Articoli

  1. I risultati dello studio
  • Cos’è lo studio PARTNER?

Lo studio PARTNER è uno studio internazionale in due fasi; l’obiettivo dello studio è indagare se si verifica la trasmissione di HIV quando una persona sieropositiva è in efficace trattamento antiretrovirale (ART). Questa condizione era definita come avere una carica virale di meno di 200 copie/mL.

Lo studio PARTNER1 si è svolto dal 2010 al 2014, il PARTNER2 dal 2014 al 2018. Lo studio ha arruolato e seguito coppie sierodiscordanti, dove cioè un partner era positivo all’HIV e in ART e l’altro era negativo all’HIV. Le coppie che potevano partecipare allo studio avevano già scelto di non usare sempre il preservativo. Erano molte le coppie che non usavano il preservativo regolarmente e alcune non lo usavano mai da diversi anni.

Lo studio è stato disegnato per fornire stime del rischio di trasmissione di HIV nel sesso senza preservativo sia per le coppie eterosessuali che per le coppie gay quando il partner positivo è in terapia efficace. Per poter partecipare allo studio, la persona positiva all’HIV della coppia doveva essere in terapia per l’HIV al momento dell’arruolamento.

  • I risultati dello studio PARTNER1 (2010-2014)

Dal 2010 al 2014, la prima fase dello studio PARTNER ha arruolato 1100 coppie da 14 diversi paesi europei. Due terzi delle coppie erano eterosessuali e un terzo gay.

I risultati dello studio PARTNER1 includevano dati da 888 coppie (548 eterosessuali e 340 gay). Durante il periodo in cui sono state seguite (chiamato follow-up), le coppie hanno fatto sesso senza preservativo in media 37 volte all’anno (valore mediano). In tutto, le coppie gay hanno riferito di aver fatto sesso senza preservativo 22.000 volte e le eterosessuali circa 36.000 volte.

Durante il PARTNER1, nessuno dei partner negativi all’HIV si è infettato facendo sesso con il partner positivo all’HIV con cui era in coppia. Questo fornisce un tasso di trasmissione dell’HIV all’interno della coppia pari a zero. Tuttavia, siccome la maggioranza delle coppie era eterosessuale, le conclusioni erano meno affidabili se riferite al sesso gay di quanto lo fossero per il sesso eterosessuale.

Alla fine del PARTNER1, il limite superiore dell’intervallo di confidenza del 95% per il rischio di trasmissione nelle coppie eterosessuali era 0,46 per 100 coppie-anni di follow-up, mentre per le coppie gay maschili era di 0,84 per 100 coppie-anni di follow-up.

  • Perché il PARTNER2?

Lo studio PARTNER allora è proseguito in una seconda fase, per fornire gli stessi livelli di affidabilità ottenuti per le coppie etero anche per le coppie gay.

Molte coppie gay del PARTNER1 hanno continuato a partecipare al PARTNER2 e in aggiunta sono state arruolate altre coppie gay.

La fase 2 dello studio PARTNER (2014-2018) ha continuato ad arruolare e seguire solo coppie gay.

  • I risultati dello studio PARTNER2

In tutto, il PARTNER2 ha arruolato 972 coppie gay (480 delle quali erano già seguite nel PARTNER1 mentre 492 sono state arruolate successivamente). Di queste, 783 coppie hanno fornito 1.596 coppie-anni di follow-up utili allo studio, in cui il partner positivo era in terapia efficace.

Le coppie hanno fatto sesso senza preservativo in media 43 volte all’anno (valore mediano). Durante il periodo di follow-up utile allo studio, le coppie hanno fatto sesso senza condom 76.991 volte.

Come nel PARTNER1, alcuni partner negativi all’HIV sono diventati positivi ma nessuno di questi casi era collegato ai partner positivi con cui erano in coppia, per questo non ci sono stati casi di trasmissione di HIV all’interno delle coppie. Il tasso di trasmissione di HIV all’interno delle coppie era zero.

In tutto, 15 uomini originariamente negativi all’HIV sono diventati positivi tra il 2010 e il 2018 (alcuni di questi durante il PARTNER1). In tutti i casi, il partner positivo all’HIV con cui erano in coppia aveva un virus molto diverso da quello con cui si erano infettati (cioè filologicamente non correlato).

Aver seguito un numero maggiore di coppie ha comportato che il limite superiore dell’intervallo di confidenza al 95% per il rischio di trasmissione tra maschi gay sia ora 0,23/100 coppie-anni di follow-up.

  • Cosa significano questi risultati?

Il PARTNER2 ora ha fornito un livello di affidabilità per le coppie gay simile a quello fornito per le coppie eterosessuali nel PARTNER1 del fatto che il rischio di trasmissione sessuale dell’HIV da una persona con carica virale non rilevabile sia effettivamente zero.

 

  1. Glossario
  • Cosa significa ‘coppie-anni di follow-up utili allo studio’?

Sono coppie-anni di follow-up utili allo studio la somma dei periodi di tempo in cui le coppie hanno fatto sesso senza preservativo, il partner positivo all’HIV aveva una carica virale non rilevabile (misurata massimo un anno prima) e il partner negativo all’HIV non usava la PEP o la PrEP.

  • Perché lo studio si riferisce agli intervalli di confidenza? Cosa significano nel PARTNER2?

Quando stimano un rischio, gli scienziati devono mettere in conto il fatto che i risultati potrebbero essersi verificati per caso, in conseguenza del fatto che uno studio può osservare solo un numero limitato di casi. Per fare questo, vengono calcolati i limiti inferiore e superiore all’interno dei quali si trovano i valori possibili. Questo si chiama intervallo di confidenza. Nello studio, è stato calcolato un valore stimato del tasso di trasmissione e l’intervallo di confidenza al 95%. L’intervallo di confidenza al 95% intorno al valore stimato è la gamma all’interno della quale si può essere certi al 95% ricada il vero tasso di trasmissione, prendendo in considerazioni gli effetti del caso.

In generale, più grande è lo studio, più si può essere certi che i risultati siano affidabili e non dovuti al caso. In questo tipo di studi, la dimensione dello studio si misura dal numero totale di anni durante i quali le persone vengono seguite, più che solo dal numero di partecipanti.

I risultati suggeriscono che ci sono pochissime probabilità che il tasso di trasmissione di HIV possa essere superiore a 0,23 per 100 coppie-anni di follow-up (vale a dire una infezione ogni 433 anni di sesso senza preservativo). Questo significa che possiamo concludere che il rischio di trasmissione sia essenzialmente zero.

Anche il tasso di trasmissione stimato per il sesso anale senza preservativo e con eiaculazione interna è zero. Il limite superiore per questo tipo di sesso è 0,57/100 coppie-anni di follow-up. In altre parole, anche nel caso avessimo sottostimato il rischio (zero) di trasmissione per motivi legati al caso, nel peggiore dei casi ci vorrebbero comunque almeno 177 anni di sesso con eiaculazione interna perché si verifichi un caso di trasmissione all’interno della coppia.

  • Cos’è una trasmissione collegata?

Una trasmissione collegata o linked transmissionsi ha quando la nuova infezione da HIV del partner inizialmente negativo avviene con un ceppo di virus che è altamente simile a quello trovato nel partner positivo all’HIV.

Nello studio PARTNER, per indagare se ci sono state trasmissione collegate, i ricercatori dell’Università di Liverpool hanno usato un metodo specialistico chiamato analisi filogenetica. Questo metodo esamina se i virus HIV trovati nel sangue dei due partner sono strettamente collegati tra loro. Se il partner inizialmente negativo si infetta ma il virus è geneticamente diverso da quello trovato nel partner positivo, questo viene considerato come una indicazione che la nuova infezione è avvenuta da una fonte diversa dal partner positivo.

Questo è essenziale se si indaga il rischio di trasmissione di HIV perché molti studi precedenti che analizzavano i casi di trasmissione nelle coppie sierodiscordanti hanno trovato che il 25-50% dei casi di nuova infezione avveniva da persone esterne alla relazione di coppia principale. L’analisi genetica è quindi una parte essenziale dello studio PARTNER.

Fino ad oggi, lo studio è stato in grado di dimostrare che anche se alcune persone negative all’HIV sono diventate positive durante lo studio, nessuna delle nuove infezioni è avvenuta con un virus HIV simile a quello trovato nei rispettivi partner positivi.

Nello studio PARTNER sono stati usati sia test standard che test ultrasensibili per fornire prove legate all’analisi filogenetica. Per questo è stato possibile concludere che queste nuove infezioni non sono avvenute da parte dei rispettivi partner nello studio PARTNER.

  • Come viene definita nello studio PARTNER la ‘carica virale non rilevabile’?

Nello studio PARTNER, la carica virale non rilevabile viene definita come inferiore alle 200 copie per millilitro di sangue.

Alcuni ospedali usano test per la carica virale che hanno diversi valori di riferimento per il limite inferiore. Per esempio, è possibile verificare che ci siano meno di 20 oppure 50 oppure ancora 200 copie di HIV in un millilitro di sangue, a seconda del centro clinico in cui ci si trova.

  • Quanto a lungo resta non rilevabile la carica virale dopo un test che la misura?

I risultati della carica virale possono dare informazioni solo sulla quantità di virus presente al momento in cui è stato prelevato il campione di sangue. Fintanto che una persona continua a prendere la terapia come prescritto, però, è molto probabile che la carica virale continui a essere non rilevabile.

Nella maggior parte dei centri europei, solo una piccola percentuale di pazienti che sono stabilmente in trattamento ha una risalita della carica virale sopra il livello di rilevabilità ogni anno. Si pensa che questo sia dovuto a difficoltà con l’aderenza. È molto difficile vedere una risalita della carica virale nel contesto di una buona aderenza alla terapia. Lo studio PARTNER ha usato la soglia delle 200 copie per la soppressione virologica, che tiene conto della maggior parte dei piccoli picchi di risalita della carica virale che si osservano nelle persone in trattamento antiretrovirale.

 

3. Il disegno dello studio

  • Uno studio osservazionale

I partecipanti allo studio PARTNER non si sono sottoposti a nessun trattamento medico speciale o intervento mentre erano nello studio; per questo motivo, viene definito uno studio ‘osservazionale’.

Sono state raccolte informazioni sul comportamento sessuale attraverso dei questionari completati dai partecipanti allo studio ogni 6-12 mesi; inoltre, con la stessa cadenza, il partner positivo all’HIV ha effettuato un test per la carica virale mentre il partner negativo un test per l’infezione da HIV.

  • Dove si è svolto lo studio PARTNER?

Lo studio ha arruolato partecipanti in 14 paesi europei: Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Italia, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito, Spagna e Svizzera.

In totale 55 cliniche e ospedali hanno partecipato allo studio PARTNER2.

  • Come è stato finanziato lo studio PARTNER?

La seconda fase dello studio PARTNER è stata finanziata da: National Institute of Health Research del Regno Unito, ViiV Healthcare, Gilead Sciences, Augustinus Fonden, A.P. Møller Fonden e la Danish National Research Foundation [grant numero DNRF126], ed è sponsorizzato da CHIP, Rigshospitalet.

Inoltre, l’Ufficio Svizzero per la Salute Pubblica ha finanziato la partecipazione dei centri elvetici. Lo studio è coordinato in maniera cooperativa da CHIP, Rigshospitalet, Università di Copenhagen, e University College di Londra. 

  • Chi ha condotto lo studio?

Lo studio PARTNER è stata una collaborazione che ha coinvolto ricercatori indipendenti e scienziati di tutta Europa. Il comitato di conduzione dello studio comprendeva medici, ricercatori e rappresentanti della community.

Il comitato di conduzione dello studio PARTNER era composto da:

  • Prof. Andrew Phillips, University College di Londra (UCL)
  • Prof. Jens Lundgren, Università di Copenhagen e Rigshospitalet, 
  • Dr. Alison Rodger, UCL
  • Tina Bruun, Università di Copenhagen e Rigshospitalet, 
  • Simon Collins, HIV i-Base 
  • Prof. Pietro Vernazza, Kantonsspital St. Gallen 
  • Dr. Vicente Estrada
  • Dr. Olaf Degen
  • Giulio Maria Corbelli, EATG
  • Dorthe Raben, Università di Copenhagen e Rigshospitalet,
  • Dr Valentina Cambiano, UCL
  • Prof Anna Maria Geretti, Università di Liverpool
  • Dr Apostolos Beloukas, Università di Liverpool

[tradotto dal documento originale in inglese da Giulio Maria Corbelli]

Tra gli applausi commossi dei delegati, sono stati presentati lo scorso 24 luglio alla conferenza AIDS 2018 di Amsterdam i risultati dello studio PARTNER2. Risultati molto attesi che dovevano fornire una valutazione affidabile del rischio di trasmissione di Hiv da parte di una persona con carica virale non rilevabile nei rapporti sessuali anali tra maschi. E le conclusioni presentate da Alison Rodger per conto del team dello studio PARTNER sono state inequivocabili: “Il rischio è zero, il tempo per le scuse è finito”.

In effetti dopo otto anni lo studio non ha osservato nemmeno una sola trasmissione da Hiv da parte del partner sessuale con carica virale non rilevabile, pur seguendo 783 coppie che hanno fatto sesso senza condom per circa 77.000 volte. 

I risultati confermano che la terapia antiretrovirale è altrettanto efficace nei maschi gay nel prevenire la trasmissione di Hiv che nelle coppie etero. In realtà lo studio ha fornito un livello di evidenza persino superiore rispetto a quello ottenuto per le coppie eterosessuali nel 2014. 

L’estensione per le coppie gay

Lo studio si è infatti svolto in due fasi. La prima, dal 2010 al 2014, ha coinvolto sia coppie etero che gay e ha dimostrato che la terapia è in grado di ridurre a zero il rischio di trasmissione sessuale dell’Hiv nelle coppie etero. La seconda fase ha incluso alcune delle coppie gay maschili della prima fase ma ha proseguito dal 2014 al 2018 arruolando altre coppie gay. Questa seconda fase denominata PARTNER2 ha arruolato 972 coppie formate da una persona con Hiv in terapia e una persona sieronegativa e che avessero già autonomamente deciso di non usare sempre il preservativo nei rapporti sessuali. I partecipanti riempivano a cadenze regolari un questionario sui comportamenti sessuali. 

Nella analisi che hanno fornito i risultati presentati ad Amsterdam sono stati inclusi solo quei periodi in cui le coppie hanno fatto sesso senza usare il condom (e senza PEP o PrEP) e in cui il partner con Hiv avesse carica virale non rilevabile (definita come meno di 200 copie/mL). 

In tutto, sono stati inclusi dati su 783 coppie che hanno contribuito per 1596 coppie-anni di follow up (come se 1596 coppie fossero state seguite per un anno o una coppia per 1596 anni…). I motivi più frequenti per cui sono stati esclusi alcuni periodi di follow up dalla analisi sono stati il fatto di non aver fatto sesso senza condom in quel periodo (33%), uso di PEP o PrEP (24%), mancanza di un test della carica virale per il partner positivo (18%) o altri dati mancanti. Meno del 5% (circa 25 coppie-anni di follow up) è stato escluso dalla analisi a casa di una carica virale superiore alle 200 copie/mL; in altre parole, oltre il 95% dei partecipanti sieropositivi ha mantenuto carica virale non rilevabile durante tutto lo studio, un dato che mostra un alto livello di efficacia della terapia antiretrovirale in questo gruppo. 

I partecipanti avevano un’età mediana di 43 anni (la maggior parte con età compresa tra 31 e 46, come indica il range interquartile o IQR) e in genere avevano fatto sesso senza condom nella coppia già per un anno di media (IQR 0,4-2,9). Il partner positivo era in terapia da 4,0 anni come mediana (IQR 2,0-9,0) con un’ottima aderenza (il 98% dei partecipanti assumeva più del 90% delle dosi) e il 93% di loro riferiva di avere carica virale non rilevabile. 

Risultato: nessuna trasmissione dal partner HIV+

Nel periodo in cui sono state seguite nel corso dello studio, che per ciascuna coppia è stato di 1,6 anni di mediana (IQR 0,9-2,9), le coppie hanno fatto sesso senza usare i preservativi circa una volta alla settimana. Il dato mediano è di 43 rapporti sessuali senza condom all’anno (IQR 19-74). Durante tutto lo studio, sono stati riferiti quasi 77.000 rapporti sessuali senza preservativo. 

Molte di queste coppie erano in relazione aperta e il 37% dei partner sieronegativi ha riferito di aver avuto anche altri partner sessuali. Durante il follow up, il 24% dei partner sieronegativi e il 27% di quelli sieropositivi ha riferito di aver avuto almeno una infezione a trasmissione sessuale. 

In otto anni, 15 partner sieronegativi hanno contratto l’Hiv. È importante sottolineare che tutte queste nuove infezioni sono avvenute con un virus Hiv troppo strutturalmente diverso da quello del partner nello studio. L’analisi filogenetica ha confrontato la regione del patrimonio genetico del virus chiamata pol in tutti e 15 i casi e quella della regione env in 13 casi con 15 casi di controllo appositamente accoppiati ma le differenze erano sufficientemente ampie da poter escludere che la trasmissione sia avvenuta da parte del partner sieropositivo. 

Il rischio teorico e il ruolo del caso

L’obiettivo dello studio PARTNER era di quantificare il rischio. Perciò, anche nel caso in cui non si è verificata alcuna trasmissione, lo studio ha stimato un limite massimo di rischio che potrebbe essere ammissibile, dal momento che i dati disponibili sono sempre limitati. In altre parole, in base a quanto sono numerosi e affidabili i dati dello studio, si può stimare quanto sia affidabile il risultato ottenuto quantificando un limite massimo di rischio. Questo è dato dall’intervallo di confidenza del 95% (95%IC). 

La prima fase dello studio ha fornito un limite superiore dell’intervallo di confidenza del 95% di 0,46/100 coppie-anni di follow up; in altre parole, nel peggiore scenario una coppia dovrebbe fare sesso per circa 200 anni perché si verifichi un caso di trasmissione. Questo è il dato massimo, in realtà è probabile che ci vogliano migliaia di anni… Dal momento che due terzi dei partecipanti a quella fase di studio erano eterosessuali, il limite massimo del rischio per le coppie gay era molto più alto, pari a 0,84/100 coppie-anni di follow up. 

I nuovi risultati dello studio PARTNER2 sono stati in grado di ridurre il limite superiore dell’intervallo di confidenza del 95% del rischio complessivo per le coppie gay a 0,23/100 coppie-anni di follow up; questo equivale a dire che nel peggiore scenario una coppia dovrebbe fare sesso per 400 anni perché si verifichi un caso di trasmissione. 

L’intervallo di confidenza del 95% viene calcolato sulla base delle coppie-anni di follow up disponibili per quel particolare dato; quello generale appena descritto fa riferimento ai quasi 77.000 complessivi atti sessuali senza preservativo osservati nello studio. Se ci si limita ai soli rapporti anali insertivi, si hanno 52.000 atti sessuali che danno un limite superiore dell’intervallo di confidenza pari a 0,27, valore che sale a 0,43 se si considerano solo i casi di rapporto anale ricettivo senza eiaculazione interna (più di 23.000 atti) e a 0,57 per i rapporti anali ricettivi con eiaculazione interna (circa 20.000 rapporti). Nel sottogruppo che aveva una recente infezione sessualmente trasmissibile, il limite superiore dell’intervallo di confidenza è di 2,9/100. 

Conclusione: PARTNER2 conferma U=U

Lo studio PARTNER è stato disegnato per fornire dati affidabili che le persone possano usare per fare scelte personali relative alla salute sessuale. In ciò, persino con 8 anni di follow up, lo studio non è stato in grado di osservare nemmeno un solo caso di trasmissione di Hiv quando la carica virale era non rilevabile (definita come meno di 200 copie/mL). 

Questi risultati costituiscono la più grande raccolta di dati che dimostrino quanto efficacemente il trattamento antiretrovirale prevenga la trasmissione sessuale di Hiv. Sono risultati che supportano e confermano la campagna U=U secondo cui la carica virale non rilevabile (Undetectable) rende l’Hiv non trasmissibile (Untrasmissable). 

Il gruppo di ricerca ha anche prodotto un documento di domande e risposte per illustrare i risultati e i metodi dello studio in linguaggio non tecnico.  

Il commento di Simon Collins, attivista, redattore di i-base.info e rappresentante della community nello studio PARTNER.

Dopo otto anni nel tentativo di trovare un caso di trasmissione da carica virale non rilevabile, abbiamo dati che riguardano sia il sesso etero che quello gay, senza nemmeno un singolo caso di trasmissione verificato. 

Ai ricercatori dello studio PARTNER dovrebbe essere riconosciuto il merito di aver voluto estendere lo studio iniziale per ulteriori quattro anni per produrre un livello di affidabilità per i maschi gay paragonabile a quello ottenuto per le coppie etero. 

Arruolare, seguire e tenere nello studio coppie per otto anni è stato un risultato considerevole. La complessità e il rigore dell’analisi filogenetica mostra che nessuna delle infezioni osservate era collegata al partner sieropositivo della coppia. 

Dal momento che il sesso anale ricettivo comporta un rischio maggiore per Hiv rispetto al sesso vaginale, questi dati possono ragionevolmente essere usati anche per valutare il rischi nel sesso anale eterosessuale. 

Questo dimostra che il rischio di trasmissione di Hiv con carica virale non rilevabile è effettivamente zero. 

[Articolo di Simon Collins di i-base.info, traduzione di Giulio Maria Corbelli]

Note:

  1. Press conference. PARTNER study results. Tuesday 24 July 2018. 9.00 am.
  2. Rodger A et al. Risk of HIV transmission through condomless sex in MSM couples with suppressive ART: The PARTNER2 Study extended results in gay men. AIDS 2018, 23-27 July 2018, Amsterdam. Late breaker oral abstract WEAX0104LB (webcast)
  3. Domande e risposte sullo studio PARTNER

Articolo di Benjamin Ryan

di Benjamin Ryan

Nell’estate del 2016, due studi di ampia portata hanno scoperto quanto segue: nessun partecipante sieropositivo ha trasmesso il virus al proprio partner sieronegativo in presenza di viremia soppressa (non rilevabile), malgrado rapporti sessuali in massima parte senza preservativo. Abbiamo quindi la garanzia che i sieropositivi undetectable non sono contagiosi?

Una recente meta-analisi di vari studi ha scoperto che i maschi che fanno sesso con altri maschi (i cosiddetti MSM) in PrEP (la profilassi pre-esposizione) hanno un tasso molto elevato di infezioni sessualmente trasmissibili rispetto agli altri MSM. Significa forse che prendere la PrEP agevola l’acquisizione di gonorrea, clamidia & co.?

La corretta interpretazione di queste ricerche – quali conclusioni trarre, quali evitare – dipende dalla comprensione di determinati principi della letteratura scientifica. Non bisogna avere un dottorato per arrivarci, ma quando ci si trova di fronte a certe notizie può essere utile ricorrere a un paio di concetti chiave, scientifici e matematici. Eccoli qua.

TasP - articolo di Benjamin Ryan

L’intervallo di confidenza

Forse vi è arrivato alle orecchie il motto lanciato dalla Prevention Access Campaign (PAC), «Undetectable = Uninfectious». Lo slogan si basa sull’assenza di trasmissioni di hiv rilevata nel corso dello studio HPTN 052 e nello studio PARTNER, tuttora in corso. Nessun partecipante sieropositivo con carica virale non rilevabile ha trasmesso al partner sieronegativo. Nel caso dello studio PARTNER, parliamo di 22.000 rapporti sessuali tra MSM e 36.000 rapporti sessuali etero.

Si tratta di un bel po’ di sesso senza preservativo in assenza di trasmissioni. Ciò detto, i ricercatori non saranno mai in condizione di affermare con assoluta certezza che chi è undetectable non è infettivo. Per capire il perché, bisogna prendere in considerazione un concetto importante in ambito statistico noto come l’intervallo di confidenza.

Quando gli autori degli studi scientifici pubblicano le stime relative a un determinato esito – in questo caso il tasso stimato di trasmissioni di hiv nel corso del tempo in presenza di viremia non rilevabile – forniscono anche un intervallo di confidenza. Questo significa che basandosi sui dati a disposizione, gli autori dello studio sono sicuri al 95% che l’esito definitivo si trova all’interno di un certo intervallo. Più dati hanno, più possono restringere l’intervallo di confidenza della loro stima.

Un intervallo di confidenza si può solo restringere, non eliminare. La sua persistenza, categorica conferma dell’inamovibile natura dell’incertezza, sta a significare che qualsiasi affermazione scientifica circa il rischio di trasmettere hiv anche in presenza di un virus soppresso si accompagnerà sempre a un briciolo di dubbio. I ricercatori possono solo consolidare la loro certezza nella stima del rischio.

Mettiamola così: in ambito scientifico non esistono garanzie al 100%, né c’è modo di dimostrare il contrario. Anche se i partecipanti allo studio PARTNER avessero centomila miliardi di rapporti sessuali in presenza di viremia soppressa e con zero trasmissioni, c’è sempre la possibilità che essa scatti in occasione del prossimo. Gli autori dello studio PARTNER possiedono già abbastanza dati per stimare che il rischio di trasmissione quando la viremia non è rilevabile è, davvero, zero. Ma i loro intervalli di confidenza per i vari tipi di atto sessuale sono molto diversi, in quanto si basano sui dati raccolti finora.

Dando un’occhiata a tutti i possibili tipi di sesso penetrativo con una persona sieropositiva undetectable, l’intervallo di confidenza degli studiosi ci dice che se seguissimo 10.000 coppie per un anno, il virus verrebbe trasmesso tra le 0 e le 30 volte. Dato che lo studio dispone di meno dati per gli MSM, l’intervallo di confidenza per quanto riguarda il rischio di trasmissione nel sesso anale con eiaculazione e partner hiv+ attivo oscilla attualmente tra 0 e 270.

Col procedere dello studio PARTNER, questi intervalli di confidenza sono destinati a rimpicciolirsi. E col tempo, almeno finché non si registreranno trasmissioni, la scienza potrà dire con sempre maggiore certezza che il rischio di passare il virus è così minuscolo da essere trascurabile.

PrEP - Articolo di Benjamin RyanCorrelazione vs. causalità, ovvero perché è così difficile determinare se la PrEP è responsabile dell’aumento delle IST

Può essere molto difficile, per gli studi scientifici, anche solo avvicinarsi all’obiettivo di dimostrare che un determinato fattore provoca un determinato esito. In una recente meta-analisi che mette a confronto il tasso di infezioni sessualmente trasmissibili tra MSM partecipanti a studi sulla PrEP e quello degli MSM coinvolti in altri studi, i ricercatori hanno scoperto che per i maschi in PrEP è 25 volte più probabile ricevere una diagnosi di gonorrea, 11 volte più probabile riceverne una di clamidia e 45 volte più probabile essere diagnosticati con la sifilide.

Quello che l’articolo non può dire con certezza è se andare in PrEP o partecipare a uno studio sulla PrEP faccia sì che gli uomini contraggano un maggior numero di IST. L’unica cosa acclarata è questa associazione, questo link, questa correlazione tra uso della PrEP e alti tassi di infezioni sessualmente trasmissibili. In altre parole: chi prende la PrEP tende a contrarre IST. O, detto con maggiore accuratezza, chi partecipa a studi sulla PrEP registra alti tassi di infezioni sessualmente trasmissibili. Tuttavia, un numero indefinito di cosiddetti fattori di confondimento può aver contribuito a questo alto tasso di infezioni che interessa i partecipanti agli studi sulla PrEP.

È più che comprensibile che un gruppo di MSM in PrEP tenda a contrarre un sacco di IST, visto che sono proprio i comportamenti sessuali ad alto rischio a far sì che una persona sia adatta a entrare in uno studio del genere – comportamenti che agevolano la presenza di gonorrea, clamidia o sifilide. E la buona notizia è che i maschi che rischiano di più sono anche i più interessati alla PrEP: quindi, se tutto va bene, la loro assunzione di Truvada dovrebbe concorrere al calo delle nuove infezioni.

Spesso, gli autori delle ricerche tendono a correggere o controllare i dati per tenere conto dei fattori di confondimento e dare un senso più netto di causa ed effetto, o almeno suggerire che una variabile possa aiutare a predirne un’altra – ad esempio l’obesità come fattore predittivo dell’infarto. Controllare questi fattori può aiutare gli studiosi a individuare con maggiore chiarezza il loro ruolo nell’esito che stanno esaminando.

Gli autori dell’articolo sulla PrEP non hanno modificato il tasso di IST per dare conto di qualche fattore confondente. Non hanno teorizzato che la differenza tra i tassi di infezione tra gli MSM in PrEP e quelli degli altri studi possa in parte essere funzione del fatto che per partecipare agli studi sulla PrEP bisogna essere propensi a rapporti rischiosi. La loro analisi non è stata strutturata per esaminare i cambiamenti nel tasso delle IST nel corso del tempo o per individuare le potenziali cause di tali tassi.

Se uno studio volesse capire se andare in PrEP cambia il tasso di IST, dovrebbe prima fotografare il tasso prima di assumere il Truvada e poi monitorare come cambia nel tempo. Anche in tal caso, lo studio non potrebbe dire se il tasso di IST avrebbe comunque seguito una traiettoria analoga anche senza introdurre la PrEP. I ricercatori avrebbero bisogno di un gruppo di confronto composto da persone simili, non in PrEP, in modo da seguire l’andamento delle IST nel corso del tempo.

Ma se i membri di questo gruppo di controllo non vengono selezionati a caso, ecco che il paragone rischia di introdurre variabili disorientanti. Le differenze nei comportamenti sessuali che influenzano le scelte di quegli MSM che hanno deciso di propria sponte di andare in PrEP o di partecipare a uno studio sulla PrEP, rispetto a quelli di coloro che hanno scelto di non farlo, potrebbero viziare i risultati di un confronto tra i due gruppi.

Lo studio PROUD con la PrEP, centrato su MSM con comportamenti ad alto rischio in Inghilterra, ha istituito sul serio un gruppo di confronto – allo scopo di determinare quanto la PrEP riesce a prevenire le nuove infezioni – facendo sì che una porzione dei partecipanti ricevesse il Truvada in un secondo momento. In questo modo tutti i partecipanti sono entrati nello studio alle medesime condizioni, ma ad alcuni di essi, scelti a caso, la PrEP è stata somministrata più tardi. Effettuato un confronto tra i tassi di IST dei partecipanti in PrEP e quelli in attesa di prenderla – tassi in entrambi i casi molto elevati – i ricercatori non hanno individuato alcuna correlazione tra l’inizio della PrEP e un aumento delle infezioni.

Altri studi sulla PrEP non hanno tendenzialmente riscontrato alcun cambiamento nel tasso di IST tra i partecipanti nel corso del tempo. Tuttavia, uno studio basato su una somministrazione della PrEP non giornaliera ha registrato un calo nell’uso del preservativo appena i partecipanti sono passati dalla fase placebo a quella open label, in cui sapevano cosa stavano prendendo. Questa è, finora, la prova scientifica più solida di come, almeno tra gli MSM, andare in PrEP coincida davvero con un aumento dei comportamenti sessuali a rischio, un fenomeno che può essere definito compensazione del rischio o, in parole povere, disinibizione.

Articolo originale (pubblicato su POZ il 4 novembre 2016)

Traduzione di Simone Buttazzi

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Durante 58.000 rapporti sessuali senza preservativo con persone HIV positive in terapia e con carica virale non rilevabile, non c’è stato nessun caso di trasmissione del virus. Sono questi i risultati dello studio PARTNER appena pubblicati su JAMA, basati su quelli presentati al CROI nel 2014.

Essendo – immeritatamente – uno degli autori dello studio, vorrei fare alcune considerazioni. Questi risultati ci portano sempre più vicino alla certezza che le persone con HIV in terapia efficace non trasmettano l’infezione. Diciamo che per quanto riguarda i rapporti eterosessuali, la certezza è praticamente raggiunta; il margine di affidabilità del risultato “zero” ottenuto dallo studio PARTNER e da altri studi (come l’HPTN 052) è talmente buono che si può parlare di ragionevole certezza.

Esiste un margine più ampio per i rapporti anali che ci dice che l’affidabilità del “rischio zero” è meno stringente a causa del fatto – e solo a causa di ciò – che questi studi sono stati condotti su un numero più piccolo di persone. Anche per i rapporti anali non si sono osservate trasmissioni del virus da parte di persone con HIV in terapia efficace, ma siccome il numero di persone osservate è minore, il margine di incertezza (chiamato tecnicamente intervallo di confidenza) aumenta. Nello studio PARTNER, mentre per i rapporti vaginali il rischio al massimo potrebbe essere di una infezione ogni 333 anni di relazione sessuale, per i rapporti anali, invece, ne “basterebbero” 142 di anni di sesso in una coppia per avere un caso di infezione…

Perché questa differenza? Come dicevo prima, la differenza è dovuta soltanto al fatto che il campione osservato è più piccolo. Ma ci sono ragioni per pensare che il rischio nei rapporti anali sia maggiore? Alcuni sostengono che biologicamente il rapporto anale sarebbe più traumatico e quindi renderebbe più facile la trasmissione. Tuttavia ci deve essere un virus perché la trasmissione avvenga e siccome i dati finora ci mostrano che le persone sieropositive con carica virale non rilevabile non mostrano traccia di virus da trasmettere, sembra improbabile che siano in grado di trasmetterlo nei rapporti anali dal momento che si sono dimostrate incapaci di trasmetterlo nei rapporti vaginali.

È per questo motivo che, secondo gli autori dello studio PARTNER (me compreso), anche il rischio di trasmissione nei rapporti anali con persone HIV positive che prendono efficacemente e regolarmente la terapia è presumibilmente zero: ma siccome la scienza non si fa con le presunzioni, servono più dati per confermare questo dato. Infatti, lo studio PARTNER prosegue arruolando solo coppie omosessuali maschili (sempre con la caratteristica che uno dei due sia HIV-positivo e l’altro no, che il partner sieropositivo sia in terapia con carica virale inferiore alle 200 copie e che i due partner abbiano deciso autonomamente di non usare sempre il preservativo nei rapporti sessuali). Lo chiamiamo PARTNER 2 e cerca partecipanti anche in Italia (precisamente a Milano, Modena, Genova, Roma, Catania; maggiori informazioni anche sulla pagina Facebook Partner Study Italia). Da un punto di vista strettamente scientifico, i dati dello studio PARTNER 2 sono la base necessaria per poter affermare definitivamente che anche nel caso di rapporto anale il rischio di trasmissione non c’è. Tuttavia gli autori dello studio ritengono che questi dati siano sufficientemente robusti per poter dire che nel caso di rapporti sessuali con persone HIV positive che siano in terapia e abbiano una carica virale stabilmente non rilevabile, l’uso del preservativo per evitare di contrarre l’infezione non è necessario. La raccomandazione all’uso del preservativo, infatti, non è contenuta nella pagina di domande e risposte che gli autori hanno predisposto per presentare con un linguaggio accessibile i risultati dello studio. In altre parole, i risultati dello studio PARTNER confermano che le persone con HIV in terapia e viremia undetectable non sono infettive, cioè non possono trasmettere il virus, e quindi fare sesso senza condom con loro è sicuro dal punto di vista del rischio di trasmissione dell’HIV.

Mi rendo conto che questo è un messaggio che in molti considerano “forte”. Ma i dati sono ampiamente affidabili. E se non credete che il dato sui rapporti anali sia sufficientemente affidabile, aiutateci a trovare uomini omosessuali in coppia sierodiscordante (con un partner HIV+ in terapia e l’altro HIV-) che abbiano deciso di non usare sempre il preservativo e che siano disposti a partecipare allo studio PARTNER 2.

autore: Giulio Maria Corbelli, vice-presidente Plus onlus e membro del comitato esecutivo dello studio PARTNER