Il DDL sulle unioni civili per le persone omosessuali approvato di recente al Senato e che attende di essere esaminato alla Camera, va analizzato con attenzione nell’interesse delle persone omosessuali e del proseguimento della lotta del Movimento LGBT italiano verso il raggiungimento dell’unico obiettivo che può realmente garantire la pienezza dei diritti: il Matrimonio Egualitario.
Percorso analogo a quello avvenuto nella maggior parte dell’Europa, delle Americhe, con avanguardie anche in Africa e Oceania. Per cercare di rendere un buon servizio alle persone LGBT, ci siamo rivolti a Marco Gattuso, Giudice del Tribunale di Bologna, direttore di “Articolo 29” (www.articolo29.it) e della rivista giuridica Genius.
Offriamo l’intervista che ne è scaturita, clicca qui per scaricare l’opuscolo, quale strumento utile alla comprensione e alla riflessione di ogni persona, nella speranza che possa esservi di aiuto per la realizzazione della pienezza della vostra vita.
E va bene provo a dire la mia sui diritti omosessuali, spinto dagli articoli apparsi sul quotidiano La Stampa e, soprattutto, dalla linea editoriale scelta dal quotidiano ossia quella di non scegliere. Tipica della stampa italiana che da tempo ha scelto di smettere di fare il proprio mestiere: fare cultura, far crescere la capacità della scatola cranica degli italiani infondendo il dubbio e la capacità critica. La Stampa ha posto un articolo di Emanuele Felice di fianco a quello di Franco Garelli. Uno pro e uno meno pro, per non dire contro. Linea editoriale in stile un colpo al cerchio e uno alla moglie ubriaca (cit.)
Emanuele Felice scrive un buon articolo, forse leggermente troppo di cuore, ma buono, dal titolo “Italia ultima sui diritti per colpa della politica”. Buono nel senso che descrive lo stato di fatto del nostro paese. Un luogo dove le persone omosessuali faticano a vivere e dal quale spesso emigrano. In effetti basta attraversale le Alpi e voilà: diritti e matrimoni si sprecano. Ma non è solo questo. “Qui a Madrid, l’aria che si respira è diversa…” ricordo ancora le parole testuali di uno dei miei tanti amici, omosessuali come me, che hanno abbandonato l’Italia (e non sempre per vivere in un Paese più ricco), stanchi di vivere e respirare discriminazione quotidiana in qualsivoglia ambiente: dallo sport alla politica, dalla religione alla scuola, alla cultura.
L’Italia è un paese che discrimina e al quale piace discriminare perché, diversamente, avrebbe messo mano alle leggi vigenti quando era il momento: 10-20 anni fa, quando anche le altre nazioni dell’Europa occidentale discutevano e legiferavano su temi come quelli di cui si discute oggi.
La tanto citata norma tedesca alla quale il nostro governo fa riferimento, è stata approvata, vado a memoria ma non credo di sbagliare, nel 2001. Pertanto, contrariamente a quanto sostiene Franco Garelli nel suo articolo su La Stampa, l’eventuale approvazione del ddl Cirinnà non ci toglierebbe affatto dalla scomoda posizione di fanalino di coda dell’Europa: raggiungeremmo solo la Germania, che non ha certo la legislazione più avanzata d’Europa, con 15 anni di ritardo.
Una norma che, ripeto, se approvata, consentirebbe a fatica solo un mezzo riconoscimento delle unioni omosessuali, inclusa la tanto discussa stepchild adoption che fa riferimento solo alla possibilità di adottare i figli del partner. Per chi non ha avuto figli da precedenti rapporti, l’adozione resta preclusa. Con buona pace della capacità di crescita, di sviluppo, di inserimento sociale della maggior parte delle coppie omosessuali italiane.
Capiamoci ragazze e ragazzi: è su questa roba qui che siamo chiamati ad animare le strade. Una norma che nasce vecchia di 15 anni e che, comunque, non rende giustizia a decenni di lotte del movimento italiano.
Una norma che, come scrive Felice, ricalca le volontà dei conservatori europei laddove il nostro Governo si dovrebbe richiamare a un ideale progressista. Ebbene così non è. Stiamo lottando per dare alla popolazione omosessuale un contentino discriminante, frutto di una politica di retroguardia e conservatrice.
Acclarato questo che cosa vogliamo fare? Accontentarci di queste quattro cazzate che ci elargiscono e ci vogliono far digerire come se fosse manna dal cielo?
Mi auguro proprio di no. È del tutto evidente che, non essendo noi Parlamento ma movimento, subiremo le decisioni dei cattolici in politica (qualcuno mi dovrà spiegare, prima o poi, perché per alcune persone devote la loro fede deve impegnare anche quella parte di popolazione che ne è priva), ma spero vivamente che il movimento LGBT italiano abbia un moto di orgoglio, una buona volta, e cessi di essere lo zerbino del partito di governo di turno (piuttosto che tutore di interessi personali), esiga pari diritti, esiga una reale uguaglianza che, in Italia, significa matrimonio egualitario (non unioni civili) e ampliamento della legge Mancino contro le discriminazioni di stampo omofobico.
A partire da questi punti si può iniziare a filtrare, facendo cultura nel quotidiano, l’aria fetida che respiriamo in Italia e forse perfino a far tornare qualche persona omosessuale emigrata dalla disperazione. Questo sì che sarebbe un bel primo passo, non un ddl vecchio e, sa solo il cielo quanto, massacrato dai conservatori comodamente seduti in aula a gestire le nostre vite personali sulla base della loro morale posticcia. Chi vi scrive quest’anno compie 53 anni.
53 anni di lotte, di manifestazioni per vie e piazze delle principali città italiane e straniere (sì, sono andato anche a Madrid quando Zapatero allargò il matrimonio alle coppie dello stesso sesso). Non ho nessuna intenzione di andare per strada per una cosa come il ddl Cirinnà, per la quale non ho mai lottato, che non ho mai chiesto, che è stata decisa altrove senza tener conto delle reali necessità della gente. Per citare il nostro socio fondatore Stefano Pieralli, alla mia età i piccoli passi li faccio verso la pensione. Alla mia età lotto per qualcosa in cui credo, che valga la pena, sicuramente non lotto per farmi discriminare, non lotto per compiacere gli interessi di pochi.
Ultima cosa: ha ragione chi scrive che siamo un’associazione di lotta contro HIV/AIDS. L’ho scritto più volte e ora lo ripeto: stigma e discriminazione sono strumenti atti alla diffusione di HIV, non è una mia opinione ma quanto è emerso alla Conferenza Mondiale Aids di Vienna (nella quale da Roma non venne nessuno, nonostante fosse a due passi). Non sfugge a chi scrive che in Italia la maggior parte delle nuove diagnosi, da 4 anni a questa parte, è triste appannaggio dei maschi che fanno sesso con maschi. Non è un caso quindi che Plus prenda una posizione ferma, forte – e pazienza se non condivisa dal delirio buonista del meglio poco che niente (che i miei amici argentini, altro paese cattolico dove è in vigore il matrimonio egualitario, definiscono consuelo de tontos, il contentino dei tonti!).