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HIVR4P, che sta per research for prevention, è una conferenza dedicata alla prevenzione che la IAS organizza ormai da qualche anno. Quest’anno è la volta di Lima che ci ospita nel Westin Congress Center. Un luogo non molto adatto a questo tipo di conferenze che ospitano molte persone, soprattutto dal cosiddetto “terzo mondo” che usa questi eventi per rivedersi, parlarsi, scambiare pareri e best pratices. Il centro congressi è pensato per i contenuti: grandi sale piene di gente e piccoli corridoi o spazi dove parlarsi.
Detto questo le sale sono molto grandi e molto ben organizzate.

Se si parla di prevenzione è ovvio che si cominci con i vaccini. Vi dico subito, niente di eclatante! Del resto se qualcuno avesse scoperto un vaccino, verosimilmente saremmo al CROI non a HIVR4P, perché la scienza vive anche di palcoscenici oltre che di fondi.
Tornando al vaccino, le strategie vaccinali puntano molto sugli anticorpi neutralizzanti. Siamo ancora nella fase che ricerca la conferma della teoria, nella fase delle sfide, dei test su modelli animali, il che vuol dire che abbiamo ormai centinaia di topi transgenici immunizzati che, probabilmente, non si contageranno con HIV… forse. I modelli e gli approcci sono ancora vari, ma da ciò che ho ascoltato e credo di aver capito, sono argomento complicatissimi per un povero attivista, molte speranze sono riposte in questo tipo di anticorpi che, in effetti, iniziano a dare risultati interessanti in termini di immunizzazione. Non per caso hanno preso piede studi per capire quanto a lungo dura tale immunizzazione. Per ora sembra ancora un tasto dolente se devo dar retta alle curve di protezione che potete vedere nella foto: altissime nel periodo immediatamente successivo all’esposizione al vaccino, ma che crollano dopo relativamente poco tempo. Tutti ricordiamo i tempi di vaccinazione del virus del covid, tempistiche hanno innervosito molte persone e fatto perdere fiducia nelle reali capacità di tutela del prodotto. Quindi anche quelli di durata sono studi importanti. Personalmente vorrei vedere prima delle percentuali di immunizzazione più alte.

Ça va sans dire che anche la PrEP è uno dei temi centrali della conferenza e anche in queste fasi iniziali se ne sta parlando molto. In particolare sono state interessanti le esperienze portate da attivisti di Zambia e Perù. Entrambi lamentano ritardi nell’approvazione, difficoltà da parte delle autorità sanitarie nel farsi carico di questa sfida (ma anche opportunità visti i risultati!), ecc. Dal loro punto di vista è assolutamente comprensibile, ma non ho potuto fare a meno di pensare che Zambia e Perù sono Paesi poveri, senza grandi possibilità di investimento in termini di promozione di questo strumento di prevenzione molto efficace ma, ciò nonostante, hanno portato dati spesso più advanced di quelli italiani.

Zambia per esempio, ha introdotto la PrEP orale nel 2017 con uno studio pilota, nel 2018 la PrEP è stata inclusa nelle linee guida del Paese. In Italia PrEP è stata approvata (solo per chi poteva pagarsela a 60€ al mese) a ottobre 2017, non so se notate la similitudine. Nel 2023 è stata posta in carico al SSN.
Nel 2023, Zambia introduce la PrEP long acting iniettiva con Cabotegravir. In Italia credo che sia stata approvata quest’anno (2024) ma in merito al costo Aifa sta ancora discutendone per cui ancora non è disponibile, il tutto nel sostanziale silenzio delle associazioni.
Zambia oggi ha presentato i dati di raffronto fra PrEP orale e iniettiva fra (febbraio-settembre 2024). In effetti “solo” il 17% usa PrEP iniettiva contro l’83% di PrEP orale, ma intanto hanno prodotto dati cosa che in Italia è in carico al Terzo Settore o qualche studio di coorte, niente di ufficiale e comunque solo di PrEP orale ovviamente.

In Perù invece, la situazione è peggiore. L’attivista peruviano ha denunciato problemi di sistema all’accesso alla PrEP ed ha proposto una road map fatta di decentralizzazione dei servizi PrEP, campagne sui social media, formare gli health care provider sulle linee guida della PrEP, incorporare la PrEP iniettiva long acting con cabotegravir… per la serie ormai che ci siamo.

Nuovamente… nel nostro Paese potrebbe avere senso copiare quella road map stante che la PrEP da noi è erogabile (gratuitamente) solo nelle farmacie ospedaliere e solo da medici infettivologi (che poi lamentano il fatto che hanno troppe persone da seguire, ma in molti casi sono i primi ad avere difficoltà con la decentralizzazione), campagne pubbliche sui media non ne ho mai viste… è facile pensare che non ci sia la volontà politica di farla (perché si sa che chi usa la PrEP lo fa per far sesso senza preservativo), le linee guida italiane sono lontane dall’essere aggiornate e la formazione su di essere sarebbe verosimilmente priva di significato.
In sintesi il nostro ricco industrializzato Paese, membro del G7, ecc. se la gioca coi Paesi nella fascia a basso reddito e non certo perché ci mancano i soldi, perché in realtà da noi pesa l’approccio culturale cattolico che vede il sesso, e tutto ciò che gli gira intorno, come un tabù. È sufficiente vedere il livello di discussione sull’interruzione di gravidanza, sui contraccettivi, sulla pillola del giorno dopo, sullo stesso piano dei ragionamenti discriminatori che ancora vediamo su PrEP o su U=U.

A seguire un interessante quanto lungo simposio organizzato da ViiV dove si è parlato di una mezza dozzina di studi di implementazione di cabotegravir long acting (CAB LA) come PrEP. Buona parte degli studi arrivavano dall’Africa, ma anche dall’America Latina così come dagli USA e riguardavano gruppi di popolazione particolari: dalle giovani donne agli uomini che si spostano frequentemente per lavoro. Qualche persona ignorante in Italia avrebbe detto categorie a rischio, ma sono lieto di dire che a nessuno qui sarebbe venuta mai in mente questa favola. Il simposio è stato interessante perché ha mostrato come i vari studi hanno trovato varie soluzioni ai problemi territoriali o delle varie popolazioni coinvolte. Ma, dal mio punto di visto, ha mostrato chiaramente quale sia la politica di ViiV international sul tema della PrEP con CAB LA che viene portato avanti con forza, coinvolgendo le popolazioni esposte al rischio, aiutando e sostenendo i progetti di implementazione del CAB.

Mi chiedo se ViiV Italia sia stata messa a conoscenza di questa impostazione perché mi sembra che segua una logica politica tutta sua. Da qualche tempo in qua infatti, ViiV Italia sembra aver smesso di mettere al centro pazienti e PrEP user, non sembra particolarmente interessata all’aiuto delle associazioni e sta facendo approvare CAB LA come PrEP in totale solitudine, senza nemmeno tenere informate le associazioni dei progressi fin qui fatti, senza sostenere progetti di implementazione portati alla sua attenzione né su CAB LA usato come terapia contro HIV né come prevenzione dell’HIV. La direttrice medica ha semplicemente risposto no o addirittura creato problemi che hanno portato anche noi di Plus a smettere di presentare progetti tesi a implementare CAB LA iniettivo.

Questo modo di comportarsi, completamente al di fuori delle linee politiche di ViiV global ma anche in totale controtendenza rispetto al comportamento tenuto da ViiV Italia fino a pochi anni or sono, non si sta dimostrando efficace ed è servito solo a peggiorare i rapporti con le associazioni o, meglio, con alcune di esse, quelle meno disposte a vedere rovinati anni di buoni rapporti.

Detto questo vorrei anche stigmatizzare un altro fatto: mentre noi delegati brindavamo con il vino offerto da IAS, davanti al palazzo della conferenza la comunità indigena del Perù stava protestando perché Gilead avrebbe escluso il Perù dalle patenti gratis per lenacapavir. Non ho idea di quali siano stati i criteri di scelta di Gilead, in genere si dovrebbe guardare al pil e non mi pare che il Perù sia particolarmente ricco, in compenso la popolazione del Perù ha partecipato a diversi studi sul vaccino mosaico, sugli anticorpi neutralizzanti e anche su lenacapavir e ora viene ripagato in questo modo. Come se non bastasse gli attivisti hanno spiegato a me e a un dirigente della conferenza che la IAS ha chiesto loro di iscriversi per partecipare alla conferenza ad un prezzo di 730 USD, l’equivalente di 3 mesi di stipendio medio di un peruviano. Cifra irraggiungibile per la comunità indigena che vive alla giornata.

A fianco un gruppo di donne trans a protestare per ragioni simili. “mi hanno preso il sangue per tanti studi” – mi da spiegato un’attivista di Lesly dell’associazione Feminas – “ora mi sento come un topo da laboratorio. Abbiamo aiutato e per noi non cambia niente” e verosimilmente finito lo studio non avranno accesso ai farmaci che hanno contribuito a validare.

Tutto questo sull’avenida, per la strada perché non hanno l’autorizzazione di IAS a entrare per protestare sul palco.

Io sono basito! Alla conferenza mondiale AIDS di Montreal la comunità indigena è stata l’anima della conferenza. A quanto sembra per IAS questi sono indigeni meno degni e questo è inaccettabile. So bene di non essere una persona importante, ma sono pur sempre un membro di IAS e farò quello che posso per far si che queste associazioni possano dire la loro dal palco. Del resto è stata Hillary Clinton a dire che non c’è conferenza senza proteste.

La plenaria di inaugurazione ufficiale della conferenza inizia alle 16 e si trascina senza particolare entusiasmo, fino alla presentazione di Anne Philpott dal titolo Put Pleasure into Prevention.

Anne, che ha entusiasmato il pubblico, prima di iniziare la sua lecture tira fuori da una borsetta un femidom e lo apre presentandolo come un nuovo oggetto di piacere sessuale. Lo tira, lo stringe, lo tocca con fare erotico. Ci spiega che può essere inserito nella vagina, per chi ne ha una, o nell’anno. Quando metti la parte interna l’anello incomincia a muoversi e toccare qua e la, anche solo camminare diventa un piacere… si perché può essere inserito alcune ore prima del sesso. E poi c’è la parte esterna che va a toccare la clitoride, nulla vi vieta di toccarla anche voi ovviamente, e ancora di più va toccare la clitoride durante il sesso (con un uomo).

Una promo fantastica di ciò che ci attende con la sua presentazione. Finalmente qualcuno che parla di piacere sessuale, che dice che il sesso si fa principalmente per quello poi si è possibile anche la parte riproduttiva, l’intimità, l’amore, ma principalmente si fa per il piacere.

Ovviamente ha parlato in termini scientifici anche dei problemi che possono arrivare con i rapporti sessuali a partire dalle STI, ma ribaltando completamente la prospettiva appunto perché la base di ragionamento era il piacere. La ricerca del piacere sessuale è una delle basi fondanti di Plus. Il sesso è stato un problema per le persone MSM da decenni terrorizzate dal contagio. Plus fin dall’inizio ha cercato di smontare l’idea vetero cattolica del sesso come qualcosa di brutto, sporco, cattivo e pericoloso e ripartire dall’idea del piacere sessuale. Che è poi quello che abbiamo fatto come movimento di rivoluzione sessuale in epoca pre-HIV. La dottoressa Philpott è stata fenomenale e dobbiamo trovare il modo di farla venire in Italia a rompere qualche schema.

Sandro Mattioli
Plus aps

In questa conferenza caratterizzata dallo slogan put people first, non è quasi mai stata citata la situazione di Gaza dove gli ospedali sono stati distrutti o sono stati chiusi, dove sicuramente ci sono persone che con HIV ci vivranno ancora per poco, salvo consistenti interventi, dove, più in generale, l’esercito di Israele spara e uccide a seconda dell’estro del momento altro che diritto alla difesa. E’ vero, questa è una conferenza scientifica che si occupa di HIV, di salute ma la situazione palestinese è una global health issue.

Del resto, cosa c’è di salutare nella distruzione della Palestina e nel genocidio in atto della sua popolazione? Chi se non una società scientifica globale deve prendere posizione e partecipare alla pressione internazionale su Israele perché si comporti come uno stato civile non come una manica di assassini furiosi? A tutto questo hanno posto rimedio i ragazzi della Youth Force, che hanno posto forza e critica nel messaggio letto durante la protesta nella plenaria di oggi.

La critica alla IAS ci sta tutta, salvo essere degli ipocriti da quattro soldi, non è pensabile scrivere put people first e non dire niente dei palestinesi. Ma, del resto, come ho già scritto è evidente che per IAS ci sono persone e persone. Della guerra in Ucraina si è parlato molto e in diverse presentazioni. Nulla è stato detto delle persone, attiviste e attivisti, rimaste a casa perché la Germania ha vietato il visto. Chiudo sottolineando come ad ogni protesta degli attivisti, compare sul monitor centrale la scritta “We welcome protest at AIDS 2024“, posto che non abbiamo bisogno del permesso e che vorrei pure vedere il contrario, più che accogliere con favore le proteste, IAS deve assumerle come un’occasione di crescita.

La plenaria di oggi ha affrontato il tema della prevenzione, pertanto non poteva iniziare se non con “a che punto siamo con i vaccini”?
Spoiler: più o meno sempre a quel punto, almeno sul piano della concretezza, del qui e ora, e non ditemi che voglio tutto e subito perché sono passati 43 anni dall’inizio (ufficiale) dell’epidemia e 34 dal primo studio aidsvax sulla gp 120. Infatti la presentazione di Devin Sok si chiede “what does the future look like”. Usando in parecchie occasioni paralleli con gli atleti, che vanno individuati da piccoli (se ci si azzecca) e allenati per anni prima di vincere una medaglia d’oro, Devin ci ha parlato dello sviluppo di nuovi sistemi e percorsi vaccinali principalmente basati su anticorpi neutralizzanti che dovrebbero mettere il nostro sistema immunitario nelle condizioni di reagire efficacemente a un eventuale contatto con HIV.

Il relatore insiste molto sul tema dell’innovazione, che diversi studi sono in corso, ma segnala anche l’importanza di rendere affrontabili i costi per il passaggio dalla verifica teorica allo sviluppo. In pratica ci vorrà ancora molto tempo (e soldi) per cui, giustamente, la successiva relazione parla di PrEP.

La relazione inizia con una piccola cronistoria della prevenzione con la ART: la PrEP orale si può far risalire al 2010 con i primi risultati in termini di efficacia e ci sono voluti 2 anni per l’ok degli enti regolatori e 3 per l’ok di OMS… in Italia 5 anni solo per l’approvazione di AIFA ma questo è un film locale. Per l’anello vaginale si parte dal 2016 ma per arrivare all’ok di OMS ne passeranno altri 5.
Per la PrEP con cabotegravir in 1 anno e mezzo sono arrivata tutte le approvazioni (non in Italia).

La ricercatrice è felice di sottolineare questa velocizzazione e lancia la sfida per quanto riguarda il nuovo farmaco di Gilead, il lenacapavir (1 iniezione ogni sei mesi) del quale l’azienda ha comunicato proprio qui i dati conclusivi… in sé ottimi, il problema sono i costi come al solito.

Oltre ai costi della PrEP va considerata la capacità di diffusione che in 12 anni è arrivata ad appena 6,7 milioni di persone quasi tutti in PrEP orale. Ricordo che l’obiettivo di Unaids per la copertura di PrEP è di 10 milioni entro il 2025, ovviamente non sarà raggiunto anche perché preferiamo buttare soldi in guerre e nelle speculazioni che ne seguono.

Se 6,7 milioni in 12 anni non vi sembrano poi così pochi, vi ricordo che dal 2012 ad oggi ci sono stati 17 milioni di nuove infezioni da HIV. Inoltre, non è “solo” una questione di numeri totali ma anche di diffusione nelle aree maggiormente colpite da HIV e quanti fra le popolazioni chiave vengono raggiunti dalla PrEP… ovviamente i valori mostrati sono scandalosamente bassi non solo in Africa ma anche nei Paesi ricchi: negli USA la diffusione della PrEP fra gli afro-americani e i latini è decisamente fallimentare. La relatrice si sofferma di nuovo sul lenacapavir ed evidenzia quanto potrebbe essere rivoluzionario per le donne in particolare ma quanto tali potenzialità potrebbero essere rese vane dal costo del prodotto. Su questa base sollecita i vari stakeholder a muoversi fin da ora: le agenzie regolatorie perché agiscano in fretta, chi contratta i prezzi garantisca anche i volumi di prodotti necessari, OMS emetta le sue linee guida e raccomandazioni rapidamente, gli Stati sviluppino piani di implementazione, studi pilota, ecc. e cerchino di capire come incrementare la domanda di prevenzione. Sicuramente la PrEP deve essere semplificata, decentralizzata e demedicalizzata, serve innovazione anche in questi settori. Anche se non in tema la relatrice cita anche la PEP, efficace ma sotto utilizzata.

Nelle conclusioni la relatrice sottolinea come la PrEP non sia un lusso, semmai lo è non fare niente o non investire in prevenzione.

Sandro Mattioli
Plus aps

Nota di colore: stanotte ho dormito poco e male fra jet leg e allergia, per cui ho avuto la bella idea di andare presto al centro congressi. Niente di meglio di una bella passeggiata a -3 per svegliarsi… anche l’orso blu sembra darmi del pirla.

In questo tipo di conferenze le plenarie sono verosimilmente organizzate in modo oculato dalla direzione scientifica, la scelta degli argomenti ci da anche idea dell’orientamento che prende la conferenza, in termini scientifici e non solo.

La plenaria di oggi ha visto di nuovo al primo posto i vaccini. Chiunque con un minimo di esperienza ha ormai capito quanto scocci agli istituti di ricerca statunitensi il disastro degli ultimi studi sui vaccini contro HIV e, soprattutto, quanto siano preoccupati per la più che probabile perdita di finanziamenti.

Il mio inglese è lontano dalla perfezione, ma giurerei che la dott.ssa McElrath che ha inaugurato la plenaria con una lettura dal titolo “what’s new in HIV vaccines”, ha iniziato mostrando una slide con una lunga serie di studi inefficaci ed ha detto che sono studi di successo anche se poi sono andati male in termini di efficacia, il motivo è che hanno imparato moltissimo. Ripeto spero di aver capito male, ma è una mentalità “driven by money” che sembra non tener conto che i “topi da laboratorio” erano persone per lo più di Paesi in via di sviluppo. Senza nulla togliere all’importanza delle nuove conoscenze acquisite, a me sembra un modo di pensare davvero lontano dalla mia sensibilità. Detto questo a che punto siamo coi vaccini? Siamo a quello di sempre: uno dopo l’altro falliscono tutti, non funzionano ma impariamo nuove cose. Continuiamo a sperare e a studiare è ovvio, ma vorrei vedere meno titoli sensazionalistici in giro e stare su un dato di realtà perché abbiamo a che fare con delle vite. Grazie a quello che abbiamo imparato ora sono al vaglio diverse strategie, percorsi alternativi che hanno guidato la ricerca verso altri studi su nuovi vaccini. Incrociamo le dita e speriamo che vada meglio, ma è chiaro che al momento siamo ancora alle sfide e alla necessità di invogliare i giovani ricercatori a raccogliere la sfida.

Negli ultimi 20 anni ho sentito molte volte richieste di questo tenore, in genere vuol dire che ci sono delle difficoltà e sui vaccini è palese che ci sono.

La seconda lettura è stata tenuta dalla kenyana Nelly Mungo sul tema scottante del HPV. Ci ha parlato quasi esclusivamente di cancro cervicale, dichiarando con disinvoltura che si gli MSM hanno un serissimo problema di cancro anale HPV derivato, ma meno persistente per cui non ne avrebbe parlato. Io sono assolutamente favorevole alla medicina di genere e ancora più favorevole a che si parli di cancro cervicale perché è una vera piaga, ma questo non giustifica tale precisazione che denota mancanza di professionalità e serietà scientifica. Non capisco che senso ha farci vedere una slide come quella che pubblico qui a lato, per poi dire io non ne parlo. Non farla vedere e non parlarne avrebbe avuto più senso.

Detto questo, resta il fatto indiscutibile che il cancro da HPV è fra le patologie più frequenti con oltre 2 milioni di casi all’anno (dati del 2018) e, tanto per cambiare, l’Africa sub-sahariana di distingue per numero di casi e disuguaglianze nell’accesso alle vaccinazioni e ai trattamenti. Geograficamente parlando l’area di azione di HPV è pressoché sovrapponibile a quella di HIV, infatti alcuni studi citati dalla Mungo ci fanno pensare che la presenza di una infezione da HPV correli con una incrementata possibilità di contagio con HIV.

Tuttavia Nelly Mungo ci fa anche notare che il cancro alla cervice uterina è uno dei pochi dove la prevenzione è possibile ed efficace grazie agli screening sulle lesioni pre-cancerose, alla vaccinazione efficace già con una sola dose (presenta diversi studi a sostegno della tesi), ecc. Tuttavia sono ancora molte le sfide che vanno dall’implementazione della dose singola, all’incremento dei test di screening e cita soprattutto le donne che vivono con HIV.

Chiude dicendo che le comunità non devono ignorare le malattie derivate dall’azione di HPV, il che è buffo stante lei ha deciso di ignorare gli MSM. Mah…

Ho deciso di seguire una sessione sulla prevenzione perché sono stati presentati i dati relativi a un primo studio sul TAF (Tenofovir alafenamide) su impianto sottocutaneo annuale di silicone. I dati preclinici su modelli animali erano buoni, ma lo studio – tenuto in Sud Africa su donne cis – non è andato ugualmente bene. Il numero relativamente esiguo di arruolate, 36, denota che si tratta di un primo approccio al tema, ma resta il fatto che il 31% non ha tollerato l’impianto che è stato rimosso prima della fine dello studio, in aggiunta numerose donne hanno avuto problemi cutanei nella zona di inserimento pertanto il risultato finale – poor tolerability – non è stato un successo.

A seguire sono stati presentati diversi studi sulla famosa doxypep ossia la profilassi post esposizione con un antibiotico (la doxiciclina) che sembrava dare buoni risultati contro gonorrea, clamidia e sifilide. Purtroppo non è così semplice.

Forse ricorderete che in un post sulla conferenza EACS avevo descritto i dati preliminari dello studio di Molina – il papà della PrEP on demand – su doxypep e vaccino contro meningococco B (menB). A questo CROI hanno presentato i dati finali dai quali è emerso che il menB sembra meno efficace del previsto contro gonorrea, pur nella necessità di altri studi non mi sembra un dato da prendere sottogamba. Doxy è si efficace contro clamidia e sifilide, ma visibilmente meno contro gonorrea dove si registra lo sviluppo di resistenze nel 35% dei casi.

Gli studi americani presentati partono da un presupposto diverso. In estrema sintesi: c’è un background di crescita di IST che la doxy abbatte, dunque la diamo a tutti poi l’utente deciderà quando usarla. Nessun accenno a counselling almeno di ordine medico, immagino che venga fatto. Trovo sconcertante questo modus operandi non foss’altro per il fatto che la strategia test and treat sappiamo che funziona e che può essere utilizzata e promossa nel mentre che cerchiamo di capire se è il caso di rischiare di giocarci un antibiotico importante, rispetto alla cui azione qualcuno pone dubbi sul comportamento degli altri batteri che ospitiamo nel nostro corpo. Tanto è vero che nelle conclusioni si richiama la necessità di studi di più lunga durata, ma nel frattempo la usiamo. OK.

Come sapete Plus ha sempre basato le sue decisioni e le sue battaglie partendo dall’evidenza scientifica. Su doxypep non mi sembra proprio che ci siano tali evidenze, il fatto che funzioni contro clamidia è un dato che sembra chiaro, ma è sufficiente rispetto a ciò che ancora non sappiamo per certo. Inoltre, piccolo dato di natura burocratica, in Italia non ci sono linee guida sul tema. Visto che non siamo disarmati, che non parliamo di patologie letali, che abbiamo già strategie che funzionano, non vedo la necessità di affrettare decisioni senza avere dati definitivi.

Sandro Mattioli
Plus aps

Nelle grandi conferenze le “opening session” comprendono i saluti del/dei presidenti della conferenza che mostrano una serie di dati positivi, seguono le letture magistrali utili, a chi non è proprio invornito, a indicare la direzione verso cui la conferenza si orienta o, quantomeno, a denotare quali sono i punti salienti nella lotta contro HIV e altre infezioni che la direzione scientifica ha ritenuto importante sottolineare.

CROI ha seguito questa “tradizione”. Il Presidente del CROI ci ha mostrato i dati della conferenza:

3.635 partecipanti in presenza, più 438 virtuali, in rappresentanza di 73 Paesi. Il 38% dei partecipanti non è statunitense e costoro hanno presentato 359 abstract. Poi dicono che è la più importante conferenza al mondo. In totali gli abstract sono stati 1.682, accettati 966. Infatti ogni abstract subisce la review di 10 esperti interni e esterni. Sono state erogate 261 scholarship a giovani ricercatori (42 internazionali), 22 community educator (ricordo che è una conferenza medica, ma che comunque trova il modo di collaborare con la comunità dei pazienti). La conferenza si tiene nella cornice del Colorado Convention Center caratterizzata dalla presenza di una gigantesca statua che rappresenta un orso blu che sembra voler entrare.

Sono state presentate 3 letture magistrali. Come avviene anche in Italia, sia pur con qualche insistenza, le 3 letture sono dedicate a personaggi che hanno profondamente segnato la storia della lotta contro HIV, e sono la Bernard Field lecture che ha visto la presentazione di B. S. Graham (Vaccine Research Center NIAID, USA), la N’Galy-Mann lecture con la presentazione di D. M’bori-Ngacha (UN Children’s Fund, Kenya) e la Martin Delaney trattata da F. Mugisha, un bravissimo attivista di Sexual Minorities Uganda (SMUG), Uganda.

Con il titolo “Modern Vaccinology: a legacy of HIV research”, Barney Graham ha ampiamente parlato di vaccini. Dopo l’ennesimo insuccesso degli studi Mosaico e Imbodoko, era atteso che la comunità scientifica USA ponesse l’accento sull’importanza di insistere a cercare un modo per vaccinare la popolazione mondiale contro HIV, con buona pace degli indubbi risultati ottenuti coi farmaci. Tutta la presentazione è stata incentrata sui successi “altri” in questo campo, covid incluso perché, con buona pace degli scettici, in breve tempo la scienza ha trovato il modo di limitare fortemente i contagi… sempre che si nasca nel posto “giusto”, ovviamente. Buona parte della presentazione è stata usata per dimostrare come le nuove tecnologie, pressoché tutte sviluppate per cercare un vaccino contro HIV, hanno potuto accelerare in modo impressionate lo sviluppo e la produzione di vaccini. In poche parole con le tecnologie del 20simo secolo ci sono voluti anni per sviluppare i vaccini, in qualche caso decadi. Il 21esimo secolo ha visto uno sviluppo impressionante delle tecnologie vaccinali, tecnologie che ci consentono di individuare e produrre vaccini in pochi anni se non addirittura mesi. Il virus del covid, che ha contagiato 800 milioni di persone e si stima che ne abbia uccise 30, è stato messo sotto controllo nel giro di un paio di anni grazie alle vaccinazioni … in Africa meno del 5% della popolazione era stata immunizzata a fine 2021, ma si sa che prima viene chi ha soldi.

In conclusione l’anziano ricercatore spara tutte le sue cartucce: stiamo vivendo una nuova era per la scienza dei vaccini grazie alle nuove tecnologie derivate dalla ricerca su HIV. La progettazione precisa dell’antigene con la produzione rapida di piattaforme fornisce una soluzione ingegneristica per ottenere approcci vaccinali generalizzabili e, quindi, stigmatizza il fatto che dopo Mosaico sono crollati gli investimenti su sul vaccino per HIV che, del resto, ancora non sappiamo come fermare.

Dorothy M’bori-Ngacha ha ci ha offerto uno spaccato dei problemi sulla ricerca relativa all’allattamento al seno, in particolare in Africa ma non solo. Come è facile immaginare non è il nostro campo di azione, ma comunque va citata perché per molti paesi del cosiddetto terzo mondo questo è l’unico modo per non far morire di fame i neonati il che ci porta agli oltre 3 milioni di bambini contagiati per questa via. Un dato in calo negli ultimi anni, ma pur sempre con numeri inimmaginabili per le possibilità che abbiamo oggi. Del resto le possibilità di accesso alla terapia per le madri cambiano profondamente da regione a regione in Africa e sul piano globale l’incidenza dell’infezione da HIV fra le donne incinte e che allattano al seno resta una importante fonte di infezioni pediatriche da HIV.

Come già scritto, la presentazione di Frank Mugisha dal titolo “Unveiling the power of Uganda’s LGBTIQ advocacy in shaping HIV response and health care”, è stata la più emozionante della apertura. Mugisha con la prima slide ci mostra re Mwanga II che in epoca pre-coloniale, riconosceva il valore delle coppie dello stesso sesso tanto che era cosa nota che avesse un consorte maschio. Tuttavia con l’avvento del colonialismo, l’influenza britannica portò a criminalizzare e stigmatizzare gli omosessuali. Oggi dei 55 stati africani, in ben 33 l’omosessualità è un crimine punito con il carcere. Visioni alternative su sessualità e genere sono sempre esistente nei vari paesi africani, tuttavia oggi è in atto una criminalizzazione estesa: Kenya, Ghana Namibia, Niger, Tanzania a Uganda hanno fatto passi per finalizzare leggi anti omosessualità. Anche nei Paesi dove ci sono stati alcuni progressi nei diritti LGBTQ+, stanno venendo avanti situazioni stigmatizzanti. Per esempio nel Sud Africa che pure offre una importante protezione legale, continuano a verificarsi scontri contro le persone LGBT tanto che nel 2021 almeno 24 persone sono state uccise a causa di attacchi motivati da pregiudizi. Nelle Seycelles, che nel 2016 hanno decriminalizzato il sesso gay, persistono ambiguità normative sui diritti delle persone LGBTQ+ che li lasciano vulnerabili e senza protezione legale in vari aspetti della vita. Peraltro, l’Uganda non è nuovo a questo approccio: già nel 1950 un nuovo articolo del codice penale – penale! – mette fuorilegge le relazioni fra persone dello stesso sesso. Similmente all’Italia, anche in Uganda parlare di sesso è un tabu così come le è essere identificati come gay. In generale grazie a queste manovre normative, si è dato la stura a una disapprovazione sociale verso gli omosessuali che vengono rifiutati, ostracizzati.

Ovviamente le cose non succedono per caso. Come accade anche in Italia, da tempo in Uganda gruppi religiosi anti gay e anti gender lavorano per radicalizzare nel paese sentimenti di odio inventando miti e cospirazioni che portano a equiparare gli omosessuali ai pedofili o che reclutano giovani per trasformarli in gay, ecc. Queste idiozie compaiono da anni su tutte le piattaforme social anche attraverso interviste sensazionalistiche con ex attivisti gay. Situazione che non solo creano timori negli ugandesi, ma anche odio che, a sua volta, porta a molestie e violenze.

L’associazione di Frank, SMUG, è stata chiusa d’autorità nel 2022 dal Governo che, allo stesso tempo, ha prodotto una lista di 22 NGO da chiudere perché promuovono l’omosessualità. A maggio 2023 il presidente ha firmato una legge anti omosessualità. Del resto è la seconda volta che accade: nel 2009 venne firmata una legge denominata “Kill the Gay”. Attualmente Frank e altri attivisti si sono rivolti ai tribunali perché blocchino la legge del 2023 e a breve dovrebbe esserci la sentenza.

La nuova legge introduce il reato di omosessualità aggravata che prevede la pena di morte. Per esempio l’aggravante è fare sesso consensuale con una persona HIV+ dello stesso sesso. Inoltre introduce il reato di promozione dell’omosessualità, mettendo di fatto fuori legge tutti gli attivisti che rischiano fino a 20 anni di prigione. I medici, i datori di lavoro e perfino i familiari sono tenuti a denunciare chiunque sia sospettato di essere omosessuale.

In altre parole, i servizi sanitari, soprattutto in ambito sessuale, per le persone LGBT sono diventati irregolari e inadeguati.

La legge è arrivata al culmine di una lunga serie di violenze e abusi. Oltre 300 casi sono i casi di violazione dei diritti umani, abusi e violenze motivati dall’omofobia che SMUG ha documentato quali sfratti, trasferimenti forzati così come casi di tortura, trattamento degradante, aggressioni commessi da privato o dallo stato. Le conseguenze, come era facile immaginare, vedono un palese incremento di problemi di salute mentale così come traumi. Gay esiliati dentro e fuori il Paese, aumento dei senza tetto, violenze sessuali, esami anale forzati. Abusi amplificati dai media con arresti sensazionalistici (mi ricorda qualcosa accaduto anche da noi). Lo scorso gennaio un attivista amico di Frank è stato attaccato e accoltellato per la strada, al punto che ha dovuto subire un delicato intervento chirurgico.

Una norma, quindi, che finirà per incidere anche sull’epidemia da HIV che pur l’Uganda era riuscito a gestire meglio di altri. La discriminazione genera un sentimento di paura che scoraggia le persone LGBT+ dal rivolgersi ai centri per il test HIV, ai servizi di prevenzione e trattamento perché temono di essere giudicati, discriminati, di subire violenze e ripercussioni legali. Nonostante che il Ministero della salute ugandese abbia emanato 2 circolari con l’invito al personale sanitario a non discriminare (maledetti ipocriti), il numero di persone LGBT+ che si rivolte ai servizi sanitari continua a calare appunto a motivo della legge discriminatoria che erode la fiducia verso i servizi sanitari pubblici e rende più complicato l’accesso e ricevere servizi adeguati.

Frank è molto educato ma è evidente che assegna buona parte della responsabilità della situazione ai leader anti gay e anti gender, per lo più occidentali, che li ritrova a fianco dei politici e dei leader religiosi africani a minare i diritti LGBTQ+, a promuovere le terapie di conversione come cura per l’omosessualità ecc. e cita Open Democracy per l’Uganda come uno di questi influenti gruppi foraggiati da gruppi cristiani oltranzisti occidentali.

Qualcosa di simile viene tentato anche in Europa e in USA ma con importanti battute d’arresto, forse grazie a una società civile forte che, in molti casi, reagisce. Per cui l’Africa è percepita come il campo di battaglia finale da alcuni gruppi cristiani estremisti che diffondono sentimenti di odio contro i gay attraverso la “promozione dei valori della famiglia”. A ben vedere, conclude Frank, è l’omofobia, non l’omosessualità, che è estranea all’Africa.

Non è solo un suo parere, ci sono evidenze: nel 2023 il Parlamento ugandese ha organizzato la conferenza “family values”, i contenuti della conferenza erano totalmente anti gay e anti gender (pure questo mi ricorda qualcosa), gli invitati erano tutti attivisti anti gay/gender di altri stati africani, nel comunicato finale la conferenza (organizzato da un organo dello Stato, lo ricordo) invitata tutti gli stati africani a dotarsi di leggi simili, un parlamentare kenyano, che era presente, ha poi portato in Parlamento un progetto di legge anti gay. Questo è un po’ il trend che si sta verificando in Africa.

Il dato positivo è che davanti a questa legge molti stakeholder si stanno muovendo, è stato perfino organizzato un Pride in Uganda. Gli USA usano la Pepfar come sanzione, hanno posto il visto d’ingresso, avvisi per chi viaggia in Uganda, le banche internazionali hanno bloccato i prestiti. Le grandi aziende multinazionali (Google, Amex, AT&T, Microsoft, ecc.) si sono espresse contro questa legge dando la stura ad un effetto negativo su alcuni interessi economici, la comunità LGBTQ+ locale e internazionale sta agendo. Frank chiude chiedendo anche la solidarietà dei clinici presenti, perché la situazione sanitaria sta peggiorando in particolare su HIV.

Una relazione forte e commovente allo stesso tempo che la platea ha salutato con un lungo applauso, al quale, spero, seguano azioni della IAS con contrastare questa assurda situazione.

Sandro Mattioli
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