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Flash! PrEP in Europe

Plus Onlus è tra gli enti promotori di una grande rilevazione condotta quest’estate in tutta Europa. Il tema del sondaggio Flash! è la PrEP, vale a dire la profilassi pre-esposizione contro l’hiv la cui efficacia è stata confermata da due studi: IperGAY e PROUD.

Malgrado un’approvazione generale nei confini della UE, solo la Francia ha introdotto in maniera soddisfacente questo importante strumento nella lotta alle nuove infezioni. In ambito europeo non UE si segnala il caso virtuoso della Norvegia.

L’obiettivo di Flash! PrEP in Europe è saggiare il livello di conoscenza in tema di PrEP e l’eventuale interesse a farne uso. Condotta nei mesi di giugno e luglio 2016 in 10 lingue e 12 Paesi, la rilevazione ha coinvolto 16.000 partecipanti (soprattutto tedeschi). I rispondenti italiani sono stati 353.

Aurélien Beaucamp, presidente dell’associazione francese AIDES, ha rilasciato la seguente dichiarazione: «Questi risultati confermano l’urgenza del nostro appello affinché la PrEP sia accessibile per tutte le popolazioni vulnerabili e in tutti i Paesi europei. Ora più che mai abbiamo bisogno di un accesso paritario a questo nuovo strumento, per frenare la progressione dell’epidemia in Europa».

I primi risultati della ricerca dimostrano che i rispondenti non solo conoscono la PrEP, ma la userebbero molto volentieri. Le associazioni promotrici ricordano tuttavia l’importanza del monitoraggio medico prima di entrare in PrEP e durante la somministrazione del farmaco (che contiene due principi attivi: tenofovir disoproxil fumarato ed emtricitabina). Un uso «informale» è altamente sconsigliato.

Ecco il pdf scaricabile con i primi risultati: Flash! PrEP in Europe – sintesi in italiano

Plus Onlus, insieme a Nadir, Lila, Arcigay e al Circolo Mario Mieli ha inviato una lettera alla ministra della Salute Beatrice Lorenzin chiedendo l’adozione istituzionale di questo strumento di prevenzione anche in ambito italiano.

Articolo di Benjamin Ryan

di Benjamin Ryan

Nell’estate del 2016, due studi di ampia portata hanno scoperto quanto segue: nessun partecipante sieropositivo ha trasmesso il virus al proprio partner sieronegativo in presenza di viremia soppressa (non rilevabile), malgrado rapporti sessuali in massima parte senza preservativo. Abbiamo quindi la garanzia che i sieropositivi undetectable non sono contagiosi?

Una recente meta-analisi di vari studi ha scoperto che i maschi che fanno sesso con altri maschi (i cosiddetti MSM) in PrEP (la profilassi pre-esposizione) hanno un tasso molto elevato di infezioni sessualmente trasmissibili rispetto agli altri MSM. Significa forse che prendere la PrEP agevola l’acquisizione di gonorrea, clamidia & co.?

La corretta interpretazione di queste ricerche – quali conclusioni trarre, quali evitare – dipende dalla comprensione di determinati principi della letteratura scientifica. Non bisogna avere un dottorato per arrivarci, ma quando ci si trova di fronte a certe notizie può essere utile ricorrere a un paio di concetti chiave, scientifici e matematici. Eccoli qua.

TasP - articolo di Benjamin Ryan

L’intervallo di confidenza

Forse vi è arrivato alle orecchie il motto lanciato dalla Prevention Access Campaign (PAC), «Undetectable = Uninfectious». Lo slogan si basa sull’assenza di trasmissioni di hiv rilevata nel corso dello studio HPTN 052 e nello studio PARTNER, tuttora in corso. Nessun partecipante sieropositivo con carica virale non rilevabile ha trasmesso al partner sieronegativo. Nel caso dello studio PARTNER, parliamo di 22.000 rapporti sessuali tra MSM e 36.000 rapporti sessuali etero.

Si tratta di un bel po’ di sesso senza preservativo in assenza di trasmissioni. Ciò detto, i ricercatori non saranno mai in condizione di affermare con assoluta certezza che chi è undetectable non è infettivo. Per capire il perché, bisogna prendere in considerazione un concetto importante in ambito statistico noto come l’intervallo di confidenza.

Quando gli autori degli studi scientifici pubblicano le stime relative a un determinato esito – in questo caso il tasso stimato di trasmissioni di hiv nel corso del tempo in presenza di viremia non rilevabile – forniscono anche un intervallo di confidenza. Questo significa che basandosi sui dati a disposizione, gli autori dello studio sono sicuri al 95% che l’esito definitivo si trova all’interno di un certo intervallo. Più dati hanno, più possono restringere l’intervallo di confidenza della loro stima.

Un intervallo di confidenza si può solo restringere, non eliminare. La sua persistenza, categorica conferma dell’inamovibile natura dell’incertezza, sta a significare che qualsiasi affermazione scientifica circa il rischio di trasmettere hiv anche in presenza di un virus soppresso si accompagnerà sempre a un briciolo di dubbio. I ricercatori possono solo consolidare la loro certezza nella stima del rischio.

Mettiamola così: in ambito scientifico non esistono garanzie al 100%, né c’è modo di dimostrare il contrario. Anche se i partecipanti allo studio PARTNER avessero centomila miliardi di rapporti sessuali in presenza di viremia soppressa e con zero trasmissioni, c’è sempre la possibilità che essa scatti in occasione del prossimo. Gli autori dello studio PARTNER possiedono già abbastanza dati per stimare che il rischio di trasmissione quando la viremia non è rilevabile è, davvero, zero. Ma i loro intervalli di confidenza per i vari tipi di atto sessuale sono molto diversi, in quanto si basano sui dati raccolti finora.

Dando un’occhiata a tutti i possibili tipi di sesso penetrativo con una persona sieropositiva undetectable, l’intervallo di confidenza degli studiosi ci dice che se seguissimo 10.000 coppie per un anno, il virus verrebbe trasmesso tra le 0 e le 30 volte. Dato che lo studio dispone di meno dati per gli MSM, l’intervallo di confidenza per quanto riguarda il rischio di trasmissione nel sesso anale con eiaculazione e partner hiv+ attivo oscilla attualmente tra 0 e 270.

Col procedere dello studio PARTNER, questi intervalli di confidenza sono destinati a rimpicciolirsi. E col tempo, almeno finché non si registreranno trasmissioni, la scienza potrà dire con sempre maggiore certezza che il rischio di passare il virus è così minuscolo da essere trascurabile.

PrEP - Articolo di Benjamin RyanCorrelazione vs. causalità, ovvero perché è così difficile determinare se la PrEP è responsabile dell’aumento delle IST

Può essere molto difficile, per gli studi scientifici, anche solo avvicinarsi all’obiettivo di dimostrare che un determinato fattore provoca un determinato esito. In una recente meta-analisi che mette a confronto il tasso di infezioni sessualmente trasmissibili tra MSM partecipanti a studi sulla PrEP e quello degli MSM coinvolti in altri studi, i ricercatori hanno scoperto che per i maschi in PrEP è 25 volte più probabile ricevere una diagnosi di gonorrea, 11 volte più probabile riceverne una di clamidia e 45 volte più probabile essere diagnosticati con la sifilide.

Quello che l’articolo non può dire con certezza è se andare in PrEP o partecipare a uno studio sulla PrEP faccia sì che gli uomini contraggano un maggior numero di IST. L’unica cosa acclarata è questa associazione, questo link, questa correlazione tra uso della PrEP e alti tassi di infezioni sessualmente trasmissibili. In altre parole: chi prende la PrEP tende a contrarre IST. O, detto con maggiore accuratezza, chi partecipa a studi sulla PrEP registra alti tassi di infezioni sessualmente trasmissibili. Tuttavia, un numero indefinito di cosiddetti fattori di confondimento può aver contribuito a questo alto tasso di infezioni che interessa i partecipanti agli studi sulla PrEP.

È più che comprensibile che un gruppo di MSM in PrEP tenda a contrarre un sacco di IST, visto che sono proprio i comportamenti sessuali ad alto rischio a far sì che una persona sia adatta a entrare in uno studio del genere – comportamenti che agevolano la presenza di gonorrea, clamidia o sifilide. E la buona notizia è che i maschi che rischiano di più sono anche i più interessati alla PrEP: quindi, se tutto va bene, la loro assunzione di Truvada dovrebbe concorrere al calo delle nuove infezioni.

Spesso, gli autori delle ricerche tendono a correggere o controllare i dati per tenere conto dei fattori di confondimento e dare un senso più netto di causa ed effetto, o almeno suggerire che una variabile possa aiutare a predirne un’altra – ad esempio l’obesità come fattore predittivo dell’infarto. Controllare questi fattori può aiutare gli studiosi a individuare con maggiore chiarezza il loro ruolo nell’esito che stanno esaminando.

Gli autori dell’articolo sulla PrEP non hanno modificato il tasso di IST per dare conto di qualche fattore confondente. Non hanno teorizzato che la differenza tra i tassi di infezione tra gli MSM in PrEP e quelli degli altri studi possa in parte essere funzione del fatto che per partecipare agli studi sulla PrEP bisogna essere propensi a rapporti rischiosi. La loro analisi non è stata strutturata per esaminare i cambiamenti nel tasso delle IST nel corso del tempo o per individuare le potenziali cause di tali tassi.

Se uno studio volesse capire se andare in PrEP cambia il tasso di IST, dovrebbe prima fotografare il tasso prima di assumere il Truvada e poi monitorare come cambia nel tempo. Anche in tal caso, lo studio non potrebbe dire se il tasso di IST avrebbe comunque seguito una traiettoria analoga anche senza introdurre la PrEP. I ricercatori avrebbero bisogno di un gruppo di confronto composto da persone simili, non in PrEP, in modo da seguire l’andamento delle IST nel corso del tempo.

Ma se i membri di questo gruppo di controllo non vengono selezionati a caso, ecco che il paragone rischia di introdurre variabili disorientanti. Le differenze nei comportamenti sessuali che influenzano le scelte di quegli MSM che hanno deciso di propria sponte di andare in PrEP o di partecipare a uno studio sulla PrEP, rispetto a quelli di coloro che hanno scelto di non farlo, potrebbero viziare i risultati di un confronto tra i due gruppi.

Lo studio PROUD con la PrEP, centrato su MSM con comportamenti ad alto rischio in Inghilterra, ha istituito sul serio un gruppo di confronto – allo scopo di determinare quanto la PrEP riesce a prevenire le nuove infezioni – facendo sì che una porzione dei partecipanti ricevesse il Truvada in un secondo momento. In questo modo tutti i partecipanti sono entrati nello studio alle medesime condizioni, ma ad alcuni di essi, scelti a caso, la PrEP è stata somministrata più tardi. Effettuato un confronto tra i tassi di IST dei partecipanti in PrEP e quelli in attesa di prenderla – tassi in entrambi i casi molto elevati – i ricercatori non hanno individuato alcuna correlazione tra l’inizio della PrEP e un aumento delle infezioni.

Altri studi sulla PrEP non hanno tendenzialmente riscontrato alcun cambiamento nel tasso di IST tra i partecipanti nel corso del tempo. Tuttavia, uno studio basato su una somministrazione della PrEP non giornaliera ha registrato un calo nell’uso del preservativo appena i partecipanti sono passati dalla fase placebo a quella open label, in cui sapevano cosa stavano prendendo. Questa è, finora, la prova scientifica più solida di come, almeno tra gli MSM, andare in PrEP coincida davvero con un aumento dei comportamenti sessuali a rischio, un fenomeno che può essere definito compensazione del rischio o, in parole povere, disinibizione.

Articolo originale (pubblicato su POZ il 4 novembre 2016)

Traduzione di Simone Buttazzi

croi2015_w280x100Ascolta o popolo di naviganti eroi poeti e santi
di emigranti di ricchi benestanti e lavoranti stanchi
or piantatela con i lamenti
basta di mugugnare
presto in coro a cantar e attenti a non stonare…

Sulla PrEP rimbalzano dal web, o dalle dichiarazioni dei tanti “ministri per la salute”, diverse inesattezze, imprecisioni, o addirittura sciocchezze spesso lasciate intendere, qualche volta perfino scritte da presunti esperti i quali, purtroppo, vengono ascoltati.

Anche se un po’ infastidito dalla superficialità con cui vengono affrontati temi delicati, provo a replicare con serenità a tali scempiaggini augurandomi che prima di scriverle/dirle, in futuro ci si informi un po’ meglio.

Apro affermando che la PrEP è consigliata ai soggetti ad elevato rischio di contagio. Non a tutti, non controvoglia o per forza.

A chi interessa la PrEP e perché tutto questo baccano intorno alla profilassi post esposizione per HIV.
Semplice: perché si parla di una infezione che si trasmette scopando.

Infatti la PrEP è una metodica utilizzata anche per prevenire la malaria e nessuno si è mai posto strane domande né si è mai chiesto chi ci guadagna con la malaria.

La PrEP per HIV per ora è stata autorizzata negli USA con un prodotto di Gilead che si chiama Truvada.
Poiché Gilead è una multinazionale, qualcuno ha pensato che chi promuove la PrEP, sia in qualche modo a libro paga della Gilead.
Poco importa che sia l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) a consigliare la PrEP. Pagheranno anche l’OMS, per non parlare del FDA (Food and Drug Administration che ha autorizzato la PrEP negli USA), UNAids (il programma delle Nazioni Unite contro l’Aids) che ha giusto oggi rilasciato un comunicato stampa a sostegno della PrEP (UNAIDS welcomes further evidence of the efficacy of antiretroviral medicines in preventing new HIV infections). Pagheranno anche tutte le 81 associazioni europee che, come noi in Italia, hanno sottoscritto lo stesso documento.

PuzzleQuello che sospettosi ignorano, è che il brevetto del Truvada scadrà nel 2017, ossia fra pochissimo, e che Gilead non ha nessun interesse economico a sponsorizzare il suo farmaco come PrEP in Europa. Banalmente si dovrebbe sbattere in richieste di autorizzazioni al commercio, concordare costi e procedure per poi far guadagnare le aziende dei generici.
Se non sollecitata dalle associazioni di pazienti e di lotta contro l’Aids europee, Gilead non farà nulla.
Quindi a chi interessa la PrEP?

Semplice: alle associazioni che hanno a cuore la salute delle persone e il cui obiettivo primario è evitare foss’anche una singola sieroconversione.

Il Truvada ha effetti collaterali. E’ assurdo far prendere una pillola al giorno ed esporre le persone a tali effetti. I farmaci sono veleno.

I farmaci salvano la vita alle persone. Gli effetti collaterali vanno gestiti dal medico insieme al paziente. In particolare gli effetti del farmaci ARV solo ormai noti e la loro gestione è più che possibile. Chi sostiene che il trattamento ARV è veleno, è una persona che non ha idea di quello che scrive.

Gli effetti collaterali del Truvada sono cosa notissima. La mia opinione, per quello che vale, è che è meglio il Truvada nel sangue che l’HIV, con buona pace degli effetti collaterali.

Detto questo, su possibili effetti a breve termine, mal di testa, vomito, ecc non sto neppure a replicare perché sono problemi che scemano velocemente e non si ripresentano. Cosa diversa, invece, sono gli effetti collaterali di lungo periodo.

Questi ultimi, hanno colpito le persone sieropositive che, costrette ad assumere il trattamento antiretrovirale a vita, hanno assunto il Truvada per anni non per un periodo di tempo.

La PrEP è una profilassi, non una terapia che si assume a vita e non puoi interrompere.

Interrompendo la PrEP gli eventuali problemi, per esempio ai reni, rientrano immediatamente (cfr SeattleCROI 2015 abstract 981 Reversibility of glomerular kidney function decline in HIV uninfected men and women discontinuing Emtricitabine/Tenofovir Dosoproxil Fumarate Pre-exposure Prophylaxis).

Cito uno studio presentato al CROI di Seattle sia perché è meglio sostenere le affermazioni con documenti scientifici, sia per far notare come sulla PrEP la ricerca sta andando avanti nel mondo, con buona pace degli scettici italiani. Ne allego alcuni in fondo alla pagina fotografati nel salone degli abstract del CROI, mi scuso per la qualità.
Il CROI è una conferenza della International Antiviral Society USA, non è il consiglio di amministrazione di Gilead.

Come se non bastasse, chi lamenta che il soggetto in PrEP prenderà farmaci per tutta la vita dimostra quantomeno di non essere informato se non addirittura in malafede. Gli studi europei Proud e Ipergay andavano proprio nella direzione opposta. In particolare Ipergay ha studiato l’assunzione on demand della PrEP. Ipergay ha dimostrato l’efficacia della formulazione che oltre ad essere efficace è anche meno costosa dell’assunzione quotidiana.

E qui veniamo ad un altro tema. Costa troppo, chi paga?

Costa troppo chi lo dice? Se in Italia prendessimo l’abitudine di fare studi, forse potremmo scoprire che costa meno una PrEP ad un ventenne ormonato per qualche mese, che ritrovarselo sieropositivo di li a poco e essere costretti a dargli una terapia per 60 anni, quella si tutti i giorni e con gli effetti collaterali di lungo periodo.

In Italia i farmaci di quel genere vengono rimborsati agli ospedali dal sistema sanitario. La PEP, profilassi post esposizione, la paga il sistema sanitario. Non vedo motivi perché debba essere diverso per la PrEP. Ovviamente è necessario che i decisori affrontino questi temi, non possono farlo le associazioni che semmai possono collaborare.

Ho scritto che la PrEP non è per tutti ma solo per gli individui esposti. In Italia, con ogni probabilità, parleremmo di MSM (maschi che fanno sesso con maschi).

A chi sostiene che quei gay che volessero accedere alla PrEP se ne devono assumere la responsabilità e devono pagare la visita, i farmaci e tutto il resto, così come a quei baroni della sanità che sostengono che la PrEP non è etica, rispondo benissimo, condivido.

Ma se la salute pubblica la misuriamo con il metro della responsabilità personale, allora anche chi fuma dovrà pagare il cardiologo o l’oncologo, gli interventi chirurgici, i farmaci antitumorali o chiemioterapici, ecc.; le donne che accedono all’aborto se ne assumeranno la responsabilità e pagheranno visite e intervento perché ci sono preservativi, femidom e anticoncezionali a piacere, e così via.

E’ del tutto evidente che chi fa certe sparate, dovrebbe valutare con maggiore attenzione le sue affermazioni, anche perché oggi la tendenza epidemiologica segnala un problema nella comunità MSM, ma non è detto che domani cambi. Assunto che si tratta di omosessuali maschi, non posso fare a meno di chiedermi che ruolo gioca l’omofobia, così diffusa in Italia, anche interiorizzata nella discussione in corso sulla PrEP.

Sandro Mattioli
Plus Onlus
Presidente

Secondo giorno, altra letterina.
croi2015_w280x100Plus, insieme a molte altre associazioni europee e, udite udite, italiane, ha sottoscritto un documento di sostegno alla PrEP preparato niente meno che da EATG e Aides.
Già alla pubblicazione del comunicato stampa, sono apparsi i primi commenti ed è davvero curioso notare come in questa conferenza sembra che i relatori li leggano e rispondano.
Infatti una plenaria e una intera mattinata di oral abstract (non è sesso orale astratto ma comunicazioni orali sulle ricerche effettuate), sono state dedicate al tema della prevenzione di secondo livello e della PrEP. Gli studi europei Proud e Ipergay, nome non certo casuale, sono stati presentati durante i workshop, così come un “demostration project” su PrEP e ART (trattamento antiretrovirale), un’analisi sull’incidenza della PrEP a S. Francisco, uno studio di fase III sull’applicazione pericoitale del gel al tenofovir per la prevenzione femminile.
Ma procediamo con ordine.
La plenaria di stamattina è iniziata con un primo resoconto dell’andamento della conferenza:

  • 4.015 partecipanti
  • 86 Paesi rappresentati
  • 44% dei partecipanti vengono da fuori gli USA
  • 25% per la prima volta al CROI

dato commentato dal podio con “sangue fresco”, forse non rendendosi ben conto.
Battute a parte, la plenaria parte in quarta con un argomento scottante, quanto meno per l’Italia, che è la PrEP, con una presentazione dal titolo: PrEP nella prevenzione di HIV. Quello che sappiamo e quello che abbiamo ancora bisogno di sapere per implementarla.
Relatore Raphael Landovitz University of California Los Angeles.
Landoviz inizia la lettura con una slide che, riassumendo, spiegava che per HIV non abbiamo né un vaccino, né una cura e indicava in PrEP e circoncisione maschile i punti su cui intervenire per ridurre il più possibile l’incidenza. Oltre alla necessità di ottimizzare la prevenzione proprio perchéPuzzle1 i fondi non sono illimitati.
Quindi dobbiamo utilizzare in modo combinato tutte le risorse che abbiamo a disposizione, e la slide successiva dimostra come la prevenzione di HIV sia un puzzle formato da tanti elementi, tutti con lo stesso obiettivo. Uno di questi elementi è la PrEP.
La PrEP non nasce certo con HIV, per esempio viene utilizzata per prevenire la malaria (ora qualcuno mi risponderà che però non protegge dalla febbre gialla?), in qualche modo è pure possibile un paragone con gli anticoncezionali che, alla loro comparsa sul mercato, provocarono polemiche infinite tutte di ordine morale e ora sappiamo tutti che cosa è e soprattutto non è successo con quelle pillole, ormai diventate di uso comune.
Il farmaco che ad oggi ha dato risultati più rilevanti è il Tenofovir+Emtricitabina. Perché è generalmente ben tollerato, è già possibile una co-formulazione, è relativamente difficile da aggirare e creare resistenze, ha una rapida concentrazione nei tessuti genitali e rettali. Il tutto è anche supportato da modelli animali.
Come ci siamo arrivatiNon mi dilungo sui meccanismi di funzionamento che sono molto complessi, vado subito al tema dei dosaggi. A quanto ho capito, oltre che sui modelli animali, ci si è basati sulle tempistiche della PEP (profilassi post esposizione) che è efficace entro un massimo di 48 ore dal rapporto a rischio. Per cui la PrEP andrebbe assunta entro 24/48 ore dal rapporto sessuale per ottimizzare la copertura del farmaco? Nel 1998/2000 questi erano gli orientamenti di studio. Sono poi stati riportati diversi studi a partire dal 2010 che ne dimostrano l’efficacia, nonché, per la gioia dei miei preoccupati connazionali, una serie di studi che dimostrano che la PrEP è generalmente ben tollerata tranne per lo start up dove si registrano sintomi quali nausea, vomito. I classici effetti collaterali a breve termine. Per quanto riguarda gli effetti collaterali seri la presentazione mostra dati e percentuali davvero poco significative in relazione ai possibili problemi renali (un leggero aumento di creatinina su 2 partecipanti su 5469), e ossei, tanto è vero che non c’è associazione ad un incrementato rischio di fratture. Tuttavia, giustamente, il ricercatore segnala che sono necessari follow up di lungo termine per essere certi di questi risultati.
Viene giustamente citato il counselling a sostegno di chi fa la PrEP e anche tutta una serie di strumenti che posso essere di aiuto, sostegno, controllo della persona in PrEP: dagli sms, ai portapillole pre-dosati, alle app.
Altro tema caldo: costo-efficacia. Ovviamente la PrEP non è per tutta la popolazione sessualmente attiva, ma se la PrEP viene targettizzata su individui o gruppi ad elevato rischio di contagio, ci sono già i primi studi che parlano di costo-efficacia positiva (Buchbinder SP e altri, Lancet 2014).Cost-effectiveness
Le conclusione a cui giunge il ricercatore sono che la PrEP:
è altamente efficace se assunta come da indicazioni;
va rivolta solo a particolari persone, segnala la necessità di più studi su persone transgender, donne esposte, possibilmente in partnership con le associazioni. E chiude in maiuscolo con un bellissimo “nessun singolo intervento sarà mai in grado di far finire l’epidemia da HIV”, quindi la parola magica è combinazione di più elementi, utilizzare tutte le armi che abbiamo in combinazione. Torniamo al puzzle di prima.
Il resto della mattinata è stato dominato dalle presentazioni degli studi europei sulla PrEP.
Sheena McCormack (Clinical Trial Unit of University College, London) ha presentato lo studio randomizzato open label Proud. Uno studio molto interessante che parte implicitamente da una critica allo studio statunitense Iprex, il quale pretendeva una aderenza stellare per avere risultati buoni. Il mondo reale non è l’Iprex, che succede se non c’è quel tipo di aderenza? Lo studio è stato proposto a maschi gay (guarda caso), randomizzato in due bracci uno con Truvada subito, uno con Truvada dopo 12 mesi. Il follow up di 3 volte al mese per 24 mesi. Una cosa impegnativa. Disegnato per imitare la vita reale, dice una slide della ricercatrice, e infatti anche i test clinici sono ridotti alla routine, ma vengono testate le IST (HIV, HCV, sifilide, gonorrea, clamidia); vengono anche proposti interventi di cambio di comportamento in base al rischio sessuale corso, alla aderenza, ecc. Gli arruolati sono 545, di cui 276 trattati subito e 269 differiti.
Interessante notare come fra i trattati subito in 14 non hanno mai iniziato la PrEP e sempre la stessa percentuale è in seguito ricorsa alla PEP. Ma va anche detto che ben l’83% dei differiti è ricordo alla PEP. La PrEP è stata interrotta da 28 partecipanti di entrambi i gruppi, ma solo 13 hanno avuto eventi che correlavano con l’assunzione dei farmaci (nausea, mal di testa, ecc.). 11 su

CONCLUSIONI STUDIO PROUD
CONCLUSIONI STUDIO PROUD

13 hanno ripreso lo studio. Questi in sostanza sono stati i disturbi fisici.
I risultati sono impressionanti. A 48 settimane dall’arruolamento, i casi di sieroconversione nel braccio dei trattati subito sono stati 3. Nei differiti 19. Con un rapido calcolo è facile vedere che l’incidenza totale di 4,9, già alta, sale a 8,9 nel gruppo dei differiti. Lo studio propone una percentuale di efficacia del 86% (P value 0,0002).
Ma la PrEP non protegge dalle altre IST. Verissimo. Lo studio è andato a misurare l’incidenza nei i due gruppi delle varie infezioni a trasmissione sessuale (sifilide, clamidia, ecc.) e si è visto che non ci sono differenze significative fra i due gruppi. Al follow up si è visto che in entrambi i gruppi non ci sono stati incrementi nel numero dei partner, nel numero dei rapporti sessuali senza condom. Sembra cade quindi un altro tema caldo: le infezioni a trasmissione sessuale non subiscono modifiche, non c’è la rincorsa allo scopare tutto ciò che si muove.
Ricordo che parliamo di persone che non usano sempre il condom.
Le conclusioni segnalano che gli stessi ricercatori non si aspettavano una indicenza così alta e che la PrEP è opportuno usarla in questi casi e, quindi, in questi gruppi. Che le IST contratte sono state speculari in entrambi i gruppi. Che per gli MSM ad elevato rischio la PrEP è una strategia concreta di riduzione del rischio e che il condom va usato comunque. Aggiunge in ultimo che le cliniche devono essere nelle condizioni di poter fornire la PrEP, ovviamente.

ON DEMAND
ASSUNZIONE ON DEMAND

Il secondo studio europeo è Ipergay presentato da Jean Michel Molina, Università Diderot di Parigi, in rappresentanza del gruppo di lavoro dello studio che ha unito centri francesi e canadesi.
Ipergay si presenta subito come ancora più attento alla vita quotidiana. Infatti vuole capire se la PrEP funzione anche on demand.
Già vedo i fumetti sulla testa di chi sta leggendo… per caso c’è scritto così le checche sono libere di scoparsi il mondo con un paio di pillole alla bisogna?
Nel caso vi ricordo che la stessa cosa la dicevano i nostri nonni delle pillole anti-concezionali.
Il background da cui parte Ipergay è simile a quello britannico: alta prevalenza fra gli MSM (cosa che evidentemente in Francia nessuno teme che si sappia); il tallone d’achille degli studi americani rispetto alla aderenza altissima; i costi più bassi del dosaggio on demand rispetto all’assunzione giornaliera e, probabilmente, un maggiore gradimento di questa modalità. Anche in questo caso si citano i modelli animali a supporto.

Con “on demand” si intende che lo studio ha sperimentato un’assunzione di 2 compresse prima del rapporto sessuale, 1 compressa 24 ore dopo il rapporto e una 48 ore dopo la prima dose.
Anche in questo caso vengono controllate la sieroconversione, l’aderenza, le IST, i comportamenti sessuali (uso del condom, numero dei partner, numero dei rapporti sessuali, ecc.), la sicurezza e l’efficacia. Lo studio è organizzato su due bracci, uno trattato e un placebo. Ed è proprio sull’efficacia che a ottobre 2014 il braccio placebo viene interrotto per ragioni etiche, tale era l’evidenza dell’efficacia.

CONCLUSIONI IPERGAY
CONCLUSIONI IPERGAY

414 arruolati sono stati randomizzati in due bracci: 206 trattato con tenofovir/emtricitabina e 208 placebo. 88% di follow up in entrambi i gruppi. Di nuovo ricordo che parliamo di persone con una vita sessuale molto attiva e che non sempre usano il condom.
Per quanto riguarda le IST i risultati sono simile allo studio inglese, così come l’andamento dei rapporti sessuali. Le sieroconversiono sono state 14 nel braccio placebo e 2 nel braccio trattato. Anche qui il risultato finale è 86% di copertura (P value 0,0002), la percentuale di uso corretto della PrEP è stata buona anche grazie alla modalità on demand.
Le conclusioni di Ipergay sono speculari allo studio Proud:
non si aspettavano una incidenza così alta;
la PrEP on demand è altamente efficace nel ridurre tale incidenza;
la PrEP on demand è sicura, ed è una alternativa attrattiva alla PrEP con assunzione quotidiana di pillole, almeno negli MSM ad alto rischio che non sempre usano il condom.

Ma andiamo avanti. Jared Baeten ha presentato un altro aspetto della lotta contro HIV, sempre sul piano della prevenzione. Ossia la combinazione di Art e PrEP in un progetto dimostrativo effettuato in Kenya/Uganda. Un approccio combinato quindi, che potrebbe portare la riduzione dell’incidenza al 90%.
Questa volta il target sono coppie eterosessuali sierodiscordanti, escluse le coppie che già avevano partecipato allo studio Partner.
La ART offerta al partner positivo a prescindere dal numero di CD4 come da linee guida ugandesi; la PrEP offerta in assunzione quotidiana per via orale di tenofovir/emtricitabina per circa 6 mesi, ossia il periodo necessario al partner positivo per raggiungere la viremia undetectable. Anche qui c’è stato un follow up di 24 mesi comprensivo di test HIV, supporto, riduzione del rischio, ecc. In totale 1013 sono le coppie arruolate, il 66% delle quali ha avuto rapporti non protetti nel mese precedente l’arruolamento.
L’osservazione ha mostrato una riduzione del 96% rispetto all’incidenza attesa.

Il Dipartimento di salute pubblica di S. Francisco e la SFAF si stanno già chiedendo come incrementare l’uso della PrEP, stante i risultati che stanno avendo a partire dal 2013. Robert Grant, Gladston Institutes, S. Francisco, ne ha parlato nel workshop successivo. Gli obiettivi del Dipartimento sono rendere disponibilità la PrEP per tutte le persone che ne necessitano, soddisfareSCALE UP SFAF il desiderio di PrEP, raggiungere così un calo del 70% delle nuove diagnosi.
Come tale hanno svolto studi e ricerche tese a valutare i rapporti a rischio più comuni, i bisogni della popolazione più a rischio, a valutare l’impatto che la PrEP potrebbe avere nella pratica quotidiana. Mi sembra di vedere un film di fantascienza.

Ultimo poi vi disturbo più per un po’; lo studio sulle donne e la prevenzione al femminile. E’ uno studio sudafricano, randomizzato, multicentrico, di fase III, sull’utilizzo pericoitale di gel al Tenofovir. Banalmente significa l’applicazione del gel vaginale prima e dopo il rapporto. Il tema dell’aderenza è stato un dramma in questo caso, meno del 25% delle donne è riuscita ad essere aderente, nonostante gli sforzi e le campagne (“I party with my gels”) degli organizzatori. In questo caso la stima di riduzione di incidenza è risultata essere del 52% (P value 0,04). Le conclusioni parlano di sicurezza del prodotto ma di efficacia insufficiente a tutelare questa popolazione che, evidentemente, ha dimostrato grosse difficoltà nell’utilizzo dello strumento in sé. Le donne hanno utilizzato il gel nel 50-60% dei rapporti sessuali (percentuale definita semi oggettiva dagli stessi ricercatori). Infatti la maggior parte delle partecipanti non è riuscita a raggiungere il livello di copertura necessario alla protezione. Chiude chiedendo strumenti di prevenzione studiati per le giovani donne, strumenti facili da usare, che sia possibile integrare nella quotidianità.

Sandro Mattioli
Plus Onlus
Presidente