
Ormai è cosa nota che i farmaci più recenti (ma anche quelli meno recenti) fanno ingrassare. La plenaria di oggi verteva su questo tema. Purtroppo è stata una lettura in parte deludente, vediamo come mai.
La dott.ssa Jordan Lake, University of Texas Health, Science Center at Houston ha portato la relazione Weight Gain in People With HIV. Non bastava HIV, pure l’aumento di peso (!) ed è partita in quarta con la slide “Global obesity epidemic”. Quindi, un problema consistente e mondiale.
In effetti presenta uno studio dove, in alcuni casi, la prevalenza di obesi nelle PWHIV arriva a superare il 50% e un altro dove l’indice di massa corporea vedere un consistente incremento 12 mesi dopo l’inizio della terapia, rispetto ai 12 mesi prima.
Come sappiamo l’obesità correla con problemi cardiometabolici, ma anche diabete, cancro e varie altre comorbidità, il tutto più frequente in chi ha HIV.
Queste sono conoscenze consolidate da svariati studi. Ma da qui in poi sarà un susseguirsi di punti interrogativi, di verbi al condizionale, di ipotesi se non addirittura di dichiarazione di ignoranza.
Il 13% delle PWHIV prende peso in modo consistente (superiore al 10%) entro il primo anno di inizio della terapia, né sembra che iniziare il trattamento molto a ridosso della sieroconversione sia un fattore. Ma lo switch terapeutico sugli inibitori dell’integrasi [INSTI], (Risk of Obesity, Cardiometabolic Disease, and MACE After Switch to Integrase Inhibitor in REPRIEVE, Emma M. Kileel, CROI, 2025).
In uno studio pubblicato su The Lancet (Lancet HIV, 2024 Oct; 11(10):e660-e669) è stato calcolato tale aumento di peso su pazienti che hanno iniziato la ART a un anno dalla sieroconversione. Ecco i risultati (ovviamente è stata fatta una media):

- Bictegravi +TAF: 4,93 Kg
- Eviltegravir + TAF: 4,18 Kg
- Dolutegravir + TDF: 3,74
- Dolutegravir senza TAF né TDF: 3,69 Kg
- Raltegravir + TDF: 3,39 Kg
(si veda anche Changes in Cardiometabolic Parameters After ART Initiated Within 1 Year of HIV Acquisition, Nikos Pantazis et al., 826, CROI 2025)
In molti studi l’aumento di appare più importante nelle donne, negli afroamericani/africani, nelle persone con HIV anziane e con una malattia da HIV seria… però non c’è uniformità di dati a livello mondiale.
Diversi studi attribuiscono al TAF un aumento di peso mediamente di 1\2 Kg, ma se assunto insieme agli INSTI sembra essere additivo o sinergico. Questo accade a causa di un meccanismo che ignoriamo completamente. Ma sappiamo che l’aumento di peso è costituito da grasso.
Ancora, uno studio open-lable, randomizzato, multicentrico, dal simpatico nome “PASO DOBLE” ci informa che anche con viremia soppressa, in caso di switch su INSTI ci dobbiamo aspettare un aumento di peso clinicamente significativo superiore al 5%. Nello studio gli arruolati erano randomizzati a passare a DTG/3TC (dolutegravir/lamivudina ossia il Dovato) o BIC/FTC/TAF (bictegravir, emtricitabina e tenofovir alafenamide ossia il Biktarvy). Nello studio il Dovato si è comportato un pochino meglio del suo concorrente ma di qualche etto.

Inoltre, HIV, ART, obesità e anzianità nelle persone con HIV portano più rapidamente alla obesità sarcopenica ossia un calo della massa muscolare il cui posto viene preso dal grasso, il che porta a problemi cardiovascolari, cancro, diabete, fratture, una generale fragilità. Capite perché insisto nel dire che HIV è in grado di aggirare il blocco dell’AIDS e ci ammazza per altre vie? In tutto questo le conclusioni della relatrice sono una meraviglia:
- i meccanismi non li conosciamo
- non ci sono dati sufficienti per imbastire una strategia preventiva o tesa a invertire il processo di aumento di peso
- servono ulteriori ricerche
Un rapido accenno agli studi pubblicati in forma di poster, trovate le immagini in fondo all’articolo. Al CROI ovviamente ci sono i poster elettronici, ma viene anche data la possibilità di esporli. Francamente è bello poter passeggiare fra i corridoi pieni di studi, una specie di viale della scienza.

Lo studio Online and Less Frequent Monitoring of Oral HIV PrEP Use Are Noninferior to Standard of Care, Marije L. Groot Bruinderink et al., ci informa che le persone in PrEP possono essere viste online e ogni 6 mesi senza che questo causi problemi. Parlando con la ricercatrice è emerso che questo studio olandese ha si arruolato 469 persone analizzate per un anno, ma erano mediamente persone con una alta conoscenza di HIV, sicuramente persone da mettere in PrEP ma con un rischio di contagio tutt’altro che alto. Quando le ho parlato del nostro campione, anche lei ha concordato che è meglio vederli ogni 3 mesi. Tuttavia un ragionamento sulla minoranza del nostro gruppo che non corre rischi alti si potrebbe fare.
A seguire lo studio Self-Reported Frequent vs Infrequent HIV Risk and Actual Diagnoses in MSM: Implications for PrEP, N. Salvadori et al., ci informa che il sesso senza condom con partner casuali è associato a un alto rischio di contagio a prescindere dalla frequenza. In questi casi la PrEP daily o on demand dovrebbe essere raccomandata.
Uno studio niente meno che dell’Università Cattolica di Milano, Asymptomatic Sexually Transmitted Infections in a Population of High-Risk Men Who Have Sex With Men, P. F. Salvo et al., ci informa che le IST asintomatiche sono estremamente comuni fra gli MSM e che gli screening regolari sono fondamentali per il rilevamento e il trattamento. Con buona pace di chi ha coniato il termine “pcerrite” e vuole testare gli MSM ad alto rischio ogni 6 mesi, o se sintomatici.
Lo studio Support for Over-the-Counter PrEP Among Transgender Women and Transfeminine Nonbinary People, L. R. Violette, Harvard Medical School, Boston mi ha molto divertito soprattutto al pensiero di mostrarlo agli infettivologi o ai farmacisti ospedalieri. Per il momento si tratta solo di uno studio teso a registrare il gradimento (ma pensano di andare avanti). L’ipotesi è quella di trasformare la PrEP in farmaco da banco, ottenibile senza ricetta in farmacia oppure online. L’idea nasce dalla difficoltà che diverse persone trans e non binarie hanno a sobbarcarsi tutta la procedura per ottenere il farmaco per la PrEP. Con questo metodo non avrebbero problemi.
Da ultimo lo studio catalano, Impact of a New Opt-In Targeted Strategy for HIV Testing in Emergency Departments, J. Guardiola, Hospital de la Santa Creu i Sant Pau, Barcelona, Spain, è interessante ed esportabile. Nei pronti soccorsi hanno proposto il test per HIV ai pazienti che ricevevano almeno una di queste 6 “diagnosi”:
- Infezione sessualmente trasmissibile (IST)
- polmonite community-acquired
- sindrome da mononucleosi
- herpes zoster solo persone fra i 18 e i 65 anni
- chemsex
- PEP

Questa strategia non sembra aver dato i risultati sperati, nel senso che a fronte di una crescita percentuale del numero dei test ordinati e eseguiti (769.134 in 7 anni), ma il numero di nuove diagnosi (309) è rimasto invariato sul percentuale durante il periodo studiato (2017 al 2023).
Un po’ di memoria. Qua e la nelle aule della conferenza, gli organizzatori hanno esposto alcuni Memorial Quilt, le coperte dei nomi. La Names Project AIDS Memorial Quilt, la inventò nel 1987 Cleve Jones per ricordare i morti di AIDS.
Negli anni ‘80 spesso i morti per AIDS non ricevevano neppure un funerale a causa dello stigma. Jones diede vita al progetto per consentire di commemorare i propri cari realizzando pannelli di stoffa, le coperte appunto, con impressi disegni, pensieri a ricordo della persona amata.
Ogni pezzo è stato cucito all’altro a formare grandi coperte.
Nel 1996 le coperte sono state stese davanti al Campidoglio: 38.000 pannelli a ricordo di 70.000 persone morte occupando lo spazio di 20 campi da calcio.Porterà a una grande presa di coscienza del problema AIDS. Ho pensato che fosse carino ricordarlo e pensare per un momento a Giulio, Stefano, Massimo… finché ricordiamo, coloro che amiamo non se ne sono mai veramente andati.
Sandro Mattioli
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