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Flash! PrEP in Europe

Plus Onlus è tra gli enti promotori di una grande rilevazione condotta quest’estate in tutta Europa. Il tema del sondaggio Flash! è la PrEP, vale a dire la profilassi pre-esposizione contro l’hiv la cui efficacia è stata confermata da due studi: IperGAY e PROUD.

Malgrado un’approvazione generale nei confini della UE, solo la Francia ha introdotto in maniera soddisfacente questo importante strumento nella lotta alle nuove infezioni. In ambito europeo non UE si segnala il caso virtuoso della Norvegia.

L’obiettivo di Flash! PrEP in Europe è saggiare il livello di conoscenza in tema di PrEP e l’eventuale interesse a farne uso. Condotta nei mesi di giugno e luglio 2016 in 10 lingue e 12 Paesi, la rilevazione ha coinvolto 16.000 partecipanti (soprattutto tedeschi). I rispondenti italiani sono stati 353.

Aurélien Beaucamp, presidente dell’associazione francese AIDES, ha rilasciato la seguente dichiarazione: «Questi risultati confermano l’urgenza del nostro appello affinché la PrEP sia accessibile per tutte le popolazioni vulnerabili e in tutti i Paesi europei. Ora più che mai abbiamo bisogno di un accesso paritario a questo nuovo strumento, per frenare la progressione dell’epidemia in Europa».

I primi risultati della ricerca dimostrano che i rispondenti non solo conoscono la PrEP, ma la userebbero molto volentieri. Le associazioni promotrici ricordano tuttavia l’importanza del monitoraggio medico prima di entrare in PrEP e durante la somministrazione del farmaco (che contiene due principi attivi: tenofovir disoproxil fumarato ed emtricitabina). Un uso «informale» è altamente sconsigliato.

Ecco il pdf scaricabile con i primi risultati: Flash! PrEP in Europe – sintesi in italiano

Plus Onlus, insieme a Nadir, Lila, Arcigay e al Circolo Mario Mieli ha inviato una lettera alla ministra della Salute Beatrice Lorenzin chiedendo l’adozione istituzionale di questo strumento di prevenzione anche in ambito italiano.

Arcigay, Lila, Nadir, Mario Mieli e Plus Onlus hanno inviato una lettera alla ministra della Salute Beatrice Lorenzin chiedendo a gran voce la PrEP (profilassi pre-esposizione contro l’hiv) anche in Italia.

“C’è bisogno di uno strumento in più per contrastare il diffondersi dell’hiv: la Profilassi Pre-Esposizione (PrEP). Ministra ci aiuti!” Questo il messaggio lanciato dalle associazioni di pazienti e dalle comunità colpite dall’infezione.

L’aggiornamento delle Linee guida italiane sul trattamento appena pubblicato sul sito del Ministero della Salute indica la PrEP come uno strumento “efficace per la prevenzione dell’infezione di HIV”. Il vicepresidente di Plus Onlus, Giulio Maria Corbelli, è membro del panel che ogni anno corregge le Linee guida alla luce dei passi avanti compiuti dalla ricerca e dei nuovi farmaci disponibili.

Il documento è scaricabile da qui: http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2545_allegato.pdf

Il modello di riferimento per l’introduzione della PrEP è quello francese, che garantisce il rimborso integrale.

In occasione del 1° dicembre, Giornata mondiale della lotta all’Hiv-Aids, Plus ha svelato la campagna #fallocomevuoi – e scegli come proteggerti, la prima in Italia ad assegnare pari validità, nella prevenzione dell’hiv, a tre diversi strumenti: preservativo, TasP (trattamento come prevenzione) e PrEP. Per combattere hiv è infatti indispensabile disporre di molteplici opzioni (anche combinabili), affinché ciascuno possa scegliere la propria soluzione ideale.

Ecco il testo integrale della lettera:

PROFILASSI PRE ESPOSIZIONE IN HIV: LETTERA APERTA E PUBBLICA AL MINISTRO DELLA SALUTE

 

Beatrice Lorenzin
Ministra della Salute
Ministero della Salute
Lungotevere Ripa 1
00153 Roma

Roma, 30 novembre 2016

Signora Ministra, questa nostra per chiedere il Suo urgente intervento affinché anche l’Italia, come già accade in Francia, possa usufruire di uno strumento in più per contrastare il diffondersi dell’HIV: la Profilassi Pre-Esposizione (PrEP).

La situazione nel nostro paese è in stallo, perché l’azienda farmaceutica detentrice del brevetto non ha chiesto – alle autorità italiane – la rimborsabilità del farmaco per l’indicazione specifica preventiva data dall’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA), e pare non avere alcuna intenzione di richiederla.

Esistendo anche farmaci equivalenti, a noi associazioni di pazienti e/o comunità colpite dall’infezione interessa che Lei, attraverso i suoi uffici e agenzie di diretta competenza che ben conoscono la questione, si faccia promotrice di trovare una soluzione.

Con circa 4000 nuove infezioni da HIV l’anno diagnosticate, solo politiche di prevenzione mirate e l’introduzione di nuove strategie di provata efficacia scientifica, ampiamente disponibili sul territorio e accessibili alle cittadine e ai cittadini italiani, possono essere la chiave per invertire un trend costante e abbassare drasticamente questi numeri.

 

RingraziandoLa
F.to I Presidenti

ARCIGAY – Flavio Romani
LILA – Massimo Oldrini
NADIR – Filippo Schloesser
CIRCOLO “MARIO MIELI” – Mario Colamarino
PLUS – Sandro Mattioli

 

Lettera alla ministra Lorenzin

In occasione del 1° dicembre, Giornata mondiale della lotta all’Hiv-Aids, Plus Onlus lancia una nuova campagna. La prima in Italia ad assegnare pari dignità e pari validità, nell’ambito della prevenzione, a tre diversi strumenti: il preservativo, la TasP e la PrEP. Non a caso, lo slogan è proprio #fallocomevuoi. La scelta c’è, sta alla persona individuare la strategia che preferisce.

Al preservativo, che non ha certo bisogno di presentazioni e funge da argine contro un’ampia gamma di infezioni sessualmente trasmissibili compresa l’hiv, si affiancano altri due sistemi la cui validità nella prevenzione del virus dell’immunodeficienza umana è ormai scientificamente provata:

• la TasP, cioè il trattamento come prevenzione già affrontato dalla campagna Positivo ma non infettivo che Plus ha ideato in occasione del Gay Pride 2015. Una persona sieropositiva “undetectable” da almeno sei mesi e che prende regolarmente la terapia antiretrovirale secondo le indicazioni del medico è da considerarsi non contagiosa. Undetectable significa con viremia non rilevabile, ovvero con una quantità di hiv nel sangue così bassa da risultare trascurabile.

• la PrEP, profilassi pre-esposizione con due principi attivi: il tenofovir disoproxil fumarato e l’emtricitabina. Studi come PROUD e Ipergay hanno dimostrato come l’assunzione della PrEP impedisce al virus dell’hiv di fare breccia. La PrEP è stata di recente approvata in ambito UE, ma tocca ai singoli Stati, di concerto con Gilead, regolarne l’introduzione e l’eventuale rimborso.

Con #fallocomevuoi, Plus dice chiaro e tondo che la prevenzione ha molte facce. E auspica anche in Italia una mobilitazione che parta dalla comunità LGBT – e in particolare gay e MSM, i gruppi più colpiti – per chiedere a gran voce l’approvazione della PrEP, affinché sia accessibile per tutti coloro che ne hanno bisogno.

#fallocomevuoi

Articolo di Benjamin Ryan

di Benjamin Ryan

Nell’estate del 2016, due studi di ampia portata hanno scoperto quanto segue: nessun partecipante sieropositivo ha trasmesso il virus al proprio partner sieronegativo in presenza di viremia soppressa (non rilevabile), malgrado rapporti sessuali in massima parte senza preservativo. Abbiamo quindi la garanzia che i sieropositivi undetectable non sono contagiosi?

Una recente meta-analisi di vari studi ha scoperto che i maschi che fanno sesso con altri maschi (i cosiddetti MSM) in PrEP (la profilassi pre-esposizione) hanno un tasso molto elevato di infezioni sessualmente trasmissibili rispetto agli altri MSM. Significa forse che prendere la PrEP agevola l’acquisizione di gonorrea, clamidia & co.?

La corretta interpretazione di queste ricerche – quali conclusioni trarre, quali evitare – dipende dalla comprensione di determinati principi della letteratura scientifica. Non bisogna avere un dottorato per arrivarci, ma quando ci si trova di fronte a certe notizie può essere utile ricorrere a un paio di concetti chiave, scientifici e matematici. Eccoli qua.

TasP - articolo di Benjamin Ryan

L’intervallo di confidenza

Forse vi è arrivato alle orecchie il motto lanciato dalla Prevention Access Campaign (PAC), «Undetectable = Uninfectious». Lo slogan si basa sull’assenza di trasmissioni di hiv rilevata nel corso dello studio HPTN 052 e nello studio PARTNER, tuttora in corso. Nessun partecipante sieropositivo con carica virale non rilevabile ha trasmesso al partner sieronegativo. Nel caso dello studio PARTNER, parliamo di 22.000 rapporti sessuali tra MSM e 36.000 rapporti sessuali etero.

Si tratta di un bel po’ di sesso senza preservativo in assenza di trasmissioni. Ciò detto, i ricercatori non saranno mai in condizione di affermare con assoluta certezza che chi è undetectable non è infettivo. Per capire il perché, bisogna prendere in considerazione un concetto importante in ambito statistico noto come l’intervallo di confidenza.

Quando gli autori degli studi scientifici pubblicano le stime relative a un determinato esito – in questo caso il tasso stimato di trasmissioni di hiv nel corso del tempo in presenza di viremia non rilevabile – forniscono anche un intervallo di confidenza. Questo significa che basandosi sui dati a disposizione, gli autori dello studio sono sicuri al 95% che l’esito definitivo si trova all’interno di un certo intervallo. Più dati hanno, più possono restringere l’intervallo di confidenza della loro stima.

Un intervallo di confidenza si può solo restringere, non eliminare. La sua persistenza, categorica conferma dell’inamovibile natura dell’incertezza, sta a significare che qualsiasi affermazione scientifica circa il rischio di trasmettere hiv anche in presenza di un virus soppresso si accompagnerà sempre a un briciolo di dubbio. I ricercatori possono solo consolidare la loro certezza nella stima del rischio.

Mettiamola così: in ambito scientifico non esistono garanzie al 100%, né c’è modo di dimostrare il contrario. Anche se i partecipanti allo studio PARTNER avessero centomila miliardi di rapporti sessuali in presenza di viremia soppressa e con zero trasmissioni, c’è sempre la possibilità che essa scatti in occasione del prossimo. Gli autori dello studio PARTNER possiedono già abbastanza dati per stimare che il rischio di trasmissione quando la viremia non è rilevabile è, davvero, zero. Ma i loro intervalli di confidenza per i vari tipi di atto sessuale sono molto diversi, in quanto si basano sui dati raccolti finora.

Dando un’occhiata a tutti i possibili tipi di sesso penetrativo con una persona sieropositiva undetectable, l’intervallo di confidenza degli studiosi ci dice che se seguissimo 10.000 coppie per un anno, il virus verrebbe trasmesso tra le 0 e le 30 volte. Dato che lo studio dispone di meno dati per gli MSM, l’intervallo di confidenza per quanto riguarda il rischio di trasmissione nel sesso anale con eiaculazione e partner hiv+ attivo oscilla attualmente tra 0 e 270.

Col procedere dello studio PARTNER, questi intervalli di confidenza sono destinati a rimpicciolirsi. E col tempo, almeno finché non si registreranno trasmissioni, la scienza potrà dire con sempre maggiore certezza che il rischio di passare il virus è così minuscolo da essere trascurabile.

PrEP - Articolo di Benjamin RyanCorrelazione vs. causalità, ovvero perché è così difficile determinare se la PrEP è responsabile dell’aumento delle IST

Può essere molto difficile, per gli studi scientifici, anche solo avvicinarsi all’obiettivo di dimostrare che un determinato fattore provoca un determinato esito. In una recente meta-analisi che mette a confronto il tasso di infezioni sessualmente trasmissibili tra MSM partecipanti a studi sulla PrEP e quello degli MSM coinvolti in altri studi, i ricercatori hanno scoperto che per i maschi in PrEP è 25 volte più probabile ricevere una diagnosi di gonorrea, 11 volte più probabile riceverne una di clamidia e 45 volte più probabile essere diagnosticati con la sifilide.

Quello che l’articolo non può dire con certezza è se andare in PrEP o partecipare a uno studio sulla PrEP faccia sì che gli uomini contraggano un maggior numero di IST. L’unica cosa acclarata è questa associazione, questo link, questa correlazione tra uso della PrEP e alti tassi di infezioni sessualmente trasmissibili. In altre parole: chi prende la PrEP tende a contrarre IST. O, detto con maggiore accuratezza, chi partecipa a studi sulla PrEP registra alti tassi di infezioni sessualmente trasmissibili. Tuttavia, un numero indefinito di cosiddetti fattori di confondimento può aver contribuito a questo alto tasso di infezioni che interessa i partecipanti agli studi sulla PrEP.

È più che comprensibile che un gruppo di MSM in PrEP tenda a contrarre un sacco di IST, visto che sono proprio i comportamenti sessuali ad alto rischio a far sì che una persona sia adatta a entrare in uno studio del genere – comportamenti che agevolano la presenza di gonorrea, clamidia o sifilide. E la buona notizia è che i maschi che rischiano di più sono anche i più interessati alla PrEP: quindi, se tutto va bene, la loro assunzione di Truvada dovrebbe concorrere al calo delle nuove infezioni.

Spesso, gli autori delle ricerche tendono a correggere o controllare i dati per tenere conto dei fattori di confondimento e dare un senso più netto di causa ed effetto, o almeno suggerire che una variabile possa aiutare a predirne un’altra – ad esempio l’obesità come fattore predittivo dell’infarto. Controllare questi fattori può aiutare gli studiosi a individuare con maggiore chiarezza il loro ruolo nell’esito che stanno esaminando.

Gli autori dell’articolo sulla PrEP non hanno modificato il tasso di IST per dare conto di qualche fattore confondente. Non hanno teorizzato che la differenza tra i tassi di infezione tra gli MSM in PrEP e quelli degli altri studi possa in parte essere funzione del fatto che per partecipare agli studi sulla PrEP bisogna essere propensi a rapporti rischiosi. La loro analisi non è stata strutturata per esaminare i cambiamenti nel tasso delle IST nel corso del tempo o per individuare le potenziali cause di tali tassi.

Se uno studio volesse capire se andare in PrEP cambia il tasso di IST, dovrebbe prima fotografare il tasso prima di assumere il Truvada e poi monitorare come cambia nel tempo. Anche in tal caso, lo studio non potrebbe dire se il tasso di IST avrebbe comunque seguito una traiettoria analoga anche senza introdurre la PrEP. I ricercatori avrebbero bisogno di un gruppo di confronto composto da persone simili, non in PrEP, in modo da seguire l’andamento delle IST nel corso del tempo.

Ma se i membri di questo gruppo di controllo non vengono selezionati a caso, ecco che il paragone rischia di introdurre variabili disorientanti. Le differenze nei comportamenti sessuali che influenzano le scelte di quegli MSM che hanno deciso di propria sponte di andare in PrEP o di partecipare a uno studio sulla PrEP, rispetto a quelli di coloro che hanno scelto di non farlo, potrebbero viziare i risultati di un confronto tra i due gruppi.

Lo studio PROUD con la PrEP, centrato su MSM con comportamenti ad alto rischio in Inghilterra, ha istituito sul serio un gruppo di confronto – allo scopo di determinare quanto la PrEP riesce a prevenire le nuove infezioni – facendo sì che una porzione dei partecipanti ricevesse il Truvada in un secondo momento. In questo modo tutti i partecipanti sono entrati nello studio alle medesime condizioni, ma ad alcuni di essi, scelti a caso, la PrEP è stata somministrata più tardi. Effettuato un confronto tra i tassi di IST dei partecipanti in PrEP e quelli in attesa di prenderla – tassi in entrambi i casi molto elevati – i ricercatori non hanno individuato alcuna correlazione tra l’inizio della PrEP e un aumento delle infezioni.

Altri studi sulla PrEP non hanno tendenzialmente riscontrato alcun cambiamento nel tasso di IST tra i partecipanti nel corso del tempo. Tuttavia, uno studio basato su una somministrazione della PrEP non giornaliera ha registrato un calo nell’uso del preservativo appena i partecipanti sono passati dalla fase placebo a quella open label, in cui sapevano cosa stavano prendendo. Questa è, finora, la prova scientifica più solida di come, almeno tra gli MSM, andare in PrEP coincida davvero con un aumento dei comportamenti sessuali a rischio, un fenomeno che può essere definito compensazione del rischio o, in parole povere, disinibizione.

Articolo originale (pubblicato su POZ il 4 novembre 2016)

Traduzione di Simone Buttazzi

glasgow-2016Plus Onlus è stata presente anche alla edizione 2016 della HIV Drug Therapy di Glasgow, una conferenza interessante e molto partecipata, come sempre del resto.
In effetti oltre 2000 partecipanti si notano, ma, al di la di questo, i contenuti esposti la confermano come una delle più importanti conferenze al mondo.
Durante la sessione inaugurale, Anthony Fauci, uno dei massimi esperti di HIV con la fortuna di saper esporre pressoché ogni tema legato all’argomento con estrema facilità, ha arringato la folla con il suo “Follow the science” indicando come sia solo restando sull’evidenza scientifica che è possibile sconfiggere HIV anche grazie agli strumenti che già abbiamo.
Sembra una ovvietà ma non è affatto così. Consideriamo quanto stigma, discriminazione, criminalizzazione e altre follie degenerative del cervello di pochi ossessionati possono condizionare la diffusione di HIV, pur non avendo nulla a che vedere con l’evidenza scientifica.
Inizia da lontano la lettura di Fauci, dal 1981 quando il MMWR (Morbidity and Mortality Weekly Report), riportò i primi casi di PCP e Sarcoma di Kaposi a Los Angeles e New York. Oggi i dati al 2015 della pandemia, sono di quelli fanno tremare le gambe:
• 36,7 milioni di persone che vivono con HIV,
• 1.1 milioni di morti,
• 2.1 milioni di nuove infezioni (fonte UNaids).
Tuttavia, mentre l’aspettativa di vita nel 1980 mediamente non superava i 12 anni senza la ART, oggi, grazie ai trattamenti efficaci, in media abbiamo una aspettativa di vita di 53 anni addizionali. Oggi è ormai acclarato che l’offerta della terapia come prevenzione aggiuntiva è utile a concedere meno spazio all’epidemia, tuttavia è evidente che per mettere in trattamento i diversi milioni di persone con HIV nel mondo occorrono volontà politiche, prima ancora dei fondi necessari (che qualcuno più avanti dimostrerà essere meno di quel che si crede). In caso di esito positivo al test la cosiddetta retention in care è un tema che affligge molti paesi. Sicuramente gli USA che perdono numeri impressionanti di pazienti fra la diagnosi e l’inizio del trattamento, lo è anche per l’Italia anche se, per una volta, il nostro paese riesce a fare molto meglio della grande potenza.
Il tema della continuità del trattamento è direttamente proporzionale alla possibilità di avvicinarci all’obiettivo 90-90-90 proposto al mondo da UNaids (90% delle persone con HIV diagnosticate, 90% in trattamento, 90% a viremia soppressa). È un obiettivo molto ambizioso e la data limite del 2020 lo pone nella sfera delle idee irrealizzabili, tuttavia anche solo avvicinarsi in modo consistente alla meta, comporterebbe una grossa “botta” all’epidemia. Infatti, come è ormai largamente faucidimostrato, la soppressione virale comporta una possibilità di contagio talmente remota da poter dire zero, ma è ovvio che la carica virale va mantenuta abbattuta, che il paziente deve essere aderente e deve essere controllato da un sistema sanitario in grado di funzionare. Il che è maggiormente vero oggi che i pazienti HIV+ invecchiano, si trovano ad affrontare le co-morbidità tipiche dell’età che avanza a fronte di un sistema sanitario sempre più a corto di fondi, nella sensazione generale che HIV non sia più un’emergenza.
Attenzione: HIV ci mette pochissimo a tornare ad essere un’emergenza.
Vorrei anche chiarire che se l’obiettivo è ambizioso non è irrealizzabile. Secondo quanto riportato da HIV Medicine il 18 agosto 2016, la Svezia è il prima stato che dichiara di aver raggiunto quanto disposto da UNaids.
Ma non è tutto qui. Anthony Fauci ci ricorda che anche in caso di esito negativo non ce la caviamo con un ok tutto bene arrivederci, e propone il “Prevention Contiuum” ossia l’offerta di tools che facciano si che la persona con esito negativo resti tale. Fauci parla di counselling, di “Combination HIV Prevention”. È una gioia ascoltarlo e vorrei che molti compagni di viaggio (e che si fanno dei bei viaggi) italiani lo potessero ascoltare, è una gioia annotare che il BLQ Checkpoint sta già facendo pressoché tutto ciò che il professore cita.
Tornato alla terapia, Fauci cita alcuni fra i principali studi, ultimo quello pubblicato su JAMA lo scorso luglio, che lo portano a dire che ad oggi non ci sono casi documentati di trasmissione in coppie siero-discordanti dove il partener HIV+ è a viremia soppressa e lo fa citando i 58.000 atti sessuali dello studio, chiudendo così l’argomento.
prepTuttavia, non pago, ne apre immediatamente un altro: la PrEP. E va immediatamente alla best practice di San Francisco dove, grazie alla PrEP offerta a 1200 persone, in un anno mezzo hanno azzerato le nuove diagnosi fra gli arruolati nel programma. Mentre si sono registrate 82 nuove diagnosi fra chi non era nel programma (fonte AIDS 2016 abstract FRAE0104).
Con un eloquente gesto teso a dire spero che questo sia un messaggio chiaro a tutti, Fauci passa al futuro, prossimo per altro, e ci descrive gli studi sui farmaci a lento rilascio per poi passare alle sfide vere per il futuro che indirizza verso che quella che chiama HIV Persistence: la cura. Chiarisce subito che la cura classica, l’eradicazione, non è, qui e ora, nelle nostre possibilità ma è possibile giungere a controllare il rebound virologico grazie ad anticorpi specifici (cita un suo studio su animali pubblicato su Science il 13 ottobre, secondo il quale una breve terapia ARV con l’aggiunta di anticorpi particolari, porta ad un prolungato controllo della viremia a fronte della sospensione della terapia)… insomma ci spazi per la speranza. Ma non si ferma qua e dice al sua anche sul tema vaccino.
Fauci presenta due strade per un vaccino: quella tradizionale (approccio empirico o induttivo) che riproduce una infezione naturale e porta alla riorganizzazione del sistema immunitario che ci attrezza per combattere e vincere il contagio. Ci abbiamo già provato, infatti Fauci cita il noto studio realizzato in Thailandia con i fondi del ministero della difesa USA (risultati pubblicati su New England Journal of Medicine nel 2009), ci riprova l’NIH con uno studio che sta per iniziare in Sud Africa che prevede l’utilizzo di anticorpi monoclonali.
Studi interessanti ma anche necessari perché Fauci ci fa notare che si, è vero che il trattamento anticorpiARV è utile per la lotta contro HIV e per la sua prevenzione, ma costa molto. Il costo dei trattamenti per HIV, unitamente a quelli per HCV e il cancro, hanno portato pesanti dissesti in più un sistema sanitario nei paesi del primo mondo e Fauci sembra voler offrire una soluzione da temporeggiatore mostrando una tabella relativa ai farmaci generici per HIV, già utilizzabili per molti principi attivi e parecchi altri brevetti stanno per scadere. In effetti un accesso diffuso ai generici potrebbe garantire un utilizzo del trattamento ARV su larga scala, ma Fauci denuncia l’over-charging sui farmaci e chiede trasparenza sui prezzi come già ha fatto l’OMS. Ma Fauci va anche oltre, arrivando a ipotizzare i buyers club laddove i prezzi dei farmaci non dovessero consentire il trattamento diffuso e fa un preciso riferimento a Gilead, ai 10 miliardi di dollari di tasse che avrebbe aggirato e al costo dei farmaci per HCV.
È doveroso segnalare che durante un panel discussion, la prof. Mussini, direttrice della Clinica

Prof.ssa Mussini
prof. Mussini, direttrice della Clinica Malattie Infettive del Policlinico di Modena, ha citato il BLQ Checkpoint come best practice italiana nell’ambito delle nuove strategie per incrementare i test e limitare il numero delle diagnosi tardive

Malattie Infettive del Policlinico di Modena, ha citato il BLQ Checkpoint come best practice italiana nell’ambito delle nuove strategie per incrementare i test e limitare il numero delle diagnosi tardive. Un riconoscimento pubblico in una grande conferenza internazionale che è stato molto gradito.
Jens Lundgren ha tenuto una lettura sui dati scientifici a sostegno dell’inizio immediato della terapia in tutte le persone che ricevono la diagnosi di HIV. Lundgren è tra i ricercatori che ha condotto negli anni passati lo studio START, un grande studio in tutto il mondo per stabilire il rapporto tra rischi e benefici dell’inizio immediato della terapia. Ci sono voluti più di quattro anni per arruolare le oltre 4.500 persone che hanno preso parte allo studio, anni in cui tante discussioni sono state fatte su questo tema, anche dubitando che ci fosse la necessità di questo studio. Alla fine lo studio si è svolto in 215 centri di 35 paesi. Per prendere parte allo studio le persone dovevano avere una conta dei CD4 di almeno 500 cellule. Lo studio doveva continuare con i due gruppi – uno che iniziava la terapia subito e l’altro che aspettava fino a che i CD4 scendevano sotto la soglia di 350 considerata di riferimento allora dalla maggior parte delle linee guida per l’inizio della terapia – fino alla fine di quest’anno ma a metà 2015 il comitato che analizza i dati ha deciso di offrire la terapia a tutti perché era già evidente che in questo modo si evitano molti problemi di salute. Infatti ci sono state sensibilmente meno persone morte o che hanno sviluppato delle malattie gravi nel gruppo che ha iniziato la terapia subito rispetto a quelle nel gruppo che ha atteso il declino dei CD4. Anche la qualità della vita è migliorata nei primi due anni nelle persone che hanno iniziato la terapia subito. Una delle slide mostra come il rischio di sviluppare malattie collegate all’infezione da HIV cresce notevolmente nel gruppo che aspetta ad iniziare la terapia, ma non è nullo nemmeno nel gruppo che la inizia subito; questo indica che HIV è capace di fare danni anche in presenza di terapia almeno in alcune persone. Anche il rischio di lundgrenavere un tumore si riduce di circa il 60% se si comincia la terapia subito. Il rischio di malattie cardiovascolari invece non diminuisce significativamente. È stato fatto anche un sottostudio per valutare la elasticità delle arterie ma non si sono viste differenze grosse tra i due gruppi. Un altro sottostudio ha guardato la funzione polmonare: la differenza si vede tra chi fuma e chi non fuma, ma non tra chi inizia la terapia subito e chi aspetta. Infine hanno guardato anche se c’erano differenze per le funzioni neurologiche: nessuna differenza in questo caso, l’unica cosa che si vede è che le persone imparano a fare i test neuropsicologici sempre meglio nel corso del tempo. Adesso che lo studio è finito, i ricercatori possono vedere se c’è un qualsiasi aumentato problema di salute dovuto al fatto di fare la terapia per un tempo più lungo. Ovviamente ci sarebbe bisogno di seguire le persone per più tempo, ma in questi anni di studio non si è visto niente che possa far pensare a un danno di questo tipo. Una delle riflessioni finali è che la terapia precoce non elimina del tutto i problemi legati all’infezione da HIV, c’è quindi bisogno di nuove strategie per risolvere questo problema.
Fra i molti poster presentati, diversi sull’utilizzo dei farmaci ARV come prevenzione, interessante il lavoro di 56 Dean Street sulla percezione del rischio negli MsM in PrEP.
56-dean-strQuasi l’80% in daily PrEP e una minoranza ha scelto di assumerla secondo necessità. I risultati sono stati ottenuti sottoponendo un questionario anonimo a oltre 100 MsM nel quale veniva chiesto da quanto tempo fossero in PrEP, se e come fosse cambiata l’attività sessuale e la scelta dei partner, oltre a come percepiscono il rischio di prendere una IST.
Dal questionario è emerso un incremento nei rapporti condomless negli utenti in PrEP da più di 4 mesi, rispetto a coloro che aveva iniziato da poco l’assunzione. Inoltre dallo studio emerge che i partecipanti fossero molto più rilassati di un tempo rispetto alla possibilità di prendere HIV, ma più preoccupati di prendere una IST.
È importante che protocolli sulla PrEP vengano inseriti screening sulle IST e interventi di riduzione del rischio.
Ragionamento supportato anche da un altro studio dell’Università di Montreal sull’incremento di Chlamydia dopo la prescrizione della profilassi pre esposizione.
Sempre sulla PrEP è stato interessante notare come sia stata inserita nelle sessioni dedicate ai case studies. Il prof. Molina, padre della PrEP francese, ha portato sia il caso di una donna eterosessuale sposata ad un uomo con HIV che voleva avere figli e per via naturale, sia il caso di Mr B, un uomo gay di 30 anni in coppia con un partner HIV- con il quale fa sesso condomless, ma che con gli altri partner occasionali non ha un uso consistente di condom nei rapporti anali. Mr B è HIV-, HBV e HCV negativo, ha sentito che esiste una profilassi e chiede un supporto medico. Interessante notare come anche fra i sanitari del panel di discussione, l’atteggiamento non era più lo stesso e la differenza fra la donna che voleva un figlio e il ragazzo che faceva sesso in giro. Un medico avrebbe segnatamente consigliato di essere fedele al compagno e fine li. La platea, che poteva votare, consigliava di usare sia la Prep che il condom.
Le conclusioni di Molina sono da manuale: le persone a rischio elevato di contagio, devono riceve in via prioritaria interventi, quali counselling vis a vis, sulla riduzione del rischio e PrEP.
In caso di avvio della profilassi, è necessario eseguire test Ab-Ag al momento, dopo il primo mese e successivamente ogni tre mesi.
La PrEP, secondo Molina, deve essere parte integrata delle strategie di riduzione del rischio.
Un serie di presentazioni hanno cercato di valutare come raggiungere più rapidamente l’obiettivo 90-90-90. Si è parlato di barriere al test e, invece di distruggerle si pensa al test a casa, così come al home kit per la PrEP da un lato, mentre dall’altro il recupero delle raccomandazioni dell’OMS che prevedono per i sieropositivi una visita ogni 3-6 mesi e il ritiro dei farmaci ogni 3-6 mesi. Chissà se qualche centro clinico le ha mai lette.

Alla conferenza sono presenti numerosi espositori e booth di associazioni. È sempre molto interessante gironzolare e scoprire cosa fanno gli altri, specie se “gli altri” sono il THT che si è gorgoniinventato un simpatico pieghevole “gratta e vinci” per valutare se è ora di fare il test oppure no. Poi uno si volta e dallo stand di Gilead compare il viso di Simone Marcotullio di Nadir e subito sotto Paolo Gorgoni della nostra associazione, entrambi testimonial della campagna “Beyond HIV” alla quale numerose associazioni hanno dato un contributo.

L’ultima plenaria è stata interamente dedicata alla PrEP. Uno sguardo al passato, dove siamo arrivati ora, i follow up in corso, le possibilità per il futuro. Chiunque sia minimamente avvezzo alle conferenze avrà già capito che questo significa che PrEP ha piena titolarità nelle conferenze scientifiche.
Ma andiamo con ordine e, a proposito di ordine, ricordiamo che la PrEP è raccomandata con forza dall’OMS nelle sue linee guida. Raccomandata per chi? ECDC, European Center fo Disease Control, ci spiega che in Europa l’epidemia sta crescendo pressoché solo fra gli MsM. L’ECDC prende atto ecdcche le politiche di prevenzione rivolte a questa popolazione sono miseramente fallite e che la PrEP deve essere indirizzata verso questo gruppo in primis.
Valentina Cambiano, ricercatrice presso University College London, nella sua bella relazione sulla costo-efficacia della PrEP nel cosiddetto “primo mondo”, cita ben 15 studi sui costi della profilassi nei paesi ad alto reddito e le sue conclusioni sono molto più restrittive: allo stato dei fatti, la PrEP è costo-efficace non per tutti gli MsM, solo per coloro che sono effettivamente ad alto rischio. E qui entra in gioco il ruolo del counselling, possibilmente peer counselling e possibilmente da non confondersi con la relazione medico-paziente. Ossia l’associazionismo e in ruolo fondamentale che può e deve svolgere nella diffusione della PrEP.
Non paga la Cambiano si addentra nel tema citando due modelli indipendenti realizzati in Olanda e UK. Per comodità cito solo quello espresso in euro, dal quale emerge che il costo annuo di una persone in PrEP (monitoraggio incluso) è 7400€ in caso di assunzione giornaliera, 3850€ se assunzione on demand; il costo medio di un paziente in trattamento sta fra i 12400€ e i 13500€. Non mi sembra occorra un genio per notare la differenza tanto è vero che la Cambiano ipotizza addirittura che la PrEP possa essere cost-saving in qualche caso.
Tuttavia non è facile capire chi è eleggibile per essere inserito in un programma PrEP, ci viene in aiuto il prof. Molina di Parigi secondo il quale si devono selezionare persone:
• Adulte >18 anni
• HIV negativi al basale, meglio se dimostrato con un test combo
• Senza segni di infezione primaria da HIV
• Senza recenti esposizioni al rischi (almeno 4 settimane)
• Alto rischio di contagio
Di più: Molina chiarisce anche cosa significa per lui alto rischio per il gruppo MsM
• Sesso anale condomless con più di 2 differenti partner negli ultimi 6 mesi;
• IST diagnosticata negli ultimi 12 mesi (sifilide, gonorrea, chlamydia, HBV, HCV, ecc.)
• PEP (profilassi post esposizione) multiple negli ultimi 12 mesi;
• Uso di droghe durante i rapporti sessuali (cocaina, GHB, MDMA, ecc.)

Sempre secondo Molina, alcune persone non possono essere inserite in un programma di PrEP:
• Persone sieropositive o siero-ignote;
• Persone con segni di infezione primaria da HIV;
• Creatinina • Persone con HBV cronica se PrEP on demand;
• Ipersensibilità al TDF o FTC o agli eccipienti

Le dosi proposte, come è ormai noto, sono una pillola al giorno oppure on demand ma solo per gli MsM (causa assenza di dati su altri gruppi).
Le persone che si sottopongono a PrEP, dovrebbero sottoporsi a una visita al basale, dopo il 1° mese e poi ogni 3 mesi. Devono anche essere eseguite analisi e test quali HIV, HBV, HCV, IST e prep-attivisticreatinina da ripetere dopo il 1° mese e ogni 3 mesi per quanto riguarda HIV, almeno una volta all’anno per le altre IST.
Ma Molina è il padre della PrEP in Francia dove la profilassi è già disponibile. Che succede nel resto dell’Europa? Ci si arrangia con internet, interPrEP, ossia, chi può, compra farmaci generici online. Un gruppo di ricercatori britannici ha effettuato un monitoraggio dei prodotti che circolano online, per evitare che i farmaci per la PrEP avessero la stessa sorte del Viagra con la vendita online. Per farlo ha chiesto la collaborazione di un gruppo di persone che fanno capo ai servizi e che hanno asserito di comprare i farmaci in internet. A tali persone sono stati fatti prelievi per monitorare il livello di farmaco nel sangue e vedere se fosse effettivamente sufficiente a ottenere una copertura. I risultati dello studio sono confortanti: non ci sono segni di farmaci falsificati, i siti online si sono dimostrati genuini. Ma è stato evidente che il Truvada brand non è acquistabile da tutti, così come, del resto, il generico è una spesa che molti posso affrontare ma non tutti. In Europa, i generici saranno disponibili con ogni probabilità dal 2017.
Come sempre, noi italiani arriveremo a prendere delle decisioni sulla base di studi effettuati da altri, in altri territori e su gruppi probabilmente non sovrapponibili ai nostri, senza avere idee chiare sull’impatto nella clinica, senza sapere come e chi effettuerà la distribuzione, il tutto in un sistema sanitario sottoposto a tagli lineari e con budget sempre più ridotti. È facile ipotizzare che la vita della PrEP italiana non sarà semplice, dovrà imparare a sopravvivere fra medici ignoranti gli effetti della profilassi, la community impreparata ed altrettanto ignorante, la possibilità concreta di ulteriori discriminazioni nella community rispetto a chi scegli PrEP come gli USA hanno ampiamente dimostrato (cfr truvada whore).

Sandro Mattioli
Plus Onlus
Presidente

La partecipazione di Plus Onlus alla HIV Drug Therapy 2016 è stata resa possibile grazie a un contributo non condizionato di ViiV Healthcare.

È l’ultima giornata della conferenza e si chiude in bellezza.
Tanto per far arrabbiare qualche italiano, ho deciso di partecipare alla sessione sulla PrEP delle 11… poi devo partire.
Si tratta di una sessione di un’ora e mezza nella quale ricercatori provenienti da mezzo pianeta descrivono come implementare la Prep. Si, implementare.
Noi siamo ancora a menare il can per l’aia con asserzioni idiote quando non discriminatorie, qui gli studi vanno avanti dando ormai per assunto che Prep funziona per cui a nessuno viene in mente di proporre studi di efficacia. Tutti si sono lanciati in studi di accesso allargato, implementazione, follow up.
Inizia le danze il dott. Siegler, un bel ragazzo dell’università di Atlanta, che presenta un piccolo studio sulla possibilità e accettabilità di una Prep a casa, con supporto streaming… non so se vi rendete conto della fantascienza. Ha mostrato anche il video, fatto in modo simpatico e rivolto a Black MsM (un gruppo molto esposto). In pratico la persona riceve a casa un kit con tutto il necessario per restare in Prep, per fare i test necessari per IST (HIV, sifilide, tampone orale e rettale con le relative istruzioni su come fare), per poi spedire il tutto. Come ho scritto c’è anche la possibilità di parlare con un medico o con un counsellor per via telematica, ma risulterà che solo la metà del gruppo ha giudicato utile questa possibilità. Naturalmente si tratta di un piccolo pilota e anche il ricercatore nelle sue conclusioni afferma chiaramente che non si tratta di una soluzione universale. Potrebbe semplicemente essere una possibilità, da non sottovalutare stante che i ¾ dei partecipanti erano molto interessati all’utilizzo dei componenti del kit per testare le IST, che è costo efficace, che i partecipanti sono stati super aderenti.

Il successivo intervento era in pratica un follow up dello studio Caprisa 008 del 2010, sull’utilizzo topico del gel al tenofovir. In questo caso la delivery veniva fatta attraverso quelli che noi chiameremmo consultori familiari. La modifica, dalla clinica ai consultori, pare che sia piaciuta ma i risultati non sono stati esaltanti in termini di aderenza, se è vero che la presenza del farmaco nei tessuti vaginali ai controlli non è risultata altissima. Ricordo che 2 anni fa una ricercatrice lamentava non tanto la capacità del gel, che pare funzioni, quanto la scomodità dello strumento da utilizzare in loco.

La presentazione successiva riguardava l’utilizzo di Prep nelle coppie sierodiscordanti. Si tratta di uno studio dimostrativo realizzato in Uganda. La persona sieronegativa veniva messa in Prep per il periodo necessario al partner positivo, in trattamento, a raggiungere la soppressione virale, in genere almeno sei mesi. Il partner negativo ha assunto una pillola al giorno di Truvada, dopo aver chiarito che si sarebbe trattato di una assunzione a tempo. Per comprendere al meglio sia le motivazioni che l’aderenza, alle persone arruolate nello studio sono state proposte interviste qualitative registrate in audio e tradotte in inglese. La maggioranza delle persone in Prep erano donne, alcune (il 14%) hanno interrotto il trattamento a causa di una gravidanza, solo il 2% per una sospetta sieroconversione. Dalle interviste è emerso che, a fronte di una serie di dubbi iniziali sulla prep (timore degli effetti collaterali, adeguarsi al concetto “nuovo” di prendere medicine come prevenzione, ecc.), una volta che le utenti si sono abituate alla prep, che gli effetti collaterali sono scomparsi, di fronte al susseguirsi di test per HIV con esito negativo, la fiducia sullo strumento si è incrementata al punto che molte delle partecipanti hanno chiesto di restare in Prep perché dava loro una maggiore sicurezza, mentre è risultata chiara la pochissima fiducia nella capacità di prevenzione della Tasp del partner anche dopo il raggiungimento della soppressione virale.

La presentazione della SFAF (San Francisco Aids Foundation) la cito per dovere di cronaca stante la fantascienza applicata alla vita che rappresenterebbe per noi poverette. Si tratta si uno studio di implementazione della Prep, rivolto in primis alle persone trans o, meglio, cis gender men. Dei 1252 utenti screenati, il 92% asseriva di fare sesso senza preservativo , una parte nettamente inferiore aveva come fattore di rischio un rapporto monogamo con partner HIV+, una parte, circa il 3,6%, aveva un basso fattore di rischio dato dall’uso costante per condom ma è stata arruolata lo stesso perché gli utenti volevano sentirsi più sicuri.
Interessanti i dati sull’aderenza: il rispetto della visita programmata è passato dal 80% del primo mese all’84% del 16esimo mese, l’aderenza farmacologica supera il 95% e non accenna a calare. Storia diversa per le IST: al 16esimo mese si nota un incremento di un paio di punto delle infezioni rettali e della silifide, un incremento di 3 punti percentuali delle infezioni al cavo orale e all’uretra. Rispetto ai numero di rapporti sessuali senza condom, una netta prevalenza dei partecipanti allo studio non ha effettuato cambiamenti (49%), mentre una parte minoritaria, ma non insignificante, ha incrementato i rapporti senza condom che restano però stazionari con il passare dei mesi (34-39%). Questo tipo di Prep community delivered, perché distribuita e gestita dall’associazione, si è dimostrata efficace e, dalle interviste condotte, gradita perché pone la parola fine sulla paura del contagio (per citare uno degli intervistati).

La dott.ssa Heffron ci ha illustrato uno studio dimostrativo teso a ottimizzare la frequenza di controlli renali necessari a chi si sottopone alla Prep. Vi calmo subito dicendovi che il calo nella creatinina è un evento raro, nello studio addirittura il 75% chi aveva avuto un calo nella clereance non è stato confermato nei test successivi. Per cui parliamo di test da fare perché consigliati, ma per stare dalla parte dei bottoni. In sostanza viene confermata la raccomandazione del CDC di un test ogni 6 mesi. L’ultima presentazione viene dall’Australia, che tutto ha tranne che necessità della Prep e invece li è stata attivata e ci viene presentato pure uno studio di implementazione nelle comunità del Nuovo Galles del Sud. Non ne hanno un gran bisogno perché le nuove diagnosi in Australia sono stazionarie dal oltre 10 anni, tuttavia il governo locale ha deciso di migliorare la situazione già buona aggredendo anche quello zoccolo duro. Dopo tutto il piano strategico nazionale, perché l’Australia ha un piano (sic!), in pratica dice che test frequenti, trattamento precoce, prevenzione, può portare alla fine di HIV entro il 2020… Vedremo. Gli arruolati sono tutti MSM con una storia di rapporti a rischio, o uso di mentanfetamine, o diagnosi di gonorrea o clamidia rettale, o sifilide. Lo studio si chiama EPIC (Expanded Prep Implementation in Communities) e in effetti si propone di arruolare circa 3.700 MsM entro il 31 dicembre 2016. La fine del trial è prevista per dicembre 2018. Come farò a sopravvivere alla curiosità?!

Questa di Durban è stata fra le più classiche IAC alle quali ho avuto la fortuna di partecipare, accomunabile a quella di Città del Messico del 2008 per la forza delle associazioni e degli attivisti. In effetti sia in Africa che in America Latina si muore ancora troppo di Aids e la discriminazione su HIV è fortissima. Basti pensare che allo stand delle sex worker cercavano di capire come ovviare al fatto che le donne non possono tenere condom nella borsa perché se no rischiano l’arresto come prostitute. Il corto circuito è evidente. Qui essere omosessuale è un rischio in sé. In molti, troppi, paesi africani non ci sono dati sul contagio fra gli MsM banalmente perché essere gay è fuorilegge, un reato punibile con il carcere, se non peggio. Qui gli attivisti rischiano in proprio, vanno spesso contro la legge, vanno ben oltre al metterci la faccia. Ma hanno una forza interiore davvero incredibile e molti di coloro che hanno partecipato alla conferenza, l’hanno trasmessa parlando dai palchi, arringando i partecipanti, ballando, distruggendo lo stand di Gilead. Il coraggio sta nell’agire, se davvero vuoi che le cose cambino.

Chiudo informando tutti che EMA, European Medicine Agency, ha raccomandato il 21 luglio 2016, l’approvazione dell’uso di Truvada per la Prep. Ora tocca agli stati nazionali. Si va avanti.

Sandro Mattioli
Plus Onlus
Presidente

La partecipazione di Plus alla Conferenza Mondiale Aids 2016 di Durban, è stata resa possibile grazie ad un contributo di ViiV Healthcare.

Plenaria di mercoledì 20, procede liscia fino alla seconda presentazione, di Anton Pozniak, sulla drammatica situazione relativa all’epidemia di TB che non accenna ad arrestare la sua marcia, quando viene interrotta da una ragazza che si alza e inizia un canto, subito seguita da altre decine di ragazzi e ragazze, adolescenti con cartelli scritti a mano protestano e chiedono condom nelle loro scuole e la possibilità di andare a scuola. Emerge che la mancanza di assorbenti fa perdere alle ragazze decine di giorni di scuola.
Solo 5 minuti di interruzione che definiscono la disattenzione che il Paese pone in problemi facilmente risolvibili, il tutto alla presenza del ministro sudafricano per la salute che spero si sia vergognato. Ora capisco perché il Global Village è murato di condom, o perché alla conferenza di Città del Messico negli ultimi giorni gli attivisti africani facevano razzia di condom in tutti gli stand. Sulla relazione di Pozniak, molto interessante, per non sovrappormi a quanto scriverà Giulio, mi limito a segnalare la sua soluzione per la TB, così come per HIV, le co-infezioni e le co-morbidità: $90 $90 $90. 90 dollari all’anno per il trattamento di HIV; 90 dollari all’anno per trattare HBV; 90 dollari per 12 settimane di trattamento di HCV. Ossia il costo dei trattamenti non deve più essere un tema, una denuncia fortissima in un continente che sopravvive pressoché solo grazie alle donazioni.
Chiaramente Pozniak ha ripreso gli obiettivi che si è data UNAids per porre fine all’epidemia di HIV: 90% delle persone HIV+ a conoscenza del loro stato, 90% delle persone con HIV in trattamento, 90% delle persone con HIV in trattamento efficace (soppressione virale raggiunta), il tutto entro il 2020… un obiettivo da nulla!

Vaccino, a che punto siamo?
Non voglio rischiare di sovrappormi a Giulio perché si è trattato di una presentazione con molti dati scientifici, per cui mi limito a dire che era un po’ che non assistevo a una presentazione tesa a fare il punto strano della situazione sui vaccini. Noto che le mie sensazioni a riguardo non sono cambiate: un mix di depressione per i piccoli passi avanti e i clamorosi passi indietro che sono stati fatti fin qui, ma anche di speranza e esaltazione per il lavoro che c’è da fare e le possibilità che si stanno aprendo. Purtroppo i risultati, anche solo per gli studi in corso, sono previsti nel 2020. Da li, forse, sarà possibile fare ragionamenti di più alto tenore.
Come già ha scritto Giulio, le conferenze mondiali Aids, diversamente da altre un po’ più scientifiche, hanno lo scopo di mettere insieme comunità di pazienti e medici\ricercatori per unire gli sforzi e tentare di vincere HIV. Spesso, quindi, le plenarie si trasformano in momenti di denuncia e/o di riscatto di situazioni drammatiche rispetto alle quali ben poco può la scienza. Molto potrebbe la politica che, come spesso avviene, è la vera assente di queste conferenze. E’ il caso dell’attivista gay HIV+ Michael Ighodaro. Vivere come gay in Nigeria, dove il tuo corpo, il tuo essere viene visto come un abominio e rischi la vita. Se sei gay sieropositivo e vivi in Nigeria, rischi la vita due volte. Il coraggio di un ragazzo che vive apertamente la propria condizione, che lavora

Michael Ighodaro
Michael Ighodaro

per una organizzazione che si occupa di MsM che vivono con HIV, lui che da giovane gay sieropositivo sta sferzando la conferenza dicendo basta a slogan vuoti, sta dicendo che è ora di fare qualcosa e sta anche dettando l’agenda, il cosa fare per avere davvero una generazione aids free: “io sono gay, sono nigeriano, sono un rifugiato a 22 anni. Il mio compagno è morto perché come gay non ha potuto avere accesso ai servizi. Se non potete darci altro che slogan vuoti, se non potete fare niente per risolvere queste situazioni, non avremo mai una generazione libera e senza hiv”. Ha dato una grande prova di coraggio, una grande prova di cosa vuol dire lottare come attivista, trovare il coraggio di denunciare una situazione insostenibile davanti a migliaia di persone, e ha definito una volta per tutte che la discriminazione e lo stigma aiutano la diffusione di HIV. La slide delle conclusioni di una presentazione precedente, chiudeva con il suggerimento “find a champion in your country, or be yourself one”. Michael il nigeriano ha preso alla lettera quella conclusione.

Il prof. Molina, il padre della Prep francese, ha iniziato la sua relazione sullo studio open label, una sorta di follow up del ipergay (il noto studio francese che ha acclarato l’efficacia della Prep), ma viene subito interrotto dall’ingresso di attivisti (sotto potete vedere alcuni momenti) che protestano per l’avidità delle case farmaceutiche; in particolare viene posto l’accento su Gilead, come potete vedere dai cartelli autoprodotti esposti, accusata di pensare solo al profitto e di essere troppo tiepida sul tema Prep (con Truvada). Non posso fare a meno di pensare che, al netto del pensiero pragmaticamente ovvio che le imprese farmaceutiche sono imprese, il loro obiettivo è fare soldi, in effetti Gilead sta dimostrando un disinteresse per la Prep con Truvada che a tratti trovo fastidioso. Sappiamo che Truvada è efficace, basterebbe poco per fare un “bel gesto” pur sapendo che il brevetto di Truvada è in scadenza, e fare la figura dei “buoni”. Cosa molto più utile, a mio avviso, di qualunque strategia commerciale, porterebbe maggior lustro a Gilead e, dunque, maggiori entrate.

Tornando al prof. Molina, come ho detto sopra, c’è poco da dire: lo studio open label ha ri-dimostrato l’efficacia sia del prodotto che della modalità di somministrazione (on demand). Ma ha anche evidenziato che le preoccupazioni dei soliti gufi si stanno dimostrando infondate. Le conclusioni di Molina non riportano significative variazioni nell’uso di condom, né un calo dell’aderenza al trattamento col passare del tempo. Viene confermato il dato del calo della paura di affrontare un rapporto sessuale con conseguente incremento del piacere per il rapporto in sé e non mi sembra un risultato irrilevante in termini di qualità della vita delle persone che vivono con HIV. Trova conferma dallo studio l’incremento delle IST, tema che secondo Molina deve essere affrontato. Non voglio in nessun modo sottovalutare il tema, penso che la possibilità di incremento delle infezioni a trasmissione sessuale ci dica come la PrEP vada erogata a un gruppo relativamente ristretto di persone ad alto rischio di contagio, come del resto previsto in tutti gli studi, previo counselling vero (non solo rapporto medico paziente) teso a comprendere a fondo le motivazioni di certe scelte e ad avere un supporto quanto meno prossimo alla relazione di aiuto. Come disse la signora Clinton alla conferenza di Washington “non c’è conferenza senza proteste”, oggi le sue parole hanno trovato conferma. Gli attivisti africani, forse perché hanno ancora il senso della vita che gli sfugge tra le mani, sono molto più attenti di noi e non ho avuto la sensazione che il gruppo degli MsM venga isolato\trascurato dalla comunità. Qui il tema del contagio incredibilmente altro fra i “Black MsM” è estremamente presente nelle attività che vedo al Global Village, con messaggi e campagne specificamente rivolti a loro. Non serve che dica che nulla di tutto ciò viene fatto in Italia dove la paura e l’ipocrisia la fanno da padrone.

Sandro Mattioli
Plus Onlus
Presidente

La partecipazione di Plus alla Conferenza Mondiale Aids 2016 a Durban, è stata resa possibile grazie a un contributo di ViiV Healthcare.

PrepineuropeCosa pensi di una pillola per prevenire l’HIV? Un grande sondaggio europeo, lanciato in 11 paesi diversi, raccoglie le opinioni dei potenziali utilizzatori della PrEP su questo nuovo strumento di prevenzione purtroppo non ancora disponibile in Italia (potrebbe esserlo a partire dal prossimo anno). Si chiama “Flash! PrEP in Europe” e consiste in un questionario online anonimo che richiede 15-20 minuti del vostro tempo per la compilazione.

Il questionario si trova all’indirizzo http://tinyurl.com/prepineurope e si possono trovare informazioni anche sulla pagina Facebook http://fb.me/flashprepineurope.
Plus Onlus, insieme a Lila Milano, ha tradotto e sostiene la diffusione del questionario in Italia. Le risposte serviranno per meglio informare le strategie di accesso alla PrEP nei nostri paesi.

Primo intervento del presidente di Plus in occasione dell’incontro “HIV oggi” al Cassero LGBT center, giovedì 26 maggio 2015. Temi: TasP e PrEP. Presenti anche Diego Scudiero della LILA e il dottor Vincenzo Colangeli del policlinico Sant’Orsola.

A volte sul web leggo cose davvero strane.
Spesso ci sono personaggi simpatici che, per divertire gli altri, scrivono assurdità dichiarate, un po’ come succede quotidianamente su Facebook. Altri, invece, usano internet per fare sfoggio di grossolani pregiudizi. Credo che qualunque persona LGBT sappia di cosa scrivo. Ormai quotidianamente siamo attaccati da chiese, politici, fascisti, ecc.

Nell’ultimo anno e mezzo, Plus ha fortemente cercato, anche con alcune forzature provocatorie, di svecchiare il pensiero della comunità LGBT in termini di trattamenti contro HIV e prevenzione. WHOQuesto ha provocato, com’era nelle nostre intenzioni, l’apertura di vari momenti di confronto il più delle volte interessante anche se a tratti assai triste.
Triste, in parte perché il livello della discussione ha dimostrato quanto arretrata sia la nostra comunità e quanto sia indisponibile ai cambiamenti supportati da nuovi dati scientifici, sia quanto sia arretrato il pensiero politico in questo Paese, soprattutto fra alcune associazioni il cui scopo primario è, o dovrebbe essere, quello di evitare ogni possibile nuovo contagio.

È appunto con estrema tristezza che ho letto l’articolo scritto qualche tempo fa dalla presidente di NPS, Margherita D’Errico, sulla PrEP, dove trascina l’OMS in avventurosi ragionamenti sulla discriminazione delle persone MSM, o gay che dir si voglia, che l’Organizzazione Mondiale per la Sanità rinchiuderebbe nuovamente in categorie a rischio. Plus viene citata come una sorta di estensione italiana di tale ragionamento distorto.
Mi rendo conto che ne tentativo di trovare sostegno a tesi poco sostenibili politicamente parlando, ci si arrampica su tutti gli specchi possibili, ma da qui ad accusare un ente globale e la nostra associazione, di aiutare lo stigma ce ne corre: è una stupidaggine talmente palese che forse non meriterebbe nessuna risposta.
Ma, in vista di Icar 2015 che vede proprio la presidente di Nps fra gli organizzatori, penso che sia il caso di ricordare che OMS ha semplicemente preso atto di dati epidemiologici che, anche se a NPS è evidente che da fastidio, sono purtroppo incontrovertibili. Tali dati dovrebbero portare le associazioni di lotta contro HIV/Aids e le associazioni LGBT a ragionare sulle rispettive strategie di prevenzione, a come non siano andate a buon segno, o non completamente, adeguarle alle attuali Puzzle1esigenze della popolazione di riferimento, se si vuole provare a invertire la tendenza che si desume dai dati.
Dati che non arrivano solo dall’OMS, ma anche dal nostro COA e, più sommessamente, dal centro di controllo dell’Emilia Romagna. Continuare a fingere che tutto vada bene e insistere in campagne che centrano solo in parte l’obiettivo, sarebbe un po’ come insistere a dare lo stesso trattamento a persone HIV+ in fallimento terapeutico.
Una davvero una posizione furba!
Plus, per altro, non ha mai smesso di fare campagne contro lo stigma, di distribuire condom, di fare presenza anche in locali vocati al sesso occasionale (banalmente se vogliamo combattere HIV ha senso farlo dove più facilmente esso si annida), come è facilmente verificabile.
Plus non ha mai smesso di evidenziare il fatto che la prevenzione è un puzzle fatto da molte possibilità di intervento spesso da porre in essere in combinazione fra loro. Lo stesso presidente di Plus, in coppia siero-discordante, è in terapia ARV e utilizza il condom tanto per portare un esempio personale.

Pertanto, siamo tranquillamente nella posizione di rimandare al mittente le risibili accuse formulate dalla responsabile legale di Nps. Questa associazione si è interessata alla PrEP, solo nel momento in cui da diversi studi è arrivata la conferma dell’efficacia del trattamento. Chi ha più sexhiv-34-ridmemoria che pregiudizi, ricorderà che chi vi scrive espresse pesanti perplessità quando FDA approvò l’utilizzo di Truvada dopo un solo studio (Iprex). Oggi la situazione è profondamente mutata: sono stati portati a termine ben due studi europei che hanno confermato l’efficacia della PrEP anche on demand, gli interventi al CROI 2015 del dipartimento di salute pubblica di San Francisco, dove la PrEP è in uso da qualche anno, ci hanno descritto una tendenza in calo per le nuove diagnosi, ecc. mi hanno convinto che il trattamento preventivo è una realtà efficace. Chiaramente non per chiunque! La PrEP ha senso, ed è stata sperimentata,laddove le altre strategie bio-medicali si sono dimostrate non efficaci, non adatte elle esigenze delle persone.

Certamente ci sono numerosi nodi da sciogliere per andare avanti. Dobbiamo capire come interfacciare la PrEP con il nostro articolato sistema sanitario, come impatterà sulla pratica clinica, come gestire la presa in carico, ecc. Tutti temi sicuramente importanti, ma che, in parte, esulano dal ruolo di advocacy di una associazione.

Vale la pena sottolineare come insistere nell’evidenziare che il condom costa meno ed è altrettanto efficace, cosa ovvia, equivale ad abbandonare quelle persone che, per mille motivi, hanno difficoltà a usare sempre il condom.
È appunto a quel gruppo che si rivolge la PrEP: alcuni MSM, alcuni/e sex workers, ecc. persone che,Slut Shaming Department per elevato numero di partner, per alto numero di rapporti sessuali, unitamente all’uso discontinuo del preservativo, sono a rischio di contagio. Questo dicono le ricerche fin qui.
È vero che si tratta di gruppi sui quali ancora oggi grava il peso dello stigma e della discriminazione. Pesa perché ancora c’è chi presenta a nostra popolazione, che spesso non conosce, la nostra sessualità, in modo giudicante. Questo si che crea discrimine.
Si tratta di scelte. Plus ha scelto. Ha scelto di prendere atto che esistono persone con le quali ha più senso operare in termini di riduzione del rischio, che non in termini di giudizio. Persone con le quali si otterrebbe sicuramente di più con una PrEP, che non insistendo nel dire che il condom costa meno o che i gay devono astenersi. Persone che, se lasciate sole, corrono fortemente il rischio di contagiarsi e Plus preferisce evitare anche solo una infezione, invece di lanciarsi in giudizi inutili.

Sandro Mattioli
Plus Onlus
Presidente