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Anche alla conferenza di Glasgow è stato affrontato il tema dei farmaci iniettivi o non iniettivi a lunga durata. Sono stati presentati alcuni aggiornamenti per il trattamento in persone con viremia soppressa. In effetti ormai diversi studi a livello globale hanno dimostrato che per alcune persone assumere la terapia ogni giorno è un problema. Lo studio “Positive perspective 2” è stato uno dei più grandi studi a livello mondiale su HIV, che ha coinvolto oltre 2.300 persone con HIV maggiorenni, da 25 Paesi. Dallo studio è emerso che il 58% del campione maschera o nasconde l’assunzione della terapia per evitare di rivelare lo stato sierologico; il 58% ritiene che prendere le pillole ogni giorno sia un promemoria del proprio stato sierologico, il 33% si sente stressato o ansioso perché si deve ricordare di prendere le pillole.

Lo so, per qualcuna delle persone veterane della lotta contro HIV potrebbero sembrare sciocchezze, ma non lo sono. Anche chi vi scrive ha provato i long acting iniettivi proprio sulla scorta del pensiero che prendere la pillola tutti i giorni mi ricorda l’HIV. Non sarà una cosa vitale, ma se ci fosse la possibilità di ovviare al problema, perché no?
Poi sono tornato alla terapia orale a causa di un effetto collaterale per me fastidioso, anche se non importante.

Anche io, come la relatrice, penso che cabotegravir+rilpivirina possa aiutare, e lo pensano anche le principali linee guida internazionali che fra il 2020 (IAS) e il 2022 (DHHS) hanno definito i passaggi a questo regime che, come sicuramente ormai saprete, prevede 2 iniezioni ogni 2 mesi ossia 12 iniezioni intramuscolo all’anno (e non 6 come ha scritto la relatrice). Zeri i dubbi sull’efficacia del trattamento, tutti gli studi (Atlas, Carisel, Solar, Cares) hanno avuto risultati simili con efficacia tendenzialmente sopra il 90% con punte del 96% (Cares) e fallimenti virologi molto bassi, tendenzialmente sotto l’1%. Lo studio Cares ha attirato la mia attenzione perché ha arruolato per il 58% donne, si è tenuto in Uganda e Sud Africa, quindi in una situazione di endemia. Ovviamente il 99% erano donne nere, con una media di 8 anni di terapia e tutto con viremia <50. Come d’uso lo studio prevedeva un braccio con ART orale (257) e uno con long acting (255).

Nel braccio con LA solo 2 persone su 255 (0,8%) hanno avuto un fallimento virologico per cui un’alta efficacia e, dai PROs somministrati è emersa una elevata soddisfazione delle pazienti.

È stato presentato anche un piccolo ma interessante studio che ha arruolato 140 adolescenti fra i 12 e i 18 anni, con un peso di almeno 35 Kg, non c’è stato nessun fallimento virologico, la concentrazione del farmaco è risultata simile a quella degli adulti e tutti i 140 arruolati hanno espresso netta preferenza per gli iniettivi LA, rispetto all’assunzione quotidiana.

Inoltre, è stata presentata un’analisi multivariata che ha individuato dei fattori di rischio al basale in grado di predire un fallimento virologico come, per esempio, un alto BMI (indice di massa corporea).
Viene perfino presentato uno studio inglese sulla distribuzione dei LA iniettivi in clinica e presso i centri di comunità (LANA).
Lo stesso tipo di studio che abbiamo cercato di effettuare anche noi di Plus ma che ViiV Italia, con vari espedienti, ha messo nelle condizioni di chiudere prima ancora che partisse, dimostrando poca lungimiranza sugli problemi logistico-organizzativi che gli ospedali affrontano come possono e che i centri community-based sicuramente avrebbero risolto diversamente con felicità dei pazienti e di chi avrebbe potuto incrementare il business, mentre ora piange miseria verosimilmente per aver sovrastimato le potenziali vendite del farmaco LA. I dati raccolti indicano chela distribuzione in un setting di comunità è fattibile, accettabile e appropriata per il 44-47% dei partecipanti. In altre parole avremmo potuto dare una mano ad alleggerire il super lavoro dei centri clinici.

Quindi? Tutto ok? Ovviamente no, occorre proseguire su questa strada perché c’è spazio di miglioramento, per esempio:
• Una agevole autosomministrazione a casa
• Ridurre il numero di iniezioni
• Maggiori indicazioni sui pazienti con viremia (barriera genetica più alta).

In effetti quanto sopra è stato studiato su pazienti undetectable. Che succede a chi ha la viremia >50? Ne ha parlato la relatrice Monica Gandhi della UCSF che ha iniziato analizzando quali sono le sfide relative all’aderenza terapeutica (si perché nelle conferenze sono ancora tutti convinti che i long acting vengono dati a chi è poco aderente, non come da noi che vengono dati solo a chi è super aderente, nel senso che arriva puntuale alla visita) e perché alcuni pazienti vanno incontro al fallimento virologico. Ovviamente le terapie funzionano se assunte e pure correttamente, tutte, anche la ART.
Dunque quali sono i fattori che espongono al rischio di fallimento virologico?
• Dimenticare di prendere le pillole
• Essere lontano da casa
• Cambiamenti nella routine quotidiana
• Depressione
• Abuso di alcol/sostanze
• Stigma
• Sentirsi male
• Lontananza dalla clinica
• Scorte esaurite
Ma possiamo aggiungere barriere strutturali come la non fissa dimora o instabilità abitativa, la povertà, l’accesso ai trasporti. Sta di fatto che ogni 100 persone diagnosticate nel 2022 negli USA, solo il 65% è ancora undetectable.

A livello mondiale, il 79% degli adulti resta soppresso a 1 anno, dato che scende al 65% a tre anni. Nei bambini/adolescenti in ART, il 36% di soppressi dopo 1 anno, 24% a 3 anni (HAN, Lancet HIV 2021).
A questo si aggiungono i dati di UNAIDS del 2024 che non sono buoni e portano a chiedersi se gli obiettivi per il 2030 siano realistici:
• 39,9 milioni di persone con HIV, la Russia non comprare nel dato per cui verosimilmente sono oltre 40 milioni
• 1,3 milioni di nuove diagnosi lo scorso anno, lo stesso numero del 2022
• 630.000 morti lo scorso anno, stesso dato del 2022
• 43,3 milioni i morti dall’inizio dell’epidemia e 88,4 milioni di infezioni
• Solo il 77% è in ART, il 72% undetectable
Stigma, incremento del sentimento anti-LGBTQ, perdita dell’8% nei finanziamenti dal 2020-23 giocano un ruolo.


In questo quadro i Long Acting potrebbero dare una mano con l’aderenza e sarebbero una sfida anche in altri campi come il trattamento delle patologie psichiatriche (il trattamento antipsicotico nei pazienti con schizofrenia), nella contraccezione (contraccezione long acting… altra cosa che in Italia la vedrei facile) o il naltrexone long acting per la dipendenza dall’alcol.
Chissà, magari fare rete per un obiettivo comune è chiedere molto mi rendo conto.
Tornando ai long acting per HIV, ormai ci sono dati consolidati sulla efficacia, tutti gli studi confermano valori molto bassi di fallimento virologico ma pressoché tutti rimandano che quei pochi sviluppano resistenze. Per fare un esempio, lo studio ATLAS riporta che su 522 pazienti, alla settimana 152 “solo” 12, il 2,3% ha fallito la terapia, ma di questi 11 hanno sviluppato resistenze al farmaco.
Invece il famoso lenacapavir di Gilead è stato valutato nello studio CAPELLA per quanto riguarda efficacia e sicurezza. Si tratta sempre di LA iniettivo sottocutaneo in paziente viremici, multi trattati, con numerose resistenze… come dire, nella disperazione proviamo anche quello nuovo. I dati non sono definitivi (settimana 104) ma sembra che il farmaco se la stia cavando bene anche in presenza di mutazioni.

Si è parlato dello studio ARTISTRY-1 che mette insieme bictegravir e lenacapavir in pillole su persone con viremia >50 che sembra stia funzionando, anche se è ancora presto per dirlo con certezza, ma che da un senso all’ipotesi di una combinazione di lenacapavir e cabotegravir… figuriamoci! Sono farmaci di 2 imprese strenuamente concorrenti, riusciranno mai a trovare un equilibrio per il bene dei pazienti?

Tuttavia la cosa intriga, la dott.ssa Gandhi di cui sopra, ma messo insieme questa “case series” di pazienti che usano una combinazione di lenacapavir e cabotegravir long acting e, naturalmente, ne ha fatto una pubblicazione con l’idea di stimolare la nascita di uno studio con particolare riguardo a chi ha una resistenza agli NNRTI. Speriamo bene anzi a dire il vero qualcosa si sta muovendo perché la Gandhi ha annunciato che lo studio ACTG A5431 sui due long acting sia stato finalmente approvato. Ovviamente è solo un piccolo studio su 38 persone che devono essere

• viremiche
• resistenti agli NNRTI
• con problemi di aderenza con la ART orale.

La speranza è che lo studio ACTG apra le porte a un grande trial.
Chiudo citando che anche le pillole stanno reagendo allo strapotere dei LA iniettivi. Sta arrivano la pillola da una volta a settimana con islatravir e lenacapavir per ora in pazienti undetectable, siamo ancora alla fase di studio sull’efficacia e la sicurezza ma sembra che si stia comportando bene.

Sandro Mattioli
Plus aps

La plenaria di oggi si chiama così… francamente non ho capito il motivo ma va bene lo stesso.
Il focus della plenary sono stati gli anticorpi neutralizzanti per cui faticosissima, almeno per me.
Tuttavia i relatori sono stati bravi, hanno cercato di spiegare perché puntare su questi “piccoletti”, cosa sono e come funzionano.
La prima relazione dal titolo “Discovery an HIV vaccine: the quest continues”, è stata tenuta da Eunice Nduati responsabile di un bellissimo programma di ricerca del Kenya.
Ha iniziato spiegando le sfide che pone HIV,

  • la variabilità di HIV è molto ampia e continua a crescere
  • fin dall’inizio dell’infezione HIV si integra nel genoma dell’ospite e diventa invisibile per il sistema immunitario

Cose che bene o male conosciamo.
Sfide per l’organismo ospite:

  • gli anticorpi neutralizzanti (bnAbs) hanno caratteristiche insolite.

Questi tratti insoliti sono sfavoriti dal sistema di regolazione immunitaria dell’ospite; durante la replicazione virale, il virus è densamente ricoperto dai polimeri a base di carboidrati dell’ospite che sono scarsamente immunogenici e occludono importanti epitopi, ossia parti di antigeni bersaglio degli anticorpi, con il risultato che HIV va avanti per la sua strada.

I tentativi di trovare una via per realizzare un vaccino sono stati molti negli anni a partire dal 2003, rigorosamente falliti uno dopo l’altro. Tuttavia anche grazie ai fallimenti si è potuto dimostrare che di bnAbs possono proteggere contro HIV. Un po’ come avviene per i farmaci, anche per gli bnAbs sono necessarie più classi di bnAbs perché funzionino e un titolo vaccinale sostenuto per una protezione duratura.

Gli bnAbs sono naturalmente presenti nel corpo umano, ma ci mettono una vita a maturare. Inoltre, per quanto coprano una vasta gamma di infezioni, devono essere correttamente selezionati. Quindi occorre un processo, possibilmente rapido, di selezione e maturazione.
Questa cosetta è resa possibile grazie a un percorso complesso, costoso, lungo 10 anni di studi che sono passati per la scoperta degli bnAbs, capirne la struttura biologica e l’interazione antigene-anticorpi, la realizzazione della famosa piattaforma mRNA ha accelerato e facilitato l’interazione, le tecnologie basate su AI, gli studi su differenti popolazioni, la disponibilità di modelli animali da poter confrontare con le sperimentazioni umane. Tutto questo dovrebbe portare a una risposta anticorpale umana contro HIV.

Bei passi in avanti. Laggiù in fondo al tunnel mi sembra di intravvedere una lucciola. Tuttavia per ora continuo ad arredare il tunnel.

La relazione successiva, curata da Elena Giorgi – F. Hutch Cancer Center – ha affrontato il tema dell’envelope ossia l’involucro che racchiude HIV. Questa è la parte che più muta del virus e, quindi molto sfuggente.
I clade, ossia i sottotipi virali, già di suo sono parecchi e in più ognuno di essi si suddivide in una miriade di si variazione che vanno incrementandosi negli anni. L’immagine rende abbastanza l’idea: i puntini rappresentano le diversificazioni dell’envelope negli anni per il solo sottotipo B piuttosto comune negli USA.
Per capirci, molta differenziazione significa molte mutazione e, quindi, molte resistenze. Sequenziare e studiare queste differenze aiutano gli studi futuri sui vaccini che ovviamente devono tenere conto di tutta questa variabilità.

Lo ammetto, non sono riuscito a far entrare nemmeno una delle associazioni che hanno protestato ieri. Tuttavia, quando ho letto che la dott.ssa Sharonann Lync – Georgetown University – avrebbe tenuto una lecture in plenaria sulle questioni economiche, le patenti, i fondi e la sostenibilità, l’ho avvicinata. Che ho da perdere? Una signora, penso, della community, che mi guarda e mi risponde: of course I’ll do. Aveva già aggiunto una slide, con mio grande piacere.
La Lync affronta di petto il tema di ciò che accade dopo che gli studi hanno avuto successo, perché agli enti regolatori non interessa sapere quanto hai speso per quel successo, gli interessa sapere quanto gli costa quel successo. In più ci sono le normative, le licenze, la sostenibilità, l’accesso, il personale, la logistica. ecc. tutti temi che, se non adeguatamente affrontati, comportano forti ritardi nella disponibilità del prodotto… e, aggiungo io, persone che si contagiano.

E parte in quarta con l’esempio del costo della della PrEP.

Negli USA la PrEP orale costa circa 40$, quella iniettiva CAB circa 180$, quella con lenacapavir non si sa ma verosimilmente costerà parecchio di più. I costi alti, la complessità di gestione alta, la community tenuta fuori, ecc. lasciano la scienza fuori dai confini del Paese.
E poi bam ecco la slide promessa. Testato in Africa, usato in Sud America, come va a finire il farmaco miracoloso contro HIV (si riferisce a lenacapavir)? Va a finire che le persone trans le comunità indigene si sono prestate alla sperimentazione, banalmente perché cubano percentuali di incidenze altissime in Perù, e poi questo Paese si ritrova escluso dalle licenze gratis o a costi estremamente ridotti.
C’è da dire che il numero di persone, 800.000, indicato da Zimbabwe perché inizino al PrEP è superiore all’intera fornitura di CAB LA disponibile nel 2025. Il nuovo farmaco di Gilead è stato presentato come miracoloso e l’aspettativa è alta, così come saranno alte la richiesta di copertura e i costi. Il tema di chi si dovrà far carico di tali costi dovrà essere affrontato quanto prima. Di sicuro non lo potrà fare quella signora con la maglietta gialla.

Un commento sull’immobilismo di IAS lo voglio fare. Sicuramente le comunità indigene in Perù non sono trattate con umanità. Faticano ad avere accesso alla sanità pubblica o anche semplicemente in considerazione. Capisco che IAS non abbia ruolo per prendere posizione contro il Governo del Perù. Tuttavia la signora con la maglietta gialla non stava protestando perché il suo Governo lascia che muoia, protestata perché Gilead ha escluso il Perù dalla licenza per lenacapavir dopo che la sua comunità si era spersa per partecipare allo studio.
Capisco che se IAS organizza diverse conferenze all’anno e che Gilead è uno sponsor, ma farvi strozzare il cuore dai cordoni della borsa è davvero inaccettabile.
Uno slogan di IAS che campeggia da tempo negli schermi delle sue conferenze è put people first, mettere al centro le persone, lo potete vedere nella foto di fianco. Forse IAS pensa che la comunità indigena del Perù sia composta da paracarri non da persone, forse la signora in giallo non aveva la maglietta giusta non lo so, ma aveva più diritto lei di entrare e dire cosa succede a tutti che non i dirigenti di IAS. Più che “back in the future” mi sembra che “stay in the past” sarebbe stato più adatto.

Sandro Mattioli
Plus aps

HIVR4P, che sta per research for prevention, è una conferenza dedicata alla prevenzione che la IAS organizza ormai da qualche anno. Quest’anno è la volta di Lima che ci ospita nel Westin Congress Center. Un luogo non molto adatto a questo tipo di conferenze che ospitano molte persone, soprattutto dal cosiddetto “terzo mondo” che usa questi eventi per rivedersi, parlarsi, scambiare pareri e best pratices. Il centro congressi è pensato per i contenuti: grandi sale piene di gente e piccoli corridoi o spazi dove parlarsi.
Detto questo le sale sono molto grandi e molto ben organizzate.

Se si parla di prevenzione è ovvio che si cominci con i vaccini. Vi dico subito, niente di eclatante! Del resto se qualcuno avesse scoperto un vaccino, verosimilmente saremmo al CROI non a HIVR4P, perché la scienza vive anche di palcoscenici oltre che di fondi.
Tornando al vaccino, le strategie vaccinali puntano molto sugli anticorpi neutralizzanti. Siamo ancora nella fase che ricerca la conferma della teoria, nella fase delle sfide, dei test su modelli animali, il che vuol dire che abbiamo ormai centinaia di topi transgenici immunizzati che, probabilmente, non si contageranno con HIV… forse. I modelli e gli approcci sono ancora vari, ma da ciò che ho ascoltato e credo di aver capito, sono argomento complicatissimi per un povero attivista, molte speranze sono riposte in questo tipo di anticorpi che, in effetti, iniziano a dare risultati interessanti in termini di immunizzazione. Non per caso hanno preso piede studi per capire quanto a lungo dura tale immunizzazione. Per ora sembra ancora un tasto dolente se devo dar retta alle curve di protezione che potete vedere nella foto: altissime nel periodo immediatamente successivo all’esposizione al vaccino, ma che crollano dopo relativamente poco tempo. Tutti ricordiamo i tempi di vaccinazione del virus del covid, tempistiche hanno innervosito molte persone e fatto perdere fiducia nelle reali capacità di tutela del prodotto. Quindi anche quelli di durata sono studi importanti. Personalmente vorrei vedere prima delle percentuali di immunizzazione più alte.

Ça va sans dire che anche la PrEP è uno dei temi centrali della conferenza e anche in queste fasi iniziali se ne sta parlando molto. In particolare sono state interessanti le esperienze portate da attivisti di Zambia e Perù. Entrambi lamentano ritardi nell’approvazione, difficoltà da parte delle autorità sanitarie nel farsi carico di questa sfida (ma anche opportunità visti i risultati!), ecc. Dal loro punto di vista è assolutamente comprensibile, ma non ho potuto fare a meno di pensare che Zambia e Perù sono Paesi poveri, senza grandi possibilità di investimento in termini di promozione di questo strumento di prevenzione molto efficace ma, ciò nonostante, hanno portato dati spesso più advanced di quelli italiani.

Zambia per esempio, ha introdotto la PrEP orale nel 2017 con uno studio pilota, nel 2018 la PrEP è stata inclusa nelle linee guida del Paese. In Italia PrEP è stata approvata (solo per chi poteva pagarsela a 60€ al mese) a ottobre 2017, non so se notate la similitudine. Nel 2023 è stata posta in carico al SSN.
Nel 2023, Zambia introduce la PrEP long acting iniettiva con Cabotegravir. In Italia credo che sia stata approvata quest’anno (2024) ma in merito al costo Aifa sta ancora discutendone per cui ancora non è disponibile, il tutto nel sostanziale silenzio delle associazioni.
Zambia oggi ha presentato i dati di raffronto fra PrEP orale e iniettiva fra (febbraio-settembre 2024). In effetti “solo” il 17% usa PrEP iniettiva contro l’83% di PrEP orale, ma intanto hanno prodotto dati cosa che in Italia è in carico al Terzo Settore o qualche studio di coorte, niente di ufficiale e comunque solo di PrEP orale ovviamente.

In Perù invece, la situazione è peggiore. L’attivista peruviano ha denunciato problemi di sistema all’accesso alla PrEP ed ha proposto una road map fatta di decentralizzazione dei servizi PrEP, campagne sui social media, formare gli health care provider sulle linee guida della PrEP, incorporare la PrEP iniettiva long acting con cabotegravir… per la serie ormai che ci siamo.

Nuovamente… nel nostro Paese potrebbe avere senso copiare quella road map stante che la PrEP da noi è erogabile (gratuitamente) solo nelle farmacie ospedaliere e solo da medici infettivologi (che poi lamentano il fatto che hanno troppe persone da seguire, ma in molti casi sono i primi ad avere difficoltà con la decentralizzazione), campagne pubbliche sui media non ne ho mai viste… è facile pensare che non ci sia la volontà politica di farla (perché si sa che chi usa la PrEP lo fa per far sesso senza preservativo), le linee guida italiane sono lontane dall’essere aggiornate e la formazione su di essere sarebbe verosimilmente priva di significato.
In sintesi il nostro ricco industrializzato Paese, membro del G7, ecc. se la gioca coi Paesi nella fascia a basso reddito e non certo perché ci mancano i soldi, perché in realtà da noi pesa l’approccio culturale cattolico che vede il sesso, e tutto ciò che gli gira intorno, come un tabù. È sufficiente vedere il livello di discussione sull’interruzione di gravidanza, sui contraccettivi, sulla pillola del giorno dopo, sullo stesso piano dei ragionamenti discriminatori che ancora vediamo su PrEP o su U=U.

A seguire un interessante quanto lungo simposio organizzato da ViiV dove si è parlato di una mezza dozzina di studi di implementazione di cabotegravir long acting (CAB LA) come PrEP. Buona parte degli studi arrivavano dall’Africa, ma anche dall’America Latina così come dagli USA e riguardavano gruppi di popolazione particolari: dalle giovani donne agli uomini che si spostano frequentemente per lavoro. Qualche persona ignorante in Italia avrebbe detto categorie a rischio, ma sono lieto di dire che a nessuno qui sarebbe venuta mai in mente questa favola. Il simposio è stato interessante perché ha mostrato come i vari studi hanno trovato varie soluzioni ai problemi territoriali o delle varie popolazioni coinvolte. Ma, dal mio punto di visto, ha mostrato chiaramente quale sia la politica di ViiV international sul tema della PrEP con CAB LA che viene portato avanti con forza, coinvolgendo le popolazioni esposte al rischio, aiutando e sostenendo i progetti di implementazione del CAB.

Mi chiedo se ViiV Italia sia stata messa a conoscenza di questa impostazione perché mi sembra che segua una logica politica tutta sua. Da qualche tempo in qua infatti, ViiV Italia sembra aver smesso di mettere al centro pazienti e PrEP user, non sembra particolarmente interessata all’aiuto delle associazioni e sta facendo approvare CAB LA come PrEP in totale solitudine, senza nemmeno tenere informate le associazioni dei progressi fin qui fatti, senza sostenere progetti di implementazione portati alla sua attenzione né su CAB LA usato come terapia contro HIV né come prevenzione dell’HIV. La direttrice medica ha semplicemente risposto no o addirittura creato problemi che hanno portato anche noi di Plus a smettere di presentare progetti tesi a implementare CAB LA iniettivo.

Questo modo di comportarsi, completamente al di fuori delle linee politiche di ViiV global ma anche in totale controtendenza rispetto al comportamento tenuto da ViiV Italia fino a pochi anni or sono, non si sta dimostrando efficace ed è servito solo a peggiorare i rapporti con le associazioni o, meglio, con alcune di esse, quelle meno disposte a vedere rovinati anni di buoni rapporti.

Detto questo vorrei anche stigmatizzare un altro fatto: mentre noi delegati brindavamo con il vino offerto da IAS, davanti al palazzo della conferenza la comunità indigena del Perù stava protestando perché Gilead avrebbe escluso il Perù dalle patenti gratis per lenacapavir. Non ho idea di quali siano stati i criteri di scelta di Gilead, in genere si dovrebbe guardare al pil e non mi pare che il Perù sia particolarmente ricco, in compenso la popolazione del Perù ha partecipato a diversi studi sul vaccino mosaico, sugli anticorpi neutralizzanti e anche su lenacapavir e ora viene ripagato in questo modo. Come se non bastasse gli attivisti hanno spiegato a me e a un dirigente della conferenza che la IAS ha chiesto loro di iscriversi per partecipare alla conferenza ad un prezzo di 730 USD, l’equivalente di 3 mesi di stipendio medio di un peruviano. Cifra irraggiungibile per la comunità indigena che vive alla giornata.

A fianco un gruppo di donne trans a protestare per ragioni simili. “mi hanno preso il sangue per tanti studi” – mi da spiegato un’attivista di Lesly dell’associazione Feminas – “ora mi sento come un topo da laboratorio. Abbiamo aiutato e per noi non cambia niente” e verosimilmente finito lo studio non avranno accesso ai farmaci che hanno contribuito a validare.

Tutto questo sull’avenida, per la strada perché non hanno l’autorizzazione di IAS a entrare per protestare sul palco.

Io sono basito! Alla conferenza mondiale AIDS di Montreal la comunità indigena è stata l’anima della conferenza. A quanto sembra per IAS questi sono indigeni meno degni e questo è inaccettabile. So bene di non essere una persona importante, ma sono pur sempre un membro di IAS e farò quello che posso per far si che queste associazioni possano dire la loro dal palco. Del resto è stata Hillary Clinton a dire che non c’è conferenza senza proteste.

La plenaria di inaugurazione ufficiale della conferenza inizia alle 16 e si trascina senza particolare entusiasmo, fino alla presentazione di Anne Philpott dal titolo Put Pleasure into Prevention.

Anne, che ha entusiasmato il pubblico, prima di iniziare la sua lecture tira fuori da una borsetta un femidom e lo apre presentandolo come un nuovo oggetto di piacere sessuale. Lo tira, lo stringe, lo tocca con fare erotico. Ci spiega che può essere inserito nella vagina, per chi ne ha una, o nell’anno. Quando metti la parte interna l’anello incomincia a muoversi e toccare qua e la, anche solo camminare diventa un piacere… si perché può essere inserito alcune ore prima del sesso. E poi c’è la parte esterna che va a toccare la clitoride, nulla vi vieta di toccarla anche voi ovviamente, e ancora di più va toccare la clitoride durante il sesso (con un uomo).

Una promo fantastica di ciò che ci attende con la sua presentazione. Finalmente qualcuno che parla di piacere sessuale, che dice che il sesso si fa principalmente per quello poi si è possibile anche la parte riproduttiva, l’intimità, l’amore, ma principalmente si fa per il piacere.

Ovviamente ha parlato in termini scientifici anche dei problemi che possono arrivare con i rapporti sessuali a partire dalle STI, ma ribaltando completamente la prospettiva appunto perché la base di ragionamento era il piacere. La ricerca del piacere sessuale è una delle basi fondanti di Plus. Il sesso è stato un problema per le persone MSM da decenni terrorizzate dal contagio. Plus fin dall’inizio ha cercato di smontare l’idea vetero cattolica del sesso come qualcosa di brutto, sporco, cattivo e pericoloso e ripartire dall’idea del piacere sessuale. Che è poi quello che abbiamo fatto come movimento di rivoluzione sessuale in epoca pre-HIV. La dottoressa Philpott è stata fenomenale e dobbiamo trovare il modo di farla venire in Italia a rompere qualche schema.

Sandro Mattioli
Plus aps