle quali ben poco può la scienza. Molto potrebbe la politica che, come spesso avviene, è la vera assente di queste conferenze. E’ il caso dell’attivista gay HIV+ Michael Ighodaro. Vivere come gay in Nigeria, dove il tuo corpo, il tuo essere viene visto come un abominio e rischi la vita. Se sei gay sieropositivo e vivi in Nigeria, rischi la vita due volte. Il coraggio di un ragazzo che vive apertamente la propria condizione, che lavora

Michael Ighodaro
Michael Ighodaro

per una organizzazione che si occupa di MsM che vivono con HIV, lui che da giovane gay sieropositivo sta sferzando la conferenza dicendo basta a slogan vuoti, sta dicendo che è ora di fare qualcosa e sta anche dettando l’agenda, il cosa fare per avere davvero una generazione aids free: “io sono gay, sono nigeriano, sono un rifugiato a 22 anni. Il mio compagno è morto perché come gay non ha potuto avere accesso ai servizi. Se non potete darci altro che slogan vuoti, se non potete fare niente per risolvere queste situazioni, non avremo mai una generazione libera e senza hiv”. Ha dato una grande prova di coraggio, una grande prova di cosa vuol dire lottare come attivista, trovare il coraggio di denunciare una situazione insostenibile davanti a migliaia di persone, e ha definito una volta per tutte che la discriminazione e lo stigma aiutano la diffusione di HIV. La slide delle conclusioni di una presentazione precedente, chiudeva con il suggerimento “find a champion in your country, or be yourself one”. Michael il nigeriano ha preso alla lettera quella conclusione.

Il prof. Molina, il padre della Prep francese, ha iniziato la sua relazione sullo studio open label, una sorta di follow up del ipergay (il noto studio francese che ha acclarato l’efficacia della Prep), ma viene subito interrotto dall’ingresso di attivisti (sotto potete vedere alcuni momenti) che protestano per l’avidità delle case farmaceutiche; in particolare viene posto l’accento su Gilead, come potete vedere dai cartelli autoprodotti esposti, accusata di pensare solo al profitto e di essere troppo tiepida sul tema Prep (con Truvada). Non posso fare a meno di pensare che, al netto del pensiero pragmaticamente ovvio che le imprese farmaceutiche sono imprese, il loro obiettivo è fare soldi, in effetti Gilead sta dimostrando un disinteresse per la Prep con Truvada che a tratti trovo fastidioso. Sappiamo che Truvada è efficace, basterebbe poco per fare un “bel gesto” pur sapendo che il brevetto di Truvada è in scadenza, e fare la figura dei “buoni”. Cosa molto più utile, a mio avviso, di qualunque strategia commerciale, porterebbe maggior lustro a Gilead e, dunque, maggiori entrate.

Tornando al prof. Molina, come ho detto sopra, c’è poco da dire: lo studio open label ha ri-dimostrato l’efficacia sia del prodotto che della modalità di somministrazione (on demand). Ma ha anche evidenziato che le preoccupazioni dei soliti gufi si stanno dimostrando infondate. Le conclusioni di Molina non riportano significative variazioni nell’uso di condom, né un calo dell’aderenza al trattamento col passare del tempo. Viene confermato il dato del calo della paura di affrontare un rapporto sessuale con conseguente incremento del piacere per il rapporto in sé e non mi sembra un risultato irrilevante in termini di qualità della vita delle persone che vivono con HIV. Trova conferma dallo studio l’incremento delle IST, tema che secondo Molina deve essere affrontato. Non voglio in nessun modo sottovalutare il tema, penso che la possibilità di incremento delle infezioni a trasmissione sessuale ci dica come la PrEP vada erogata a un gruppo relativamente ristretto di persone ad alto rischio di contagio, come del resto previsto in tutti gli studi, previo counselling vero (non solo rapporto medico paziente) teso a comprendere a fondo le motivazioni di certe scelte e ad avere un supporto quanto meno prossimo alla relazione di aiuto. Come disse la signora Clinton alla conferenza di Washington “non c’è conferenza senza proteste”, oggi le sue parole hanno trovato conferma. Gli attivisti africani, forse perché hanno ancora il senso della vita che gli sfugge tra le mani, sono molto più attenti di noi e non ho avuto la sensazione che il gruppo degli MsM venga isolato\trascurato dalla comunità. Qui il tema del contagio incredibilmente altro fra i “Black MsM” è estremamente presente nelle attività che vedo al Global Village, con messaggi e campagne specificamente rivolti a loro. Non serve che dica che nulla di tutto ciò viene fatto in Italia dove la paura e l’ipocrisia la fanno da padrone.

Sandro Mattioli
Plus Onlus
Presidente

La partecipazione di Plus alla Conferenza Mondiale Aids 2016 a Durban, è stata resa possibile grazie a un contributo di ViiV Healthcare.

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Durante 58.000 rapporti sessuali senza preservativo con persone HIV positive in terapia e con carica virale non rilevabile, non c’è stato nessun caso di trasmissione del virus. Sono questi i risultati dello studio PARTNER appena pubblicati su JAMA, basati su quelli presentati al CROI nel 2014.

Essendo – immeritatamente – uno degli autori dello studio, vorrei fare alcune considerazioni. Questi risultati ci portano sempre più vicino alla certezza che le persone con HIV in terapia efficace non trasmettano l’infezione. Diciamo che per quanto riguarda i rapporti eterosessuali, la certezza è praticamente raggiunta; il margine di affidabilità del risultato “zero” ottenuto dallo studio PARTNER e da altri studi (come l’HPTN 052) è talmente buono che si può parlare di ragionevole certezza.

Esiste un margine più ampio per i rapporti anali che ci dice che l’affidabilità del “rischio zero” è meno stringente a causa del fatto – e solo a causa di ciò – che questi studi sono stati condotti su un numero più piccolo di persone. Anche per i rapporti anali non si sono osservate trasmissioni del virus da parte di persone con HIV in terapia efficace, ma siccome il numero di persone osservate è minore, il margine di incertezza (chiamato tecnicamente intervallo di confidenza) aumenta. Nello studio PARTNER, mentre per i rapporti vaginali il rischio al massimo potrebbe essere di una infezione ogni 333 anni di relazione sessuale, per i rapporti anali, invece, ne “basterebbero” 142 di anni di sesso in una coppia per avere un caso di infezione…

Perché questa differenza? Come dicevo prima, la differenza è dovuta soltanto al fatto che il campione osservato è più piccolo. Ma ci sono ragioni per pensare che il rischio nei rapporti anali sia maggiore? Alcuni sostengono che biologicamente il rapporto anale sarebbe più traumatico e quindi renderebbe più facile la trasmissione. Tuttavia ci deve essere un virus perché la trasmissione avvenga e siccome i dati finora ci mostrano che le persone sieropositive con carica virale non rilevabile non mostrano traccia di virus da trasmettere, sembra improbabile che siano in grado di trasmetterlo nei rapporti anali dal momento che si sono dimostrate incapaci di trasmetterlo nei rapporti vaginali.

È per questo motivo che, secondo gli autori dello studio PARTNER (me compreso), anche il rischio di trasmissione nei rapporti anali con persone HIV positive che prendono efficacemente e regolarmente la terapia è presumibilmente zero: ma siccome la scienza non si fa con le presunzioni, servono più dati per confermare questo dato. Infatti, lo studio PARTNER prosegue arruolando solo coppie omosessuali maschili (sempre con la caratteristica che uno dei due sia HIV-positivo e l’altro no, che il partner sieropositivo sia in terapia con carica virale inferiore alle 200 copie e che i due partner abbiano deciso autonomamente di non usare sempre il preservativo nei rapporti sessuali). Lo chiamiamo PARTNER 2 e cerca partecipanti anche in Italia (precisamente a Milano, Modena, Genova, Roma, Catania; maggiori informazioni anche sulla pagina Facebook Partner Study Italia). Da un punto di vista strettamente scientifico, i dati dello studio PARTNER 2 sono la base necessaria per poter affermare definitivamente che anche nel caso di rapporto anale il rischio di trasmissione non c’è. Tuttavia gli autori dello studio ritengono che questi dati siano sufficientemente robusti per poter dire che nel caso di rapporti sessuali con persone HIV positive che siano in terapia e abbiano una carica virale stabilmente non rilevabile, l’uso del preservativo per evitare di contrarre l’infezione non è necessario. La raccomandazione all’uso del preservativo, infatti, non è contenuta nella pagina di domande e risposte che gli autori hanno predisposto per presentare con un linguaggio accessibile i risultati dello studio. In altre parole, i risultati dello studio PARTNER confermano che le persone con HIV in terapia e viremia undetectable non sono infettive, cioè non possono trasmettere il virus, e quindi fare sesso senza condom con loro è sicuro dal punto di vista del rischio di trasmissione dell’HIV.

Mi rendo conto che questo è un messaggio che in molti considerano “forte”. Ma i dati sono ampiamente affidabili. E se non credete che il dato sui rapporti anali sia sufficientemente affidabile, aiutateci a trovare uomini omosessuali in coppia sierodiscordante (con un partner HIV+ in terapia e l’altro HIV-) che abbiano deciso di non usare sempre il preservativo e che siano disposti a partecipare allo studio PARTNER 2.

autore: Giulio Maria Corbelli, vice-presidente Plus onlus e membro del comitato esecutivo dello studio PARTNER

Positivo sano libero_GorgPaolo Gorgoni è un volontario di Plus, membro del direttivo dell’associazione. Come molti di noi è abituato a metterci la faccia e ad affrontare di petto i temi che ci stanno a cuore. Lo fa da persona omosessuale e sieropositiva.

Paolo vive a Lisbona, la stessa città dove nel 2009 è stato vittima di una vile aggressione a colpi di spranga. Nel verbale stilato dalla polizia lusitana non apparve la parola «omofobia».

Di recente, Paolo è stato bersagliato da parole gravissime. È cominciato tutto su facebook, all’interno di un gruppo per italiani a Lisbona. Dopo aver segnalato alla piattaforma un post dai contenuti inaccettabili, Paolo è stato espulso dal gruppo. Il post è rimasto.

Dopo questo antefatto, una sequela di offese e intimidazioni, pubbliche e in privato, ai danni del nostro volontario. Conoscenti iscritti al detto gruppo gli hanno inviato screenshot di conversazioni on line dove la sua immagine è stata messa accanto a corpi impiccati e immagini di tortura.

Paolo si è di nuovo rivolto alla polizia, che dopo aver minimizzato forse aprirà un’indagine. Amici di Paolo iscritti alla stessa università presso la quale lavorerebbe la persona che ha dato il via a questa catena di insulti hanno scritto al rettore denunciando l’accaduto. Paolo sarebbe stato infatti minacciato di morte da un ricercatore.

Plus si stringe compatta attorno al proprio volontario e chiede con forza la solidarietà di tutto il movimento LGBT+ italiano.

Siamo stanchi di leggere tra le righe di tanti episodi di violenza – fisica e psicologica – l’impressione che le persone gay siano sacrificabili, figlie di qualche oscura divinità minore. Siamo stanchi e incazzati. L’omofobia va fermata prima che si tramuti in lividi e ferite. Va disinnescata prima. Va estirpata. Paolo, e tutte le persone nel mirino di aggressioni omofobiche, non possono restare sole.

Sandro Mattioli
Plus Onlus
Presidente

Banner_Pride_WEB_A_MPlus ha un canale youtube con video vecchi e nuovi inerenti alle nostre attività sia come associazione LGBT, sia come BLQ Checkpoint. Gli special guest non mancano.

Dateci un occhio, abbonatevi e se conoscete altri video che ci riguardano, segnalateceli!

https://www.youtube.com/channel/UCDznk0toOFZOqmHGQtrwLRA

PrepineuropeCosa pensi di una pillola per prevenire l’HIV? Un grande sondaggio europeo, lanciato in 11 paesi diversi, raccoglie le opinioni dei potenziali utilizzatori della PrEP su questo nuovo strumento di prevenzione purtroppo non ancora disponibile in Italia (potrebbe esserlo a partire dal prossimo anno). Si chiama “Flash! PrEP in Europe” e consiste in un questionario online anonimo che richiede 15-20 minuti del vostro tempo per la compilazione.

Il questionario si trova all’indirizzo http://tinyurl.com/prepineurope e si possono trovare informazioni anche sulla pagina Facebook http://fb.me/flashprepineurope.
Plus Onlus, insieme a Lila Milano, ha tradotto e sostiene la diffusione del questionario in Italia. Le risposte serviranno per meglio informare le strategie di accesso alla PrEP nei nostri paesi.

Banner_Pride_WEB_B_MAl Bologna Pride 2016 Plus mette al centro la salute. I volontari plussiani sfileranno orgogliosi come sempre, indossando una maglietta che recita Positivo, sano, libero.

L’anno scorso, la campagna ideata da Plus in occasione del Pride era centrata sulla non contagiosità delle persone sieropositive in terapia efficace: Positivo ma non infettivo. La prima campagna italiana a fare della TasP (il trattamento come prevenzione) una bandiera politica, un grimaldello antistigma.

Quest’anno gli aggettivi sono tre e oltre a “positivo”, alla constatazione serena del proprio stato sierologico, si parla di salute e libertà. Riappropriandosi in chiave non solo fiera, ma anche fattuale, di due ambiti considerati troppo spesso appannaggio esclusivo delle persone sieronegative.

Sei sano? – si legge spesso in chat. Vivere con hiv al giorno d’oggi significa molto spesso essere clinicamente sani, o potervi tranquillamente ambire. Così come i passi avanti della ricerca scientifica consentono a una persona sieropositiva di non trasmettere il virus, l’efficacia del trattamento permette di spezzare la concordanza tra infezione e malattia. La sporcizia e l’infermità appartengono solo al linguaggio di chi discrimina.

Un’infezione cronica non è sinonimo di malattia, anzi. E non è neppure sinonimo di schiavitù nei confronti di farmaci e ospedali. Lo spread tra la qualità della vita di una persona sieropositiva e una sieronegativa si è ormai ridotto ai minimi termini, come quello tra le due aspettative di vita.

Ed è come persone orgogliosamente positive, sane e libere che i volontari di Plus scendono in piazza il 25 giugno insieme all’intero movimento LGBTQI, a fianco delle associazioni con le quali è nata una sinergia speciale: Arcilesbica Bologna, Uni Lgbt, RED, Bugs, Boga sport.