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No, non si tratta del poster di Madonna che pressoché tutti gli/le adolescenti aveva in camera qualche decina di anni fa, si tratta di studi i cui abstract sono stati accettati dai reviewer della conferenza.
Stamattina ho deciso di passeggiare fra le file di poster ed estrarne alcuni per voi, in fondo trovate tutte le foto. Inizio con uno studio che mi ha colpito, soprattutto pensando ai nostri utenti in PrEP appassionati di palestra.

Il titolo è Prevalence of the use of sports supplements and illicit drugs for use in gyms in people included in HIV pre‐exposure prophylaxis programmes (Gym‐PrEP cohort). Contrariamente a quanto si poteva pensare, gli AAS (Anabolic Androgenic Steroids) sono usati solo dall’8% del campione (tamoxifen, ormone della crescita, ecc.), mentre la maggior parte del campione utilizza proteine in polvere (78%) o creatina (68%). Tuttavia anche in chi consuma prodotti legali per la palestra si registra un incremento della creatinina nel primo anno di 0,047%. La prevalenza di utilizzo di questi prodotti da palestra è alta negli utenti PrEP e generalmente viene associata a tossicità renale, cosa registriamo anche noi e ci porta a fare counselling mirato.

Sono stati pubblicati anche i risultati dello studio PriDE al quale ha collaborato anche Plus. In sostanza la ricerca esamina la diffusione di PrEP in Italia e giunge alla conclusione che l’implementazione della PrEP da noi è in rapida crescita in 2 Regioni: Lazio e Lombardia. Da sole cubano il 67, 5% delle persone il PrEP. Credo che sia sufficiente per dire che c’è ancora molto lavoro da fare. Purtroppo PrEP in Italia è arrivata con grave e colpevole ritardo rispetto ad altri Paesi e si inserisce in un quadro di ignoranza e disinteresse sul tema HIV.

Lo studio portoghese Does tenofovir disoproxil fumarate/emtricitabine for HIV pre‐exposure prophylaxis induce changes in kidney function in people older than 50 years old? Ci dice che no, nelle persone sopra i 50 la PrEP non disturba il fegato.
Il poster HIV+ donor to positive recipient kidney transplantation, fa il punto su una procedura di cui si parla da tempo ossia il trapianto di fegato fra HIV positivi, che sta avendo un qualche successo. Lo studio è spagnolo e l’obiettivo dichiarato consiste nel cercare di cambiare la legge sulle donazioni.

Lo studio T‐cell homeostasis and microbial translocation in PLWH switching from triple to dual INSTI‐based combination antiretroviral therapy (cART), dell’Università di Milano, indaga come si comportano le cellule T e cosa accade con la traslocazione microbica nelle persone con HIV che passato dalla triplice alla terapia a 2 farmaci. Lo switch da 3 a 2 farmaci sembra migliorare l’omeostasi delle cellule T, grazie all’incremento delle cellule memory e alla riduzione dell’attivazione delle T. Quanto duri nel tempo l’omeostasi è tutto da studiare. Per altro non si sono notati cambiamenti a livello di marker infiammatori intestinali suggeriscono pochi o nessun effetto della dual nella permeabilità gastrointestinale.

Lo studio spagnolo Safety and efficacy of dual doravirine plus lamivudine as a switch strategy in HIV patients with metabolic or renal issues, suggerisce che la terapia con doravirina+lamivudine sia ottimale nelle persone HIV+ con problemi metaboliti o renali per esempio causati da precedenti terapie a base di INSTI (Inibitori dell’Integrase).
Un altro studio spagnolo, Transforming HIV care: intramuscular bimonthly cabotegravir and rilpivirine for transgender people with HIV in Spain (RELATIVITY cohort) fa il punto sulle persone trans con HIV e la terapia long acting iniettiva con cabotegravir e rilpivirina. Come potere leggere, si tratta di una analisi descrittiva che fa il punto sui successi di questo trattamento nella comunità trans.

Da ultimo vi cito lo studio belga Tracing the evolution of polypharmacy and drug‐drug interactions in people living with HIV, che fa il punto sul fatto che le persone con HIV invecchiano, verosimilmente assumono parecchi farmaci e quindi fa un’analisi sulle possibili interazioni come per esempio l’uso di corticosteroidi o inibitori di pompa insieme alla ARV.

Sandro Mattioli
Plus aps

La plenaria di oggi era una cosa stranissima, difficilissima per virologi. Quasi sicuramente non avrei capito niente, per cui ho deciso di usare questo tempo per farmi qualche chilometro nella sala dei poster. Quest’anno, infatti, i poster – che sono abstract degli studi accettati, non cartelloni promozionali di qualcuno – sono tornati ad essere cartacei, qualcuno ha decido di usare una specie di stoffa sintetica al posto della carta, oltre a inviare un pdf per chi preferisce leggerli dal laptop.

Ognuno degli abstract inviati alla conferenza, sono sottoposti al giudizio di 10 revisori e, ciò nonostante, alcuni lavori sono decisamente insoliti… almeno per un attivista italiano. Ho trovato diversi abstract interessanti, notizie buone e altre meno. Quindi cominciamo con le buone, giusto?

Lo studio Cannabis use enhances mucosal immunity and and the microbiome in individuals with HIV, presentato dalla facoltà di medicina dell’università del Minnesota riguarda la cannabis e il buon lavoro che fa nel proteggere il microbioma e l’immunità delle mucose. Quindi, cari amici con HIV, ok che abbiamo avuto questa sfiga ma possiamo spararci canne come se piovesse. Sembra infatti che la cannabis abbia proprietà di ridurre lo stato infiammatorio e le alterazione del microbioma.

Uno studio importante e che va nella giusta direzione rispetto a quanto già detto sull’uso della doxy come pep per le IST, è Impact of Doxycycline as STI PEP on the gut microbiome, che cerca di capire cosa succede al nostro intestino assumendo quell’antibiotico. Il follow up è di circa 6 mesi per cui serviranno altri studi, ma per ora sembra non alteri in maniera significativa la flora batterica intestinale, tuttavia anche questo studio pone il dubbio perché accomuna le dosi di doxy PEP a un accumulo di ARG (antibiotic resistance genes) pur dicendo anche che servono ulteriori studi… insomma occhio a non fare troppo gli americani: funziona, lo uso.

Lo studio della Johns Hopkins su MSM sexworker (sic!), Optimizing PrEP outcomes for MSM who sell sex: the role of stigma, violence and menthal health, ci dice che in questa popolazione lo stigma è associato a un calo di aderenza nella PrEP orale daily, ma anche all’incremento di interesse per la PrEP long acting iniettiva. Quindi lo stigma è una barriera per l’accesso ai servizi sanitari. Aggiungo che una delle principali Università al mondo fa studi su prostituti maschi… la mente va alla persistente ignoranza cogliona presente nel nostro Paese dove non vengono neppure presi in considerazione… se e no si parla di sexworker donne, possibilmente cis.

Declines in HIV testing and diagnosis: unanticipated consequences of the Trump administrations’ 2019 sicuramente ha attirato la mia attenzione. Sta a vedere che Trump ha causato problemi anche in questo campo, nel caso stupirebbe quel “conseguenze inattese…”. Il programma di Trump sulla salute sessuale e riproduttiva era ben centrato sull’impedire l’aborto, da quel che ricordo. A quanto pare tutte le sue tirate sui valori della famiglia e bla bla bla hanno ottenuto una ripresa della corsa di HIV a seguito di un calo di test e un aumento di diagnosi. Fidatevi di questi esaltati conservatori!

Lo studio Long acting ART in a community Health Center, parla già da solo. Come ho letto il poster ho commentato ad alta voce “si può fare allora!”, si basta avere un sistema sanitario collaborativo e non chiuso a riccio sulla conservazione del proprio potere. Infatti lo studio evidenzia una collaborazione multidisciplinare che ha ottenuto un buon risultato. In sintesi i pazienti con HIV hanno fatto le iniezioni di cabotegravir e rilpivirina long acting in un centro di comunità. Lo studio rileva un alto tasso di mantenimento della soppressione virale e, cosa che preoccupa gli ospedali, un alto tasso di puntualità da parte dei pazienti.

Meno bello lo studio Older adult living with HIV have low expectation regarding aging, despite improved survival, mette il dito nella piaga e conferma quello che vado dicendo da tempo. E’ vero che viviamo più a lungo ma avremo una vita meno in salute dei pari età senza HIV. Per cui mi sembra ipocrita parlare oggi di aspettativa di vita – che ovviamente è un dato positivo – sarebbe più etico e corretto fare valutazioni sulla qualità della vita dopo anni che HIV ci gira dentro. Anzi lo studio lascia chiaramente intendere che il problema prescinde il numero di anni dalla diagnosi. Per cui sono necessari interventi relativi alla salute fisica e mentale di persone che spesso devono fronteggiare sindromi depressive, mancanza di supporto familiare o sociale, ecc.

Lo studio Effects of recent air pollution exposure on cognition, inflammation and neurodegeneration in HIV penso che parli da solo. Questo studio associa il comune inquinamento dell’aria all’incremento di marker infiammatori e al decadimento cognitivo, induce una risposta immunitaria nelle persone con HIV. Quindi rega tutti a Gran Canaria dove l’aria oceanica è più pulita e gli uccelli volano.

C’è poi lo studio, molto meno bello, Residual HIV viremia double CVD incidence indipendent of classical risk factor, dove, in pratica, si sostiene un’altra cosa che dico in giro da tempo: HIV è un rischio cardio vascolare in sé, che si aggiunge agli altri fattori di rischio. Anche con una viremia residuale comunemente detta non rilevabile. Infatti lo studio ha trovato marker infiammatori specifici alcuni dei quali sono presenti anche in popolazione senza HIV che ha avuto malattie cardio vascolari. Lo studio individua nella viremia residua il problema.

Da ultimo cito un case study relativo a un ragazzo di 23 anni in PrEP con i long acting iniettivi, ovviamente HIV negativo che ha dovuto interrompere le iniezioni alla quinta somministrazione a causa della perdita della tutela assicurativa. Dopo sei mesi si ripresenta in clinica per riprendere la PrEP iniettiva, fa un test anticorpale che risulta negativo e, dopo 20 giorni, riprende il trattamento. Dopo i soliti 28 giorni il ragazzo di ripresenta per il secondo set di iniezioni e ovviamente rifà il test per HIV che, poco dopo, viene restituito dal laboratorio con esito reattivo agli anticorpi e positivo al test HIV RNA con 451 copie/ml.
Due giorni dopo inzia la ART. Chiaramente lo hanno rivoltato come un calzino, esami su esami anche per studiare la sua situazione per futuro visto che, per fortuna, è molto rara. Esami sulla concentrazione del farmaco nel plasma, esami sulle resistenze che sono purtroppo arrivate, di farmacocinetica. Che dire… sappiamo tutti che il sistema sanitario USA fa acqua da tutte le parti ma questi non si rassegnano, che le assicurazioni così come gli ospedali antepongono il profitto alla salute, ecc. però è sempre qualcosa che fa resta basiti.

Di seguito trovate le foto che ho fatto ai poster, così potete darci un’occhiata anche voi.

Dopo questa vado al Bubba Gump Shrimp Co e urlo io mi chiamo Forrest Gump.

Sandro Mattioli
Plus aps