Nota di colore: stanotte ho dormito poco e male fra jet leg e allergia, per cui ho avuto la bella idea di andare presto al centro congressi. Niente di meglio di una bella passeggiata a -3 per svegliarsi… anche l’orso blu sembra darmi del pirla.
In questo tipo di conferenze le plenarie sono verosimilmente organizzate in modo oculato dalla direzione scientifica, la scelta degli argomenti ci da anche idea dell’orientamento che prende la conferenza, in termini scientifici e non solo.
La plenaria di oggi ha visto di nuovo al primo posto i vaccini. Chiunque con un minimo di esperienza ha ormai capito quanto scocci agli istituti di ricerca statunitensi il disastro degli ultimi studi sui vaccini contro HIV e, soprattutto, quanto siano preoccupati per la più che probabile perdita di finanziamenti.
Il mio inglese è lontano dalla perfezione, ma giurerei che la dott.ssa McElrath che ha inaugurato la plenaria con una lettura dal titolo “what’s new in HIV vaccines”, ha iniziato mostrando una slide con una lunga serie di studi inefficaci ed ha detto che sono studi di successo anche se poi sono andati male in termini di efficacia, il motivo è che hanno imparato moltissimo. Ripeto spero di aver capito male, ma è una mentalità “driven by money” che sembra non tener conto che i “topi da laboratorio” erano persone per lo più di Paesi in via di sviluppo. Senza nulla togliere all’importanza delle nuove conoscenze acquisite, a me sembra un modo di pensare davvero lontano dalla mia sensibilità. Detto questo a che punto siamo coi vaccini? Siamo a quello di sempre: uno dopo l’altro falliscono tutti, non funzionano ma impariamo nuove cose. Continuiamo a sperare e a studiare è ovvio, ma vorrei vedere meno titoli sensazionalistici in giro e stare su un dato di realtà perché abbiamo a che fare con delle vite. Grazie a quello che abbiamo imparato ora sono al vaglio diverse strategie, percorsi alternativi che hanno guidato la ricerca verso altri studi su nuovi vaccini. Incrociamo le dita e speriamo che vada meglio, ma è chiaro che al momento siamo ancora alle sfide e alla necessità di invogliare i giovani ricercatori a raccogliere la sfida.
Negli ultimi 20 anni ho sentito molte volte richieste di questo tenore, in genere vuol dire che ci sono delle difficoltà e sui vaccini è palese che ci sono.
La seconda lettura è stata tenuta dalla kenyana Nelly Mungo sul tema scottante del HPV. Ci ha parlato quasi esclusivamente di cancro cervicale, dichiarando con disinvoltura che si gli MSM hanno un serissimo problema di cancro anale HPV derivato, ma meno persistente per cui non ne avrebbe parlato. Io sono assolutamente favorevole alla medicina di genere e ancora più favorevole a che si parli di cancro cervicale perché è una vera piaga, ma questo non giustifica tale precisazione che denota mancanza di professionalità e serietà scientifica. Non capisco che senso ha farci vedere una slide come quella che pubblico qui a lato, per poi dire io non ne parlo. Non farla vedere e non parlarne avrebbe avuto più senso.
Detto questo, resta il fatto indiscutibile che il cancro da HPV è fra le patologie più frequenti con oltre 2 milioni di casi all’anno (dati del 2018) e, tanto per cambiare, l’Africa sub-sahariana di distingue per numero di casi e disuguaglianze nell’accesso alle vaccinazioni e ai trattamenti. Geograficamente parlando l’area di azione di HPV è pressoché sovrapponibile a quella di HIV, infatti alcuni studi citati dalla Mungo ci fanno pensare che la presenza di una infezione da HPV correli con una incrementata possibilità di contagio con HIV.
Tuttavia Nelly Mungo ci fa anche notare che il cancro alla cervice uterina è uno dei pochi dove la prevenzione è possibile ed efficace grazie agli screening sulle lesioni pre-cancerose, alla vaccinazione efficace già con una sola dose (presenta diversi studi a sostegno della tesi), ecc. Tuttavia sono ancora molte le sfide che vanno dall’implementazione della dose singola, all’incremento dei test di screening e cita soprattutto le donne che vivono con HIV.
Chiude dicendo che le comunità non devono ignorare le malattie derivate dall’azione di HPV, il che è buffo stante lei ha deciso di ignorare gli MSM. Mah…
Ho deciso di seguire una sessione sulla prevenzione perché sono stati presentati i dati relativi a un primo studio sul TAF (Tenofovir alafenamide) su impianto sottocutaneo annuale di silicone. I dati preclinici su modelli animali erano buoni, ma lo studio – tenuto in Sud Africa su donne cis – non è andato ugualmente bene. Il numero relativamente esiguo di arruolate, 36, denota che si tratta di un primo approccio al tema, ma resta il fatto che il 31% non ha tollerato l’impianto che è stato rimosso prima della fine dello studio, in aggiunta numerose donne hanno avuto problemi cutanei nella zona di inserimento pertanto il risultato finale – poor tolerability – non è stato un successo.
A seguire sono stati presentati diversi studi sulla famosa doxypep ossia la profilassi post esposizione con un antibiotico (la doxiciclina) che sembrava dare buoni risultati contro gonorrea, clamidia e sifilide. Purtroppo non è così semplice.
Forse ricorderete che in un post sulla conferenza EACS avevo descritto i dati preliminari dello studio di Molina – il papà della PrEP on demand – su doxypep e vaccino contro meningococco B (menB). A questo CROI hanno presentato i dati finali dai quali è emerso che il menB sembra meno efficace del previsto contro gonorrea, pur nella necessità di altri studi non mi sembra un dato da prendere sottogamba. Doxy è si efficace contro clamidia e sifilide, ma visibilmente meno contro gonorrea dove si registra lo sviluppo di resistenze nel 35% dei casi.
Gli studi americani presentati partono da un presupposto diverso. In estrema sintesi: c’è un background di crescita di IST che la doxy abbatte, dunque la diamo a tutti poi l’utente deciderà quando usarla. Nessun accenno a counselling almeno di ordine medico, immagino che venga fatto. Trovo sconcertante questo modus operandi non foss’altro per il fatto che la strategia test and treat sappiamo che funziona e che può essere utilizzata e promossa nel mentre che cerchiamo di capire se è il caso di rischiare di giocarci un antibiotico importante, rispetto alla cui azione qualcuno pone dubbi sul comportamento degli altri batteri che ospitiamo nel nostro corpo. Tanto è vero che nelle conclusioni si richiama la necessità di studi di più lunga durata, ma nel frattempo la usiamo. OK.
Come sapete Plus ha sempre basato le sue decisioni e le sue battaglie partendo dall’evidenza scientifica. Su doxypep non mi sembra proprio che ci siano tali evidenze, il fatto che funzioni contro clamidia è un dato che sembra chiaro, ma è sufficiente rispetto a ciò che ancora non sappiamo per certo. Inoltre, piccolo dato di natura burocratica, in Italia non ci sono linee guida sul tema. Visto che non siamo disarmati, che non parliamo di patologie letali, che abbiamo già strategie che funzionano, non vedo la necessità di affrettare decisioni senza avere dati definitivi.
Sandro Mattioli
Plus aps