Sono ormai 2 anni che, a causa della pandemia covid-19, siamo stati impossibilitati a programmare il nostro solito corso annuale per diventare volontari del Blq Checkpoint. Adesso, dato il miglioramento della situazione pandemica, abbiamo davvero voglia di conoscere nuove persone pronte a trascorrere un pò del loro tempo insieme a noi con questo nuovo corso di formazione. Al termine di ogni lezione sarà possibile pranzare.
Le ore d’aula* nella sede di Plus, via San Carlo 42c a Bologna, sono aperte a chiunque voglia approfondire gli argomenti trattati, quindi anche se non vuoi fare il volontario ma ti interessano i temi, sei libero di entrare ed ascoltare. Invece la parte residenziale del corso è riservata a chi vuole fare il volontario.
Il Corso inizierà sabato 26 marzo 2022 e terminerà con le giornate di laboratorio residenziale nel week end del 13-15 maggio 2022 per un totale di 46 ore fra aula e laboratorio.
*In base al numero dei partecipanti, le ore in aula potrebbero essere svolte in via Sant’ Isaia 94/a presso le aule di docenza dell’AUSL
Per partecipare è necessario inviare una mail a info@plus-aps.it indicando: nome e cognome numero cellulare
Sandro Mattioli Il BLQ Checkpoint: come funziona, gestionale costi, rapporti con le istituzioni.Rita Masina Esecuzione dei test: decreto 17 marzo 2021, metodologia ed esecuzione dei test.
Sabato 7 maggio
Stefano Pieralli Relazione d’aiuto: empatia, sospensione del giudizio, consapevolezza.
Finalmente le tante persone che chiedevano del Corso di formazione per volontari del BLQ Checkpoint hanno una risposta. Il Corso inizierà sabato 21 settembre 2019 e terminerà con le giornate di laboratorio residenziale nel week end del 8-10 novembre 2019 per un totale di 46 ore fra aula e laboratorio. Per partecipare è necessario inviare una mail a info@plus-onlus.it indicando: nome e cognome numero cellulare
Ecco il calendario del corso. [table id=7 /] Il corso è certificato dalla Regione Emilia Romagna ed è prevista l’erogazione di crediti formativi, quindi la presenza è obbligatoria per la maggior parte del corso. Ulteriori informazioni in merito verranno fornite personalmente. Le ore d’aula nella sede di Plus, via San Carlo 42c a Bologna, sono aperte a chiunque voglia approfondire gli argomenti trattati, quindi anche se non vuoi fare il volontario ma ti interessano i temi, sei libero di entrare ed ascoltare. Invece la parte residenziale del corso è riservata a chi vuole fare il volontario.
Il titolo scimmiotta immeritatamente quello di un bellissimo articolo scritto da Mark King, noto attivista statunitense, per celebrare la giornata mondiale per la lotta contro l’Aids. Oggi abbiamo nuove vite in un mondo che non è soffocato dalla malattia, scrive King in chiusura, e sono convinto che la consapevolezza dell’orrore passato sia sua personale che della comunità omosessuale statunitense, rende ancora più vera quella frase. Una frase che, tuttavia, mi ha fatto riflettere sulla situazione attuale in Italia e sulle grandi differenze fra i due paesi.
Sul piano clinico, fra Italia e USA non c’è storia. L’Italia vanta un numero altissimo di persone sieropositive prese in carico dagli ospedali. Persone che seguono correttamente le indicazioni dei medici e che hanno ottenuto una carica virale non più rilevabile e, quindi, non più contagiose. Tutto il contrario degli USA che, probabilmente per vie del sistema sanitario profondamente diverso dal nostro, non ha neanche lontanamente ottenuto i successi italiani. Non possiamo dire lo stesso sul piano sociale, della consapevolezza politica di una comunità che negli USA si è fatta carico della salute dei propri membri fin dall’inizio della pandemia negli anni 80. Oggi quella comunità vanta alcune fra le più grandi associazioni di persone sieropositive e di attivisti nella lotta contro HIV/AIDS. Vanta un percorso fatto di compassione per le sofferenze di amici, amanti, persone vicine che non ci sono più. La nostra comunità ha fatto una scelta diametralmente opposta: ha scelto che fossero altri ad occuparsi di HIV, ha scelto di non farsi carico del tema e di lasciare sole le persone gay sieropositive a gestire l’infezione, lo stigma, il corpo che cambia, il rifiuto di se stessi e l’isolamento da parte degli altri, e tutto quello che comporta essere omosessuali e sieropositivi in una società sessuofobica, giudicante, bigotta di cui anche la comunità LGBT è parte integrante. Si integrante. Lo vediamo ancora oggi.
Nonostante l’associazionismo gay stia cercando di recuperare i decenni perduti, la comunità omosessuale molto – troppo – spesso addita i gay sieropositivi come indegni, indecenti, se hanno HIV chissà cosa hanno combinato, altro da noi. Trovare un “marito” è cosa ben più complicata qui che altrove anche perché ci piace tenere la testa sotto la sabbia, nella convinzione che HIV riguardi gli errori degli altri non noi, e quindi fuggire è la cosa migliore che ci viene in mente, fuggire dalla paura irrazionale, dai giudizi, da quello che anche i migliori giornalisti nazionali chiamano con termini medievali,. Fuggire, non avere contatti meno che mai sessuali, non avere nessuna cognizione dello stigma che viene posto in essere con le stesse dinamiche discriminatorie che alcuni eterosessuali attivano nei confronti dei gay.
Si, c’è una pesante discriminazione dei gay verso una minoranza di gay sieropositivi, uno stigma costruito su mattoni fatti di silenzi, paure, ignoranza. Alla fine della fiera siamo discriminati due volte per il nostro orientamento sessuale e per il nostro stato sierologico. Non c’è compassione, non c’è comprensione, non c’è coscienza storica né collettiva. “Io, me stesso e me” sembra essere il mantra di questa fase storica del movimento italiano che, giustamente, si commuove per i migranti ma isola e respinge parte della sua stessa identità.
Oggi le cose possono essere diverse. Noi, persone sieropositive, abbiamo questo potere. Oggi noi fermiamo l’epidemia. A 10 anni dal primo studio del prof. Vernazza sulla non contagiosità delle persone sieropositive in trattamento efficace, studio che portò alla dichiarazione svizzera, oggi abbiamo prove scientifiche inconfutabili che le persone sieropositive con carica virale non rilevabile non sono contagiose. Decine e decine di migliaia di rapporti penetrativi senza condom e senza contagio alcuno, stanno li a dimostrarlo. La Tasp è prevenzione, grazie alle terapie e soprattutto grazie al nostro impegno nell’assumerle. Quindi si: sono sano. Sono sano perché ho un’infezione, ma non la trasmetto a nessuno neanche volendo e come me, tutte le persone con carica virale non rilevabile. Sono sano perché posso fermare l’infezione e sono fiero di poterlo fare. Sono sano perché ho la mia salute sotto controllo e non so quante persone dallo stato sierologico ignoto possano dire altrettanto. Oggi, ci sono nuovi eroi nella battaglia contro HIV.
World Aids Day 2018: Plus pone l’accento sulla TasP
In occasione del 1 dicembre, giornata mondiale della lotta all’Aids, Plus Onlus ribadisce con una campagna la centralità della TasP, acronimo inglese che sta per trattamento come prevenzione. Una persona sieropositiva in terapia efficace non è in grado di trasmettere il virus. La TasP è una delle colonne della prevenzione dell’Hiv insieme al preservativo, alla PrEP (profilassi pre-esposizione) e alla PEP (profilassi post-esposizione). Strategie che posso essere integrate e sono di sicura efficacia.
È dal 2015, dalla campagna Positivo ma non infettivo, che Plus Onlus pone l’accento sulla non contagiosità delle persone che vivono con Hiv e hanno la carica virale non rilevabile (undetectable). Questa affermazione è suffragata dai risultati di 10 anni di studi, dalla Swiss Declaration allo studio Partner. Dopo la conferenza mondiale di Amsterdam del luglio 2018 e la presentazione dei risultati dello studio Partner2, la validità della TasP è più che mai confermata. Lo dicono 77.000 rapporti sessuali penetrativi senza preservativo tra partner sierodiscordanti (uno negativo, uno positivo undetectable) e zero contagi. A livello internazionale, il messaggio della TasP è stato riassunto nella formula U=U (undetectable = untransmittable).
Questa non è solo una buona notizia in termini di prevenzione, ma dovrebbe anche mettere la parola fine allo stigma nei confronti delle persone sieropositive diagnosticate, che nella stragrande maggioranza dei casi raggiungono in breve tempo lo status undetectable.
Dovrebbe, ma purtroppo non è sempre così. A Plus sono infatti arrivate segnalazioni da utenti che si sono rivolti a ospedali di Livorno, Brescia e Grosseto, i cui medici hanno negato la formula U=U generando paure irrazionali. Un atteggiamento spesso fomentato da articoli giornalistici irresponsabili. In occasione di questo 1 dicembre Plus invita ufficialmente Simit, nonché l’Ordine dei giornalisti, a organizzare eventi di aggiornamento per i propri iscritti affinché questi incidenti non si ripetano più. La TasP è una misura efficace contro la diffusione di Hiv, e le persone sieropositive che raggiungono lo status undetectable sono fiere di svolgere un ruolo chiave nella battaglia contro il virus.
Nessun aggiornamento sulla profilassi pre-esposizione (PrEP) e sulla capacità della terapia di impedire la trasmissibilità dell’infezione. Plus Onlus denuncia le condizioni in cui versa il portale www.helpaids.it gestito dalla Regione Emilia-Romagna
Il sito, pensato per offrire all’utenza informazioni utili sull’infezione da Hiv e sui metodi di prevenzione, risulta fermo al 2016 salvo superficiali aggiornamenti realizzati in occasione del 1° dicembre 2017 e nella sezione “Agenda”. Lo si evince con drammatica chiarezza consultando la sezione “Progetti locali”.
Le conseguenze sulla qualità del servizio erogato sono molteplici. Si parte da un ingiustificato allarme sulla pericolosità del liquido pre-spermatico, fino all’assenza d’informazioni cruciali su PrEP e TasP. Mancano ad esempio sia le modalità di accesso alla profilassi pre-esposizione mediante prescrizione di un medico specialista, sia i risultati dello studio PARTNER2, che hanno cementato la validità della terapia come prevenzione, ovvero la non contagiosità delle persone sieropositive in terapia efficace. Ciliegina sulla torta: la tendenza a usare il termine malattia invece di infezione.
“A Bologna è attivo l’unico servizio di supporto alle persone che usano la PrEP realizzato in modalità community-based e in ambiente extraospedaliero [il SexCheck presso il Blq Checkpoint] Ma su HelpAIDS non ve ne è traccia,” spiega Sandro Mattioli, presidente di Plus Onlus. “È paradossale che in una regione come l’Emilia-Romagna, unica in Italia ad aver avviato progetti di supporto alle persone che usano la PrEP in ogni città, questo innovativo strumento di prevenzione sia completamente trascurato sul sito ufficiale di comunicazione regionale.”
Plus auspica un sollecito aggiornamento del portale, affinché l’utenza possa continuare a considerare la regione Emilia-Romagna una fonte credibile di informazioni su Hiv/Aids.
Il 30 gennaio 2008 gli esperti della Commissione federale svizzera per l’Aids affermarono per la prima volta che una persona sieropositiva in terapia efficace non può trasmettere il virus. Questo il nocciolo della cosiddetta “dichiarazione svizzera” a firma EKAF (Eidgenössische Kommission für Aids-Fragen der Schweiz), rinominata nel 2012 EKSG, Commissione confederale svizzera per la salute sessuale.
Il gruppo di studiosi capeggiato da Pietro Vernazza (nella foto) pubblicò una serie di dati, non corposissima, a sostegno di questa tesi poi confermata da ampi studi successivi. Che il raggiungimento dello status di “undetectable”, con la viremia stabilmente non rilevabile sotto le 50 copie per millilitro cubo di sangue, fosse sinonimo di non contagiosità era ormai una speculazione frequente in ambito infettivologico. A partire dal 1996 l’introduzione della classe degli inibitori della proteasi aveva condotto a un nuovo standard terapeutico, con tre principi attivi: la cosiddetta HAART, highly active antiretroviral therapy, oggi semplicemente ART. Stiamo parlando della terapia efficace che ha salvato e continua a salvare decine di milioni di vite, garantendo livelli di salute e di qualità di vita del tutto paragonabili a quelli delle persone sieronegative. Come funziona questa terapia? Semplice: abbatte la quantità di virus nel corpo e lo tiene in scacco, impedendo la replicazione.
La dichiarazione svizzera rappresentò un primo, portentoso lancio del cuore oltre l’ostacolo. Presentandosi come un “parere di esperto” che passava in rassegna più di 25 piccoli studi (su coppie sierodiscordanti in gran parte eterosessuali, o donne sieropositive incinte), lo statement fu un’affermazione clamorosa per l’epoca, autentico spartiacque non solo scientifico ma anche sociale. Contiene infatti il nocciolo della principale strategia antistigma tesa a cambiare il volto della sieropositività.
Gli esperti svizzeri individuarono tre punti in presenza dei quali era ragionevole dire che una persona sieropositiva non fosse in grado di trasmettere il virus: l’aderenza a una terapia antiretrovirale efficace, una viremia non rilevabile da almeno sei mesi e l’assenza di ulteriori infezioni sessualmente trasmissibili capaci di “dare una mano” ad Hiv. Col passare del tempo il terzo punto, inserito a mo’ di clausola precauzionale, è stato di fatto depennato dai risultati dello studio PARTNER. Tradotto: una persona sieropositiva trattata che contrae la gonorrea può trasmettere la gonorrea, ma non l’Hiv.
Sono passati esattamente dieci anni dalla dichiarazione svizzera. Venti dalla prima coorte di donne incinte sottoposte a terapia triplice (coorte di San Francisco, Beckerman K. et al.). Sette dalla pubblicazione dei dati dello studio HPTN 052, il primo a indagare la correttezza delle affermazioni di Vernazza e colleghi. Due da quelli, straordinari pur nella loro parzialità, dello studio PARTNER che ha seguito 548 coppie sierodiscordanti eterosessuali, 340 omosessuali, ha registrato 58.000 rapporti penetrativi senza profilattico e rilevato zero trasmissioni. Sono questi gli “hard facts” della TasP, il trattamento come prevenzione, una colonna del nuovo approccio combinato contro l’Hiv insieme al condom e alla PrEP.
Gli studi proseguono, e sappiamo bene che zero trasmissioni non significano, in termini rigorosamente scientifici, zero possibilità di trasmissione. In campo scientifico non esiste un bianco e nero manicheo. Ma a fronte di dati così ampi e omogenei è necessario condensare un messaggio pragmatico da lanciare alla popolazione, e questo messaggio è che nella vita reale una persona sieropositiva stabilmente in terapia non trasmette il virus. Plus è stata una delle prime associazioni a ideare una campagna centrata su questo tema: Positivo ma non infettivo risale al giugno 2015. Sul finire del 2017 anche la Lila, con Noi possiamo, ha trasformato in uno slogan il messaggio liberatorio della TasP. A livello globale, il 2016 ha segnato l’avvio della campagna U=U (undetectable = untransmittable) sottoscritta da centinaia di associazioni e da 34 Paesi.
Purtroppo, come sottolinea un sondaggio ministeriale condotto in Germania nel 2017, il 90% della popolazione resta all’oscuro di questa informazione fondamentale. Chissà quale sia la percentuale nel nostro Paese… La difficoltà di comunicare senza intoppi un messaggio in apparenza contraddittorio (che una persona con un’infezione sessualmente trasmissibile non possa trasmetterla in alcun modo, a cominciare dal sesso) non deve scoraggiarci. Dalla nostra abbiamo i dati, la scienza, una certezza che nessuna opinione può mettere in dubbio. E abbiamo soprattutto l’energia di chi vuole mettere la parola fine a cliché vecchi di decenni. A cominciare da quelli che circolano tuttora nella nostra comunità.
Come ha detto Bruce Richman, fondatore della campagna U=U, la sopravvalutazione del “pericolo” rappresentato da chi vive con Hiv equivale a un atto di violenza nei nostri confronti. Un atto di violenza oggi inaccettabile nella sua gratuità. La nostra risposta è serena, e basata sui fatti.
Dieci anni or sono, il 30 gennaio 2008, la Commissione svizzera diramò un messaggio coraggioso, rivelatosi giusto: una persona sieropositiva in terapia efficace non può, ripeto non può, trasmettere il virus dell’Hiv.
Nel 2008 partecipai alla Conferenza Mondiale Aids di Città del Messico, dove ho avuto il privilegio di ascoltare la relazione del prof. Pietro Vernazza sullo studio che portò alla Swiss Declaration. Lo studio, ancorché piccolo, aveva creato molto scalpore nell’ambiente scientifico e quando giunse alla conferenza, l’attesa e la tensione si potevano percepire chiaramente sia da parte scientifica, sia da parte delle persone HIV+. L’enorme aula che ospitava la plenaria era stipata, almeno 10.000 persone assiepate per ascoltare la notizia dell’anno: Le persone con HIV, a carica virale non rilevabile, senza altre IST, non sono contagiose. Studio allora piccolo (in seguito confermato da decine di altri), dati e rigore scientifico svizzero.
Ricordo l’emozione mia e di Alessandra Cerioli di Lila: finalmente non siamo più untori.
Ricordo anche l’intervento furibondo di una funzionaria dell’OMS. Non si possono dare queste notizie in una conferenza mondiale – disse la funzionaria – perché è alto il rischio che i maschi sieropositivi smettano di usare il condom. La dichiarazione svizzera è alla base delle decine di studi confirmatori della Tasp, trattamento come prevenzione, oggi praticata comunemente in pressoché ogni centro clinico. Oggi l’OMS supporta la Tasp e sostiene che le persone in trattamento efficace non sono contagiose. Perché questo incipit? Oggi abbiamo la possibilità di utilizzare Tasp e PrEP per far circolare meno virus nella comunità. Tuttavia vedo la stessa paura immotivata della funzionaria dell’OMS in molti “scienziati di Facebook”, convinti che la profilassi pre-esposizione, PrEP, porterà ad un crollo nell’uso dei preservativi e il conseguente incremento dei casi di HIV. Il razionale ideologico che è alla base del ragionamento, spesso ha a che vedere con una semplice equazione: “io uso il condom=tutti devono usare il condom”. Un modo di ragionare che implica un giudizio e una discriminazione che sono, in parte, alla base delle numerose, troppe, nuove diagnosi annue di HIV in Italia (3-4 mila ormai stabili da tempo). Provoco, lo so, ma spiego. È evidente che non tutti sono o riescono ad essere talebani del preservativo e la conseguenza è che si espongono al rischio di infezione. In Italia c’è uno zoccolo duro di nuove diagnosi che le attuali strategie di prevenzione non riescono a ridurre. Ormai è evidente da tempo e dobbiamo prenderne atto.
Quindi che vogliamo fare?
Insistiamo che tutti devono usare il preservativo fino a quando nessuno ascolterà più? Oppure seguiamo la strada aperta dai 2 studi europei, Proud e Ipergay, e realizziamo interventi mirati di prevenzione PrEP based? Intendiamoci: in nessuno studio è stato dato il farmaco e arrivederci. Sempre è stato proposto un counselling sulle pratiche a rischio e relative tecniche di riduzione, si è parlato dell’uso di condom e lubrificante, di attività e pratiche sessuali e poi di PrEP. Il farmaco autorizzato per la PrEP oggi è il solo Truvada® (azienda produttrice: Gilead Sciences). Truvada ha la capacità di concentrarsi rapidamente nei tessuti rettali oltre ad una emivita del principio attivo molto lunga. Sia lo studio Proud che Ipergay hanno arruolato MSM (maschi che fanno sesso con maschi) e i risultati sono stati molto buoni: un calo molto consistente dei casi di HIV attesi, prossimo al 90%. Attenzione: non è un vaccino! È un farmaco, anche se generalmente ben tollerato, non è esente da effetti collaterali per esempio a reni e ossa. Ma anche qui: si tratta di soggetti sieronegativi, che possono interrompere il trattamento in qualunque momento. Certo la PrEP non può essere assunta a caso. Ci sono degli schemi da seguire, dei controlli clinici da fare a partire dai test per le IST. Capiamoci: non stiamo parlando di milioni di persone che non vedono l’ora di togliere il condom e scopare come ricci. In Francia, dove la PrEP è disponibile da quasi due anni rimborsata dal servizio sanitario (al contrario dell’Italia), sono circa 3.000 le persone in PrEP. Per lo più nell’area di Parigi. Dunque in cosa consiste la vostra paura? In niente! C’è una larghissima maggioranza di persone che preferiscono continuare a usare il condom per mille ragioni: non è un farmaco, non vogliono mangiare roba chimica per fare sesso, perché con il preservativo non hanno problemi di erezione, piacere o altro, e così via. Ottimo, fantastico, super, top. Ma c’è una parte minoritaria di popolazione, anche gay, che non usa il condom. Non mi interessa entrare nel merito in questo momento: non lo usa o lo usa in modo incostante. Quindi che vogliamo fare? Continuiamo a discriminare chi fa scelte difformi dalla maggioranza? Proprio noi persone omosessuali che ne subiamo di ogni dalla maggioranza eterosessuale?
Smettiamola, subito! Non abbiamo nessuna base scientifica a sostegno e, quel che è peggio, la PrEP è già presente anche nel nostro Paese. È possibile comprare Truvada in farmacia con una prescrizione dello specialista a prezzo pieno: oltre 700€ per 30 pillole, quindi non alla portata di tutte le tasche. Sappiamo di persone che vanno in Francia a prendere il farmaco e lo assumono dio sa come senza controllo clinico alcuno. Sappiamo di persone che la acquistano online da aziende di generici. Sappiamo che c’è un mercato nero di Truvada che esce dalle farmacie ospedaliere come PEP (profilassi post esposizione) o diretto a persone con HIV che ne fanno un altro uso. Poco importa. La PrEP è già presente in Italia perché funziona e c’è richiesta. Il nostro berciare scomposto ha portato stigma e mercato parallelo, quando non nero.
Veramente vogliamo continuare in questo modo? Plus non ci sta! Dal prossimo autunno partirà Sex Check: un programma di controlli gratuiti rivolto anche a chi sostiene (magari su Grindr o GayRomeo) di essere in PrEP. Su base trimestrale testeremo diverse IST: HIV, HCV, sifilide, gonorrea, ecc. unitamente a couselling sulle pratiche sessuali e sulla riduzione del rischio. La tutela della propria salute è un diritto che Plus ha intenzione di sostenere, senza giudizio alcuno. Restate connessi.
Sabato 1 luglio, in occasione del Bologna Pride, i volontari di Plus Onlus e del RED hanno sfilato con striscioni, magliette e palloncini, facendo conoscere alla cittadinanza la nuova campagna pensata per combattere l’Hiv: Pillole di buon sesso.
Le pillole sono i farmaci antiretrovirali nei loro diversi usi, e la nuova campagna si concentra su due strategie di comprovata efficacia:
TasP è la sigla che indica la “terapia come prevenzione”. Si basa su un concetto semplice: se la quantità di virus in una persona con Hiv è drasticamente ridotta dai farmaci, non si trasmette l’infezione ad altri. Riprendendo lo slogan lanciato da Plus nel 2015: Positivo non infettivo. La TasP aiuta le persone con Hiv a non considerarsi pericolose per gli altri. E chi non ha l’Hiv può comprendere che fare sesso con una persona in TasP è una delle opzioni più sicure per restare negativi!
PrEP sta per “profilassi pre-esposizione”. È un modo perché le persone sieronegative possano ridurre sensibilmente le possibilità di contrarre l’Hiv. Consiste nel prendere quotidianamente una pillola che contiene due farmaci antiretrovirali. In due parole: Negativo non infettabile. In Italia non è ancora distribuita, per questo facciamo informazione: è importante poter accedere a ogni risorsa disponibile contro l’infezione!
Lo scorso dicembre, Plus ha lanciato la campagna Fallo come vuoi, che metteva sullo stesso piano di efficacia, contro l’Hiv, preservativo, TasP e PrEP. Il motivo di una campagna specifica sulle «pillole di buon sesso» è semplice: della TasP si parla ancora troppo poco, malgrado sia una realtà da molti anni. Quanto alla PrEP, implementata con successo in svariati Paesi europei, manca ancora la volontà politica di renderla accessibile in Italia, dove la barriera del prezzo costringe gli interessati a rimediarla per vie illegali, senza supervisione medica.
È ora che l’intera gamma delle risorse disponibili per combattere l’Hiv sia nota a tutti e a portata di tutti. È ora di stringere un patto sociale per invertire i dati epidemiologici e debellare l’epidemia. È ora di usare il buon senso per affrontare un tema, quello dell’Hiv, troppo spesso appannaggio del giornalismo scandalistico e di teorie irrazionali. Al Bologna Pride, Plus Onlus e RED lanciano un appello di buon senso: ricominciare dalle pillole di buon sesso.
In occasione del 1° dicembre, Giornata mondiale della lotta all’Hiv-Aids, Plus Onlus lancia una nuova campagna. La prima in Italia ad assegnare pari dignità e pari validità, nell’ambito della prevenzione, a tre diversi strumenti: il preservativo, la TasP e la PrEP. Non a caso, lo slogan è proprio #fallocomevuoi. La scelta c’è, sta alla persona individuare la strategia che preferisce.
Al preservativo, che non ha certo bisogno di presentazioni e funge da argine contro un’ampia gamma di infezioni sessualmente trasmissibili compresa l’hiv, si affiancano altri due sistemi la cui validità nella prevenzione del virus dell’immunodeficienza umana è ormai scientificamente provata:
• la TasP, cioè il trattamento come prevenzione già affrontato dalla campagna Positivo ma non infettivo che Plus ha ideato in occasione del Gay Pride 2015. Una persona sieropositiva “undetectable” da almeno sei mesi e che prende regolarmente la terapia antiretrovirale secondo le indicazioni del medico è da considerarsi non contagiosa. Undetectable significa con viremia non rilevabile, ovvero con una quantità di hiv nel sangue così bassa da risultare trascurabile.
• la PrEP, profilassi pre-esposizione con due principi attivi: il tenofovir disoproxil fumarato e l’emtricitabina. Studi come PROUD e Ipergay hanno dimostrato come l’assunzione della PrEP impedisce al virus dell’hiv di fare breccia. La PrEP è stata di recente approvata in ambito UE, ma tocca ai singoli Stati, di concerto con Gilead, regolarne l’introduzione e l’eventuale rimborso.
Con #fallocomevuoi, Plus dice chiaro e tondo che la prevenzione ha molte facce. E auspica anche in Italia una mobilitazione che parta dalla comunità LGBT – e in particolare gay e MSM, i gruppi più colpiti – per chiedere a gran voce l’approvazione della PrEP, affinché sia accessibile per tutti coloro che ne hanno bisogno.
Nell’estate del 2016, due studi di ampia portata hanno scoperto quanto segue: nessun partecipante sieropositivo ha trasmesso il virus al proprio partner sieronegativo in presenza di viremia soppressa (non rilevabile), malgrado rapporti sessuali in massima parte senza preservativo. Abbiamo quindi la garanzia che i sieropositivi undetectable non sono contagiosi?
Una recente meta-analisi di vari studi ha scoperto che i maschi che fanno sesso con altri maschi (i cosiddetti MSM) in PrEP (la profilassi pre-esposizione) hanno un tasso molto elevato di infezioni sessualmente trasmissibili rispetto agli altri MSM. Significa forse che prendere la PrEP agevola l’acquisizione di gonorrea, clamidia & co.?
La corretta interpretazione di queste ricerche – quali conclusioni trarre, quali evitare – dipende dalla comprensione di determinati principi della letteratura scientifica. Non bisogna avere un dottorato per arrivarci, ma quando ci si trova di fronte a certe notizie può essere utile ricorrere a un paio di concetti chiave, scientifici e matematici. Eccoli qua.
L’intervallo di confidenza
Forse vi è arrivato alle orecchie il motto lanciato dalla Prevention Access Campaign (PAC), «Undetectable = Uninfectious». Lo slogan si basa sull’assenza di trasmissioni di hiv rilevata nel corso dello studio HPTN 052 e nello studio PARTNER, tuttora in corso. Nessun partecipante sieropositivo con carica virale non rilevabile ha trasmesso al partner sieronegativo. Nel caso dello studio PARTNER, parliamo di 22.000 rapporti sessuali tra MSM e 36.000 rapporti sessuali etero.
Si tratta di un bel po’ di sesso senza preservativo in assenza di trasmissioni. Ciò detto, i ricercatori non saranno mai in condizione di affermare con assoluta certezza che chi è undetectable non è infettivo. Per capire il perché, bisogna prendere in considerazione un concetto importante in ambito statistico noto come l’intervallo di confidenza.
Quando gli autori degli studi scientifici pubblicano le stime relative a un determinato esito – in questo caso il tasso stimato di trasmissioni di hiv nel corso del tempo in presenza di viremia non rilevabile – forniscono anche un intervallo di confidenza. Questo significa che basandosi sui dati a disposizione, gli autori dello studio sono sicuri al 95% che l’esito definitivo si trova all’interno di un certo intervallo. Più dati hanno, più possono restringere l’intervallo di confidenza della loro stima.
Un intervallo di confidenza si può solo restringere, non eliminare. La sua persistenza, categorica conferma dell’inamovibile natura dell’incertezza, sta a significare che qualsiasi affermazione scientifica circa il rischio di trasmettere hiv anche in presenza di un virus soppresso si accompagnerà sempre a un briciolo di dubbio. I ricercatori possono solo consolidare la loro certezza nella stima del rischio.
Mettiamola così: in ambito scientifico non esistono garanzie al 100%, né c’è modo di dimostrare il contrario. Anche se i partecipanti allo studio PARTNER avessero centomila miliardi di rapporti sessuali in presenza di viremia soppressa e con zero trasmissioni, c’è sempre la possibilità che essa scatti in occasione del prossimo. Gli autori dello studio PARTNER possiedono già abbastanza dati per stimare che il rischio di trasmissione quando la viremia non è rilevabile è, davvero, zero. Ma i loro intervalli di confidenza per i vari tipi di atto sessuale sono molto diversi, in quanto si basano sui dati raccolti finora.
Dando un’occhiata a tutti i possibili tipi di sesso penetrativo con una persona sieropositiva undetectable, l’intervallo di confidenza degli studiosi ci dice che se seguissimo 10.000 coppie per un anno, il virus verrebbe trasmesso tra le 0 e le 30 volte. Dato che lo studio dispone di meno dati per gli MSM, l’intervallo di confidenza per quanto riguarda il rischio di trasmissione nel sesso anale con eiaculazione e partner hiv+ attivo oscilla attualmente tra 0 e 270.
Col procedere dello studio PARTNER, questi intervalli di confidenza sono destinati a rimpicciolirsi. E col tempo, almeno finché non si registreranno trasmissioni, la scienza potrà dire con sempre maggiore certezza che il rischio di passare il virus è così minuscolo da essere trascurabile.
Correlazione vs. causalità, ovvero perché è così difficile determinare se la PrEP è responsabile dell’aumento delle IST
Può essere molto difficile, per gli studi scientifici, anche solo avvicinarsi all’obiettivo di dimostrare che un determinato fattore provoca un determinato esito. In una recente meta-analisi che mette a confronto il tasso di infezioni sessualmente trasmissibili tra MSM partecipanti a studi sulla PrEP e quello degli MSM coinvolti in altri studi, i ricercatori hanno scoperto che per i maschi in PrEP è 25 volte più probabile ricevere una diagnosi di gonorrea, 11 volte più probabile riceverne una di clamidia e 45 volte più probabile essere diagnosticati con la sifilide.
Quello che l’articolo non può dire con certezza è se andare in PrEP o partecipare a uno studio sulla PrEP faccia sì che gli uomini contraggano un maggior numero di IST. L’unica cosa acclarata è questa associazione, questo link, questa correlazione tra uso della PrEP e alti tassi di infezioni sessualmente trasmissibili. In altre parole: chi prende la PrEP tende a contrarre IST. O, detto con maggiore accuratezza, chi partecipa a studi sulla PrEP registra alti tassi di infezioni sessualmente trasmissibili. Tuttavia, un numero indefinito di cosiddetti fattori di confondimento può aver contribuito a questo alto tasso di infezioni che interessa i partecipanti agli studi sulla PrEP.
È più che comprensibile che un gruppo di MSM in PrEP tenda a contrarre un sacco di IST, visto che sono proprio i comportamenti sessuali ad alto rischio a far sì che una persona sia adatta a entrare in uno studio del genere – comportamenti che agevolano la presenza di gonorrea, clamidia o sifilide. E la buona notizia è che i maschi che rischiano di più sono anche i più interessati alla PrEP: quindi, se tutto va bene, la loro assunzione di Truvada dovrebbe concorrere al calo delle nuove infezioni.
Spesso, gli autori delle ricerche tendono a correggere o controllare i dati per tenere conto dei fattori di confondimento e dare un senso più netto di causa ed effetto, o almeno suggerire che una variabile possa aiutare a predirne un’altra – ad esempio l’obesità come fattore predittivo dell’infarto. Controllare questi fattori può aiutare gli studiosi a individuare con maggiore chiarezza il loro ruolo nell’esito che stanno esaminando.
Gli autori dell’articolo sulla PrEP non hanno modificato il tasso di IST per dare conto di qualche fattore confondente. Non hanno teorizzato che la differenza tra i tassi di infezione tra gli MSM in PrEP e quelli degli altri studi possa in parte essere funzione del fatto che per partecipare agli studi sulla PrEP bisogna essere propensi a rapporti rischiosi. La loro analisi non è stata strutturata per esaminare i cambiamenti nel tasso delle IST nel corso del tempo o per individuare le potenziali cause di tali tassi.
Se uno studio volesse capire se andare in PrEP cambia il tasso di IST, dovrebbe prima fotografare il tasso prima di assumere il Truvada e poi monitorare come cambia nel tempo. Anche in tal caso, lo studio non potrebbe dire se il tasso di IST avrebbe comunque seguito una traiettoria analoga anche senza introdurre la PrEP. I ricercatori avrebbero bisogno di un gruppo di confronto composto da persone simili, non in PrEP, in modo da seguire l’andamento delle IST nel corso del tempo.
Ma se i membri di questo gruppo di controllo non vengono selezionati a caso, ecco che il paragone rischia di introdurre variabili disorientanti. Le differenze nei comportamenti sessuali che influenzano le scelte di quegli MSM che hanno deciso di propria sponte di andare in PrEP o di partecipare a uno studio sulla PrEP, rispetto a quelli di coloro che hanno scelto di non farlo, potrebbero viziare i risultati di un confronto tra i due gruppi.
Lo studio PROUD con la PrEP, centrato su MSM con comportamenti ad alto rischio in Inghilterra, ha istituito sul serio un gruppo di confronto – allo scopo di determinare quanto la PrEP riesce a prevenire le nuove infezioni – facendo sì che una porzione dei partecipanti ricevesse il Truvada in un secondo momento. In questo modo tutti i partecipanti sono entrati nello studio alle medesime condizioni, ma ad alcuni di essi, scelti a caso, la PrEP è stata somministrata più tardi. Effettuato un confronto tra i tassi di IST dei partecipanti in PrEP e quelli in attesa di prenderla – tassi in entrambi i casi molto elevati – i ricercatori non hanno individuato alcuna correlazione tra l’inizio della PrEP e un aumento delle infezioni.
Altri studi sulla PrEP non hanno tendenzialmente riscontrato alcun cambiamento nel tasso di IST tra i partecipanti nel corso del tempo. Tuttavia, uno studio basato su una somministrazione della PrEP non giornaliera ha registrato un calo nell’uso del preservativo appena i partecipanti sono passati dalla fase placebo a quella open label, in cui sapevano cosa stavano prendendo. Questa è, finora, la prova scientifica più solida di come, almeno tra gli MSM, andare in PrEP coincida davvero con un aumento dei comportamenti sessuali a rischio, un fenomeno che può essere definito compensazione del rischio o, in parole povere, disinibizione.